Non è che ti senti Dustin Hoffman

Alla fine, andoqque come doveria andare. A 12 anni di distanza dall’ultima, mi sono laureato di nuovo, per la terza volta (la seconda per quanto riguarda una laurea magistrale, specifico sempre). Questa volta in Scienze Storiche.


Che non sono delle scienze così famose da essere passate alla storia.


È stato molto bello. Soprattutto, credo di essermi goduto in misura maggiore la soddisfazione perché ho portato avanti lo studio per puro piacere. Non che all’epoca qualcuno mi avesse obbligato a iscrivermi all’università o non mi piacesse il percorso scelto. Però è diverso. Quando sei ancora fresco di liceo e ti iscrivi all’università si tratta di una cosa che svolgi come una sorta di dovere della tua vita, quantomeno per la vita che hai scelto. In questo caso, invece, nessuno mi correva dietro o di fianco per iniziare e concludere gli studi e un mio percorso di vita già ce l’ho.

È stata anche una bella soddisfazione esserci riuscito nei tempi: da settembre 2020 ad aprile 2023 non è poco, considerando che non ho più il tempo libero che avevo nel 2011.


Leggasi: ero molto più giovane e sfaccendato.


È strano ripensarmi 12 anni fa. Avevo tanto da fare e imparare: non che io adesso sia uno imparato, s’intende. Però diciamo che posso magari insegnare qualcosa al me stesso di quel tempo.

Non ho fatto alcune cose che volevo fare ma ho fatto alcune cose che non pensavo di fare.

Nel 2011 mi aggiravo nel mondo del lavoro mostrando entusiasmo per qualsiasi colloquio; Sì davvero sarei felicissimo di lavorare per la Sbiancamenti dentali e anali Inc., una azienda seria (non riceve visite dalla Finanza da almeno una settimana) dalla storia semestrale, era il mio sogno sin da bambino prima ancora che esisteste e ora potete realizzare il mio desiderio; stipendio? No non mi interessa, io sono qui per imparare e crescere, la crescita è importantissima per un giovane!.

Nel 2011 scrivevo per delle testate giornalistiche locali. Ovviamente gratis. Ma se volevi ti avrebbero fatto avere il tesserino!,  mitico riconoscimento. Bastava chiedere. E pagare.


Sorvoliamo su metodologie da reato penale.


Nel 2011 mi piacevano meno cose da mangiare rispetto a oggi.

Nel 2011 guardavo un sacco di anime e andavo alle fiere del settore.


Non che non mi piacerebbe andare oggi a qualche fiera: però ora che sono estese a un mondo fatto di meme e tendenze, comprensive di influencer, content creator, famolostrano inventor, mi trovo più rilassato ad andare direttamente in una libreria, fumetteria o museo del fumetto rispetto a sopportare di farmi largo tra folle che sono lì per il fenomeno virtuale del momento.


Nel 2011 volevo trasferirmi altrove ma, non so perché, avevo questa predilezione per le cittadine formate da 4 case in croce. Credo di aver risposto ad annunci dei posti più sperduti e dimenticati dall’ortodonzia. Probabile che io andassi alla ricerca di un certo isolamento. Non dovevo certo essere proprio un allegrone.
Alla fine in questi anni ho vissuto fuori ma in città un po’ più estese di 4 case: Roma, Budapest, Milano. Un brevissimo periodo anche Barcellona. Ed è stato molto meglio così.

Non so cosa farò nei prossimi 12 anni: non so manco cosa farò nei prossimi 12 mesi. Figuriamoci. Forse mi iscrivo a teatro. Forse farò un corso di cucina. Forse aprirò un bistrot e farò lo chef. Forse mi compro una Ducati. Forse riprendo gli studi di ingegneria aerospaziale interrotti a 19 anni. Forse prendiamo un gatto. Forse compriamo casa. Forse è presto per capirlo. Forse è tardi. Se fossi gatto, miao. Se fossi cane, bao. Se fossi tardi, ciao.

Non è che i Fantastici 4 non fossero artefici del proprio Destino

Conservo ancora da qualche parte, forse lasciato in casa dei miei, un taccuino in cui annotavo frasi estrapolate da libri che avevo letto (ma non solo: anche film visti o dichiarazioni di qualche intellettuale) e che mi avevano colpito.

Evitavo quelle citazioni note e che son sulla bocca di tutti, a volte anche attribuite in modo errato o utilizzate a sproposito (ad esempio Voltaire non ha mai detto che avrebbe gradito morire per una cazzata detta dal suo prossimo).

Ripensavo in questi giorni a una di queste citazioni arcinote e da me non inserite nel taccuino: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», Galileo per bocca di Brecht (o Brecht per bocca di Galileo).

Ci riflettevo notando come nella stretta quotidianità siamo in qualche modo invasi da presunti eroi della vita normale: collaboratori scolastici che fanno 1000km al giorno, laureati in anticipo col massimo dei voti e con già con un percorso lavorativo avviato grazie alla privazione di sonno, giovani contenti di lavori sottopagati in nome del mito della gavetta.


Non mi soffermo sulla veridicità di tali, commoventi, storie.


Tali realtà di coraggio ed eroismo hanno tutte un denominatore comune: il mondo del lavoro.

Il lavoro, da fondamento dello Stato e diritto del cittadino viene trasformato in un’impresa, un ardimento, un cimento che premia l’individuo disposto al sacrificio, alla fatica, alla rinuncia di qualsiasi altro aspetto della propria vita in nome del nobile sudore della fronte.

Come viene premiato l’individuo? Che domande! Ma con il lavoro in sé! Qual riconoscimento migliore del sudore per il sudore?

La retorica della performance si unisce a un altro incitamento morale per l’individuo funzionale anche questo al mondo del lavoro: il dover essere a tutti i costi positivi e felici.

Beninteso, siamo d’accordo che un certo livello di ottimismo e buonumore eviti di spappolarsi il fegato – ben lo sa chi come me somatizza tutto (o sodomizza sé stesso con le proprie paturnie mentali) soffrendo gastriti e coliti – ma vivere nell’epoca della dittatura del pensare positivo non credo comunque apporti benefici alla salute.

A parte che negarsi il diritto ad avere i maglioni girati non è altro che reprimersi, trovo che stia venendo fuori una società di persone frustrate, insoddisfatte e ansiose, preda del lato oscuro del “Essere artefici del proprio destino” il cui sottinteso è “Se le cose ti vanno male è colpa tua perché non ti impegni, non produci abbastanza, non sorridi nonostante tutto quando le cose vanno male”.

Ecco allora che, per riequilibrare l’universo, vorrei che invece di martellarci con le storie degli eroi positivi ci raccontassero storie di altre persone, antieroi – per gli standard attuali – da premiare perché:

– Hanno chiesto a un colloquio quale fosse la retribuzione perché si ritengono in diritto di venire a conoscenza delle condizioni del lavoro che gli si sta proponendo, invece di aderire alla retorica del “Non pensate allo stipendio”.


Beato quel paese che non ha bisogno di pensare allo stipendio, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


– Hanno mandato a quel paese una persona che gli diceva “Sorridi e la vita ti sorriderà”.


Beato quel paese che non ha bisogno di sorridere a tutti i costi, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


– Hanno compreso che prendersi un’ora per una tisana e Netflix sul divano di sabato pomeriggio non vuol dire affatto prendersi cura di sé stessi se poi il resto della settimana pensano solo a correre a destra e a manca ed esaurirsi per soddisfare qualcosa/qualcuno perché ti fanno credere che rallentare vuol dire non performare.


Beato quel paese che non ha bisogno di performare, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


– Hanno chiesto del pistacchio ma non di Bronte.


Beato quel paese che non ha bisogno dei pistacchi di Bronte, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


 

Non è che sollevi un boccale di birra perché vuoi alzare la media

Dopo due mesi di telelavoro oggi sono ritornato per la prima volta in ufficio. Diciamo che ne sentivo il bisogno: avevo cominciato a sviluppare uno strano rapporto col muro contro cui a casa tengo appoggiata la scrivania. Sarà suggestione ma mi sembrava come se a volte mi parlasse e mi raccontasse i fatti propri.

Al lavoro le cose procedono bene. Avrò un nuovo contratto, a titolo definitivo. Però, prima, devo passare attraverso un iter di selezione. Finto.

Mi spiego: il contratto sarebbe già mio, ma devo comunque fare l’iter. Per una posizione che non è per quella per cui lavoro.

Ancora non mi sono spiegato bene, lo so.

Mettiamola così: attualmente io lavoro come Procrastinatore Seriale, a tempo determinato. Per passare a tempo indeterminato, sempre come Procrastinatore Seriale, devo sostenere questa selezione, che consta di un assessment (4 ore!) e un colloquio individuale. La posizione oggetto della selezione è però per Snocciolatore di Fuffa.

A cosa serve tutto ciò? Una mera questione procedurale. Chiaramente, se al colloquio mi mostrassi come un completo imbecille – che io sono, ma solo in parte però – non sarei certo adatto come Snocciolatore ma credo perderei pure il posto da Procrastinatore.

D’altro canto, come mi ha detto il mio Capo – che però pur essendo Capo non può prendere decisioni* – non devo manco mostrarmi troppo bravo durante la selezione, perché poi c’è il rischio (rischio?) che mi prendano sul serio come Snocciolatore e mi diano questo ruolo!


*Lo so, è tutto molto surreale: selezioni che non sono vere selezioni, capi che non sono capi…Nulla è reale, tutto è lecito. No, non lavoro per la Setta degli Assassini.


Insomma, dovrei cercare quindi di essere un uomo medio.

Come se fosse facile.

Qualcuno ha mai fatto un colloquio come uomo medio? Ma soprattutto, esiste ancora questa figura? Si parla spesso di scomparsa della classe media: come possiamo allora aspettarci che senza una classe che li formi nascano altri uomi medi?

Prometto comunque che sarò il medio più medio che mediamente si possa incontrare, nella media delle persone medie.

Non è che ti serva una bilancia per soppesare le parole

Ci sono delle cose che, a mio avviso, quando ci si conosce poco/appena andrebbero riservate a una conoscenza più approfondita per essere dette.

Questo perché quando le persone si incontrano devono prima sintonizzarsi a vicenda. Se ancora non abbiamo allineato i piatti della bilancia, le nostre parole potrebbero avere pesi specifici non stimati con accuratezza.

In parole povere, non avendo ancora compreso appieno chi ho di fronte – e viceversa, non essendo ancora stato capito in un quadro più ampio – una mia frase che non è ancora inquadrata nel contesto della mia persona potrebbe essere giudicata in modo differente da come verrebbe considerata con una conoscenza più approfondita.

Facciamo un esempio: un paio di settimane fa mi ha aggiunto su facebook la tizia con cui dovrò lavorare. Senza due righe di presentazione o altro e prima ancora che mi comunicassero che lavorerò con lei. In genere sono contrario a includere persone del contesto professionale su un simile social network, a meno che in sede lavorativa durante il periodo di lavoro non si sia creata una conoscenza e una certa confidenza. Qui c’erano state giusto due chiacchiere in un colloquio.

Ho accettato la richiesta, non avendo niente da nascondere e per non dar l’idea, rifiutando, di avercelo. Poi ho pensato che, comunque, non conoscendomi, qualcosa che ho scritto avrebbe potuto venir frainteso. Magari un porcoddue di troppo potrebbe dar fastidio, decontestualizzato dalla mia persona. Diverso è se, conoscendoci, hai capito che mi diverte Zerocalcare e il mio diventa un semplice intercalare fumettistico cui non fai magari caso.

Tutta questa premessa è per fare un altro esempio.

Una volta, un mio amico era con una ragazza con cui stava uscendo da pochi giorni. In una fase post, quando ci si scambia qualche commento su quel che c’è stato prima, lei ha affermato

«Mi sento abbastanza inesperta…»

Ah.

Ora, visto che si era ancora agli inizi della conoscenza (a parte quella nel senso biblico del termine), qualsiasi cosa avrebbe potuto replicare il mio amico aveva il potenziale rischio di generare fraintendimenti non sapendo ancora bene che tipo di persona si ha di fronte e quali possono essere le sue reazioni.

Per la cronaca quel che disse fu proprio “Ah”, che non voleva essere negativo, come se venissero a dirti «Sai, mentre parcheggiavo ti ho fatto tutta la fiancata dell’auto» e tu rispondi «Ah. Mò so’ cazzi tuoi». Era più un «Ah. Ma che dici, non mi sembra affatto!», solo che avendo detto solo “Ah” e sentendo che era già passato troppo tempo da quando aveva detto “Ah” e c’era Mike Bongiorno che si era tolto gli occhiali e diceva «Ahiahiahi sta scadendo il tempo, allora, eh? Allora, eh?» non trovò di meglio da fare che indicare un piccione che si era posato sulla semi-anta della porta-finestra, fingendo di essere ornitofobico, per uscire dall’impasse.

Lei scacciò l’animale e si fece una risata. Lui rispose
«Ecco. Tu mi hai confessato una cosa, io te ne ho confessato un’altra».

E vissero felici e contenti.


Per un paio di settimane. Poi si stufarono l’uno dell’altra ma questa è un’altra storia.


Questo aneddoto insegna che l’uomo non deve ragionare con l’uccello, come spesso fa.

Però usarlo come scusa, male non fa.

Non è che l’endocrinologo di Gaudí studiasse le ghiandole surreali

Mi mancavano un po’ di esperienze surreali – era almeno una settimana che non capitavano – e per fortuna me ne è arrivata una.

Ho sostenuto un colloquio su Zoom, questo software di videoconferenze che il mondo del lavoro ha scoperto durante la quarantena e che invece in realtà pare serva pe’ scopa’ (virtualmente):

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Le grandi inchieste del nuovo corso di Repubblica che ora sembra Vice News. Prossimamente: “Intervista a quello che ha inventato il birra pong, che vi spiega come funziona”

Quindi raccomando a chi volesse fruire del sesso in multiconferenza di essere informato (su cosa?) e fluido.


Io ho un problemino alla spalla che invece mi rende un po’ rigido, sarà per quello che non frequento questi ambiti, non ho la necessaria fluidità.


Amenità a parte, mi sono collegato all’orario concordato per il colloquio cui avrebbe partecipato Tizia (che si occupava della selezione) e Tizio, il Presidente. Sottolineo, il capo.

All’inizio c’era connessa solo Tizia, che mi ha fatto un paio di domande di rito.

Poi ha fatto irruzione Tizio nella videochiamata. Uno che pareva il sosia di Vinicio Capossela – con tanto di coppola in testa pur trovandosi dentro casa – appena svegliatosi (e magari era così. Alle 6 del pomeriggio). Ha salutato, poi ha poggiato il telefono per terra (tutti noi il telefono lo mettiamo sul pavimento, specie durante una conversazione) facendo Continuate, continuate mentre intanto girava per casa.


Quando dico sosia di Vinicio Capossela è per dargli un volto e visualizzarlo, ma la cosa non contiene alcun giudizio di merito, anzi. Più che altro il problema era che sembrava si fosse appena alzato dal letto.


Mentre quindi continuavo a parlare con Tizia lui ha interrotto chiedendomi per cosa mi fossi candidato. Quando gliel’ho spiegato ha detto che non stavano cercando per quella posizione in questo periodo.


L’annuncio per quella posizione era stato pubblicato 3 giorni prima.


E poi ha iniziato a parlarmi di altre tre-quattro attività in cui loro sono impegnati, chiedendomi Sai fare questo? Ti sei mai occupato di quest’altro? Poi di nuovo ha detto Continuate, continuate.

Tizia ha ripreso a farmi domande, collegate comunque alla posizione per cui mi ero candidato (ho capito quindi che doveva essere una situazione à la Schrödinger, un annuncio attivo e non attivo nello stesso momento), poi ha fatto di nuovo irruzione lui – come se ciò che stessimo dicendo non fosse rilevante – a parlarmi ancora di altre attività e cose che fanno e poi chiedermi Ma hai fatto questo? Come ti vedi a fare quest’altro? No perché io ad esempio non l’ho mai fatto non saprei come farlo. E poi ha invitato di nuovo Tizia a riprendere.

Questo copione si è ripetuto per una terza volta, finché ci siamo congedati con una sorta di dichiarazione di intenti: mi avrebbero mandato cose più dettagliate su quelle attività di cui mi parlava Tizio, con la promessa di risentirci.

Credo che attiverò il filtro spam e bloccherò i loro indirizzi email.


Nota: qualcuno potrà chiedersi Ma con chi hai parlato? Con una società di marketing piramidale? Una setta? No, in realtà è una Fondazione che dall’esterno pareva abbastanza figa e che da 20 anni a questa parte fa cose molto fighe. A quanto pare però a capo c’è uno svalvolato. Che ha una casa senza piani d’appoggio dove posare un telefono.


La prossima volta mi faccio invitare a un fluido sex party.

Non è che ti serva una stireria se prendi una brutta piega

Oggi a un colloquio il selezionatore mi ha detto che cercavano “una figura orizzontale”. E, nel corso dell’incontro, mi ha ribadito che “le mansioni sarebbero orizzontali”.

Io mi chiedevo cosa intendesse e, intanto, avrei voluto urlargli in faccia Come parla? Come parlaaaa? Le parole sono importanti!.

Sì, perché mi chiedo se si possa legittimamente parlare di lavoro orizzontale, a meno che non stiamo parlando di un’occupazione come collaudatore di materassi. O impersonificatore di cadaveri.

Prima di ridere, sappiate che una volta mi hanno proposto di impersonare un cadavere. Ero all’ultimo anno di liceo e per una rappresentazione teatrale di una tragedia greca rivisitata serviva un morto. O uno che si fingesse tale. Poi non se ne fece nulla perché sono alquanto irrequieto e stare immobile più di 10 secondi non mi riesce.


Le mie radiografie vengono sempre mosse infatti.


Non chiedetemi cosa fosse una tragedia greca rivisitata perché non me lo ricordo. Immagino fosse come la cucina tipica rivisitata che va tanto di moda oggi. Una volta sono stato in un ristorante che aveva un menù locale tipico, rivisitato. Ad esempio, prendiamo i suoi fagioli con le cozze, rivisitati. Praticamente la rivisitazione consisteva nell’aver trasformato i fagioli in una purea e averci adagiato le cozze a mollo. Un’altra rivisitazione interessante, a fine pasto, fu la pastiera, che veniva servita scomposta: una cialda biscottosa da una parte del piatto, un bicchiere con il suo ripieno (crema alla ricotta e grano) dall’altro, dei cumshot di zucchero filato a decorare il piatto.

Quindi una tragedia greca, considerando quelli che sono i topoi di questo tipo di teatro, immagino prevedesse in forma rivisitata:

– Un omicidio destrutturato: l’arma del delitto in un angolo, la vittima nell’altro, il potenziale omicida al centro. Lo spettatore deve con lo sguardo ricostruire il tutto;
– Un incesto saltato: si scottano in padella i due amanti finché non sono belli croccanti;
– Un suicidio emulsionante: come un suicidio emozionante ma che invece ti fa provare una dispersione liquida nelle viscere.

Ovviamente tutto questo non lo so non avendo impersonato il morto e non avendo neanche assistito alla rappresentazione per dissidenza ideologica.

Non vorrei dovermene ora pentire, ad anni di distanza, non potendo quindi oggi vantare una esperienza di lavoro orizzontale nel mio cv.

A me basta che non si finisca a lavorare piegati a 90, comunque.

 

Non è che il virologo si fidi solo del latte vaccino

Una mia amica ha dato un tema da scrivere ai ragazzi del liceo dove insegna. L’argomento era la stretta attualità: il Coronavirus. I risultati l’hanno lasciata un po’ perplessa.

Il migliore è uno che ha detto che la Cina vuole dominare l’economia globale e quindi ha creato il virus in laboratorio, per diffonderlo tra i cinesi perché il Paese è sovrappopolato.

Non ho ancora capito: la Cina vuole dominare il mondo quindi elimina la propria popolazione?

Un altro ha detto che finora il virus ha contagiato 77mila persone: la metà della popolazione cinese.

Praticamente la Cina potrebbe quindi star tutta contenuta in un quartiere di Roma.

Più di uno ha scritto che moriremo tutti.

Non rido dei ragazzi ma del bombardamento di notizie e di opinioni confuso cui siamo tutti sottoposti e che genera inquietudine e disinformazione. Forse sarebbe il caso di abbassare un po’ il volume del Mondo e riposare le orecchie.

Il Sindaco di Milano ha consigliato di “ridurre la socialità”: sono pronto, datemi libri, birre e serie tv e vi riduco a zero la mia socialità.

Ovviamente si esagera, ho bisogno come tutti del contatto umano. Ma di alcuni contatti farei a meno.

Ad esempio ho fatto un colloquio. Il selezionatore mi ha chiesto, a un certo punto, Come è stato il cambiamento di città, venendo da Napoli, l’approccio a Milano?”.

E io l’ho guardato indeciso se rispondergli Eh guardi non ho avuto ancora il tempo di vedere questo famoso Colosseo (semicit.) o di dirgli che, in effetti, non è la stessa cosa senza il sole il mare e la pizza. Solo che quest’ultima cosa non ha senso: le pizzerie storiche – e anche le meno storiche – di Napoli ormai hanno tutte una succursale a Milano, il mare invece sappiamo tutti che Ce Melàne tenève u màre avèv’a ièsse na piccola Bbare (e quindi non sarebbe mica Napoli!),  e per quanto riguarda il sole, forse qualche giorno di pioggia in più invece non avrebbe guastato per ripulire l’aria.

Ecco, avrei fatto a meno di venire a contatto con costui.

Oppure forse il Sindaco per socialità intende “l’essere social”: anche in questo caso avrei un esempio.

Ero a un concerto. Poco prima dell’inizio due tizie dietro di me si scattano una foto per pubblicarla su Instagram, con l’hashtag concertosegreto.


Era infatti un evento cui ti prenotavi ma senza conoscere il luogo dove si sarebbe tenuto, rivelato in un secondo momento via mail.


Fatta questa operazione, il senso della serata per loro era esaurito lì: appena iniziato il concerto hanno iniziato a farsi i fatti loro, chiacchierando e ridendo ad alta voce.

A un certo punto mi sono rotto le scatole, mi sono alzato e ho detto loro Scusate, io avrei pagato per sentire lui, non voi. Mi hanno guardato basite/terrorizzate.

Le capisco. Sarò sembrato affetto da rompicoglionivirus.

Non è che chi produce grappa si trovi dall’altro lato della barriccata

In questo periodo mi trovo a fare selezione di CV e colloqui, per una piccola posizione temporanea aperta dove lavoro. Più che colloqui veri e propri, quindi, sono conversazioni conoscitive. Una volta tanto, comunque, trovarsi dall’altra parte della barricata non è male. Inoltre, l’esperienza mi offre uno spaccato di umanità davvero interessante.

Innanzitutto ho scoperto che proporre colloqui porta sfortuna: molte persone che ho contattato per fissare l’incontro, infatti, spariscono poi nel nulla e non danno più notizie di sé. Se provi a cercarli, sono irrintracciabili. Spero stiano bene. Ovunque si trovino.

Poi c’è chi semplicemente decide di darti buca senza tanti complimenti. Ad esempio, attendevo il contatto Skype di una tizia con cui avevo fissato data e ora del colloquio. La chiamo oggi non avendolo ricevuto e lei mi risponde:

– Sì…veda…poi non si è più scritto perché non sono più interessata, quindi…

Giustamente dovevo arrivarci da solo.

Stessa cosa accaduta con un altro tizio con cui avevo fissato il colloquio giusto ieri per il giorno di oggi e lui mi aveva risposto che appena tornato a casa mi avrebbe inviato il contatto. Mai ricevuto. Lo chiamo oggi 5 minuti prima del colloquio e lui:

– Ah…sì…il tempo che accendo il computer…chiamo io o chiamate voi?

Trascorsi 5 minuti sono passato ad altri candidati perché tanto sapevo non si sarebbe più rifatto vivo. Ed infatti è andata così.

La migliore resta una tizia che avevo contattato per fissare un colloquio. Lei si era registrata sul sito, candidata, con tanto di inserimento CV. Quindi aveva compiuto ben 3 step distinti e, credevo, consapevoli.

Al telefono lei mi fa:

– Ah…Ma la verità è che…non volevo candidarmi solo che non sapevo come annullare.

Immagino che un demone si sia impossessato di lei e l’abbia costretta a registrarsi e candidarsi contro la sua volontà.

A una mia collega invece un tale ha detto che “Non sapeva di essere candidato”. Credo che girerò un docu-reality per DMAX o Real Time con questo titolo.

Uno durante il colloquio mi ha detto che in un precedente lavoro il suo compito era “circonciso”. Volevo chiedergli se mi raccontava qualcosa anche del Bar Mitzvah.

Poi c’è stata una candidata che evidentemente stava scomoda sul divano e continuava a cambiare posizione muovendo il cellulare da un lato all’altro. Le ho chiesto di smetterla perché mi stava facendo provare il mal di mare tramite videochiamata.

Costoro sono quelli che hanno superato la fase di valutazione dei CV: perché infatti i curriculum che arrivano sono anche molto più intriganti.

  • Uno ha apertamente scritto che ha lavorato in nero per lo zio.
  • Uno sul cv ha fatto un elenco di tutte le cose che ha fatto in questi anni, compreso l’aver partecipato a un concorso (superato solo lo scritto), aver donato il sangue (lodevole ma non credo sia un’esperienza professionale), essersi iscritto a un partito politico (con tanto di data precisa come fosse un anniversario da ricordare). Ma la chicca è l’aver scritto che non aveva un titolo che certificava la sua qualifica professionale però aveva l’esperienza.
  • Una sotto la mansione e il nome del datore di lavoro nel campo descrizione ha scritto “Tutto ok”. Ne sono lieto, avrei voluto replicare.
  • Un tale ha scaricato da internet il template del CV Europass e l’ha compilato tutto a mano in stampatello.
  • Una candidata aveva un entusiasmo a mio avviso un po’ eccessivo. La descrizione delle sue esperienze era piena di punti esclamativi: “Il mio primo lavoro!”; “Un lavoro faticoso però guadagnavo bene!”; “Facevo tutto da sola!”.
  • La foto di una era ritagliata da un giornale ed era quella di una rappresentante di prodotti ginnico-aerobici nelle televendite.
  • La foto di un altro tizio era la foto scattata alla sua fototessera appoggiata su un tavolo.

Infine, la vincitrice: quella che nell’intestazione del curriculum, come presentazione, esordisce con “Il lavoro rende liberi”.

Sì. Giuro che ha scritto proprio così.

Poi proseguiva contestualizzando la citazione, sostenendo che questo concetto l’aveva imparato nel corso delle sue esperienze che l’hanno formata eccetera eccetera.

Suppongo che il suo datore di lavoro fosse Goebbels.

Non è che i maiali abbiano domande da porci

Lei parla dall’altro lato del tavolo. Io sono distratto dalla lavagna bianca alle sue spalle. Come tutte le lavagne di questo tipo presenta aloni e macchie perché chi la utilizza non si preoccupa di nettarla con regolarità o di scrivere con pennarelli adatti.

Mi sta parlando della proposta contrattuale che hanno in mente. Sposto la mia attenzione dalla lavagna a ciò che sta per dire. Propongono sei mesi-barra-un anno di collaborazione, poi un inserimento stabile. I sei mesi-barra-un anno verrebbero finanziariamente coperti grazie a un progetto che hanno in corso, in cui nel budget sono allocati fondi per una risorsa aggiuntiva.

In quel momento mi sono posto il dubbio sull’opportunità di fare o non fare una domanda. Ci sono questioni che, in sede di colloquio, è bene non porre perché violano una sorte di galateo professionale non scritto che fa la differenza nella valutazione di un candidato.

Oggi riflettevo sul fatto che capita sempre quell’istante in cui ci troviamo sospesi tra l’agire e il non agire.

La bacio o non la bacio?
Alzo la mano o non alzo la mano?
Lo dico o non lo dico?
Dico al cameriere al dolce oppure no?

È una questione di pochi attimi, in cui avverti salire l’impulso all’azione mentre dall’altro lato una forza uguale e contraria spinge per farti desistere perché non è il caso.

Per esperienza personale dico che quando siamo in presenza di due forze contrastanti di questo tipo vuol dire che l’idea di agire forse non è tanto buona. L’istinto, in caso contrario, avrebbe già prevalso e ci avrebbe spinto a fare quello che avevamo pensato.

I primi baci migliori che ho dato sono sempre stati d’impulso. Magari dall’altra parte lo si aspettava in un momento precedente, ma io punto sull’effetto emotivo che dà il cogliere di sorpresa. Sun Tzu nella sua Arte della guerra sarebbe stato d’accordo.

Il dubbio che mi era venuto durante il colloquio era se ci fossero prospettive a garanzia della copertura finanziaria per la risorsa, una volta esaurito il progetto (e il finanziamento). È brutto diffidare degli altri, ma non è raro che dopo aver lavorato un periodo di tempo con qualcuno ci si senta dire che non è più possibile andare avanti, rinnovare o stabilizzare il contratto, perché mancano i mezzi.

La domanda alla fine non l’ho posta. Sempre per quel mio principio che se mi viene il dubbio su una cosa forse è meglio non farla.

Ne ho parlato con un’amica che è da 10 anni nel mio settore. Mi ha detto che ho fatto bene a non chiedere e non approfondire. Purtroppo. Ha aggiunto.

Lei se lo sarà posta il dubbio sull’aggiungere o meno quel purtroppo e privarmi così dell’idea che sono io a pensare male degli altri?

Non è che per pescare una carta ti serva un amo

978880467203hig-313x480Ne I fratelli Karamazov il libro VI è interamente dedicato alla figura dello starec Zosìma. In particolare, dal capitolo II parte una fitta digressione di una 40ina di pagine circa sulla vita e le opere di tale sant’uomo. Avevamo lasciato, nel libro precedente, i nostri personaggi: Smerdjakòv, Ivàn, eccetera, e ora ce ne dimentichiamo completamente per immergerci in un’altra dimensione.

Quella delle digressioni è un’arte difficile da padroneggiare.

Ricordo agli esami all’università aprivo parentesi che non chiudevo mai. Era una tattica per sviare dall’argomento richiestomi quando perdevo il filo o non lo ricordavo. Ricordo una volta quando mi chiesero del sistema amministrativo spagnolo e io conclusi il discorso con «Ed è così che, come abbiamo visto, Nixon si è garantito il potere». Se vi steste chiedendo se io mi ricordi a cosa mi riferissi con Nixon, a tal proposito, vi ho già parlato della pubblica amministrazione in Spagna?

Il sistema funzionava finché c’era un professore – più spesso un assistente – che, stanco e tediato dal tenere esami per ore, si limitava ad ascoltare giusto che tu non dicessi sciocchezze. Poi finché parlavi andava tutto bene.

Ieri ho sostenuto un colloquio, in inglese, il terzo episodio – o almeno credo – di una selezione che somiglia a Giochi senza Frontiere. A un certo punto non ricordando più come proseguire quel che avevo iniziato a dire ho parlato – contestualizzandolo e collegandolo a un’altro argomento – del discorso Questa è l’acqua di David Foster Wallace e dell’aneddoto iniziale dei due pesci. Lo ri-condivido qua perché non mi piacciono molto i discorsi motivazionali e difatti questo è tutto fuorché un discorso motivazionale e mi è sempre stato molto di aiuto come riferimento (link al video che è stato realizzato sul discorso).

Dopo che ero andato in black out mentale, questi due pesci e il relativo discorso erano l’unica cosa che mi era venuta in mente perché giusto un paio di giorni prima ne avevo parlato con una persona.

È veramente brutto quando si spegne la luce in testa. Avete presente quando state facendo un discorso e le parole affollano la vostra mente, nuotano tutte insieme come un branco di sardine, poi all’improvviso questo bel mare si fa sempre più scuro come steste precipitando in un fondale oceanico e tutti quei pescetti che erano le vostre parole sono spariti e brancolate in questo mare buio cercando di aggrapparvi alla prima cosa utile che vi possa riportare su? Mannaggia li pescetti, davvero. 

Digressioni a parte, almeno non sono stato troppo logorroico. Non lo sono in generale.

Conosco un tale che può farti venire il mal d’orecchi quando attacca a parlare. E se viene interrotto, è capace poi di riprendere anche dopo mezz’ora dallo stesso punto in cui si era fermato. È sorprendente e un po’ lo invidio.

Ho invece un’amica che se sta zitta per troppo tempo – e ‘troppo’ per lei sarebbero 5-10  minuti massimo – a un certo punto esplode prorompente – ti dà anche uno schiaffo sul braccio o sulla spalla per richiamare la tua attenzione – e inizia a parlarti. Anche lei mi fa invidia per il suo esordire in discorsi senza preamboli o introduzioni. Io invece se non vengo interrogato non mi esprimo, giacché parto dal presupposto che se non me l’hanno chiesto vuol dire che non vogliono saperlo e se volessi farglielo sapere lo stesso starei commettendo una violazione della altrui libertà personale.

A parte questo, non ricordo più io cosa volessi dire in questo post.

Non è che internet sia un posto fantasy solo perché ci sono i troll

Italia, A.D. a caso. Discorso di insediamento di un nuovo Presidente (della Repubblica, del Consiglio…fate voi):

– Sarò il Presidente di tutti gli…

Teste che annuiscono compiaciute. Conoscono già il discorso che un team di macachi ha battuto sotto dettatura. Di un macaco.

– …tutti gli…Australiani!

Sguardi di perplessità nell’assemblea.

– Ah Ah ve l’ho fatta.

Ecco, sarebbe bello che nei momenti formali, nelle situazioni in cui occorre esser rigidi e compassati e seri si potesse inserire, senza conseguenze, un elemento di pazzia, un guizzo di stravaganza, una trollata, come dicevamo noi giovani nell’era delle chat e dei forum.

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Al docente universitario alle prese col 50esimo studente di fila che gli recita a memoria il capitolo 4 del trattato “Storia del calcestruzzo armato comparato”, invece di far cadere la propria mascella sulla mano che la sostiene, abbattuto, aspettando che venga presto la fine della giornata, potrebbe esser concesso di saltar sul tavolo ed esercitarsi nel tip-tap.

A un colloquio di lavoro – ultimamente sembro monotematico ma è un po’ il tema del periodo – per stemperare la tensione e ammazzare l’ansia vorrei, senza che fosse considerato osceno oppure offensivo, calarmi i pantaloni e poggiar sulla scrivania – di vetro, lasciando l’impronta – quel che è ben intuibile.

E perché non far una pernacchia, uno sberleffo, lo scherzo del Eh? Cosa?….Puppa!…al proprio autorevole interlocutore?

Così, de botto, senza senso.

Penso che risparmieremmo tanti interventi di psicanalisi, ricorsi a coadiuvanti dell’umore, corsi di yoga acrobatico e altri scacciapensieri artificiosi se ci fosse concesso di viver qualche gettata di follia amichevole e non perniciosa per scaricarci.

Poi mi connetto al mondo e sento parlare persone. Persone che influiscono sulle vite degli altri. E sento tante di quelle cazzate esponenziali che mi rendo conto che già c’è troppa follia in giro e che allora vorrei trasformarmi nella Signorina Rottermeier e raddrizzar schiene a suon di scudiscio.

Folle, no?

Non è che ti serva un disegnatore per tracciare il profilo di un candidato

È sempre interessante sostenere un colloquio di lavoro.

Tralasciando la dose di ansia pre-incontro che mi affligge in queste situazioni, che mi porta a immaginare uno scenario di eventi catastrofici in una scala che va da “Morte improvvisa” (la cosa per me migliore) a “Mi cederanno i pantaloni e resterò nudo davanti agli esaminatori e mi denunceranno per atti osceni e spargeranno la voce e la mia vita professionale sarà rovinata”.

Ieri ho passato, tra andata e ritorno per raggiungere la sede dell’incontro, 8 ore in treno. Sono uscito di casa alle 7:30 per ritornarvi alle 22.

Il tutto per 20 minuti di conversazione. E 100 € di biglietto, acquistato per forza di cose due giorni prima appena saputo. Una escort forse sarebbe stata più economica.

Non saprei dire se la durata sia stata poca o no: ormai è impossibile tracciare uno standard colloquiale. Una volta in un’azienda mi tennero un’intera giornata per 3 sessioni di colloquio in cui nell’ultimo mi chiesero Com’è il rapporto coi suoi genitori? e poi mi dissero Arrivederci e grazie. Forse non risposi bene a quell’ultima domanda.

Forse dovevo replicare “Sono Bruce Wayne. E comprerò questa baracca per sbatterti fuori”.

Per il precedente lavoro invece ebbi un colloquio al telefono che durò un’ora ma in cui quello che sarebbe diventato il mio Responsabile non mi parlò di altro che dei suoi personali esami clinici. Pensai che forse si era trattato di un test di empatia, ma anche durante la mia esperienza lavorativa ci ha tenuto a darmi ragguagli medici tra cui lo stato della sua prostata.

C’era una particolarità nell’ufficio dove ho sostenuto ieri il colloquio. Una scrivania di vetro. Secondo me è una roba da psicopatici o pervertiti.

Perché mai uno dovrebbe guardare gambe e piedi della persona seduta di fronte? Senza contare la scomodità di non vedere il bordo, rischiando di sbattervici contro oppure, a ogni accavallamento di gambe, di darvi una ginocchiata sotto.

Nonostante sul mio CV fosse scritto dove vivo (prima riga del riquadro del profilo) e dove lavoro (prima riga del riquadro esperienze), una delle due tizie che mi ha esaminato mi ha fatto una brillante domanda: Tu vivi a Napoli?. Avrei voluto replicare: No, vivo a Baden-Baden (Germania-Germania), faccio il pendolare.

La stessa tizia aveva un evidente raffreddore ultimo stadio. Ha passato tutto il tempo a strusciarsi sul naso e rigirare tra le dita un fazzoletto sbrindellato. E poi mi ha porto la mano alla fine. Mi sono disinfettato con l’accendino appena girato l’angolo.

Quando ho chiesto “Com’è l’ambiente qui?”, che è una domanda che faccio alla fine per generare qualche chiacchiera informale che può tornare a mio vantaggio, mi hanno risposto, guardandosi con un ilare imbarazzo – come a fare “Che gli diciamo?” –  Siamo tutte donne.

Noi vorremmo incrementare la quota – hanno aggiunto – ma non riusciamo….

A quel punto avrei voluto chiedere perché non riescono, ma mi sembrava eccessivo. E ho pensato che però un colloquio realmente onesto dovrebbe contemplare la possibilità che il candidato alla fine possa fare domande tendenziose e fastidiose, del tipo (esempi ispirati da tutte le mie esperienze passate):

Perché non fate riparare il citofono?
Questo posto lo avete arredato per scommessa o avete solo pessimo gusto?
Immagino che il vostro settore ricerca biologica sia molto avanzato, a giudicare dalla muffa sulle pareti, giusto?
La persona che prima ricopriva la posizione per cui sono qui perché è andata via? Scelta professionale o esaurimento nervoso?
Lei il mio CV lo ha letto o ne ha fatto un aeroplanino?
Vista la sua età dovrei chiederle come si vede tra 10 anni?
– Ma lei trova intelligente tenere sogni nel cassetto?

Seriamente: perché una scrivania di vetro?

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dal webbe