Non è che ti serva una cassaforte per i gioielli di famiglia

Mi sono iscritto in palestra.
A dirla tutta io e M. cercavamo un posto poter tirare qualche pugno e qualche calcio a un sacco: lei voleva riprendere kick-boxing, a me piaceva l’idea di provare qualcos’altro rispetto alla piscina, senza abbandonarla.

E poi un abbonamento può risultare più economico che farsi la doccia nel proprio bagno, di questi tempi.

La palestra vicino casa è di quelle aperte dalle 7 alle 23 e ha le formule entra quando vuoi e fa’ quel che vuoi. Sembra un ambiente tranquillo. Non ci siamo rivolti a una palestra di pugilato e/o arti marziali specifica perché cercavamo qualcosa di soft. In genere sono piuttosto cattivi e incazzati gli istruttori di pugilato e/o arti marziali.

La prima settimana un giorno abbiamo sbagliato corso: pensavamo si tirassero pugni ai sacchi e invece ci siamo ritrovati con uno su un palco che, a ritmo di musica, ti incita a mosse di pugilato, taekwondo, muay thai colpendo l’aria come fosse air guitar. Le famose air marziali. Qualche dubbio sull’impostazione del corso l’ho avuto quando, presentandoci prima all’istruttore, lui ha parlato del rilascio della sua prossima release di brani. E io mi chiedevo se fossimo a fare sport o a un Dj set.

Non è stato proprio quel che fa per me, per due motivi:

1) Ascoltare uno che, sempre sorridente per tre quarti d’ora perché deve per contratto trasmettere entusiasmo, grida E…salto! E…calcio! Siete dei guerrieri! Questa è la vostra sfida! mi crea molto fastidio.
2) Va bene che il fine è solo bruciare calorie ma usare delle mosse molto tecniche senza preoccuparsi di far curare l’impostazione non mi sembra molto indicato. E ci si può anche far male se non eseguite correttamente.

Frequentando invece la sala attrezzi ho fatto poi un paio di considerazioni.

La prima è che tanti adolescenti, ragazze e ragazzi, oggi si pompano. Ai tempi in cui andavo al liceo chi faceva sport praticava o nuoto o pallavolo. Qualcuno calcetto, qualcuna danza, ma non c’era molto altro.

Oggi ci sono 15enni con gli addominali di Cristiano Ronaldo. Cristiano Ronaldo di oggi, perché non credo a 15 anni fosse così strutturato.

La seconda considerazione riguarda gli spogliatoi maschili. Più che altro sulla questioni dei pendagli.

In piscina ho notato c’è molta discrezione sui pendagli: ci si cambia sia prima che dopo con l’accappatoio addosso. A me non frega niente e faccio senza anche perché lo trovo scomodo.

In palestra invece si gira tranquillamente per gli spogliatoi con il proprio pendaglio all’aria, avanti e indietro tra docce e armadietti. C’è anche chi si siede sulle panche senza niente addosso e a me non piacerebbe tanto pensare di sedermi con le chiappe nude e sudate dove poco prima magari ci sono state altre chiappe nude e sudate. Senza contare la questione gioielli del pendaglio: se sei nudo, devi fare attenzione a sederti senza schiacciarli.

Comunque mi son chiesto: la palestra incita all’esibizione del pendaglio mentre la piscina no? Come mai, visto che, comunque, in piscina si sta più svestiti rispetto alla palestra? Forse è paura che l’acqua della piscina abbia un effetto vasocostrittore e che, quindi, il pendaglio possa uscirne ridimensionato?

Interrogativi che restano pendenti.

Non è che l’ecologista cerchi sinonimi di “no” per differenziare un rifiuto

Scrivo molto di meno qui sopra. Leggo anche con meno frequenza, sia altri blog che libri. Ho terminato due giorni fa un Urania che avevo iniziato partendo per le vacanze il 5 di agosto. A me che in un mese leggevo 3-4 libri. Almeno.

Il tempo. Dove se ne va il tempo? Esce, fa due passi, torna fischiettando mentre tu sei sul divano preoccupato fino a prima che apra la porta. Poi lui entra e tu cambi volto e lo guardi male perché se ne è andato via.

In realtà sento il mio corpo che rallenta o chiede di rallentare. E se non sei tu a fermarti sono gli altri che te lo fanno fare, imponendoti di non andar sempre di fretta.

L’altra sera stavo rientrando a casa dopo 12 ore che ero fuori, di cui 10 passate attaccato a uno schermo a riempire celle Excel. Parcheggio e vedo fuori al cancello del palazzo le due inquiline del primo piano che litigano.

Non mi hanno visto. Potrei girare al largo e camminare intorno l’isolato, entrare nel supermercato per uscirne mezz’ora dopo con un pacchetto di caramelle, andare a farmi un bicchiere di vino all’angolo, qualunque cosa pur di evitarle. Ma io sono stanco, voglio solo togliermi i vestiti e girare nudo per casa.

Allora opto per la tattica ariete: testa bassa mi dirigerò verso l’ingresso, saluterò con un cordiale ma volante “buonasera”, infilerò la chiave nel portone e schizzerò sopra.

Nella mia testa è tutto giusto. Nella pratica loro, vedendomi arrivare, si sono girate e piantate davanti al cancello stile picchetto del liceo al grido di Oggi non si entra.

I fatti, in breve: una fa presente che i sacchi dei rifiuti, quando vengono portati fuori di sera, non debbano essere messi in corrispondenza – in linea d’aria – del suo balcone, perché sale cattivo odore fin al primo piano, dove abita. Una volta infatti la trovai che prendeva a calci i sacchi per spostarli più in là, verso un muretto perpendicolare al cancello. E accusava l’altra – che negava, difendendosi – di non rispettare l’indicazione di mettere i summenzionati sacchi più in là.


Qui nel palazzo funziona così: per secco e umido ci sono dei bidoni all’interno, che vengono svuotati dai netturbini. Invece plastica, cartone, vetro, devono esser posti fuori la sera prima.


Bisogna trovare una soluzione, dicono in coro. Parlare con l’amministratrice, affermano sempre in coro. Nessuno però fa niente, cantano ancora in coro. Io guardo in basso a destra seguendo con gli occhi un piccione che prova a rimorchiare una picciona, fingendo di non cogliere la velata richiesta di ergermi a loro capopopolo.

Una delle due, l’accusata, poi getta in campo un altro argomento: afferma che le dicono di non essere pulita, che dal suo appartamento arriva cattivo odore. Ma lei sotto il balcone (che dà sull’interno, non sulla strada) si ritrova i bidoni dove viene messo indifferenziato e umido. E mi invita ad andare a osservare (come se non li avessi mai visti). Poi trascina uno dei bidoni e fa per mettermelo sotto il naso: «Sentite come puzza, io non dico bugie!».

Mi scosto, dicendo di non dubitare certo che un secchio del pattume esali cattivi odori.

Lei, proseguendo, lamenta che nessuno provveda alla loro pulizia. E fa di nuovo per mettermelo sotto il naso per mostrarmi il lerciume all’interno.

Mi scosto di nuovo, dicendo di non dubitare che non sia certo pulito come la palandrana del Papa.

L’accusatrice dà ragione all’accusata. I bidoni sono gestiti e posizionati male, il sistema stesso della differenziata in questo palazzo non è eseguito bene.

«Tutti si lamentano e però nessuno dice niente», fa la prima accusatrice.

Io cerco con gli occhi il piccione che vedo è rimasto solo. Avrà ricevuto un due di penne. Approfitto di un momento di pausa – la capacità invidiabile di queste persone è quella di sparare raffiche di parole senza respiro – per congedarmi con un «Eh va così qui le cose vanno sempre peggio» e salire verso la mia dimora.

Che dire, in questo mondo in cui si corre, esci da una scatola (la tua casa), per entrare in una scatolina (l’auto) che ti porterà verso un’altra scatola (l’ufficio) dal quale, ore dopo, farai il percorso inverso, senza pause, ben venga chi ti blocchi, ti dica, portandoti anche in situazioni surreali, che tu ti devi fermare un attimo.

Il giorno dopo, sempre tornando dal lavoro, ho trovato di nuovo le due signore a parlare fuori il cancello. Questa volta, però, amabilmente come due comari.

Io ho girato al largo rientrando solo quando se ne erano andate via.

Non è che il virologo si fidi solo del latte vaccino

Una mia amica ha dato un tema da scrivere ai ragazzi del liceo dove insegna. L’argomento era la stretta attualità: il Coronavirus. I risultati l’hanno lasciata un po’ perplessa.

Il migliore è uno che ha detto che la Cina vuole dominare l’economia globale e quindi ha creato il virus in laboratorio, per diffonderlo tra i cinesi perché il Paese è sovrappopolato.

Non ho ancora capito: la Cina vuole dominare il mondo quindi elimina la propria popolazione?

Un altro ha detto che finora il virus ha contagiato 77mila persone: la metà della popolazione cinese.

Praticamente la Cina potrebbe quindi star tutta contenuta in un quartiere di Roma.

Più di uno ha scritto che moriremo tutti.

Non rido dei ragazzi ma del bombardamento di notizie e di opinioni confuso cui siamo tutti sottoposti e che genera inquietudine e disinformazione. Forse sarebbe il caso di abbassare un po’ il volume del Mondo e riposare le orecchie.

Il Sindaco di Milano ha consigliato di “ridurre la socialità”: sono pronto, datemi libri, birre e serie tv e vi riduco a zero la mia socialità.

Ovviamente si esagera, ho bisogno come tutti del contatto umano. Ma di alcuni contatti farei a meno.

Ad esempio ho fatto un colloquio. Il selezionatore mi ha chiesto, a un certo punto, Come è stato il cambiamento di città, venendo da Napoli, l’approccio a Milano?”.

E io l’ho guardato indeciso se rispondergli Eh guardi non ho avuto ancora il tempo di vedere questo famoso Colosseo (semicit.) o di dirgli che, in effetti, non è la stessa cosa senza il sole il mare e la pizza. Solo che quest’ultima cosa non ha senso: le pizzerie storiche – e anche le meno storiche – di Napoli ormai hanno tutte una succursale a Milano, il mare invece sappiamo tutti che Ce Melàne tenève u màre avèv’a ièsse na piccola Bbare (e quindi non sarebbe mica Napoli!),  e per quanto riguarda il sole, forse qualche giorno di pioggia in più invece non avrebbe guastato per ripulire l’aria.

Ecco, avrei fatto a meno di venire a contatto con costui.

Oppure forse il Sindaco per socialità intende “l’essere social”: anche in questo caso avrei un esempio.

Ero a un concerto. Poco prima dell’inizio due tizie dietro di me si scattano una foto per pubblicarla su Instagram, con l’hashtag concertosegreto.


Era infatti un evento cui ti prenotavi ma senza conoscere il luogo dove si sarebbe tenuto, rivelato in un secondo momento via mail.


Fatta questa operazione, il senso della serata per loro era esaurito lì: appena iniziato il concerto hanno iniziato a farsi i fatti loro, chiacchierando e ridendo ad alta voce.

A un certo punto mi sono rotto le scatole, mi sono alzato e ho detto loro Scusate, io avrei pagato per sentire lui, non voi. Mi hanno guardato basite/terrorizzate.

Le capisco. Sarò sembrato affetto da rompicoglionivirus.

Non è che l’educazione sessuale consista nel ringraziare dopo un rapporto

ATTENZIONE: QUESTO POST NON HA ALCUNA FINALITÀ EDUCATIVA E PERTANTO L’AUTORE SI AUTOESONERA DA POSSIBILI DANNI DERIVANTI DALL’USO DI QUANTO SEGUE


L’altro giorno passa in ufficio un collega che, senza gli avessimo chiesto niente, ci inizia a parlare dei cavoli suoi. Tra le varie cose, ha espresso la propria preoccupazione per il dover affrontare col figlio 13enne alcuni discorsi seri: il sesso, in primo luogo, e, poi, dato che l’anno prossimo andrà al liceo, la droga.

Già qui secondo me sta partendo col piede sbagliato. Per me dovrebbe iniziare prima con la droga e poi col sesso: la prima aiuta a fare il secondo.

La preoccupazione di un genitore è comprensibile: c’è tanto bombardamento di informazioni e contemporaneamente tanta disinformazione che è difficile tenere un figlio lontano da messaggi fuorvianti.

Prendiamo l’ultimo “click award”:


Il click award è una non-notizia che fa scalpore e vince il premio di più cliccata del giorno


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Tante risate e ironia su questa notizia diffusa da varie testate e siti. Un giovane che messaggio ne coglierà? Che il sesso ascellare fa ridere.

Un genitore savio dovrebbe invece insegnare al figlio che il sesso ascellare è più pratico, pulito, sicuro e anticoncezionale. E magari si può provare dopo aver strofinato una pietra di hashish sulla medesima ascella (giacché anche la droga ascellare dovrebbe essere una pratica posta all’attenzione).

Tornando al mio collega, lui sosteneva che non sapendo come introdurre certi argomenti, pensava di parlarne dopo aver visto un film. Ad esempio, citava Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino come uno spunto per parlare delle droghe.

E per il sesso come si fa? Beh, io direi che la pornografia ci ha sempre fornito i migliori spunti e non capisco perché nel 2020 ancora non venga presa seriamente in considerazione per finalità educative, quantomeno dai poteri forti perché noialtri già ne conosciamo il potenziale didattico.

Io ad esempio dai porno ho appreso varie avvertenze e indicazioni:

  • I PERICOLI DEL MESTIERE: Fare il ragazzo delle consegne è un mestiere difficilissimo; ti capita sempre di venir trascinato dentro casa da una donna seminuda che ti porta ad avere del sesso con lei mentre tu hai ancora il tuo giro da terminare. Anche i giardinieri e gli idraulici non se la passano benissimo.
  • SII COOL: I letti sono per gli sfigati. Si fa sesso in qualsiasi luogo della casa, soprattutto le cucine, purché non su un morbido materasso come dei pappamolla
  • LE PERSONE SONO GENEROSE: Se c’è più di una donna nella stessa stanza vuol dire che sono lesbiche. Se ci sei anche tu nella stanza però loro decideranno di condividere con te del sesso
  • RISPETTA IL TEMPO: Le persone che fanno sesso hanno sempre orgasmi simultanei
  • PRENDITI LE TUE RESPONSABILITÀ: Prestare aiuto a una donna più adulta comporterà alla fine del sesso, sappilo
  • RISPETTA LA PRIVACY: Non spiare mai una donna mentre si cambia perché poi pretenderà del sesso da te come punizione
  • LE SUOCERE SONO INVADENTI: La madre della tua ragazza ti imporrà del sesso, prima o poi, non appena ti ritroverai da solo con lei. E delle volte anche mentre c’è la tua ragazza
  • SII PAZIENTE: Ci sono molte più persone di quanto tu creda che hanno problemi di memoria a breve termine e che hanno costante necessità che tu ricordi loro quello che devono fare, ripetendo di continuo imperativi come f*ck, s*ck e così via
  • INCLUSIVITÀ: Non importa chi tu sia o da dove tu venga. Il pornosesso accoglie tutti.

Cosa meglio di un porno può quindi prendersi cura dell’educazione sessuale dei nostri giovani?

Non è che il panettiere vada in Tibet a fare esercizi di lievitazione

In questi giorni va di moda un’applicazione che invecchia le fattezze. Io non so che fretta abbia la gente di invecchiare o di vedersi vecchia. In questo stesso periodo riflettevo sulla necessità per me di investire su un fondo pensione o un’assicurazione di questo tipo, dovendo per forza di cose confrontarmi con la dura realtà di un sistema pensionistico che, stando così le cose, mi porterebbe un giorno, cessata l’età lavorativa, credo a far la fame.

Ecco, il solo pensare a tutto ciò, alla vecchiaia, agli stenti, mi ha gettato in angoscia e ansia cosicché ho smesso di pensarci distogliendo la mente per il momento, dedicandomi a esercizi di l’evitazione.

L’evitare è una pratica antica che, se eseguita in modo sapiente, può dare grande soddisfazione e senso di leggerezza.

Tanti anni fa io ho praticato l’evitazione ma nel modo sbagliato. Ero agli inizi del liceo, intorno ai 14-15 anni. Rispetto ai miei amici, avevo il coprifuoco molto prima. Dato che mi dava peso e vergogna dovermene sempre scappare via nel mezzo della serata, a volte lasciando i soldi sul tavolo in pub o in pizzeria, presi a l’evitare. Non uscivo più, a volte dicevo Sì sì vengo – pur sapendo che non ci sarei andato ma non volevo dar spiegazioni – ci vediamo lì e poi non mi presentavo.

Questo non è il modo giusto di praticar l’evitazione.

L’evitazione non si pratica in modo disonesto, anzi, è una forma di giustizia e raddrizzamento dell’equilibrio karmico dell’universo. Il l’evitante non cerca di abusare della buona fede altrui né usa la pratica in modo indiscriminato.

Forse starò generando confusione in chi mi legge, mi sia d’aiuto allora un reperto fotografico esplicativo:

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Questo sono io qualche giorno fa mentre pratico l’evitazione. L’evitazione della fatica. Notare la leggerezza che traspare da ogni singola parte del corpo. Cosa importante, io l’evito la fatica ma senza arrecar nocumento a persona alcuna.

Forse sarò eccessivo con questi ammonimenti, ma devo diffidare il principiante dall’esagerare con l’evitazione, pena il rischio che gli si ritorca contro. L’evitante savio sa quando è d’uopo darsi alla pratica e quando no. È colui che sul posto di lavoro sa quando l’evitare una incombenza ingiusta può sollevarlo dallo stress e quando invece è opportuno tornare con i piedi per terra e rimboccarsi le maniche. È l’individuo angariato da un postulante o da un seccatore e quindi l’evita, mentre non solleva se stesso dall’aiutare chi lo cerca bisognoso di un aiuto.

Certo di aver offerto qualche chiarimento opportuno, spero quindi che altri come me si concentrino sulla nobile arte di l’evitare.

 

Non è che devi per forza lavorare al supermercato per etichettare

Sono M.E.B..

Che non vuol dire Maria Elena Boschi. Sta per Maschio Etero Bianco.

Non ho mai avuto problemi per l’appartenenza a queste tre categorie. Al massimo sono stato oggetto di scherno per l’insinuazione di non appartenervi abbastanza. Si sa come sono i ragazzi: coglioncelli.

Al liceo se non mostravi di posseder figa – perché non ci si accompagna, il vero MEB ce l’ha come proprietà – potevi esser accusato di non soddisfare appieno la voce E. Oppure di indugiar soltanto nelle attività manuali. A me è andata bene, capitò appunto di esser accusato della seconda. Meglio onanista che ricchione, si diceva.

Alle scuole medie  l’esser M lo si dimostrava righello alla mano. Mi sono sempre sottratto a queste discipline geometriche. Non perché avessi dubbi su di me. All’inizio. Poi alcuni compagni iniziarono a vantare virtù elefantiache e allora smisi persino di andare a orinare a scuola per non sottopormi a imbarazzanti rivelazioni. Suppongo quei compagni ora siano tutti dediti al cinema d’intrattenimento adulto professionale viste le loro presunte dimensioni artistiche.

Durante le scuole elementari, invece, ero più scuro di adesso. Poi negli anni mi son sbiancato: effetto Michael Jackson, probabilmente. Non ho avuto particolari criticità a parte quando nel club degli Acchiappafantasmi dissero che io al massimo potevo fare “quello nero”.

Accantonati questi patetici trascorsi scolastici, oggi vivo l’età della consapevolezza, conscio del mio esser MEB e certo che nessuno mi fischierà, additerà, guarderà con sospetto in strada perché io in quanto MEB ho pieno diritto di fare e disfare quel che mi pare.

Il MEB è socialmente intoccabile.

A parte qualche giorno fa.

Non ho mai fatto mistero di esser del Napoletano (tra l’altro non vedo perché dovrei). L’altro giorno ero per lavoro nel Salernitano, insieme ad altri colleghi. Una signora di una cittadina di quelle parti, sentendo delle origini, fa, accigliandosi (giuro):

– Ah…siete di Napoli…

Cambiando discorso, mi metto a parlare con lei del più e del meno. Lei non so perché ci tiene a raccontarmi della figlia che vive a Reggio Emilia:

– Lei sta da sola là…come si deve fare…Che poi, pure là…ci sono un sacco di napoletani…

E di nuovo si acciglia.

E io avrei voluto dirle: “Signora, cos’ha da dire? Insinua che non siamo anche noi dei MEB?”.

Poi mi son ricordato di tutte le battute sui napoletani che ho sentito. Di tutte le volte che da gente di fuori Napoli ho sentito dire, nello stesso tono preoccupato e rassegnato della signora di cui sopra, che “Qua si stanno trasferendo un sacco di napoletani…”

Mi sono ricordato di tutte le volte che qualcuno mi ha detto “Però! Non sembri di Napoli”. Come se si aspettassero forse che io parlassi urlando, saltassi all’improvviso sulla sedia per intonare Abbiamo un sogno nel cuore Napoli torna Campione e mangiassi solo pizza e sfogliatelle.

Com’è possibile? Io sono un MEB. Riconoscetemi in quanto tale!

Per carità, queste son sciocchezze. Sono aneddoti per strappar una piccola risata perché, in sostanza, qui sopra scrivo per rider di tutto e niente. Puttanate, stronzate, per dirla in francese.

Però che la gente sia cogliona, questa non è una stronzata. Che ami etichettare, aver pregiudizi, offendere, insinuare, questa non è una puttanata. Lo vedo fare ogni giorno su chiunque essere umano non si trovi in una condizione di privilegio. E allora per costoro ho coniato una nuova etichetta: BEM.

Bastardi Emeriti Minchioni.

Non è che Batman rida della Bat-tuta

Mi capita di incrociare quotidianamente le mandrie di liceali che transumano verso le /dalle scuole. Alcune cose – come le nuvole “d’odore d’adolescenza”* che ci si porta dietro in quell’età – noto non cambiare mai tra le generazioni, altre invece mi rendo conto che si sono modificate tanto.


* Smells like teen spirit, No?


Le mode, ad esempio. Come quella della tuta. Oggi maschi e femmine vanno in giro in tuta come se fosse un capo di tendenza e forse lo è.

Quando andavo al liceo io la tuta era giustificata solo se quel giorno c’era educazione fisica. Parliamo del solo pantalone. L’abbinamento pantalone-giacchetta tuta era considerato socialmente inaccettabile dopo la terza media.

A meno che uno non volesse essere picchiato all’ingresso e poi additato al pubblico ludibrio per tutte le cinque ore successive per essersi conciato da sfigato, s’intende.


Son gusti.


Le ragazze, che sono sempre più avanti dei loro coetanei maschi, smettevano la tuta in via definitiva alle medie. Al liceo se decidevano di partecipare all’ora di educazione fisica lo facevano in jeans.

Oltre alla condanna sociale, per i maschi c’era anche una necessità pratica.

La tuta non permette di nascondere. Cosa? Beh tu chiamale se vuoi…emozioni.

Un adolescente maschio medio in normale sviluppo ormonale ha in media da 4 a 10 volte le emozioni spontanee che ha un maschio adulto. Inoltre a livello mentale è ancora incapace di gestirle come si deve. Da qui la necessità di preferire un capo come il jeans che permette di nascondere meglio le proprie…emozioni.

Oggi invece viviamo in una completa rivoluzione: da quand’è che andare in giro in tuta non è più considerato da sfigati?

E soprattutto: i maschi di oggi non hanno più paura delle proprie emozioni spontanee oppure sono incapaci di provarle?

La tuta per questo è l’inizio dell’estinzione della specie?

Carico di questi dubbi sono andato in piscina. In tuta. Ma solo il pantalone perché ho ancora paura di essere picchiato.

Le fantastiche tute in acetato anni ’80-’90 in grado di produrre elettricità libera e gratis per sfregamento ma le grandi multinazionali non vogliono che voi sappiate.

Non è che lo studente svogliato porti con sé olio e limone per marinare la scuola

Da un’auto di passaggio arrivavano note di Ma come fanno i marinai.

Ho tanti Ma come fanno in mente.

Ma come fanno quelli che prendono il Suv in città, tra problemi di parcheggio, vie molto strette e ansia continua per graffi e specchietti.

Ma come fanno quelle tacco 12 sul basolato che io su un percorso simile una volta ho preso una distorsione con le sneakers.

Anche costei si chiede ma come fanno

Ma come fanno quelli che escono dagli spogliatoi coi capelli bagnati.

Ma come fanno quelli che saltano il pranzo e non muoiono di fame né lo stomaco imita suoni temporaleschi. Se non mangio, io mi spengo e non parlo più né ragiono.

Ma come fanno quelli che stanno insieme da 20 anni con quella che era la compagna di banco del liceo mentre le mie relazioni durano meno di un capo esposto in saldo.

Ma come fanno quelli che parlano di lavoro anche al di fuori dell’ufficio mentre io è sin dai tempi in cui ero studente che, terminato l’orario del dovere, volto decisamente pagina e non voglio parlarne né sentirne più. Fino al mattino dopo.

Ma come fanno quelli che attraversano la strada voltati dall’altra parte o chinati sul telefono a trovare sempre uno come me che non li investe.

Ma come fanno quelle che alle 7 di mattina escono di case perfettamente curate e truccate mentre io sono a tanto così dall’andare a letto vestito per dormire 10 minuti in più al mattino.

Ma come fanno quelli che hanno nostalgie per epoche che non hanno vissuto.

Ma come fanno quelli che “Mi licenzio e giro per il mondo”.

Ma come fanno quelli che, sportivi amatoriali, si imbottiscono di farmaci dopanti per le gare del circolo della parrocchia o i campionati intercondominiali.

Ma come fanno quelli che si radono tutti i giorni a non ridursi il viso come Freddy Krueger.

Ma come fanno i marinai alla fine poi si è capito?

Non è che il voto sia una sofferenza perché ognuno apporta la propria croce

A livello politico mi ritengo un buon gattocratico, nel senso che comunque la pensiate non mi interessa sapere come la pensiate.

Fatta questa premessa, vorrei esprimere il mio rammarico per non aver ricevuto la nota lettera di invito al voto del Presidente del Consiglio.


D’altro canto, non essendo io ufficialmente residente all’estero non vedo come avrei potuto averla!


Mi sarebbe piaciuto riceverla, però, per conservarla: è nota la questione del refuso grossolano contenuto in tale lettera.

Io allora l’avrei incorniciata e conservata. Magari un giorno potrebbe divenire di valore come un Gronchi rosa, il francobollo ritirato a causa di un errore di stampa.

E la mia fantasia è corsa a immaginare la scena del dire a una fanciulla “Vuoi salire su da me a vedere la mia lettera di Renzi?”.

Com’è ovvio, se la ragazza fosse già decisa a trascorrere più tempo insieme, non baderebbe al contenuto formale del mio invito.


In generale penso che sia un bene che talvolta le donne sorvolino su molte minchiate che noi uomini diciamo nel tentare di corteggiarle, riuscendo a discernere l’uomo dietro la maschera delle sopracitate minchiate.


Qual sarebbe poi la sua sorpresa e la mia soddisfazione, una volta entrati nell’appartamento, nel mostrarle invece un originale Renzi 2016!

E, dopo, mandarla via in quanto riterrei esaurito lo scopo della sua visita!

Sento e leggo spesso lamentele da parte delle donne su quanto gli uomini non siano più capaci di sorprenderle.


Quando ero al liceo provavo a nascondermi dietro gli angoli e poi saltare fuori gridando Buh! davanti le mie compagne, ma sembra che questo non fosse il modo giusto per sorprenderle.


Questo invece sarebbe un vero atto sorprendente!


Che poi la questione che uomini e donne non siano più quelli di una volta mi lascia sempre privo di argomenti, perché non ho mai potuto frequentare uomini o donne di una volta e quindi non saprei proprio cosa dire in merito. E non capisco perché tutti guardino al passato e nessuno si preoccupi invece del futuro, sottolineando che uomini e donne di oggi non sono quelli del futuro, purtroppo!


Non è che se la paura fa novanta tu debba farle gli auguri di compleanno

Ascolto discorsi di persone che si confessano le proprie paure.

Si stanno in realtà a vicenda identificando in un qualcosa di comune. Hanno paura dei treni, hanno paura delle bombe, hanno paura di questo e di quello. Le chiamerei paure generali, perché ne parlano tutti e perché sono contagiose, a differenza di quelle personali che se le hai alla fine son cacchi tuoi.

Delle volte la paura instrada su ragionamenti irrazionali. Come il tizio che ti manda da un’altra parte quando chiedi indicazioni.

Ricordo una volta, di ritorno dalla gita al liceo, lungo l’autostrada il pullman perse un pezzo di battistrada. Ci fu uno scossone e un po’ di apprensione. Durante la sosta in autogrill, mentre l’autista controllava il tutto, una compagna di classe esclamò

– Questa gita non si doveva fare, era stato annullata, infatti.


Nel 2003 causa lo scoppio della II Guerra del Golfo i viaggi scolastici all’estero furono annullati e sostituiti con viaggi nazionali.


Loro sono voluti andare contro il destino – proseguì – e il destino ora ci punisce.

La guardai desiderando di cospargerla di pece e piume e farla rotolare lungo il pendio dell’area di sosta dell’autogrill perché a me i discorsi “1000 e non più 1000!” danno fastidio.

Non che la paura non sia utile. Probabilmente è quella che ci ha fatto sopravvivere ed evolvere.

Sarà andata così: una mattina, milioni di anni fa, un homo si svegliò. Probabilmente era un Abilis, anche se alcuni ritrovamenti lasciano ipotizzare che già Australopithecus afarensis avesse dimestichezza con gli arnesi. Senza impelagarci in dispute scientifiche, restiamo sul fatto che un homo si svegliò un mattino. Forse un po’ erectus perché al risveglio succede sempre così.

Un giorno se ne doveva andare in giro, ma aveva paura di fare brutti incontri. Allora portò un bastone con sé perché non si può mai sapere, infonde sicurezza e può venir buono per mazzolar qualcuno. Un altro homo lo vide e pensò: E che son scemo io? Prenderò un bastone più bello. E di bastone in bastone, di perfezionamento in perfezionamento, l’homo è arrivato a questo:

Anche io ho paura, come tutti.

Ma le mie paure non riesco a confessarle, perché non sono generali. Dietro la collina.

Una delle mie paure è quella di rimanere solo. Può sembrare paradossale, considerato che da solo mi trovo bene. Ma posso dire di trovarmici bene finché sono certo di non essere realmente solo.

E ho paura che gli altri se ne accorgano e di ritrovarmi con il non avere niente da offrire perché Ehi, sono qui solo per accompagnare la paura, poi me la vengo a riprendere dopo. E la gente penserà Ti presenti a mani vuote con la paura di star solo mentre qui si bussa coi gomiti.

E dovrei far vedere che i gomiti me li son mangiati, a forza di ri-morsi.

Non è che il testimone alla maturità traduca la versione dei fatti

Ho fatto l’esame di maturità quando “Dopo l’11 settembre” era un refrain sempre presente in qualsiasi discorso.
Gli aeroporti non sono più sicuri, dopo l’11 settembre.
L’economia è in flessione, dopo l’11 settembre.
Le ragazze non vogliono uscire con te, dopo l’11 settembre.


No, l’ultima cosa era vera anche prima.


Michael Schumacher era il signore assoluto della Formula 1, Lance Armstrong col suo cocktail di steroidi andava in bici come sulla motocicletta, nel mondo ancora si pensava che con un paio di bombardamenti a caso sarebbe regnata la pace, internet per molti andava ancora a 56k e quindi per scaricare la foto di una donna nuda si spendeva l’equivalente di una telefonata in Nicaragua, la tamarrodance italiana dominava ancora la scena musicale tamarra.


Chi dimentica è complice di ciò:


Insomma, a parte la Ferrari era proprio un’epoca del cazzo.

I telefonini – tra i quali regnava il Nokia 3310 – erano proibiti in aula e furono messi sotto sequestro.
Il mio compagno di banco ne aveva due, consegnò il telefono farlocco e utilizzò l’altro per inviare via sms la prima riga della versione di latino a un amico a casa. Storia vera, il complice divenne famoso su Studenti.it per essere stato il primo ad aver diffuso la traccia.

Fu un accorgimento inutile, in quanto il nostro professore – buonanima – dopo un paio d’ore ci dettò la traduzione.

La cosa strana è che pur avendo traduzioni tutte uguali i voti alla fine furono diversi.

In realtà io me l’aspettavo, immaginavo che tutta la faccenda della maturità fosse una farsa e che, con una commissione interna – fatta eccezione per il presidente – il risultato finale fosse né più né meno che una fotografia del rendimento durante gli anni di liceo.

Il primo giorno, alla prova di italiano mi presentai con tutta calma, con soltanto una penna in tasca – che decise di non scrivere più – e nient’altro. Non ho mai sentito l’esigenza di portarmi dietro un vocabolario di italiano. Conosco le coniugazioni e sono in possesso di un decente numero di vocaboli. Se per caso il significato di uno mi fosse stato ignoto – poniamo, zeotropo – la mia regola era “Non utilizzarlo!”.


Dicesi zeotropo una miscela chimica.


Anche all’esame orale mi presentai molto tranquillo e fu poco più che una chiacchierata piacevole. Fino a che non mi chiesero cosa volessi fare in futuro. Balbettai che non avevo le idee molto chiare. La professoressa di matematica mi disse, solenne come in un film d’azione anni ottanta dove c’era sempre un momento in cui qualcuno diceva qualche frase epica per galvanizzare l’eroe: “Tu puoi fare tutto”.

Questo fu molto scorretto.

Fino al giorno prima un ragazzo si sente ripetere che non può fare questo, che non deve fare quest’altro, che è un imbecille e via dicendo.


La definizione specifica data dal professore era Maccarone di semmenta, che potremmo tradurre con roba da poco, inetto.


Poi dopo ti dicono che sei speciale, che rispetto a chi ti ha preceduto hai tante nuove possibilità. Come il porno online e i deodoranti che non bucano l’ozono.

È questo il problema della mia generazione: ci è stato detto di essere speciali, il che riflettendoci è una cosa che non ha senso: “speciale” è chi si differenzia dagli altri. Se tutti sono speciali, la differenziazione non c’è, ergo nessuno è speciale.

La realtà è che non siamo speciali e sarebbe stato meglio se avessero continuato a trattarci da maccaroni, forse.