Non è che i Puffi siano azzurri perché del Napoli

Sono sempre stato per lo più uno sportivo da divano. Da adolescente mi limitavo alla partita di calcetto del sabato, appuntamento fisso per garantirsi di avere durante la settimana seguente un trauma contusivo/distorsivo di cui vantarsi. Anni dopo ho iniziato con la corsa ma non è mai stato un amore tra di noi. Era più un rapporto di convenienza: sto con te per tenermi impegnato.

Poi è arrivato il nuoto, poi la palestra. Attualmente mi divido tra nuoto e kickboxing e aspetto di riprendere, se la bella stagione finalmente arriva, corsa/ciclismo.

I veri ciclisti o i veri runner escono con qualsiasi condizione climatica. Ma qui subentra in me quel discorso di sportività da divano, dove ci si entusiasma per una Parigi-Roubaix sul pavé nel fango e nel letame di vacca o un Passo Pordoi al Giro d’Italia in mezzo alla neve ma non si imiterebbe mai una cosa del genere.

Lo sport davvero mi emoziona. A volte, quando voglio crogiolarmi in piacevole commozione positiva, rivedo il video di qualche impresa: un oro della Pellegrini, il mondiale di Zolder di Cipollini 2022, la 4×100 di atletica di Tokyo 2020 (che poi era 2021).

Siamo abituati, in genere, a differenziare tra sport più puri, onesti o nobili e il calcio; sia perché quest’ultimo è quello con più danaro e interessi economici, sia perché identifichiamo il calcio con una parte di suoi sostenitori: fanatici, violenti, xenofobi.

In realtà nessuno sport è immune dai mali della società. I peggiori disonesti, imbroglioni, scorretti si possono ritrovare tra gli atleti di qualsiasi disciplina. Tra l’altro non sono sicuro che alcuni atleti di altri sport sia delle persone migliori con cui avere a che fare rispetto a un calciatore. Alla fine sono tutti esseri umani, noi assistiamo ai loro sacrifici, alle loro sconfitte e alle loro vittorie, alle loro gioie e i loro pianti come fossero attori sul palco di una tragedia. Perché lo sport è una tragedia greca, attraverso gli atleti noi viviamo la nostra purificazione.

Indubbiamente almeno nella nostra società è il calcio il maggior veicolo di passioni e pulsioni: c’è chi nel difenderlo scomoda Pasolini, io lo lascerei comodo invece perché – poveretto – già troppo spesso viene chiamato in causa e mi chiedo, se fosse vivo oggi, quante persone realmente che lo tirano in ballo sarebbero sue fan.

Tra le passioni di massa il calcio resta (non so per quanto tempo) con le sue sacche di resistenza ancora un qualcosa di genuinamente viscerale, laddove altri sport danarosi e blasonati come il basket NBA o la F1 sono più che altro in gran parte uno spettacolo per ricchi annoiati.

È per questo che per me vedere lo scudetto del Napoli è assistere e partecipare a una grande comunanza di questa visceralità positiva, da anziani a bambini, ragazze e ragazzi, lì, insieme, gioiosi e felici della medesima cosa e che trovano un’identità e una dimensione diverse da quelle, divisive, create dai ruoli della vita quotidiana: famiglia, lavoro, scuola, eccetera.


Credo che sociologi diversi si siano dedicati ad analizzare questi fenomeni: lascio a Google o a ChatGPT trovare materiale esplicativo.


Ed è solo ed esclusivamente questo il senso da attribuire all’evento, laddove la retorica e chi la esprime vogliono infilarci discorsi sociali di riscatto: perché, chi ci ha sequestrati?

Tutto questo per dire che in mezzo a questo teatro di purificazione e autoaffermazione mi son commosso e ho pianto. Io sono qui, io sono con gli altri, noi siamo.


Restando sul discorso sociologico, tutto questo che viene percepito sia dai suoi partecipanti che dai suoi detrattori come una forma di esplosione ribelle (in positivo per chi festeggia, in negativo come caos dell’ordine quotidiano per chi la odia) è in realtà quanto di più conformista ci possa essere: viviamo in una società che da un lato reprime le nostre pulsioni, dall’altra, tramite l’utilizzo dei professionisti dello sport, ci permette di viverle con dosi di intrattenimento. Ma di qualcosa bisogna pur farsi.

E voi cosa volete?
Di che cosa vi fate?
Dov’è la vostra pena?
Qual’è il vostro problema?
Perchè vi batte il cuore?
Per chi vi batte il cuore?
Meglio un medicinale
O una storia infernale?
Meglio giornate inerti
O dei capelli verdi?


Non è che l’atleta olimpico pensi al rovescio della medaglia

Come si sa o come non si sa, sono in corso i Giochi Olimpici di Tokyo 2020.

Purtroppo con mia delusione – anche se non son del tutto sorpreso – non sono stati inserite nel programma alcune discipline sportive che meriterebbero invece la ribalta olimpica. È una dittatura sportiva? Io ne son proprio convinto.

Per fare un po’ di giustizia in questo grande scandalo, ho pensato di illustrare qui gli sport che meriterebbero ben altra considerazione:

Salto del pasto
Sport di antica tradizione, il salto del pasto è attività aperta a tutte le età (con le dovute precauzioni). Il primatista mondiale è attualmente il Sig. Rocco Mancuso da Ficarazzi, che una domenica di maggio 2017 ha saltato un pranzo dalla nonna, nonostante l’appetibile menù e i ripetuti inviti da parte dei familiari. L’impresa gli è costata il disconoscimento da parte della famiglia. «Avevo fatto un incidente ed ero al pronto soccorso, non volevo», si è schermito l’atleta, dimostrandosi anche campione di modestia.

Esibizione alla sbarra
Disciplina destinata agli imputati impegnati in un processo, si attua a corpo libero o ammanettato a seconda dei casi. L’esibizione termina quando il giudice decide di farti portare via.

Inseguimento all’autobus
Sport emozionante, praticato ogni mattina da migliaia di persone che corrono incontro il mezzo pubblico esibendosi in ampi gesti per manifestare la propria presenza – una giuria giudicherà anche le segnalazioni più spettacolari – implorando di non chiudere le porte, mentre l’autista, con fiero sadismo, mette in moto per partire.

Giramento della frittata
Nulla a che vedere con la cucina – difatti la UEFA (Uova E Frittate Artigianali) vorrebbe un cambio di denominazione per evitare confusione -, questa disciplina richiede grandi doti di manipolazione e dialettica, per rivoltare un discorso a proprio favore. L’attuale campione, che preferisce restare anonimo per umiltà, è l’inventore della frase «Non sono razzista sono loro che sono razzisti».

Calcio alla fortuna
La primatista del mondo è una donna californiana che nel Novembre 2020 ha acquistato il biglietto – rivelatosi vincente – della lotteria di Stato (primo premio 26 milioni di dollari), perso poi perché lavato insieme ai pantaloni in una lavanderia a gettoni. Difficile eguagliare il record, però sono certo che ogni giorno ci siano grandi atleti che con dedizione e applicazione sprecano occasioni fortunate.

Lancio del giovanotto
Ragazzini impertinenti, giovinastri molesti? Quante volte avremmo voluto scaraventarli lontano via dai piedi? Il lancio del giovanotto permette tutto ciò! In perfette condizioni di sicurezza – per il lanciatore – scagliate l’imberbe giovinetto il più lontano possibile tra il plauso della folla!

Tiro a Pioltello
Specialità che consiste nello sparare ai cartelli stradali che indicano la località milanese di Pioltello.

Non è che ti serva la metallurgia per creare una lega

La notizia che nel calcio i grandi Club sono interessati al denaro e si muovono dove possono raccogliere più denaro – per continuare a mantenere in vita un circo attrattivo per nuovi mercati – mi ha sconvolto: non ero così sorpreso da quella volta che dissero che il Presidente turco è una brutta persona. Veramente, ci si sorprende sempre. Che fantastica storia la vita.

Non voglio comunque parlare di superleghe di calcio – l’unica super-lega di cui mi può importar qualcosa è l’adamantio – seppur mi faccia ridere questa cosa de Mi porto via il pallone e mi farò un calcio mio.


Con black jack e squillo di lusso, avrebbe detto Bender.


Non so cosa voglia dire essere in una lega di gente speciale. Da piccolo ero sempre nel novero dei pipponi quando si facevano le squadre. Ecco, noialtri avremmo potuto creare una Supersega: il torneo di quelli che sono una pippa.

La verità è che a me non fregava una beneamata mazza di competere per essere bravo nell’ora di educazione fisica a fare punti a pallavolo. Conoscendomi – e credo ci conoscermi – se ci avessi tenuto avrei passato ore a casa a sbattere il pallone contro il muro per esercitarmi.

Sarei rimasto una pippa, ma sarei stato una pippa allenata: questo forse mi avrebbe reso meno pippa agli occhi degli altri o comunque avrebbe generato apprezzamento l’impegno.

Essere parte di un club elitario è faticoso: da una parte è richiesto di mantenere uno standard adeguato. Dall’altra, ciò ti renderà inviso a quelli fuori dal club.

Non so come, ma ad esempio alle scuole medie ero parte del gruppo elitario della classe. Non potevo dirmi tra i più fighi, ma diciamo avevo uno standard minimo. Per tornare al discorso calcistico: non riuscivo a lottare per lo scudetto ma avevo i punti minimi per l’ultimo piazzamento nelle zone alte.

Così ero il meno figo nel club dei fighi e il primo odiato – per vicinanza – di tutti gli altri, gli esclusi.

E questa è la mia storia con le leghe e i club elitari.

C’è un altro club di cui faccio parte mio malgrado e che mi garantisce una posizione in qualche modo da privilegiato, quantomeno in termini di seccature in meno.

Ci riflettevo qualche tempo fa, leggendo questo post.

Sono un M.E.B.. No, non un Mario Eleno Boschi, ma un Maschio Etero Bianco.

Chiunque non sia MEB si ritrova con qualche vantaggio in meno e qualche svantaggio in più. Lo noto tutti i giorni nel mondo che mi circonda, anche nelle cose che sembrano più piccole che accadono agli altri.

Non è essere parte di un club il problema, anzi. Ma chi prova a sollevare la questione sugli svantaggi di chi non ne fa parte, viene tacciato di essere nemico del club; è un ottimo strumento dialettico per mandare il discorso in caciara ed evitare di porre invece il problema fondamentale: far sì che anche gli altri club possano giocare nello stesso campionato, con regole e diritti uguali.

Le Superleghe rompono proprio il cazzo.

Non è che se porti il 45 di piede non puoi ragionare per piccoli passi

Tra le cose che mi hanno insegnato il nuoto e la bicicletta c’è il ragionare per piccoli traguardi.

Se devi completare un 400 metri (16 vasche), è utile ragionare di 25 metri per volta. Se sei in salita in bici, è meglio non pensare a quanto manca alla fine ma puntare a singoli arrivi: il prossimo lampione a 100 metri, quel pino a 200 e così via.

È un approccio che ho adottato anche nella vita quotidiana. Scompongo le cose in modo da non affrontare l’intero ostacolo ma dividerlo in scalini.

In quest’ottica ho adottato la tecnica del movediamo.

Il movediamo è un modo per spacchettare un’incombenza.

– Che ne diresti se spostassimo quel mobile nell’altra stanza?

– Movediamo.

– Se svuotassimo il cassetto spostando la roba nel cassettone e utilizzando lo spazio libero nell’armadio per queste altre cose?

– Movediamo.

In questo modo non mi sto ponendo davanti l’intera idea dello spostamento del mobile o dello svuotamento del cassetto, ma la sto affrontando molto alla larga cominciando a pensarci.

O fingendo di farlo.

Perché uno degli aspetti del movediamo è che puoi anche dare risposte fuffose. Movediamo può anche voler dire “Sto mostrando di pensarci ma in realtà è un modo per prendere tempo e non lo farò mai”.

Il movediamo va usato con parsimonia e non è adatto a sportivi inesperti.

Da buon produttore di fuffa e sportivo dilettante c’è un’altra tecnica che utilizzo per scansare responsabilità e incombenze. Si tratta del rilancio della palla nell’altra parte del campo.

La settimana scorsa in una chiamata di lavoro il mio interlocutore mi ha posto una serie di questioni di cui avevo una conoscenza scarsa o del tutto assente.

Piuttosto che mostrarmi incerto e smarrito, ho iniziato a replicare a suon di Tu che ne pensi? Tu che ne dici? Quindi tu faresti…(segue silenzio che l’altro si sentirà obbligato a riempire)?

Questo non è altro che il metodo della maieutica socratica: la risposta è già nell’altra persona, io gliene faccio solo prendere coscienza e la lascio emergere.

Poi se la risposta è sbagliata, come diceva il Messia che portava la parola di Quelo, è un altro discorso.

Non è che gli uccelli possano essere amici di penna

Quando tre mesi fa ormai era stato annunciato il bonus bici non vedevo l’ora fosse attivo per poter richiedere il voucher (perché non ci pensavo proprio a comprarla in anticipo, con soldi che non avevo e che non sapevo se mi sarebbero stati rimborsati!) e passare dalla mia city bike a una vera bici da strada.


Poi il tempo è passato è l’applicazione web che doveva servire allo scopo non è ancora entrata in funzione. Ora sembra non ci sarà nessuna app ma sarà accessibile una richiesta di rimborso da inoltrare tramite il sito del Ministero dell’Ambiente, attiva (forse) da settembre. Il contributo verrà erogato in base alla data di acquisto, quindi teoricamente il finanziamento per chi acquista una bicicletta ora è già esaurito. Che pocus di bonus!


Ammesso e non concesso di trovare una bici ancora disponibile. Oggi guardavo Decathlon e molti modelli risultano esauriti sia online che in negozio. Tra l’altro ho scoperto che Decathlon viene considerato ciclomale.


Digitando l’hashtag #ciclomale su Google si troverà molto materiale in merito.


Esiste infatti una corrente di pensiero tra i ciclisti amatoriali secondo la quale comprare lì oltre a essere una poracciata sia un insulto all’arte delle due ruote.

Ignoravo esistessero simili fisime, ma il dubbio mi sarebbe dovuto venire osservando i ciclisti della domenica mattina, con le loro belle tutine nuove delle squadre che partecipano al Tour de France (e sai che son nuove perché ogni anno ci sono squadre nuove partecipanti), in sella a bici da 5000 € almeno: e poi arriva uno con la bicicletta da 299,99 € e il pinocchietto nero bitume da 4,99 € e praticamente agli occhi loro fa la figura del chiosco dei supplì piazzato accanto al ristorante di Cracco.

E difatti Cracco lo reputo un esaltato di stocazzo.

Com’è come non è, la mia bici attuale deve aver letto le mie intenzioni di accantonarla e stasera mi ha disarcionato: e dire che rispetto alle altre volte stavo andando piano, fatto sta che la ruota anteriore mi si è piantata su un tombino e io sono stato catapultato al suolo. Non mi sono fatto niente ma i miei pantaloncini preferiti si sono strappati.

Una ventina di minuti dopo invece sono stato colpito sulla spalla dalla deiezione di quello che, dalle dimensioni del prodotto e dal colpo avvertito, presumo fosse un condor.

E da qui viene la mia domanda che è alla base di questo post che non tratta affatto di cicli e due ruote: perché i volatili hanno sempre la diarrea? È un problema di alimentazione cittadina? Perché le istituzioni non provvedono a un piano di distribuzione becchime speciale che ripristini la loro flora intestinale?

Domande che non avranno risposta.

Non è che il l’amante dell’arte vada in palestra perché gli han detto che lì c’è un quadro svedese

La domanda più comune della scorsa settimana e anche di questa è: Ma posso uscire a fare jogging?. Io non pensavo ci fossero tanti corridori o aspiranti tali. Va detto che tenersi in forma dopo aver guardato programmi di cucina è l’imperativo di questi anni e milioni di persone staranno ora patendo per la chiusura delle palestre.

Io mi sono organizzato facendo degli esercizi a casa. Non è necessario avere attrezzi o altro, basta usare un po’ di inventiva.

Ho deciso quindi a beneficio di tutti di condividere un programma di allenamento che vi permetterà di arrivare alla prova tampone perfettamente in forma.

1-Salto (del pasto)
Mettetevi davanti una portata (che sia un primo, un secondo o un piatto unico, non importa) e scavalcatela – ventrale o alla Fosbury, come vi riesce meglio – facendo 8 serie da 2 salti avanti e ritorno, intervallando ogni serie con 20 secondi di recupero. Quando avrete finito, il cibo sarà freddo e poco gradevole da mangiare, perciò buttatelo. Dopo una settimana noterete già i primi benefici in termini di dimagrimento.

2-Piegamenti
Prendete un foglio di carta e piegatelo a metà. Poi piegatelo ancora a metà. E così via. Vi accorgerete che non potete piegarlo a metà più di 7 volte (fatto vero!), nonostante tutte la forza che impiegate. Non convinti, ripeterete l’esperimento con altri fogli di diversa grandezza.

3-Affondi
Praticabile solo se avete un giardino. Scavate una buca che sia profonda almeno mezzo metro in più della vostra altezza. Riempitela di sabbia e acqua, in proporzione tale che la densità non faccia risultare il composto né troppo solido né troppo liquido. Tuffatevi dentro e provate a non affondare giù e soffocare.

4-Spartani
Affacciati al balcone, urlate Questa è Sparta! di continuo. Allenatevi schivando gli oggetti che i vicini vi lanceranno per farvi smettere.

5-Push up
Prendete un reggiseno e usatelo come fionda per allenarvi con il tiro al bersaglio.

6-Crunch
Prendete un pezzo di legno – le gambe del tavolo vanno benissimo – e cominciate a rosicchiarlo. Fate 3 serie da 8 ripetizioni di rosicchiate, intervallate da 30 secondi di pausa tra una e l’altra.

7-Crunch inverso
Come sopra ma dovete rosicchiare a testa in giù.

8-Ponte
Prendete un calendario, cerchiate una festività che si agganci a un weekend e fissate il ponte individuato per 30′ secondi.

9-Allunghi
Da fare almeno in due. Seduti a tavola, l’altra persona vi chiederà di allungarle il sale, il pane, il coltello, eccetera. Inspirate prima dell’allungamento e ritornate in posizione sospirando scoglionati.

10-Burpees
Mangiate una teglia di lasagne, una di parmigiana di melenzane con contorno di peperoni grigliati, il tutto innaffiato da 1 litro di Pepsi. Fate una serie da 8 eruttazioni cercando di far durare ognuna almeno 10 secondi.

11-Rotazioni
Pensate a tutte le cose che vi danno più fastidio e alle situazioni in cui le persone vi hanno fatto veramente scocciare. Una serie di giramenti di balle può bastare.

Risultati garantiti in due settimane!

Non è che i sub vadano sempre a fondo delle cose

Ci sono diverse cose di cui mi vergogno.

Una di queste l’avevo dimenticata. Ho paura della profondità. Mi ero abituato a nuotare in piscine profonde al massimo 3 metri e mezzo; questa sera, nuova casa nuovo quartiere, decido di inaugurare un nuovo impianto, spavaldo come un bracconiere.

Quando nuotando ho visto lo strapiombo in cui degradava la vasca mi è venuta ansia. Che poi saranno stati 5 metri ma laggiù, in quella fossa oceanica, ho visto con un sorriso sardonico quel bambino spaventato dai fondali che ero che mi stava aspettando proprio lì da diversi lustri.

Un’altra cosa di cui mi vergogno è dire che non ce la faccio. Mi sembra sempre il momento meno opportuno. Mi sembra che uno lo voglia fare per riportare l’attenzione su di sé. Mi sembra di sottrarsi alle responsabilità. Mi sembra che se poi anche gli altri non ce la fanno allora si contribuisce ad abbassare ancor di più il morale.

Delle volte non mi sembra niente perché non ce la faccio neanche a figurarmelo.

So solo che ci sono delle volte come in questi giorni che non ce la faccio. Parlavo settimana scorsa con una collega, mentre bevevamo una cosa come commiato perché ho terminato al lavoro – per la cronaca poi il giorno dopo la Capa mi ha chiesto di restare un altro mese. La collega mi ha chiesto se avessi mai pensato a fare terapia, come sta facendo lei che sta seguendo un percorso.

Io non voglio pagare qualcuno per dire che non ce la faccio e poi ritrovarmi a metà mese ad aggiungere alla lista di cose che Non ce la faccio anche Non ce la faccio a permettermi questo perché ora tra le varie spese sto pagando una psicoterapeuta.

D’altro canto è necessario andare a fondo delle cose per venirne fuori. E varrebbe sia in senso fisico come per la prima parte del post che metaforico come per la seconda.

Ma se poi non si riemerge più?

Non è che ti puoi rinfrescare con un ventaglio di possibilità

Ho fatto un giro su per visionare un po’ di stanze a Milano. Una di quelle che ho visto ha anche vicino un grande centro fitness di una nota catena (il cui nome è in una vecchia e nota canzone di Madonna), dotato anche di piscina. Dato che mi piacerebbe proseguire l’attività natatoria anche dopo essermi trasferito, nel tempo libero tra due visite di case sono andato a darci un’occhiata.

Più che parlare con un’istruttrice mi sembrava di avere di fronte il commerciale di una società di consulenza. Mi ha mostrato il ventaglio di opzioni e possibilità e tipologie di abbonamenti che il loro mega-centro offre.

– Ma io voglio solo nuotare
– Sì certo ma poi magari ti piace anche la palestra tu con l’abbonamento puoi utilizzare tutta la struttura come e quando vuoi vedi con l’opzione abbonamento 3 mesi in realtà io posso darti un mese al 50% che dividendo il costo per 4 mesi sarebbe come se pagassi di meno di quanto…
– Sì ma penso verrò solo a fare piscina
– Non è detto tanta gente ad esempio si iscrive da noi in palestra e poi utilizza anche la vasca dato che c’è tu frequentando il centro magari vedi qualcosa che ti piace e cominci anche a fare altro…

Devo dire che offrono molta libertà di scelta. La struttura dove attualmente nuoto invece non ha scelte: un unico prezzo, pochi orari e anche fissi. E scaduti i 45′ in acqua ti spengono le luci per farti capire di sloggiare.

Ma le cose staranno veramente come sembrano?

Io credo che la libertà di scelta data dalle mille opzioni sia in realtà una non-scelta, e la non-scelta data dall’assenza di alternative sia invece una libera scelta.

Non avere alternative ti permette di fare le tue valutazioni e pensare che, se le cose non ti stanno bene, non le accetti e ti rivolgi altrove. Questa è la libertà della non-scelta.

Il grande ventaglio di possibilità che ti offre il mega-centro invece ti porta a farti attrarre dalla presunta libertà di fare quel che vuoi, incentivato dall’aver a disposizione anche possibilità che non avevi contemplato: andare a fare i pesi dopo una nuotata e poi magari un bagno turco, per dire. Cose che non avevi contemplato perché in realtà non te ne frega una beneamata dei bagni turchi, altrimenti saresti già andato a cercarteli. Ma ingolosito dall’avere tante cose perché “tanto è tutto compreso” tu stai dedicando il tuo tempo libero al mega-centro e stai in realtà facendo esattamente ciò che loro si aspettano che tu faccia e che hanno deciso che è il meglio per te. Da qui la non-scelta della libera scelta.

L’esempio sportivo rispecchia l’andamento della nostra vita attuale, apparentemente piena di opzioni e possibilità ma nel concreto sempre più paralizzata da vincoli.

Ad esempio è molto comodo avere tanti strumenti utili sul telefono. Ti rompi un po’ il cazzo quando invece per fare qualsiasi cosa orami ti serve avere l’app. Ora anche le mie banche mi obbligano ad avere l’app – che non funziona neanche bene – per utilizzare le procedure di sicurezza perché le chiavette coi codici saranno abolite da settembre.

Si può replicare che se non avevo scelta prima, non ce l’ho adesso. È cambiato solo lo strumento. Vero. Ma io mi sento sempre più connesso giocoforza alla tecnologia, incatenato, costretto, nonostante la libertà di cose che mi offre.

Una libertà che io non ho chiesto!

Visione consigliata:

Per chi non ha modo o tempo di vedere il video, qui c’è la trascrizione tradotta dell’intervento.


A proposito della libertà che sa di catena al collo: per chiedere informazioni il grande centro ti chiede il numero di telefono. Oggi mi hanno chiamato per chiedermi cosa intendessi fare, perché mercoledì scade la favolosa promozione e “sarebbe un vero peccato perdere questa libera opzione”.


Non è che fare l’assicurazione sia una gara perché c’è un premio

Le Universiadi di Napoli si sono concluse. Ieri si è tenuta la cerimonia di chiusura. Ho già nostalgia. Prendervi parte è stata un’esperienza bellissima e chissà se mi ricapiterà qualcosa di simile.

Perché le cose belle devono essere brevi e aver fine? Dovrebbe avvenire ciò per le cose orribili. Ad esempio, l’ultima stagione di Game of Thrones è stata un vero schifo, ma per fortuna è stata corta: così dovrebbe essere per tutto.

In ogni caso, in questo evento che ha distribuito tante medaglie, voglio anche io fare delle mie premiazioni e quindi ho qui pronta una lista di premi creati ad hoc per le Universiadi.

– Premio Rattuso d’oro
Ai commentatori RAI della Cerimonia di apertura, che alla vista di Erikah Seyama, atleta del Regno di Eswatini, sono stati folgorati dalla sua bellezza e per la successiva mezz’ora non hanno parlato d’altro.
Consegna il premio: Valentina Nappi

– Premio Arpagone
A chi ha fornito le divise per noi Volontari. I vari loghi e stemmi sulle magliette dovevano essere dei trasferelli o delle decalcomanie comprate nelle bustine in edicola, perché dopo il primo bagno in acqua della maglia – necessario, visto che il sintetico si impregna di odore di umanità – hanno cominciato a decomporsi.
Consegna il premio: Zio Paperone

– Premio Simpatia
A una accompagnatrice della squadra USA di pallanuoto, una italiana che durante la finale maschile Italia – Stati Uniti è venuta a chiederci di parlare con lo speaker per invitare il pubblico a non fischiare quando attaccava la squadra statunitense. Piccola parentesi: sui modi di tifare del pubblico sospendo il giudizio, quel che penso è che finché non si scade nell’offesa, nell’ingiuria e che a fine incontro si tributa il giusto riconoscimento a entrambe le squadre, per me va anche bene cercare di intimorire l’avversario quando attacca. Lasciamo perdere gli esempi del calcio, ma nel basket e nella pallanuoto è cosa normale. Quando le abbiamo detto che 1) dev’essere l’arbitro casomai a decidere se richiamare all’ordine per intemperanze, 2) non si trattava di offese e ingiurie, la tizia se ne è andata mandandoci a fare in culo.
Consegna il premio: Vittorio Sgarbi

– Premio Super Saiyan
All’allenatore della nazionale ungherese femminile di pallanuoto, che in finale, ahinoi, ha battuto l’Italia. Espulso per intemperanze e beccato dagli italiani del pubblico, ha reagito ai loro Scemo! Scemo! facendogli il Goku che si trasforma in Super Saiyan

urlando qualcosa in ungherese che non ho capito, ma credo di non andare lontano dalla verità se dico che sarà stato un Puppatemi la fava.
Consegna il premio: Junior

 

– Premio Meglio Vestito
Non c’è manco bisogno di dirlo:
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Mi consegna il premio che accetto con piacere: Tom Selleck aka Magnum IV.

Non è che chi organizza gare sportive sia una pessima atleta perché si piazza sempre dietro le quinte

Il bello di partecipare alle Universiadi – non come atleta, s’intende – è il poter stare nel dietro le quinte dell’organizzazione e in mezzo agli atleti, respirando l’aria di grande evento. Sono anche riuscito a farmi assegnare alla piscina dove si tengono le gare principali. È stata una bella fortuna, se non altro perché una piscina è l’unico posto dove gli atleti che ti passano accanto dopo una gara non puzzano di sudore.

Ho avuto anche modo di capire qualcosa in più sul mondo della nuotisteria agonistica.

1) In primo luogo, il ruolo più importante di tutti è anche il ruolo più inutile di tutti: quello dell’assistente al salvataggio.


Non chiamateli bagnini per carità che una volta un tale in treno sentendomi parlare con un mio amico di bagnini mi attaccò una pezza assurda sul fatto che lui avesse il diploma di addetto al salvamento mica da bagnino.


2) Gli atleti girano a piedi nudi un po’ ovunque: bordo vasca, spogliatoi, bagni, tribune, asfalto esterno. Passi per le micosi, su cui non voglio indagare, ma come facciano a evitare pestoni e incocciare spigoli con le dita resta un mistero. Sarà la consapevolezza mentale che solo la disciplina atletica ti fornisce.

3) Chi fa nuoteria deve alimentarsi bene. Anche prime delle gare. Ma solo se la mamma non sta guardando sennò deve aspettare 4 ore prima di tuffarsi.

4) Nelle gare ufficiali ci sono gli umarell:

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5) La capigliatura può essere un impedimento all’essere un veloce nuotista:

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6) Chi fa parte dello staff non può fare foto agli atleti se non per uso personale. Un volontario è stato cacciato dalle Universiadi perché era stato visto spacciare dieci grammi di nuotatori.

7) È assolutamente vietato usufruire di mezzi a motore in gara in acqua:

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L’atleta qui presente è stato squalificato dal giudice coi pantaloni gialli

8) Il vero allenamento di un nuotistatore è quello per riuscire a sfilarsi il costume e metterne un altro con l’asciugamano indosso in un paio di secondi degno del miglior pit stop di F1.


Avevo dimenticato di accennare che per non fare il giro ed entrare a cambiarsi negli spogliatoi molti che stanno a fare riscaldamento o ad assistere ad altre gare si cambiano in mezzo la gente, sugli spalti.

 


9) Un grande scandalo ha investito questi Giochi: si chiamano Universiadi ma partecipano solo atleti Terrestri e nessuno dal resto dell’Universo.

Non è che vuoi.

Quando frequento un nuovo ambiente tendo a crearmi una nicchia mentale di zona comfort focalizzandomi sulle persone che frequentano abitualmente quell’ambiente stesso. In parole povere: osservo quelli che mi sembrano simpatici e volta dopo volta che vivo quel contesto sento crescere un senso di rassicurante familiarità.


Una cosa simile mi è sempre capitata anche nel mondo virtuale, quando andavano di moda chat e forum. Mi affezionavo agli utenti abituali e mi dispiaceva quando non partecipavano più. Anche qui su WP lo stesso: la sparizione di bloggers storici (per me) mi dispiace assai.


Non è detto che io debba per forza legare con questi personaggi familiari. Con qualcuno posso scambiarci qualche chiacchiera, con qualcun altro un semplice saluto, con qualcun altro ancora posso non avere alcuna interazione.

Una di queste persone familiari è Roberto, un signore 55enne habitué della piscina (15 anni consecutivi!) dove sono iscritto.

Mi ha spiegato lui il trucchetto di pulire con lo shampoo gli occhialini da nuoto per non far appannare le lenti.

Non che fosse un così gran segreto, per chi era pratico. Io da neofita all’epoca cercavo ancora una soluzione alla mia cecità subacquea, sciacquando le lenti di continuo, sputandoci sopra, umiliandole verbalmente. Nulla funzionava. Allora una volta vidi il Signor Roberto impegnato nell’operazione di pulizia e siccome lui così a pelle mi ispirava fiducia dissi: “Scusi, ma…a che serve?”.

Abbiamo sempre scambiato qualche chiacchiera, da allora, prima e dopo la nuotata.

Quando gli raccontai dell’Islanda era già a conoscenza di qualche aneddoto sul luogo. Se ricordo bene un nipote vive lì.

Un metodico come me, Roberto: sempre in anticipo, per far le cose con calma. La piscina come una esperienza di relax, che comincia da prima ancora di entrare in acqua. È un rilassamento fatto di rituali: la routine cambiarsi-stretching-pulizia lenti-qualche battuta con Enzo l’istruttore, senza fretta alcuna.

Una persona pacata e serena.
In grado di scambiare qualche parola con chiunque. Non un tipo di quelli invadenti, che a tutti i costi vogliono attaccare bottone e raccontarti della loro terza ernia scrotale. Anzi, posso descriverlo come molto rispettoso degli spazi altrui.

A proposito di spazi, non ho mai capito perché quando arrivo nello spogliatoio devo sempre sistemarmi dove capita mentre lui trovava sempre libero il posto preferito.

Nelle ultime due-tre settimane non l’ho visto venire più in piscina.

Dapprima ho pensato a un caso episodico. Poi mi son detto fosse strano, per un metodico come lui. Forse si è ammalato, ho creduto. Anche se pure su quello debbo dire sia stato sempre scrupoloso: i tappi nelle orecchie per evitare l’otite, la fase dell’asciugarsi/rivestirsi lenta per non sudare/non uscire bagnato.

Poi mi sono preoccupato. Ho pensato forse aveva avuto problemi col diabete.

Entrando in confidenza mi aveva raccontato che ne soffriva, da una decina d’anni ormai. Stava sempre attento: usciva dall’acqua 5 minuti prima se si accorgeva di star sudando troppo (e quindi di star andando in ipoglicemia).

Sabato mattina mentre mi cambio sento parlare Carmine, un altro signore familiare e che ultimamente vedevo poco causa turni diversi.

– Lo vedo là di fronte Roberto, mi sembra che ce l’ho davanti

fa rivolto a Enzo

– Mi sembra che ce l’ho davanti agli occhi in questo momento, non ci posso pensare.

Ripete.

Mi inquieto. Mi avvicino e gli faccio:

– Scusa, è successo qualcosa a Roberto?
– Roberto? Roberto è morto. Martedì scorso.

Sono rimasto di merda.

Tornando a casa mi è venuto da piangere in auto.

Ci sono rimasto così male che mi chiedo se non sia una reazione esagerata. In fondo puoi dire che così è la vita. Puoi dire che era uno con cui parlavi giusto una mezz’ora scarsa per 3 volte la settimana. Puoi dire che era tutt’al più un conoscente, insomma.

Puoi.

Ma non è che vuoi.

Non è che il professore di geometria quando perde le staffe ti mandi a fare in cubo

A volte la soluzione migliore per un problema non è lambiccarsi la mente per risolverlo ma seppellirlo sotto del cemento.

Non è convincente? Racconto un esempio.

La piscina dove vado aveva chiuso a luglio due settimane in anticipo per degli urgenti lavori di ristrutturazione. In pratica si era aperto un buco nella zona tra gli spogliatoi e la vasca, l’area di “stazionamento” prima di entrare per docciarsi e posare gli accessori. Un tizio in quel buco ci era anche finito con la gamba dentro, senza conseguenze. Scoprimmo così che sotto quella zona c’è il vuoto: praticamente quindi per fare la vasca non devono aver scavato ma semplicemente riempito d’acqua una voragine.

Quando sono tornato in settimana ho scoperto che il buco non è stato otturato: gli han costruito un cubo di cemento intorno che hanno collegato alle panche dove ci si prepara prima di entrare, per dargli un senso e anche un tocco di design. Il design è un tema su cui oggigiorno siamo tutti sensibili insieme ai cuccioli abbandonati e il mangiare sano.

Io mi ostino sempre ad attuare forme di controllo su me stesso, e per evitare problemi e per trovare il modo migliore di risolverli. Molto spesso invece basterebbe una bella camicia di calcestruzzo stile armatura contenitiva della centrale di Černobyl’.

È vero che molto spesso le idee vengono fuori quando si smette di pensare a ciò che ci turba. La mente opera meglio quando cessa di muoversi in una direzione e può essere libera di creare.

Quello che ha fatto il cubo di cemento in che direzione stava pensando?

Le famose due settimane di chiusura avrei dovuto recuperarle, dato che all’epoca avevo pagato per tutto il mese.

– Sì ma ti devi iscrivere, se vuoi recuperarle.
Mi fa il tipo della segreteria
– Ma io avevo pagato tutto il mese
– Sì ma io non ti posso fare entrare così, ti iscrivi e te le scalo
– Va bene.

Mi sono accorto poi a casa che mi ha scalato 15 euro dall’iscrizione. Considerando che un mese ne costa 55 e che dovevo recuperarne metà, i conti non mi tornano molto.

Questo è uno di quei casi quindi in cui dovresti mandare qualcuno a fare in cubo. Di cemento.