Non è che per costruire casa prendi dei libri noiosi perché sono dei mattoni

Ho quasi tre mesi di assenza dal blog da recuperare. Come faccio però a raccontare delle cose in sospeso se, nel frattempo, ce ne sono di nuove?

Ad esempio, questo 2023 è iniziato dando uno sguardo ad appartamenti in vendita. Non che abbiamo impellenza di acquistarne uno, è giusto per farsi un’idea di cosa c’è in giro. Il periodo storico comunque è il peggiore per un mutuo.

Inoltre, ci sono una serie di complessità e insidie di cui tener conto. Ne ho fatto un piccolo elenco spiegando cosa stanno a significare alcune definizioni negli annunci:

In costruzione
I lavori verranno bloccati perché manca qualche permesso o perché la ditta edile è in odore di rapporti poco trasparenti.

Da ristrutturare
Un rudere da abbattere e rifare da zero.

Buono stato
Da abbattere e rifare da zero.

Appena ristrutturato
C’è un soppalco non a norma e quindi nessuna banca concederà un mutuo.

Appena ristrutturato #2
Presenta soluzioni prive di senso tipo la cucina in uno sgabuzzino per ricavare spazio a una stanza in più, la quale suddetta stanza ha delle pareti che formano una zeta per riuscire a prendersi una finestra e non essere cieca.

Palazzo storico
Edificio che cade a pezzi e quindi dovrai sobbarcarti i costi quando decideranno di ristrutturarlo (cosa che avverrà non appena avrai acquistato un appartamento lì dentro).

Contesto signorile
Ci vivono anziani che odiano gli animali, i bambini, le piante e anche te.

Contesto silenzioso
Un quartiere-dormitorio dove alle cinque del pomeriggio non c’è più nessuno in strada.

Centralissimo
È in periferia.

Buona posizione
Estrema periferia.

Ben servito dai mezzi
Niente posto auto.

Trattativa riservata.
Costa un milione d’euro.

Grazioso
È grande quanto un trasportino per gatti.

Elegante e rifinito
C’hanno posato un parquet (che sia di qualità o meno poco importa, l’importante è mettercelo).

Sontuoso
Pacchiano come un vestito di Malgioglio.

Ottima esposizione
Caldo d’estate e freddo d’inverno.

Occasione
Cerchiamo il pollo giusto a cui rifilarlo.

Non è che l’ecologista cerchi sinonimi di “no” per differenziare un rifiuto

Scrivo molto di meno qui sopra. Leggo anche con meno frequenza, sia altri blog che libri. Ho terminato due giorni fa un Urania che avevo iniziato partendo per le vacanze il 5 di agosto. A me che in un mese leggevo 3-4 libri. Almeno.

Il tempo. Dove se ne va il tempo? Esce, fa due passi, torna fischiettando mentre tu sei sul divano preoccupato fino a prima che apra la porta. Poi lui entra e tu cambi volto e lo guardi male perché se ne è andato via.

In realtà sento il mio corpo che rallenta o chiede di rallentare. E se non sei tu a fermarti sono gli altri che te lo fanno fare, imponendoti di non andar sempre di fretta.

L’altra sera stavo rientrando a casa dopo 12 ore che ero fuori, di cui 10 passate attaccato a uno schermo a riempire celle Excel. Parcheggio e vedo fuori al cancello del palazzo le due inquiline del primo piano che litigano.

Non mi hanno visto. Potrei girare al largo e camminare intorno l’isolato, entrare nel supermercato per uscirne mezz’ora dopo con un pacchetto di caramelle, andare a farmi un bicchiere di vino all’angolo, qualunque cosa pur di evitarle. Ma io sono stanco, voglio solo togliermi i vestiti e girare nudo per casa.

Allora opto per la tattica ariete: testa bassa mi dirigerò verso l’ingresso, saluterò con un cordiale ma volante “buonasera”, infilerò la chiave nel portone e schizzerò sopra.

Nella mia testa è tutto giusto. Nella pratica loro, vedendomi arrivare, si sono girate e piantate davanti al cancello stile picchetto del liceo al grido di Oggi non si entra.

I fatti, in breve: una fa presente che i sacchi dei rifiuti, quando vengono portati fuori di sera, non debbano essere messi in corrispondenza – in linea d’aria – del suo balcone, perché sale cattivo odore fin al primo piano, dove abita. Una volta infatti la trovai che prendeva a calci i sacchi per spostarli più in là, verso un muretto perpendicolare al cancello. E accusava l’altra – che negava, difendendosi – di non rispettare l’indicazione di mettere i summenzionati sacchi più in là.


Qui nel palazzo funziona così: per secco e umido ci sono dei bidoni all’interno, che vengono svuotati dai netturbini. Invece plastica, cartone, vetro, devono esser posti fuori la sera prima.


Bisogna trovare una soluzione, dicono in coro. Parlare con l’amministratrice, affermano sempre in coro. Nessuno però fa niente, cantano ancora in coro. Io guardo in basso a destra seguendo con gli occhi un piccione che prova a rimorchiare una picciona, fingendo di non cogliere la velata richiesta di ergermi a loro capopopolo.

Una delle due, l’accusata, poi getta in campo un altro argomento: afferma che le dicono di non essere pulita, che dal suo appartamento arriva cattivo odore. Ma lei sotto il balcone (che dà sull’interno, non sulla strada) si ritrova i bidoni dove viene messo indifferenziato e umido. E mi invita ad andare a osservare (come se non li avessi mai visti). Poi trascina uno dei bidoni e fa per mettermelo sotto il naso: «Sentite come puzza, io non dico bugie!».

Mi scosto, dicendo di non dubitare certo che un secchio del pattume esali cattivi odori.

Lei, proseguendo, lamenta che nessuno provveda alla loro pulizia. E fa di nuovo per mettermelo sotto il naso per mostrarmi il lerciume all’interno.

Mi scosto di nuovo, dicendo di non dubitare che non sia certo pulito come la palandrana del Papa.

L’accusatrice dà ragione all’accusata. I bidoni sono gestiti e posizionati male, il sistema stesso della differenziata in questo palazzo non è eseguito bene.

«Tutti si lamentano e però nessuno dice niente», fa la prima accusatrice.

Io cerco con gli occhi il piccione che vedo è rimasto solo. Avrà ricevuto un due di penne. Approfitto di un momento di pausa – la capacità invidiabile di queste persone è quella di sparare raffiche di parole senza respiro – per congedarmi con un «Eh va così qui le cose vanno sempre peggio» e salire verso la mia dimora.

Che dire, in questo mondo in cui si corre, esci da una scatola (la tua casa), per entrare in una scatolina (l’auto) che ti porterà verso un’altra scatola (l’ufficio) dal quale, ore dopo, farai il percorso inverso, senza pause, ben venga chi ti blocchi, ti dica, portandoti anche in situazioni surreali, che tu ti devi fermare un attimo.

Il giorno dopo, sempre tornando dal lavoro, ho trovato di nuovo le due signore a parlare fuori il cancello. Questa volta, però, amabilmente come due comari.

Io ho girato al largo rientrando solo quando se ne erano andate via.

Non è che si paga la bolletta per aver calore umano

Devo reperire un bue e un asinello. Per il presepe? No no, intendo reali per mettere in piedi un sistema di riscaldamento a bestiame.

Il fatto è che a casa stiamo senza riscaldamenti. Notando che non partivano, pur trascorsa la data in cui nella nostra città si poteva cominciare ad accenderli, abbiamo chiesto all’amministratrice di condominio chiarimenti.

Lei, sorpresa dalla nostra sorpresa, ci informa che la caldaia quest’anno non entrerà in funzione: è vecchia e malandata (la caldaia, non l’amministratrice) e il condominio è pieno di debiti e quindi non verrà riparata. A maggio di quest’anno, all’incirca, si è deciso per lasciar ogni condomino libero di scaldarsi come gli pare. La nostra proprietaria di casa non era presente all’assemblea e nega di aver ricevuto comunicazione alcuna di questa decisione. L’amministratrice afferma di aver telefonato a tutti i proprietari.

Poco mi interessa, converrete, di chi sia la colpa della mancanza di comunicazione: questa non alimenta sistemi di riscaldamento ma soltanto batterie di imprecazioni.

In questa settimana, quindi, il mio indice di nervoso è salito ben sopra la soglia critica; poi per fortuna riesco a non permettere alla mia serenità di andarsene a fare un giro abbandonandomi a tempo indefinito. Va bene il dar sfogo al fastidio e all’indignazione, ma poi, ecco, deve ritornar sempre un po’ di solarità. Già viviamo in un’epoca di indignati: come diceva il filosofo? Se guardi troppo a lungo gli indignati, gli indignati guarderanno dentro di te e tu ti indignerai di ciò.

Non è che puoi imbrogliare per vincere la stanchezza

Sono stanco. È probabile che io l’abbia scritto qui altre volte. Purtroppo la mia stanchezza è un’orbita planetaria, si allontana ma poi ritorna sempre vicino. La sento ora al perigeo. Forse anche al perineo perché mi rode da quelle parti.

Mi ha scritto la padrona di casa. Per la seconda volta in 7 mesi, capita che mi contatti di lunedì mattina per chiedermi se ci sono dei disguidi o inconvenienti, perché non ha trovato il bonifico dell’affitto.

Allora.
Il bonifico deve pervenire il 7 del mese. Io lo effettuo sempre il 1° per star tranquilli. Chiaramente, il primo giorno del mese ha collocazione variabile: può capitar a inizio settimana così come alla fine. Se faccio il bonifico il venerdì, lunedì mattina non sarà arrivato.

Non serve che mi contatti chiedendomi “se c’è un disguido”. La finta gentilezza è irritante.

Ho risposto in modo cortese, gentile (finto), passivo aggressivo. Si è schermita:
«Nooo! Assolutamente!!! Mi dispiace !!! Scusami!!! Non ho considerato il sabato e domenica!!! So che persona sei e mi dispiace se ti sei risentito!!!!»

Mi dispiace. Ma anche no. Quando è stanco al Cavaliere Nero nun je devi rompere.

Mi stanco. C’è poco da fare.

Dovevo avere un aumento di livello al lavoro.
6 mesi fa.
Poi hanno detto che per procedure interne dovevano passare prima 6 mesi.

Poi una decina di giorni fa il capo, che però è un capo che non decide niente e deve chiedere a un altro capo, mi dice:
«Ciao Gintoki, la questione non è finita nell’archivio generale (?), sto lavorando per superare i passaggi burocratici posti».

Come se fosse Antani?

Non mi sono neanche arrabbiato. Ero troppo stanco.

Mi stancano le telefonate di Madre. Mi stanco sentirmi una brutta persona per questo motivo. Mi stanco sentirmi arrabbiato, dopo 30 anni in cui non mi sono sentito visto dai miei genitori.

Sono stato cresciuto amorevolmente, non mi è mancato nulla. Davvero.

Mi è mancato solo il riconoscimento delle cose che facevo, che però evidentemente non rientravano nel limes genitoriale dell’accettabile. E non parliamo di andare a 17 anni a vivere nella Comune stile Mad Max di Mutonia e vivere facendo l’artista di strada (che non ci sarebbe nulla di male, ma magari può sembrare un cambiamento un po’ estremo).

Anni di: «E che devi fare?», «Ma perché?», «No non sono d’accordo». Senza mai sentirmi chiedere «Ma come mai questa cosa ti interessa?», «Ma di cosa si tratta?». Un semplice interessamento.

Ho sopportato per anni, fino al 2021.

Quando ho detto che avevamo trovato casa e saremmo andati via da quella che era casa dei miei nonni, il giorno dopo, come se non avessi comunicato nulla, Madre dice che avrebbe sistemato la discesa del garage per far parcheggiare le nostre auto.

M. mi fa: «Ma…tu gliel’avevi detto, vero, che cambiavamo casa?».

Quando ho detto che avremmo firmato il contratto di casa mi ha fatto «Va be’» e nient’altro.

Quando ho detto che l’avevamo firmato, ha fatto «Se hai deciso così. Comunque non sono d’accordo che vai in affitto».

Neanche chiedere dove fosse questa casa, come fosse, se fosse una palafitta o un grattacielo. Così preoccupata di dover esternare la propria insoddisfazione da non provare nemmeno a fingere un minimo di interesse.

Mi stanca l’uomo della strada.

Mi stanca il pirata della strada.

Mi stanca sentirmi stanco.

Non è che lo chef per sfidare a un duello lanci il guanto da forno

Organizzarsi per cambiare casa può essere una cosa impegnativa.


Sì, mi trasferisco. A 500 metri in linea d’aria da dove vivo ora, ma comunque mi trasferisco.


Per semplificarsi la vita – e risparmiare un bel po’ di cocuzze – uno prende un appartamento già arredato.

Semplificare. Illuso! Anche se già arredata ci sono comunque tutta una serie di annessi e connessi da considerare che non avevi considerato!

Va detto che io ho una mentalità, forse tipica di noi del cromosoma XY, un po’ limitata: degli oggetti mi limito a considerarne la funzionalità. Citando il film di Woody Allen, Basta che funzioni. Un tavolo deve fungere da tavolo. Una lampada deve fungere da lampada. Nei negozi di design c’è una mia foto con scritto IO NON POSSO ENTRARE.

Per le donne è diverso: loro hanno una visione a 360° gradi che riesce a cogliere tutti gli aspetti che tu non avevi preso in considerazione e di cui non te ne fregava niente.

Torniamo al trasloco: ad esempio la cucina c’è. Ma le presine? Come puoi vivere senza? Vorrai mica arrangiarti con lo straccio per toccare le pentole calde o tirar fuori la roba dal forno? Sei un cavernicolo, per caso?

Allora si comprano le presine.

Quali? Facile a dirsi.

Vuoi il guanto?
La normale presina quadrata?

La presina quadrata ma dentro la quale ci puoi infilare le dita e farci pure il ventriloquo simulando una bocca?

Di stoffa?
Di gomma?

Una simile valanga di opzioni – da moltiplicare per qualsiasi accessorio che serve in una casa, dal tagliere al portaombrelli – finisce per mandare il cervello del maschio in caricamento perpetuo come un video con la connessione scarsa.

E stiamo solo parlando degli accessori indispensabili, come dicevo.

Perché poi vuoi non prendere un vattelapesca componibile da ripiano che fa un po’ di arredo? È così carino e costa soltanto due spiccioli e 99 centesimi €.

Stranamente, quindi, ti ritrovi un carrello pieno di “accessori indispensabili” per solo diverse centinaia di euro.

E la teglia dal forno continuerai a prenderla con uno straccio. Lo stesso straccio che usi per pulire la bicicletta e per il bidet, magari.

Non è che cambi allenatore per far pareggiare le gambe a un tavolo

Facendo ordine in casa dei nonni – è strano, ora ci vivo io ma la sento sempre casa dei nonni – si notano tanti particolari che raccontano chi erano delle persone.

Per dire, ogni ripiano di ogni mobile della cucina è foderato di cartone. Proveniente da scatole di pacchi di panettone e spumante. Ho trovato un cartone Motta che sarà storico.

Il rivestimento serviva a non far consumare il mobile. Perché le cose in casa devono durare.

In casa c’è una poltrona, di quelle in stile reggia del ‘700. Da che ho memoria, non l’ho mai vista “nuda”, senza qualcosa che la coprisse.

L’altro imperativo in casa era quello di non gettare mai nulla.

Ho trovato in un cassetto un sacco di cartoncini rettangolari, di varie misure, ritagliati da scatole varie. Mi sono ricordato a cosa servivano: metti c’era da pareggiare una gamba non allineata alle altre.

Barattoli, di qualunque tipo.

Una vecchia confezione della Citrosodina come contenitore per chiodi.

Tappi di sughero. Tanti tappi di sughero.

Un metro estensibile marca Blue Point, azienda statunitense di utensili, risalente almeno agli anni ’70 con ancora la sua custodia originale di pelle.

Spiedini di ferro. Tanti. Sparsi ovunque in diversi cassetti. Il bello è che io non ricordo a casa i nonni cucinassero spiedini di carne.

Rocchetti di spago. Correggo: rocchetti con spaghi diversi, riciclati, arrotolati.

I vassoi di cartone dei pasticcini.

E potrei andare avanti. Se fossimo tutti dei nonni probabilmente avremmo risolto buona parte dei problemi ecologici del pianeta.

Meno male che per qualcuno sono la parte non produttiva del Paese. È vero: siamo noialtri che produciamo tanta monnezza.

Non è che per ristrutturare casa chiami Ivan Zaytsev perché come alza i muri lui nessuno

L’assistente dell’osteopata mi osserva mentre faccio gli esercizi di allungamento.

Per fare conversazione, mi chiede dei miei tatuaggi. Le parlo del Viandante che ho sull’avambraccio sinistro, che non conosce. Poi mi fa: «Ma tu hai fatto architettura, quindi?».

Ora, perché la passione per il quadro di Friedrich debba essere correlata agli studi in architettura, mi sfugge. Capisco che il primo anno in quella facoltà facciano storia dell’arte, ma non è proprio il primo collegamento che mi verrebbe in mente parlando di un quadro.

L’architetto è un soggetto particolare. Secondo me quello bravo unisce il senso pratico dell’ingegnere con la morbosità di un erotomane. Tu vedi una parete, lui la vede nuda e poi vestita in mille modi come piace solo a lui.

Dare carta bianca a un architetto è pericoloso: ci disegnerà sopra qualcosa che lo eccita.

Io starei cercando di modificare un po’ casa. Mi sono trasferito nell’appartamento che era dei nonni, inizialmente pensavo in via transitoria, poi i colori a zona e il lavoro da casa mi fanno pensare di restare qui.

La cosa più complicata è stata prendere le misure delle pareti con un metro pieghevole che ha ormai le giunture di un ottantenne. Infatti mi ritrovo dei centimetri che ballano tra una stanza e l’altra, e ogni centimetro balla poi una melodia diversa.

Stavo impazzendo quando tra cucina e soggiorno mi trovavo che la parete in comune da un lato era più corta di mezzo metro rispetto all’altra.

Poi ho scoperto che, anche se dall’esterno sono perfettamente in linea, all’interno una stanza è più corta dell’altra. L’ho comunque misurata un altro paio di volte in giorni diversi perché cominciavo a temere la casa fosse viva e mi stesse prendendo in giro.


A tal proposito, se volete un libro che vi farà venire l’inquietudine dello stare chiusi in casa, consiglio Casa di foglie, romanzo di Mark Z. Danielewski.


Prima di pensare di sistemare la casa attuale mi stavo un po’ guardando in giro. Ho visionato annunci e contattato agenzie.

Ci sono due tipi di agenzie immobiliari, mi sembra di aver capito:

– Quelle che contatti e sembra che tu stia dando loro fastidio, al che vorresti chiedere «Ma volete darla via questa casa o vi piace tenervela?»

– Quelle che contatti una volta e ti inizieranno a mandare proposte di continuo, molte delle quali fuori budget ma loro ci provano.

Poi ci sono gli annunci, alcuni dei quali sembrano avere senso dell’umorismo:

  • Centralissimo: un concetto molto vago. Da un punto di vista teorico, ogni punto in sé può essere un centro, basta tracciarvi intorno una circonferenza. Fa niente che all’interno di questa circonferenza ci siano solo terra e sterpaglie, un centro geometrico è un centro!

 

  • Solo persone referenziate: di certo prima di affittare una baracca in rovina uno vuole esser certo di darla a una persona affidabile.

 

  • A pochi passi da…: chi scrive così lo capisco, io ad esempio non ho problemi a spostarmi a piedi, ma ci sono persone per le quali fare 500mt a piedi è una cosa scocciante e ti romperanno le scatole dicendoti «Ma quanta strada mi fai fare?»; il concetto di pochi passi ha un valore molto relativo e varia da individuo a individuo. Però direi poniamoci un limite: sopra il chilometro, non sono affatto pochi passi.

 

Chissà che penserebbe il Viandante, se solo avesse studiato architettura!

Non è che serva un solvente per staccarti dal mondo

Oggi ho portato un po’ di spesa a una coppia di amici che sono in isolamento da fine agosto. Lui è risultato positivo, ha avuto giusto qualche linea di febbre, lei invece era negativa ma si è isolata con lui. Dovevano andare a vivere insieme non prima di ottobre – la casa non era del tutto arredata ancora – ma gli eventi hanno anticipato.

Ora dirò una cosa che va presa con pinze, guanti e mascherina e virgolette (anch’esse in maschera): un po’ li invidio.

Non ovviamente per il vivere l’ansia della malattia. Neanche per il fatto di vivere insieme. Ma per l’isolamento in sé.

Non dubito che si saranno rotti i coglioni e le ovaie in questi giorni. Se non altro a giudicare dalla quantità di bottiglie di vino e birra che hanno messo nella lista della spesa. O ci prendono per il naso e stanno organizzando mega-feste di nascosto o son diventati più bevitori di quanto ricordassi. Sono certo poi che, dopo un po’, se non cominci a fare pizze e torte inizi a sperimentare passatempi alternativi, tipo ascoltare una compilation di suoni di cani che si leccano.

Però lo staccarsi da tutto penso non sia così malvagio.

Sono sicuro che un no mask-negazionista direbbe che sono un altro schiavo che si farebbe iniettare i chip del 5G nella scia chimica e che vorrebbe venir rinchiuso dal complotto di Bill Gates.

Io invece chiedo: perché, il correre di qua e di là, le scadenze, le pressioni, il lavoro, il non lavoro, il traffico, il tempo, la mancanza di tempo, sarebbero invece la libertà?


Oh, beninteso, nessuno vorrebbe trovarsi costretto a stare chiuso in casa, questo l’abbiamo sperimentato tutti e speriamo di non ripeterlo. Né è bello essere costretti a non poter vedere nessuno*. Io mi riferisco soltanto – prendendo spunto dall’episodio – al godersi un diritto al distacco, al potersi prendere una pausa dal mondo.


* Che poi, anche su questo: in certi casi non vedere nessuno manco male fa.


 

Non è che ti serva un sovrano per avere una corte

Salve, sono Gintoki. Forse vi ricorderete di me per storie come l’uomo che fissava le zanzare.

Oggi, per la rubrica “Conversazioni interessanti”, ho raccolto un po’ di aneddoti del mio amico libraio riguardo il suo vicinato.

Lui non è un tipo strano o fuori dal mondo. Ma, dove vive, risulta essere lui quello fuori dal mondo perché non si uniforma a pensiero e azioni delle persone in quel contesto. In realtà, agli occhi di un osservatore esterno, sarebbero i suoi vicini quelli strani e al di fuori ecc. Ma, calato nell’interno di quel microcosmo, l’osservatore stranito sarebbe strano! Chiaro, no?

Un po’ di fatti.

Tanto per cominciare, il vicinato pensa di vivere in una sit-com americana, dove le porte non sono chiuse a chiave e la gente entra nelle case altrui senza bussare. L’appartamento del mio amico è piano terra e da un lato affaccia in questa corte condivisa con altre case. A volte capita che i vicini gli aprano la porta di casa e al grido di Buongiorno! si affaccino dentro, salutando con un ampio gesto della mano per poi congedarsi.


Al che ha preso a tenere la porta sempre chiusa a chiave ma è cambiato poco perché tanto provano sempre prima a girare la maniglia e poi bussare.


Poi ci sarebbe da raccontare quello che ha un po’ esagerato con la potatura. Il mio amico aveva piantato un rampicante che era cresciuto lungo un muro diroccato che divideva uno spazio di giardino tra lui e un altro vicino. Il rampicante si era esteso sino ad affacciarsi dall’altro lato del muro. Temendo che, col peso, potesse minacciare la tenuta dei mattoni apicali del muro, il vicino gli ha chiesto il permesso di spuntarlo. Il mio amico ha acconsentito.

Tornato a casa dal lavoro ha trovato il rampicante sradicato del tutto e, come se non bastasse, sfrondati dei rami anche un albero di limone e un’altra pianta (che stavano dal lato suo e non quello del vicino):

– Scusa ma perché hai tolto tutto il rampicante?
– Tu m’hai detto potevo farlo
– Io ti ho detto sì a una spuntata
– Sì, ho spuntato la pianta infatti

(al che si comprese che nella lingua italiana del vicino “spuntare” vuol dire sradicare)

– Sì ma gli altri alberi?
– Ah era per farti un piacere

I rami tagliati e il rampicante poi furono lasciati per terra per giorni. Il mio amico gli chiese conto di ciò:

– Va be’ mo’ li levo io, anche se sarebbero le tue piante…

Gli rispose il tale.

Poi ci sarebbe l’auto lasciata parcheggiata a bloccare la strada a un camionista, che, alle 7:30 del mattino, strombazza per cercare di far accorrere l’automobilista incivile e lasciar strada al camion. Senza successo. Si sveglia in pratica tutta la città, il clacson pluritonale lo sente anche il barista a 400 metri da lì. Arriva la Municipale (alle 8, perché prima non sono di servizio), che più di far una multa dice di non potere.

– E chiamare il carroattrezzi?
fa il mio amico, ingenuamente.
– Lo paga lei? Il Comune non lo paga.
Risponde il vigile.


Se ne deduce che quindi uno potrebbe abbandonare un’auto, un furgone, un camminatore imperiale di Star Wars per strada e la città rimarrebbe bloccata per sempre.


Finché, alle 8:30, scende di casa un vicino e, mezzo assonnato, chiede scusa per il fastidio, sale nell’auto d’ingombro e se ne va.

Ma la storia più bella è legata a quelli che dovevano svuotare dei mobili un appartamento al secondo piano.

Flashforward: un giorno il mio amico torna a casa e trova la finestra della stanza da letto in pezzi, con dei frammenti di legno sparsi ovunque.

Cos’era successo: non volendo fare le scale su e giù con dei mobili che erano peraltro da buttare, i Genialloyd della situazione hanno pensato di adottare una soluzione che avranno visto in qualche cartone animato con Topolino, Pippo e Paperino alle prese con una delle loro attività. Hanno steso un materasso matrimoniale al suolo e hanno cominciato a gettare i mobili dalla finestra, senza guardare giù se non a fine lavoro. Alla fine si sono accorti di aver così sfondato due-tre finestre degli appartamenti piano terra che si affacciavano da quel lato.

03

Ci sarebbero altre storie surreali, ma me le riservo per un’altra occasione!

Non è che il mattino abbia l’oro in bocca perché porta una protesi dentale

La ragazza seduta di fronte a me sul treno sembra avere un pezzo di cibo su un incisivo. Mi giro per non guardare e non sentirmi in imbarazzo per il farmi i fatti altrui. D’altro canto penso che forse dovrei avvertirla. Ma è il caso di farlo con una sconosciuta e metterla a disagio? Però poi quando tornerà a casa e si accorgerà della cosa si sentirà più a disagio per aver girato tutto il giorno con un pezzo di qualcosa su un dente.

Mentre sono immerso in queste riflessioni un raggio di sole entra dal finestrino. La sua bocca inizia a luccicare. O siamo in uno spot Mentadent e non me ne sono accorto o qui c’è qualcosa di strano. Mi giro e noto che quello che pensavo fosse cibo è in realtà un brillantino. Quindi la ragazza o ha l’abitudine di sgranocchiare Swarovski a pranzo o quella è semplicemente una decorazione odontoiatrica.

La morale della storia è che non è tutto oro quel che luccica: può essere pure un brillantino, ma di sicuro non è cibo.

In tema di quel che sembra oro luccicante, ieri di buon mattino ho fatto il trasloco nella nuova stanza. La proprietaria/coinquilina si è mostrata nuovamente ospitale è accogliente: mi ha offerto un caffè e dei cannoli siciliani.

Ho iniziato ad aver paura di cotanta gentilezza. Siamo così abituati a non avere fiducia del prossimo e a enfatizzare le notizie di merda che ora ci aspettiamo sempre che ci sia merda dappertutto e quando qualcosa non sembra merda ci chiediamo quest’ultima dove sia sotterrata.

E, purtroppo, devo constatare che avevo ragione. Qualcosa costei mi stava nascondendo: la sua casa picchia.

Avevo già parlato in passato delle case che maltrattano gli umani. Il mignolo contro la base del mobile? La testa contro una mensola? Un’anta che si stacca e ti finisce addosso? Non siete voi: è la vostra casa che vi picchia.

Ieri mentre sistemavo le mie cose prima la base del letto mi ha colpito un piede, poi un ginocchio è stato oggetto di violenza da parte di una porta. Infine, mentre provavo a spostare un bottiglione di vetro da un ripiano – che io mi domando perché uno come decorazione in casa debba avere delle bottiglie vuote, non siamo mica in una natura morta di Giorgio Morandi – in cima a un mobile per fare spazio salendo su un puff per arrivarci,


Attenzione: non provate a farlo a casa. Queste scene sono state girate da un professionista.


il suddetto puff mi ha fatto perdere l’equilibro facendomi cadere e causandomi anche un taglio al dito a causa del bottiglione che si è spaccato.

Direi un’aggressione in piena regola.

Ma se questa casa tenta di intimidirmi, si sbaglia di grosso. In serata, quando la coinquilina mi ha chiesto Ti sei sistemato? Tutto bene? io ho risposto di sì con un sorriso smagliante. Non se l’aspettava tanta serenità da parte mia, scommetto, dopo avermi lasciato da solo con il suo appartamento violento.

Ma ora so e non abbasserò più la guardia!