Non è che nell’antichità se la Macedonia avanzava la mettessero da parte

Le trasferte di lavoro sono sempre un momento interessante.

In genere ti trovi sempre a venir preso in ostaggio, dentro e fuori l’orario lavorativo, in nome di uno spirito di fratellanza aziendale.

Quantomeno sul dormire, cercano di trattarti bene mandandoti in un buon hotel. E qualcuno, di un altro dipartimento, ironizza anche: «Ah ecco che fine fanno i soldi della Spurghi&Clisteri, e bravi!» con quel classico tono di sarcasmo che sa un po’ di Sto scherzando ma un po’ lo dico sul serio.

Poi tu pensi che quando hai chiesto informazioni a chi è lì da più di tempo di te riguardo l’ultimo adeguamento salariale hanno risposto che siamo ormai quasi al decennale dell’evento, compatisci il sarcastico perché, poverino, lui non sa niente.

E dire basterebbe pure dare uno sguardo alla mensa per capire che certi investimenti sono bloccati.

Dove lavoro io, a Napoli, non c’è una mensa. A Genova, credo potrebbe anche non esserci e cambierebbe poco. Il giorno che ero lì ho chiesto quel che mi sembrava meno peggio, uno spezzatino di carne con verdure.

Le verdure consistevano in: qualche fetta di carota bollita, due fette di zucchine (fritte), un paio di fagiolini, qualche cecio, due fagioli rossi (crudi), piselli sparsi, qualche fetta di patata, un paio di pomodori, qualcos’altro non identificato, tutto mischiato nel brodo della carne.

Praticamente era il cestone dell’Autogrill con i cd musicali avanzati perché invenduti.

Ho portato un sacco di avanzi con me. Avanzi di racconti della mia collega, con cui ho viaggiato. Ha sempre racconti di lavoro, di pettegolezzi di lavoro, di inciuci di lavoro. Del resto, è da 10 anni che lavora lì. Ci sono 10 anni di avvenimenti che le avanzano nel frigo.

Sono un utile riempitivo del tempo, per evitare silenzi, mi rendo conto.

Delle volte, però, gradirei proprio il silenzio: che Tizio dell’Ufficio Alfa fu trasferito nella città Beta al posto di Sempronio che ha preso il posto nell’ufficio Gamma eccetera nell’anno domini 2017 può importarmene relativamente, soprattutto se non ho idea di chi siano Tizio e Sempronio.

Forse accumulerò anche io aneddoti o forse no. Tendenzialmente ho un difetto di base che mi rende inadatto a essere animale sociale lavorativo, inserito nei meccanismi che creano socialità: non me ne frega niente. Parliamo di cibo, di attualità, di quali sono i nostri gusti in materia di scampagnate, dei cormorani orfani, qualsiasi cosa, ma non del pettegolezzo da ufficio, ve ne prego.

Incontrare altre persone una volta giunti su a Genova è stato proprio invece un ripetersi di queste dinamiche. Un giorno e mezzo sempre ascoltando fatti e cose di altre persone, passate e presenti, della Spurghi&Clisteri.

A cena, ritrovandomi in un lato del tavolo con persone che avevo identificato come meno sociali, ho gettato la carta del parliamo di fatti nostri per variare un po’ sul tema pettegolezzi&cose di lavoro.

E se poi diventerò, per questo, argomento di pettegolezzo, per lo meno stavolta potrò dire: «Gintoki? Ah, sì, lo conosco!».

Non è che ti serva una canoa per superare una riunione-fiume

Ho terminato un libro che aveva preso ad annoiarmi. L’inizio sembrava promettente, poi si è ridotto come gli auricolari che metti in tasca: un groviglio non dipanabile. Prima di iniziarlo avevo letto un paio di commenti su Anobii che davano un giudizio mediocre al romanzo proprio per il suo aggrovigliarsi senza capire che direzione volesse prendere.

Ora però non saprò mai se mi sono fatto più condizionare dalle critiche o se il libro seriamente non funzionasse bene. Un libro non si giudica dalla copertina (vero, ma fino a un certo punto: ci sono copertine dalle quali sai già cosa aspettarti), ma neanche dai giudizi altrui (vero ma fino a un certo punto?).

Eppure noi, nonostante le belle dichiarazioni d’intenti, subiamo gli effetti di pregiudizi, giudizi affrettati, delle opinioni altrui. È inevitabile.

Va anche detto che i giudizi altrui non è che siano sempre sbagliati.

Io per esempio ho una collega con la quale quest’anno mi trovo a condividere un lavoro per il raggiungimento dell’obiettivo 2021. Ci interfacciamo a distanza, visto che lei lavora in un altro Centro a 900km dal mio. Non so manco che volto abbia. Per comodità narrativa, la chiameremo Asciughina.

Di Asciughina, prima di iniziare questo lavoro in collaborazione, avevo solo sentito dire che è pesante e rompimaglioni. È pesante, ma così pesante nel suo vagliare, analizzare e programmare ogni singolo aspetto, che di lei la mia collega di stanza d’ufficio diceva che (cito testualmente) «Anche una chiavata, se mai se ne fa una, se la deve programmare in agenda».

Di certo non erano le premesse ideali per approcciarsi senza pregiudizi. E, sarò sincero, quando mi hanno detto che avrei dovuto lavorarci assieme, ho invocato Anubi perché ho pensato che, essendo io l’ultimo arrivato, me l’avessero affibbiata di proposito perché nessuno la regge più.

Anubi è sceso e mi ha detto «Sopporta».

Fatto sta che i giudizi dicevano il vero.
Asciughina è il tipo di persona che parla per ascoltare il suono della propria voce. Butta lì un quesito, fa una pausa (e tu pensi di poter intervenire) e poi riprende a parlare rispondendo a ciò che aveva detto. Una conversazione con lei dura due ore (e non scherzo), perché continua a buttare sul tavolo cose su cose. È lenta e monocorde.
È accaduto più di una volta che, terminata una riunione (di due ore e 20) con altri tizi con cui lavoriamo, appena cliccato il tasto rosso lei mi scrivesse in chat chiedendomi di sentirci per fare il punto di quanto si era detto.

Siccome non sono una brava persona e c’è sicuramente un posto nell’inferno per i perculatori che mi aspetta, ho iniziato a questo punto a fingere impegni per troncare le chiamate.

All’inizio dicevo che avevo un appuntamento a breve (nota: si erano fatte le 18 e di solito stacco alle 17). Non funzionava perché dopo avermi detto «Va bene ci aggiorniamo la prossima volta» poi riprendeva il discorso come se niente fosse e andava avanti senza lasciar intravedere una fine.

Poi ho iniziato a fingere urgenze. Mi facevo chiamare da M.. Per esempio una volta ha finto di essere rimasta a piedi con l’auto.

Solo che quante volte ci possono essere urgenze?

Poi ho iniziato a fingere scadenze impellenti di lavoro cui mettere mano.

La volta scorsa le ho detto «Ciao, se è una cosa veloce sentiamoci pure, sennò rimandiamo».
Ha preferito rimandare. E tenermi il giorno dopo sempre due ore in conversazione.

Non bisogna farsi influenzare dagli altri, certo; si deve però ammettere che delle volte hanno più che ragione.

Non è che il motto del tessitore sia Aiutati che dio ti iuta.

Ricordo, quando ero alle medie, una volta ci venne assegnato un tema come compito a casa. La consegna riguardava più o meno il parlare delle volte in cui si era reso necessario l’aiuto di qualcuno.

A quei tempi non amavo molto il tema di tipo personale. Quello in cui dovevi raccontare di fatti tuoi, emozioni, sentimenti, eccetera. Se erano fatti miei, restavano fatti miei. Avrei accettato di scriverne come fosse un diario personale, ma l’idea poi di leggerlo davanti alla classe era qualcosa che mi creava fastidio.

Preferivo di gran lunga scrivere articoli e saggi. A tal proposito, sul tema in oggetto avrei scritto più volentieri – e con successo – un saggio intitolato “La ripugnanza di dover rispondere a una consegna di questo tipo: spunti e riflessioni”.

Com’è come non è, il giorno dopo, quando ormai stava per scoccare il 90° (cioè il suono della campanella), per una mia battuta di troppo la professoressa mi richiama all’ordine e mi invita a leggere il tema.

Mi schiarisco la voce e, con riluttanza, leggo il mio svolgimento: «Non ho mai chiesto l’aiuto di qualcuno e se l’ho chiesto non me lo ricordo».
La professoressa: «Eccolo, il solito Gintoki, caustico e sprezzante. Va be’ vai avanti»
«Ehm in verità ho terminato qui».

Scoppio di risa generale. Insufficienza sul registro. Campanella, sipario.

Non è che proprio avessi scritto qualcosa di lontano dalla realtà.

Chiariamo: l’aiuto di qualcuno capita sempre e io chissà quante volte l’avrò chiesto. Ma è anche vero che ho presto capito che Chi fa da sé fa per tre, che È meglio soli che male accompagnati, eccetera eccetera. Sono giunto alla conclusione e ho consolidato in me l’idea che certe cose è meglio risolversele da soli.

Anche perché, sarà incapacità mia nel comunicare i miei bisogni, delle volte non ho riscontrato una comprensione o una risposta che fosse conforme alla mia richiesta. E ciò lo ricollego sia all’incapacità mia nel comunicare sia alla presenza nel prossimo di una base pregiudiziale che inficia la risposta finale. In parole povere, se il mio interlocutore mi pone un input e nella mia testa ho già un’idea formata oppure ho la presunzione di aver compreso senza terminare di prendere in considerazione tutti gli elementi, il mio output sarà qualcosa non in linea con ciò che si aspetterebbe l’altro.

E credo che nel non capirsi sia una cosa che quotidianamente noi esseri umani ricadiamo. Allora, stando così le cose, la mia filosofia è Tranquilli, faccio da me.

Per fortuna, e sottolineo per fortuna, non è possibile far tutto da soli. Per dire, nella mia vita lavorativa mi è capitato che qualche santa in paradiso perorasse la mia causa. Il mio lavoro attuale dipende dalla mia collega, che ha insistito con chi di dovere perché trovassero il modo di assumermi in pianta stabile. Me lo sarò guadagnato perché fossi stato un incapace o un inetto mi avrebbero rispedito a casa, certo, ma resta il fatto che se a un certo punto non avesse rotto le scatole affinché prendessero una decisione, io oggi non so dove sarei.

Pertanto penso che un giorno o l’altro vorrei omaggiarla di un omaggio. E siccome è sempre fonte di spunti interessanti, frasi epiche o aneddoti divertenti, pensavo a qualcosa in linea col personaggio.

Qualche giorno fa, parlando con una collega, se ne è uscita con un’espressione che grossomodo è da intendersi come “Non siam mica qui a pettinar le bambole”. Solo che la sua frase era più colorita e, direi, icastica (anche perché chi è che oggi va in giro a pettinare bambole?):

«I peli da sopra la fessa non ce li togliamo in ufficio ce li togliamo a casa».

L’idea che mi era venuta era di farne una sorta di manifesto pop, come quelli che vanno di moda oggi (del tipo di Testi Manifesti).

È solo una bozza e va ridefinita, ma credo possa essere una buona base di partenza:

Per migliorarlo avrei forse bisogno di aiuto.

Non è che serva un telo per coprire la puzza

Avevo accennato al mio difficile inserimento nell’habitat dei ricercatori alla Sgranocchia&Sottrai Inc.. Essendo io presenza nuova ed estranea al loro mondo, è normale che fossero diffidenti e impauriti nei miei confronti.

A distanza di 3 mesi posso dire che le cose sono mutate.

Noto adesso un senso di maggior fiducia in mia presenza, credo non mi vedano più come una minaccia o un animale predatore.

Addirittura qualcuno si azzarda a pormi delle questioni. Ecco, andrebbe certo risolto un equivoco di fondo: il fatto che io condivida la stanza con uno che si occupa delle loro questioni amministrative non implica per forza di cose che io svolga lo stesso lavoro. Ma loro forse sperano io possa essergli d’aiuto e mi raccontano le loro problematiche burocratiche senza che io abbia chiesto niente.

La soluzione che do spesso, essendo spesso assente il loro riferimento amministrativo, è lapidaria e rassicurante: Scrivigli una mail.

Credo anche questo possa contribuire a un avvicinamento.

Addirittura una si è premurata che io mi fossi approvvigionato a del cibo rituale che aveva messo in comune per la sua tribù. Hanno loro questa usanza, un equivalente del nostro genetliaco (probabilmente una forma di assimilazione culturale), in cui si portano nel nostro Centro delle paste di pasticceria per quell’occasione.

Ma c’è un altro episodio che mi ha fatto comprendere di essere entrato in una nuova fase dei nostri rapporti.

L’altro giorno ero nei bagni, nella zona comune dei lavandini. Sento uno sciacquone alla mia destra, provenire dal bagno delle donne. Esce una ricercatrice, mi vede, lascia la porta spalancata, si sciacqua le mani e se ne va. Io, che ero ancora lì, vengo raggiunto nelle mie narici da…diciamo non fiori di campo, provenire dal bagno da cui era uscita.

Ora, che le donne (anche quelle che ricercano) puzzino è una verità che che l’umanità può affrontare nel 2020 – e che diamine! -, insieme al discorso dell’acqua nel sottosuolo di Marte e di Europa e le possibili forme di vita aliene che essa contiene. E forme di vita aliene di sicuro spesso abitano nei nostri corpi, visti poi certi risultati.


Ma mi rendo conto che per menti più umili siano ancora cose difficili da accettare. Ma questo non è un blog umile.


Il discorso è che la ricercatrice pur avendomi visto non si è preoccupata di socchiudere la porta, per celare il puzzo.


C’è un ampio finestrone in alto all’interno, quindi non serve tenere la porta spalancata per arieggiare.


Questa allora familiarità che si è creata, tanto da condividere anche le puzze – forse una qualche forma di comunicazione, come strusciare il perineo su alberi e porte o alzare la coda e innaffiare tutto ciò che capita a tiro – mi lascia molto soddisfatto di me.

Il mio atteggiamento antropologico, infatti, non è mai stato invasivo né indiscreto tanto da farli sentire osservati; è vero che mi esibivo in radiosi Ciao! quando li incontravo per farli sobbalzare, ma anche a questo, dopo un po’, si sono abituati.

Ecco allora che se è vero che qualunque osservazione inquina o altera un po’ il contesto in cui questa si svolge, non è comunque esentato l’osservatore scrupoloso dal cercare di apportare meno rumore (nel senso di fastidio e invasione) possibile all’habitat in cui si muove.

Posso appieno quindi considerarmi un provetto ricercatore di ricercatori.

Non è che il ventilatore ti annoi perché è un giramento di pale

Per la rubrica “Confessioni surreali che non avevo richiesto”, oggi mi trovo a raccontare di alcune situazioni verificatesi dove lavoro.

La guardia alla reception del turno pomeridiano è il tipo di persona che se ti ingaggia ti investe di chiacchiere.

Pensavo che, non conoscendoci, sarebbe andato per gradi con me. Invece no. La nostra prima conversazione si è svolta così:

– ‘Sera.
(dico io, uscendo)
– Buonasera, buonasera.
(replica lui, cordiale. Poi si alza e mi segue)
– Mammamia, che caldo.
(esclama, mettendo il naso fuori mentre io esco)
– Eh sì.
(faccio io)
– Però non è che si può stare sempre con l’aria condizionata. Io poi la soffro tantissimo, mi basta un colpo di freddo e devo correre in bagno.
– Eh troppo bassa magari non bisogna tenerla.
– Però poi la notte non si dorme. Solo che se la tengo accesa pam! diarrea. Ma pure col ventilatore. Se tengo il ventilatore acceso durante la notte, il giorno dopo: diarrea! Pure se lo tengo puntato sui piedi, poi sto male di pancia.
– Eh magari è ipersensibile al freddo.
(io, tra il perplesso e il disagio)
– Ma pure se mi mangio qualcosa, ieri mi son preso un polaretto dal frigo e son dovuto correre in bagno.
– Eh deve fare attenzione
(nel frattempo ormai ero uscito dall’edificio ed ero sceso giù alle scale, sperando mi lasciasse andare, come poi è stato)

E niente, questa è stata la nostra prima conversazione.

Anche la mia collega ha iniziato a raccontarmi di un po’ di fatti suoi.

Ad esempio la storia delle fatine bucchine. Che è il modo carino con cui definisce la ex moglie e le due figlie del suo compagno.

Il succo della storia è che questo tipo si fa spennar denaro per qualsiasi vizio da parte delle fatine.

Ovviamente questa è la versione della mia collega.

Prima delle ferie mi ha raccontato l’aneddoto in cui la ex moglie ha scritto a lui per chiedere un centinaio di euro per la figlia minore, che aveva bisogno di un set di bagnoschiuma per il suo viaggio a Londra.

Alle rimostranze del tipo sulla necessità di 100 euro per farsi uno shampoo, la ex moglie ha replicato “Però per QUELLA li spendi i soldi”.

Al che la mia collega, che era presente mentre lui riceveva questi messaggi, gli ha sottratto il telefono dalla mano per registrare questo vocale:

– Senti bella, io la mia roba me la compro da sola. Ma se hai bisogno, te lo vado a comprare io il bagnoschiuma, pezzente.

E niente, immagino che il Natale sia sempre un bel momento.

In tutto questo mi chiedevo: ok, ma perché devo conoscere io queste cose?

Un altro aneddoto curioso è quando mi ha raccontato di una sua amica con cui è impossibile andare in vacanza perché, essendo fanatica dell’igiene, passa un sacco di tempo in bagno a lavarsi, come mezz’ora per un bidet.

– Alessà’, quello un buco è, che tieni da lavare?!
Le ha urlato una volta.

Al che, per elevare la discussione, ho detto che non avrà più difese, distruggendosi la flora batterica a forza di lavaggi continui.

– Infatti si becca sempre la candida. Ci credo, sta un’ora a lavarsi la fessa.

Cioè diciamo che pure io che do corda alle conversazioni poi me la vado a cercare.

Non è che vai all’ufficio oggetti smarriti se perdi la faccia

Avevo raccontato dei miei tentativi di approccio alla stampante della sede. Ieri ho fatto una scoperta. Se volessi stampare un’intera collezione di numeri di Playboy in alta risoluzione, scaricati sul pc, non ci sarebbero problemi.

Se invece volessi fare una scansione di un documento avrei bisogno di un badge speciale con un permesso speciale che si ottiene con una richiesta. Immagino speciale anch’essa.

Non mi spiego la ritrosia di una collega a sbloccarmi la stampante col suo badge: «No non vorrei che poi si chiedessero perché Clarabella Cavezza ha visionato questi documenti». Una scansione di una fattura per aghi e provette inviata alla mia mail. Sì, qualcuno indagherà di certo su questo che sembra il tuo collegamento con dei loschi affari che sto gestendo.

Non mi spiego tutto ciò se non col fatto che qualcosa di increscioso deve essere successo. Secondo me qualcuno dev’essersi fotocopiato le chiappe e quando il megadirettore o qualche alto papavero (si sa che i papaveri son alti alti alti) è passato in visita si è trovato il corridoio tappezzato di culi. Sarà sicuramente andata così.

Che poi, magari poteva essere un contributo alla ricerca. Sull’importanza del culo. Non vorrei sembrare monotematico, visto che l’altra volta parlavo di quello di Scarlett Johansson; questa volta rassicuro non c’è niente di libidinoso o di pecoreccio di cui parlare. Più che altro, mi soffermerei sulle importanti funzioni che svolge.

Ad esempio, come ci siederemmo senza culo? Come atterreremmo quando cadiamo o scivoliamo? E, soprattutto, come farebbero alcune persone ad avere una faccia, senza un culo che ne dia le fattezze?

Penso ad esempio ai buoni samaritani. Quelli che ti avvicinano col proposito di darti buoni consigli (sentendosi come Gesù nel Tempio, cantava il cantore), in maniera alquanto impicciona e invadente su cose private tue o della tua famiglia, precisando però che

– È solo un consiglio
– Lo dico per te
– È solo così per parlare

Il più delle volte si tratta di persone che conosci appena o che forse non conosci affatto. Ma loro conoscono te e tutti quelli come te che a loro dire vanno educati, guidati, consigliati, ravanati nelle parti intime con un Moulinex fatto di buoni propositi.

In genere poi si tratta di persone che questi suggerimenti li forniscono in maniera abbastanza passivo-aggressiva, che non tollerano che, al contrario, qualcuno si intrometta nella loro vita e che, in certi casi, non sarebbero manco un modello di buoni sentimenti.

Pensate allora se non esistesse il culo come faremmo a riconoscerli in faccia!

Non è che una pesca di beneficenza sia un frutto estivo che ti è stato donato per solidarietà

La vita a volte è una questione di sincronismi e di tempi. Sono momenti, intercettati come flussi neutrinici che possono fare la differenza tra un qui e ora esatto e un qui e ora che non era il caso.

Come quando hai fatto merenda alla scrivania con una pesca, di quelle a polpa gialla succosa che ti lasciano filamenti tra i denti e ti alzi quindi per andare in bagno a ripulirti perché non ti par bello farti vedere in ufficio mentre con l’unghia del mignolo ti dedichi alla pulizia dentale.

E, proprio quando ti sei alzato, il collega decide di fare conversazione chiedendoti come sono le spiagge della Puglia, quanto tempo ci vuole ad arrivare, come è il mare, come sono gli scogli, come sono i granelli di sabbia.

E tu non vuoi mollarlo lì e andartene, ma hai questo lombrico giallo che senti ti penzola tra un incisivo laterale e un canino, quindi prima parli con la mano che si tiene il mento e indice e medio che coprono un po’ la bocca, dandoti l’aria di un docente che sta valutando uno studente a un esame di filologia dantesca.

Nel frattempo mentre parli ti avvicini verso la porta lasciando intendere che stavi andando da qualche parte, ma lui sembra non notarlo.

Cominci poi a parlare tenendo chiuso l’angolo della bocca incriminato, assumendo una smorfia da Rocky Balboa.

Infine lui ti libera dalle sue domande e, proprio quando esci dall’ufficio, sarà stato un movimento di lingua spontaneo, sarà un accumulo di saliva stagnante nella guancia causa la smorfia scomoda, il filamento se ne va via da solo.

Son momenti.

Non è che devi essere un sovrano per fare esperienze Reali

Ho condiviso esperienze, per di più lavorative, con diverse persone nella mia vita. Ho spesso constatato un forte spirito di attaccamento in quei frangenti, il cosiddetto fare gruppo che motivatori pagati un metalmeccanico l’ora mirano a costruire con le loro consulenze, proiettando slide e organizzando giochini aperitivi degni di un animatore Alpitour degli anni ’90.


Quando invece ho avuto esperienze con motivatori ho ricevuto l’effetto contrario desiderando di fare come Jack Frusciante.


Abbiamo riso – spesso anche pasta in qualche pranzo – ci siamo abbracciati, toccati, scambiati fluidi.


L’ultima cosa forse è avvenuta solo in qualche strano sogno erotico che ho fatto.


Quando l’avventura termina ci si lascia con rammarico. Non sparire, Restiamo in contatto.

Dopo un po’, qualche messaggio di meno, una conversazione che si fa silente, argomenti che scarseggiano perché esaurito il campo de Ti ricordi quella volta?, i contatti si fanno sempre più sporadici e brevi senza altro da dire.

Perché in realtà non abbiamo mai detto nulla. Abbiamo sempre tenuto le rispettive vite private al di fuori di qualsiasi spazio di condivisione. Esauriti i discorsi con al centro il lavoro o i docenti, non abbiamo altro da dirci perché altro non conosciamo gli uni degli altri.

Spesso mi interrogo sulla concretezza di queste esperienze. Mi chiedo se siano reali o meno. Se lo sono, com’è che si volatilizzano velocemente come 10€ nel mio portafogli? Se non lo sono, perché sono sempre così intense?

Ma soprattutto: chi motiva i motivatori?

Non è che l’educazione sessuale consista nel ringraziare dopo un rapporto

ATTENZIONE: QUESTO POST NON HA ALCUNA FINALITÀ EDUCATIVA E PERTANTO L’AUTORE SI AUTOESONERA DA POSSIBILI DANNI DERIVANTI DALL’USO DI QUANTO SEGUE


L’altro giorno passa in ufficio un collega che, senza gli avessimo chiesto niente, ci inizia a parlare dei cavoli suoi. Tra le varie cose, ha espresso la propria preoccupazione per il dover affrontare col figlio 13enne alcuni discorsi seri: il sesso, in primo luogo, e, poi, dato che l’anno prossimo andrà al liceo, la droga.

Già qui secondo me sta partendo col piede sbagliato. Per me dovrebbe iniziare prima con la droga e poi col sesso: la prima aiuta a fare il secondo.

La preoccupazione di un genitore è comprensibile: c’è tanto bombardamento di informazioni e contemporaneamente tanta disinformazione che è difficile tenere un figlio lontano da messaggi fuorvianti.

Prendiamo l’ultimo “click award”:


Il click award è una non-notizia che fa scalpore e vince il premio di più cliccata del giorno


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Tante risate e ironia su questa notizia diffusa da varie testate e siti. Un giovane che messaggio ne coglierà? Che il sesso ascellare fa ridere.

Un genitore savio dovrebbe invece insegnare al figlio che il sesso ascellare è più pratico, pulito, sicuro e anticoncezionale. E magari si può provare dopo aver strofinato una pietra di hashish sulla medesima ascella (giacché anche la droga ascellare dovrebbe essere una pratica posta all’attenzione).

Tornando al mio collega, lui sosteneva che non sapendo come introdurre certi argomenti, pensava di parlarne dopo aver visto un film. Ad esempio, citava Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino come uno spunto per parlare delle droghe.

E per il sesso come si fa? Beh, io direi che la pornografia ci ha sempre fornito i migliori spunti e non capisco perché nel 2020 ancora non venga presa seriamente in considerazione per finalità educative, quantomeno dai poteri forti perché noialtri già ne conosciamo il potenziale didattico.

Io ad esempio dai porno ho appreso varie avvertenze e indicazioni:

  • I PERICOLI DEL MESTIERE: Fare il ragazzo delle consegne è un mestiere difficilissimo; ti capita sempre di venir trascinato dentro casa da una donna seminuda che ti porta ad avere del sesso con lei mentre tu hai ancora il tuo giro da terminare. Anche i giardinieri e gli idraulici non se la passano benissimo.
  • SII COOL: I letti sono per gli sfigati. Si fa sesso in qualsiasi luogo della casa, soprattutto le cucine, purché non su un morbido materasso come dei pappamolla
  • LE PERSONE SONO GENEROSE: Se c’è più di una donna nella stessa stanza vuol dire che sono lesbiche. Se ci sei anche tu nella stanza però loro decideranno di condividere con te del sesso
  • RISPETTA IL TEMPO: Le persone che fanno sesso hanno sempre orgasmi simultanei
  • PRENDITI LE TUE RESPONSABILITÀ: Prestare aiuto a una donna più adulta comporterà alla fine del sesso, sappilo
  • RISPETTA LA PRIVACY: Non spiare mai una donna mentre si cambia perché poi pretenderà del sesso da te come punizione
  • LE SUOCERE SONO INVADENTI: La madre della tua ragazza ti imporrà del sesso, prima o poi, non appena ti ritroverai da solo con lei. E delle volte anche mentre c’è la tua ragazza
  • SII PAZIENTE: Ci sono molte più persone di quanto tu creda che hanno problemi di memoria a breve termine e che hanno costante necessità che tu ricordi loro quello che devono fare, ripetendo di continuo imperativi come f*ck, s*ck e così via
  • INCLUSIVITÀ: Non importa chi tu sia o da dove tu venga. Il pornosesso accoglie tutti.

Cosa meglio di un porno può quindi prendersi cura dell’educazione sessuale dei nostri giovani?

Non è che per il fotografo la prima impressione sia tutto

È settembre. È lunedì. Urge riprendere.

Il lavoro? No, il blog.

In questa nuova stagione ci saranno tante novità interessanti. Ci sarò io, sempre io e solo io. Sono tornato dalle vacanze carico di voglia di pensare soltanto a me. E con 4 kg in meno. È il peso di tutti i soldi che ho speso in Islanda (tendo a convertire tutto in spiccioli).

Non è settembre e non è lunedì senza la ripresa delle rotture di maglioni. Oggi mi ha chiamato un tizio dalla sede centrale, un tizio che ha due nomi di battesimo e un cognome che è formato da altri due nomi di battesimo. Praticamente è uno e quadruplo. Non ho fatto in tempo a rispondere, mi ha lasciato un messaggio in segreteria. Era mia intenzione richiamarlo dopo pranzo. Mi ha richiamato lui prima.

Voleva sapere degli sviluppi di un progetto di cui si era parlato a inizio estate:

– Gintoki, se ricordo bene ti avevano detto a giugno che non si poteva far niente e di riprovare a settembre. Quindi?

Quindi cosa? Oggi è lunedì 3 settembre. Mi chiedo secondo lui quando avrei dovuto vedere questi tizi.

Il problema lì su nella sede centrale della Spurghi&Clisteri SpA per cui lavoro è che ognuno per cui svolgi delle mansioni pensa di essere l’unico da servire e accontentare o, quantomeno, il primo della lista dei tuoi pensieri.

Io per ora ho solo una lista di postulanti e seccatori e costui ha fatto un bel balzo in classifica quest’oggi.

Pensare che una settimana fa ero qui:

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A spaventare i turisti vestito come un rapinatore.

Per lo scatto di questa foto fornisco alcune info per gli appassionati di tecnica fotografica:

– mi sono immerso con i piedi nel fiume per ottenere un maggiore realismo;
– l’effetto della cascata schiumosa e schiumante si ottiene con un paio di fustoni di Dixan rovesciati nell’acqua;
– gli occhiali a specchio servono alla fotocamera per prepararsi allo scatto mettendosi in ordine;
– il cielo è un allegro pomeriggio d’estate di Domodossola gentilmente fornito in prestito dalla Sovrintendenza;
– se ascoltate la foto al contrario il rumore della cascata sembra una canzone di Julio Iglesias.

La location è ovviamente islandese – qui ero a Gullfoss – ma potete ottenere ottimi risultati anche con una vasca da bagno e un secchio. Se poi non vi piacciono le cascate in alternativa potete andare uscire a prendervi un gelato.

Non è che serva consultare l’indice per leggere il pensiero

Scorro annunci di lavoro. Ce ne è uno che, tra gli altri requisiti, chiede Disponibilità ad operare anche in attività “su strada”.

Quel “su strada” tra virgolette mi lascia molto perplesso. Ma sarò io che mi lascio fuorviare dai miei schemi mentali.

Parlavo giusto oggi di una cosa del genere – schemi mentali, errore di lettura del pensiero altrui – con una persona, che poi sarebbe la ragazza del Servizio Civile che viene in sede solo perché è obbligata anche se non c’è niente da fare. E io non posso darle qualche attività perché non sto facendo niente neanche io.

Quindi impieghiamo il tempo con attività di consultorio: lei parla e io ascolto.

A me fa piacere quando le persone si confidano con me, vuol dire che mi trovano degno di fiducia. Oppure sarà che dato che difficilmente racconto i fatti miei pensano che io non vada a spifferare i loro, cosa che infatti non faccio.


Salvo poi usarli come spunto per i miei post qui ma è una cosa diversa, sono “licenze letterarie”.


Ciò che emerge dalle confessioni altrui che ho ascoltato negli anni è che il mondo delle relazioni è un mondo fatto di matti.

Un tizio che si punta un coltello alla gola – un coltello da burro – minacciando di uccidersi, al grido di “Se te ne vai io mi ammazzo”. Una simile sceneggiata che neanche un Mario Merola d’annata. Anzi, Mario Merola gli avrebbe rifilato un paio di sberle e l’avrebbe mandato a letto senza cena.

Un tizio che pipperebbe anche le strisce di un campo da calcio e che non riesce ad avere rapporti sessuali se non guarda prima un film porno. E dopo il rapporto, un altro porno perché sennò non riesce a prendere sonno.


Test clinici dimostrano che un buon porno può risolvere problemi di insonnia ma l’industria delle camomille non lo dice.


Un tizio che litiga con la propria ragazza e se ne va dalla stanza scalando come una scimmia il balcone invece di utilizzare la porta.

Una tizia che non vuole il cane sul letto quando dormono insieme. Il tizio dice Mi dispiace, il cane dorme con me, tu puoi dormire fuori, addio. E nessuno dei due che si è sognato di chiedere un parere al cane!

E infine la tizia del Servizio Civile che afferma di aver bisogno, ogni tanto, come valvola di sfogo, di litigare.


Comprarsi un punching ball secondo me sarebbe una soluzione migliore.


Solo che lui non raccoglie le provocazioni e fa spallucce e questo la fa innervosire ancora di più perché lei comincia a fare dietrologie sulle sue spallucce. Poi dopo per vendetta lui sparisce non facendosi sentire per una settimana.

Insomma, il mondo è un covo di gente svalvolata.

Lo dico sempre al tizio che vedo nello specchio la mattina e che mi copia le espressioni facciali.

Non è che se i tuoi amici hanno reazioni esagerate allora sono una compagnia teatrale

Sono momenti particolari alla Spurghi&Clisteri SpA dove io lavoro.

Per dire, c’è uno che impiega il tempo libero con il teatro e la recitazione ma in concreto si comporta come se fosse il lavoro a essere il suo hobby. Comparirà anche in una particina in una popolare soap. Sono ansioso di vederlo perché dicono sia bravo. Al che forse penso di capire, magari sta soltanto recitando di lavorare con noi.

Ci sono poi momenti di paranoia inconsulti, come quando, scherzando, ho detto alla ragazza del Servizio Civile chi glielo fa fare di presentarsi, se ne stesse pure a casa. Dopo, con apprensione, sono stato ripreso perché “Non bisogna dire ai ragazzi del SC che se ne possono stare a casa, loro poi ci credono e se qui viene un controllo poi ci tolgono la convenzione…”.

Io da quando sto qua l’unico controllo che ho visto è quello effettuato dalla tizia della macchinetta del caffè in comodato d’uso che viene a controllare che le versiamo la quota mensile.

Poi avverto ogni tanto la sensazione di un controllo della prostata non richiesto quando ti sbolognano all’ultimo momento cose sgradevoli ma questa è un’altra storia.

Necessiteremmo invece di una visita di un qualche ispettore della sicurezza sul lavoro, viste le condizioni in cui versa la sede. Se non altro per il livello di umidità che trasuda dalle pareti – siam al di sotto del livello del mare che è lì a 200 metri, ho chiesto di diventar enclave dei Paesi Bassi – e che mi ha causato diversi malanni in tutti questi mesi. Non voglio accampar scuse, sono sempre stato di salute cagionevole e irragionevole ma credo qui si sia superata la soglia di ragionevolezza.

Se chiedi su (e con su intendo sempre dirigenzialmente e geograficamente) ti rispondono di cercartene una nuovo, loro senza problemi provvederebbero a prenderla in affitto. Purché rispetti tutti i requisiti di sicurezza e abbia l’accesso per disabili e i bagni a norma  (tre bagni e non uno solo come ora) e l’impianto di aerazione e deve essere visibile fronte strada, insomma tutte le cose che qui attualmente non ci sono.

Riassumendo:

– Abbiamo una sede non a norma
– Per averne una nuova debbo cercarmela io
– Deve soddisfare tutti i requisiti e anche più sennò niente

Ho capito perché il tizio di cui sopra recita: siamo nel teatro dell’assurdo.