Non è che il fisioterapista social pratichi i massaggi Whatsapp

Ci sono momenti in cui è complicato fare scelte.

Me ne sono reso conto questo weekend quando mi sono trovato davanti a un dilemma che mai avrei pensato di affrontare: ma le mutande di carta fornite per i massaggi, in che verso vanno indossate?

Premetto che, a parte la fisioterapia, non mi ero mai sottoposto in vita mia a un massaggio. Un po’ per risollevarmi dal logorio della vita moderna, un po’ perché tra collo e spalla ho sempre qualche fastidiosa contrattura, sabato ho invece avuto l’opportunità di provare un massaggio rilassante.

Ovviamente hanno chiesto di denudarsi e indossare le mutande monouso fornite in dotazione.

Dopo averle esaminate, la mia idea era di metterle con la parte più larga dietro. Ovviamente questo poneva un problema sul davanti: poteva esserci il rischio di svelar più del dignitoso causa una ridotta copertura. D’altro canto, mettendole nell’altro verso (quindi largo davanti, stretto dietro) non mi metteva proprio a mio agio l’idea di avere un triangolo lì in mezzo.


Il triangolo no, non l’avevo considerato.


Non è per una questione di considerarlo poco virile, beninteso: anzi sono il tipo di persona che evita tali prese di posizione da esibizione di mascolinità, mi percepisco piuttosto neutrale rispetto a stereotipi di genere, se non addirittura provo fastidio nel sentir etichettare una cosa come “da uomo” o “da donna”.

Era proprio il fastidio fisico, oltre che il sentire freddo alle chiappe scoperte. Ma alla fine ho ceduto e l’ho messo come andava messo (non del tutto convinto). Stretta è la foglia, larga davanti, tutti finiamo a chiappe ai venti.

Non è che tu debba tenere un colloquio per assumere una responsabilità

La gente dovrebbe pensare più spesso al sudicio. Io ci rifletto molto.

Non che le persone non facciano pensieri torbidi e sozzi, questo è un altro discorso. Ma quando si tratta di sporcarsi le mani, nel senso di prendersi le proprie responsabilità, fuggono o si nascondono.

Lo scorso weekend ero in treno, tornavo a Milano da Bologna. Il capotreno annuncia che, a causa dell’incidente di un paio di giorni prima – quello in cui hanno perso la vita due macchinisti – il treno avrebbe proseguito per una deviazione che avrebbe comportato 40 minuti di ritardo.

Una tizia nella fila di fianco all’udire ciò esclama:

– Quaranta minuti? Oddio, voglio morire.

Fallo. Assumiti la responsabilità della stronzata che hai detto. Se pensi che i tuoi quaranta minuti di vita sono più importanti di un incidente mortale, dovresti sporcarti allora un po’ le mani. Col tuo sangue.

Ovviamente immagino non avrà riflettuto su ciò che diceva. È una cosa che succede sempre: uno spara una cazzata, ma poi non voleva dirla realmente. Oppure, minimizza dicendo che era una goliardata. O ancora, che le vere persone negative sono quelle che gli fanno notare che ha detto una cazzata.

Io appartengo a questa schiera di persone che ridimensionano le proprie colpe. Ho detto cose che non pensavo, che sono state decontestualizzate e poi comunque ero stato attaccato.

Credo che la paura più grande dell’ammettere completamente la colpa sta nel fatto poi di uscirne macchiati. Certo, alla fine non è che ti puoi fare una doccia e uscirne immediatamente lindo e pulito, questo è vero, come quando da piccolo giocavo nel terreno. E con “nel” intendo che proprio ci scavavo con le mani. Poi mi costringevano a passare sotto l’acqua, tipo doccia con l’idrante da penitenziario.

Devo dire che secondo me però questa cosa del contatto con la terra avrà fatto bene al mio sistema immunitario.

Ecco, se nell’ammettere di essersi sporcati con le proprie cazzate poi non ci si può ripulire agli occhi altrui immediatamente, quantomeno penso che internamente alla lunga ne usciamo rafforzati come persone.

Si, secondo me la gente dovrebbe proprio buttarsi un po’ nel fango e rimanerci.

Non è che se ti esprimi male in matematica non sai se curare la dizione o l’addizione

Ho sempre avuto una esse un po’ sibilante, tale che a volte mi sono sentito come Sir Biss.

Ho notato, facendo formazione o lezioni, che, sarà la salivazione che tende ad azzerarsi o la lingua che si intorpidisce perché non sono abituato a parlare a lungo, tendono a verificarsi altri intoppi di dizione. In particolare, gli incontri della s con la t e le doppie z diventano dopo la prima mezz’ora di discorso micidiali. Parole come impastare e impazzire suonano nella mia bocca come pronunciate da Gatto Silvestro.

 

La cosa non mi preoccupa più. Molto tempo fa cercavo di evitare alcune parole per evitare la Gattosilvestrazione ma poi ho capito che certi difetti vanno esposti ed esaltati, con tronfia sicumera.

Le nostre imperfezioni non devono essere motivo di vergogna, ma bisogna farne un vezzo. Anzi, come direbbe Gatto Silvestro, un vezxsztho.

Non è che se alzi il pollice sull’erba stai facendo OK su prato.

Ho fatto un colloquio di lavoro via Skype, ieri. Non sto pensando di cambiare ma se capitasse qualcosa di migliore perché no.

Non era purtroppo questa l’occasione giusta, per quanto la città da dove veniva la proposta offra molte opportunità.

C’era una cosa in una delle due intervistatrici che mi infastidiva molto. Era una delle classiche persone da “piuttosto che” usato in modo improprio. Non sono un maniaco della corretta grammatica, negli anni mi sono abbastanza ammorbidito. Diciamo che dopo aver rischiato il linciaggio per aver corretto, per l’ennesima volta con conseguente rottura di maglioni, l’uso del pronome maschile per riferirsi a una donna, ho cominciato a mordermi la lingua.

Se non che, dopo aver ignorato i primi 2-3 “piuttosto che” fuori posto, costei ne ha infilata una combo in sequenza che mi ha fatto partire un tic all’occhio.

Non c’è nulla da fare, resto un insofferente viscerale.

Ad esempio una delle cose che mi dà più fastidio è quando, utilizzando i moderni strumenti di rimbambim…comunicazione, tu scrivi o registri un articolato messaggio e ti rispondono con l’emoticon del pollicione alzato.

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E nient’altro.

Attenzione: ci sono due tipi di pollicione. Ho notato che gli amici maschi rispondono in modo genuino col pollicione. Questo perché la comunicazione maschile, retaggio credo del Neolitico, segue schemi essenziali e primitivi. Cibo! Birra? Cazzo proprio stasera che c’è la partita?. In genere così sono le conversazioni con i miei amici. Il pollicione quindi non è indifferenza, è semplicemente un “Non sono in grado di esprimere altro”.

Le donne, invece, ho notato che quando rispondono col pollicione in genere sarebbero in grado di esprimere altro ma semplicemente non vogliono. Perché in quel momento ce l’hanno con te e quindi ti riservano assoluta sufficienza e indifferenza in quanto qualcosa in ciò che hai detto/scritto le ha urtate ma non ti diranno cosa.

In entrambi i casi, a me che mi sono sprecato a intavolare un discorso parte il tic all’occhio e quindi rispondo con un dito medio.

La terza cosa che mi causa insofferenza è quando qualcuno si ostina a entrare in dettagli clinici personali di cui farei a meno. Beninteso, non sono un insensibile e se una persona vuole condividere con me io sono sempre disponibile. Forse anche troppo.

C’è però il mio responsabile, uomo over50, che ogni volta che lo vedo deve aggiornarmi riguardo lo stato della sua prostata e delle sue minzioni. E per fortuna che lo vedo una volta al mese al massimo.

Oggi mi ha detto che c’è un farmaco che non vuole prendere perché ha scoperto gli causa disfunzione erettile. Non che io debba farci qualcosa con quello…, ha tenuto a precisare.

Ecco, tra scoperta e precisazione non so cosa più mi abbia fatto venire un altro tic.

Quasi quasi ricontatto la tizia del “piuttosto che”.

Le parole sono importanti 3

Rubrica estemporanea a periodicità seminale.


“Stasera non scendo”

Non so quando sia accaduto che scendere sia divenuto sinonimo di uscire. Fin quando il soggetto si muove da un luogo in alto a uno più in basso ha un senso dir così: abiti in un palazzo, puoi quindi affermare che scendi da casa.

Già io che vivo a un piano rialzato non so se tecnicamente sia valido che al citofono mi dicano “scendi”. Potrebbero anche dirmi “salta”, visto che mi basterebbe scavalcare il balcone come nella miglior esperienza olio Cuore.

Ma, ecco, tu che vivi al pianterreno, anzi, in un sottoscala, in una città costruita interamente in una depressione caspica, che ragione hai per scendere di casa per scendere in piazza?

Tralasciamo poi altre aberrazioni come il “Scendo a pisciare il cane” che sono entrate nell’immaginario collettivo come allegoria della barbarie linguistica attuale ma che dubito abbiano un reale riscontro.


Si spera.


Non posso però dimenticare, e qui torno al verbo uscire, il bidello della scuola elementare che ci invitava a entrare in classe al grido di “Uscite dentro, forza”, generando una comprensibile confusione.

Le parole sono importanti 2

Rubrica casuale a periodicità pleonastica.


“Io sono una persona vera”

Mi lascia sempre perplesso sentir qualcuno definirsi in questo modo. So cosa intendono mentre lo dicono, quel che mi suonerà sempre male è la locuzione che utilizzano.

In che senso una persona è vera? Ha un riconoscimento di Denominazione di Origine Controllata e Garantita?

Ci sono dei parametri per stabilire quando una persona possa essere certificata come vera? Contiene massimo il 20% di plastica? È totalmente riciclabile? Non è Made in China? E i cinesi che ne pensano: non si ritengono loro forse a buon diritto veri?

Humans are 100% recyclable.

 

 

Le parole sono importanti

Rubrica casuale che potrebbe iniziare e terminare qui.


– Non riesco a venire, ho un mezzo impegno.

Il mezzo impegno.

Cosa vuol dire? Come si esplicita un mezzo impegno?

A) Ci si presenta all’impegno ma per tutto il tempo ci si mostrerà con la testa altrove, distaccati e e assenti;
B) Ci si presenta ma si fugge via a metà;
C) Non ci si presenta ma si partecipa in videoconferenza. Solo audio. O solo video.