Non è che se una verità è supposta allora te la puoi mettere da qualche parte

Parlavo con un tale. Mi ha raccontato di una situazione che gli è capitata, con un’agente di commercio. In pratica, questa agente ha avuto delle grosse difficoltà a intraprendere la professione, causa opposizione del marito e della famiglia. I motivi?

  1. Fare l’agente di commercio, andare in giro, incontrare persone e negoziare con loro è un lavoro da uomini.
  2. Se la moglie si cerca un lavoro, la gente può pensare che il marito non è capace da solo a provvedere ai bisogni economici familiari.

Una storia simile l’avevo già sentita altre volte. Mogli che lavorano di nascosto dei mariti al mattino, perché loro non vogliono, perché poi la gente pensa che “l’uomo non bravo a fare l’uomo di casa”.

Correnti di pensiero che non sopravvivono soltanto nel mondo maschile: io ricordo ancora una ex collega, anni fa quando ero impegnato in un altro lavoro, che diceva che non esistevano più i veri uomini e le vere donne, cioè l’uomo che provvedeva ai bisogni e la donna che curava la famiglia.

La cosa più bella della considerazione della ex collega era che poi secondo lei era per questo motivo – cioè che non ci sono veri uomini e donne che fanno gli uomini – che 2stanno uscendo in giro tanti omosessuali”; avrei voluto farle notare che gli omosessuali di oggi sono figli e nipoti dei “veri uomini” e delle “vere donne” di prima, quindi qualcosa non deve aver funzionato nella sua tesi: dai veri nascono comunque i falsi!


Forse il suo ideale di verità è legato a una verità supposta, che, per dirla à la Caparezza, in quanto supposta se la può infilare da qualche parte.


Sarò sincero e mi confesso: quando sento questi discorsi mi faccio i fatti miei. Come quando stavo parlando col mio amico libraio e si è avvicinato il proprietario di un locale di fianco che, cambiando decisamente il nostro argomento, inizia a parlare di donne e uomini e ci elargisce una grande – secondo lui – verità: che il problema di oggi è che le donne vogliono fare gli uomini.

Io me ne sono semplicemente allontanato per non ascoltarlo.


Con molta viltà lasciando l’amico libraio a tenere il discorso, è vero.


Mi stanco nel dialogare con le persone. Mi tedio delle banalità, dei preconcetti, delle verità supposte (vedasi nota sopra), e di concetti che di per sé non significano proprio niente.


Ad esempio, sempre nella mia sempiterna ingenuità, non è mi è chiaro il concetto di “voler fare l’uomo”. Forse le donne vogliono rubarci il privilegio della minzione in piedi? Questo sarebbe pretenzioso, lo riconosco.


Non so se sia corretto il mio atteggiamento di rifiuto del confronto. Credo di no. Come quando a uno che voleva convincermi dell’esistenza di vari complotti – dall’11settembre allo sbarco sulla Luna – dissi Senti non sono d’accordo e non ti ascolto. Non ritenni di dover spendere tempo a cercare di ribattere, controbattere e controargomentare le cose che mi diceva.

Ripeto, forse mi sbaglio. Probabilmente non si farà mai un passo avanti nella società se non ci si preoccupa di ricercare un confronto, un dibattito e di far riflettere le persone. Ma se l’altra persona parte da una posizione dogmatica – tipo c’è uno nella mia città convinto che il Papa sia satanista e che Trump sia a capo dell’armata dei buoni – val la pena cercare un confronto?

O è meglio girare i tacchi e andare a farsi una birra?

Non è che il pornoattore venga bocciato all’orale

Il tipo di fronte a me ha una maglietta con Paperon de’ Paperoni che si tuffa in un mucchio di rotoli di carta igienica. Il tipo di fianco a me gliene chiede il significato.

«È quando all’inizio della pandemia in alcuni Paesi la carta igienica sparì e diventò preziosissima. Tra un po’ non potrò metterla più che non si capirà più il significato perché nessuno se lo ricorderà».

«Potresti continuare a metterla per spiegarne il motivo»

«Secondo me sarà sempre un aneddoto interessante da raccontare pure quando lo si sarà dimenticato», intervengo io.

Gli aneddoti.

Delle volte propendo per dare una supremazia alla narrazione orale rispetto a quella scritta. Perché lo scritto, se lo rileggi 100 volte, resterà sempre uguale a sé stesso. Certo, la seconda, magari anche la terza, potrai ritrovarvi più cose, comprenderne appieno altre sfumature, ma resterà comunque immutato.

L’oralità invece è come se ricreasse il racconto di volta in volta. Sarà per questo che è sempre divertente ascoltare certe storie. Delle volte magari personaggi e situazioni cambiano un po’, un cane feroce diventa un branco, un controllo documenti diventa un posto di blocco dell’esercito, e così via. Alla fine il confine tra realtà e invenzione diventa così impalpabile che chi se ne frega. È il racconto per il racconto.


Da non confondere col racconto dei racconti che è un’altra cosa.

 


Mi piace immaginare che chi racconta si faccia interprete di una tradizione millenaria, vestendo i panni di un aedo, narrando, intrattenendo, lavorando di immaginazione sui pezzi più vaghi, perpetuando l’esistenza di una storia che continua a vivere.

Certo, poi se la storia è sempre la stessa raccontata da quel parente o da quell’amico che narra per la centesima volta delle due gemelle tedesche rimorchiate in spiaggia, diciamo sarebbe meglio se il racconto fosse semplicemente scritto, almeno per poterlo seppellire da qualche parte e dimenticarlo, mentre l’amico/parente, purtroppo, non lo si può seppellire vivo che dicono fa brutto.

Non è che ti serva un sovrano per avere una corte

Salve, sono Gintoki. Forse vi ricorderete di me per storie come l’uomo che fissava le zanzare.

Oggi, per la rubrica “Conversazioni interessanti”, ho raccolto un po’ di aneddoti del mio amico libraio riguardo il suo vicinato.

Lui non è un tipo strano o fuori dal mondo. Ma, dove vive, risulta essere lui quello fuori dal mondo perché non si uniforma a pensiero e azioni delle persone in quel contesto. In realtà, agli occhi di un osservatore esterno, sarebbero i suoi vicini quelli strani e al di fuori ecc. Ma, calato nell’interno di quel microcosmo, l’osservatore stranito sarebbe strano! Chiaro, no?

Un po’ di fatti.

Tanto per cominciare, il vicinato pensa di vivere in una sit-com americana, dove le porte non sono chiuse a chiave e la gente entra nelle case altrui senza bussare. L’appartamento del mio amico è piano terra e da un lato affaccia in questa corte condivisa con altre case. A volte capita che i vicini gli aprano la porta di casa e al grido di Buongiorno! si affaccino dentro, salutando con un ampio gesto della mano per poi congedarsi.


Al che ha preso a tenere la porta sempre chiusa a chiave ma è cambiato poco perché tanto provano sempre prima a girare la maniglia e poi bussare.


Poi ci sarebbe da raccontare quello che ha un po’ esagerato con la potatura. Il mio amico aveva piantato un rampicante che era cresciuto lungo un muro diroccato che divideva uno spazio di giardino tra lui e un altro vicino. Il rampicante si era esteso sino ad affacciarsi dall’altro lato del muro. Temendo che, col peso, potesse minacciare la tenuta dei mattoni apicali del muro, il vicino gli ha chiesto il permesso di spuntarlo. Il mio amico ha acconsentito.

Tornato a casa dal lavoro ha trovato il rampicante sradicato del tutto e, come se non bastasse, sfrondati dei rami anche un albero di limone e un’altra pianta (che stavano dal lato suo e non quello del vicino):

– Scusa ma perché hai tolto tutto il rampicante?
– Tu m’hai detto potevo farlo
– Io ti ho detto sì a una spuntata
– Sì, ho spuntato la pianta infatti

(al che si comprese che nella lingua italiana del vicino “spuntare” vuol dire sradicare)

– Sì ma gli altri alberi?
– Ah era per farti un piacere

I rami tagliati e il rampicante poi furono lasciati per terra per giorni. Il mio amico gli chiese conto di ciò:

– Va be’ mo’ li levo io, anche se sarebbero le tue piante…

Gli rispose il tale.

Poi ci sarebbe l’auto lasciata parcheggiata a bloccare la strada a un camionista, che, alle 7:30 del mattino, strombazza per cercare di far accorrere l’automobilista incivile e lasciar strada al camion. Senza successo. Si sveglia in pratica tutta la città, il clacson pluritonale lo sente anche il barista a 400 metri da lì. Arriva la Municipale (alle 8, perché prima non sono di servizio), che più di far una multa dice di non potere.

– E chiamare il carroattrezzi?
fa il mio amico, ingenuamente.
– Lo paga lei? Il Comune non lo paga.
Risponde il vigile.


Se ne deduce che quindi uno potrebbe abbandonare un’auto, un furgone, un camminatore imperiale di Star Wars per strada e la città rimarrebbe bloccata per sempre.


Finché, alle 8:30, scende di casa un vicino e, mezzo assonnato, chiede scusa per il fastidio, sale nell’auto d’ingombro e se ne va.

Ma la storia più bella è legata a quelli che dovevano svuotare dei mobili un appartamento al secondo piano.

Flashforward: un giorno il mio amico torna a casa e trova la finestra della stanza da letto in pezzi, con dei frammenti di legno sparsi ovunque.

Cos’era successo: non volendo fare le scale su e giù con dei mobili che erano peraltro da buttare, i Genialloyd della situazione hanno pensato di adottare una soluzione che avranno visto in qualche cartone animato con Topolino, Pippo e Paperino alle prese con una delle loro attività. Hanno steso un materasso matrimoniale al suolo e hanno cominciato a gettare i mobili dalla finestra, senza guardare giù se non a fine lavoro. Alla fine si sono accorti di aver così sfondato due-tre finestre degli appartamenti piano terra che si affacciavano da quel lato.

03

Ci sarebbero altre storie surreali, ma me le riservo per un’altra occasione!

Non è che il sub sia uno che ci resta sotto

Il ritorno a una normalità, con tutte le regole e le precauzioni del caso, è segnato anche dal veder comparire delle presenze familiari.

Questa sera io e due miei sodali – a distanze di sicurezza – siamo stati avvicinati da quello che definisco il Re dei Bruciati della città.


I Bruciati sono un gruppo di frequentatori assidui di un ritrovo storico a me familiare, che praticamente negli ultimi 20 anni ha cresciuto me e i miei amici a botti di Bass Scotch e Tennent’s. Una storia edificante, diciamo. Questi avventori, chiassosi e con problemi di equilibrio, li inquadrerei con termini scientifici dicendo ci sono rimasti sotto, da parecchio. Penso avessero familiarità con la keta prima che divenisse Myss.


Dopo avermi chiesto in dono, un giorno che non l’avessi voluta più, la maglietta col logo dell’Atari che avevo indosso, ha iniziato una conversazione, o meglio, un flusso di coscienza con oggetto la quarantena e le restrizioni, di cui non ho un filo logico da riportare o qualche passo specifico, se non uno che mi ha colpito quando ha detto che mio padre è cubico.

In realtà non mio padre nello specifico. Mentre lo diceva si rivolgeva a me e al mio amico, ipotizzando, a proposito delle regole, «Se un vigile prende e ferma tuo padre», rivolgendosi quindi a un padre che potrebbe essere quello di chiunque, un meta-padre martire dell’ingiustizia dello Stato.

Ebbene, ha proseguito, il vigile ferma il meta-padre perché è in giro e gli fa la multa e il meta-padre, «che altro deve fare? Lui è cubico».

«È cubico perché come devo dire ci vive dentro, le palazzine dove abita sono dei cubi, la fabbrica è un cubo, la sua vita è all’interno del cubo e quindi prende e paga 500€ di multa nonostante viva magari con una pensione di 600».

Ebbene, vi dirò, ho trovato che il discorso avesse un senso. In base alla parafrasi che ho fatto sulla via del ritorno a casa, quel che voleva dire probabilmente è che l’uomo onesto, l’uomo probo (tralalalalla tralallaleru), vive la sua vita irregimentato, confinato, abituato alle regole e alle imposizioni, cosicché anche di fronte a un abuso di potere come quello dell’ufficiale che lo sanziona per il semplice fatto di esistere lì in quel momento in quella strada in quello spazio di libertà, lui si piega perché la dimensione cui è stato abituato è quella dell’obbedienza.

Mai innanzitutto avrei pensato di ricevere un’illuminazione da un tipo del genere, con cui in verità non ho mai parlato in 20 anni ma che oggi si rivolgeva a me come se ci conoscessimo da una vita. O forse in una fase allucinatorio-onirica mi ha scambiato per un altro.

Mai, inoltre, avrei pensato a mio padre come cubo.


Tutt’al più da adolescente l’ho ritenuto un incubo, il che a ripensarci oggi mi porta a chiedere perché nessuno mi ha elargito talvolta una salutare dose di schiaffoni, ché va bene che la violenza corporale sui figli è sbagliata e non si deve applicare, ma magari due pizze in faccia come terapia anticoglionaggine di tanto in tanto io gliele avrei date a me stesso.


E adesso sono qui, che scrivo, all’interno di una stanza che è un cubo che vedo dopo che mi è stato squarciato il velo di Maya dagli occhi.

E se fossi io il bruciato?

Non è che un tipo bizzarro si trovi in libreria perché è il posto dei bei tomi

Lunedì, in giro per delle commissioni, sono andato anche nella mia libreria di fiducia, che quel giorno aveva riaperto dopo due mesi. Ci sono andato in bici, ma, incerto se fosse attività praticabile in quanto spostamento con mezzo di locomozione o proibita in quanto considerabile attività sportiva o ancora consentita purché senza finalità ludico/ricreative, pedalavo in moviola con una smorfia da pagliaccio triste. A un certo punto ho quasi imparato a stare in surplace.

Un paio d’ore dopo, circa, sono stato contento di rimettere finalmente piede nella libreria. Prima della chiusura era il luogo di ritrovo di vari personaggi stravaganti. Ne cito alcuni:
Il Maestro: che un giorno, senza che gli fosse chiesto, si è messo a dare lezioni di scacchi nella libreria e aveva proseguito nelle settimane successive. Un giorno gli è stato fatto notare che la libreria non è un circolo e lui si è giustificato dicendo che voleva fare proseliti per il club di scacchi. Al che il mio amico gli ha chiesto Allora al club di scacchi io potrei presentarmi coi libri a far proseliti per il gruppo di lettura? Il Maestro non è più tornato.
Il Premio Strega: ce ne sono diversi. È il tipo che afferma che nella libreria non deve assolutamente mancare il suo libro, perché lui è autore, sceneggiatore, regista, artista, fanculoalmondoista, Netflix gli ha già comprato per 20mila euro il soggetto (davvero, c’è chi ha detto così). Poi guardi il libro è vedi che a) è scritto per un editore a pagamento; b) è di 50 pagine scritte in font 18; c) ha evidenti errori di sintassi; d) infine se lui è tanto importante e conteso non si capisce perché abbia bisogno di mettere la bandiera in una piccola libreria di città a tutti i costi.


Nota: La mia idea sugli editori a pagamento (da non confondere col self-publishing), frutto di una valutazione generale – che non toglie ci possano essere casi particolari diversi – è che l’autore per loro sia un semplice cliente cui vendere un prodotto: la pubblicazione. Tolto quello, non c’è alcun interesse a una fase di editing, anzi, spesso non c’è proprio un editing, perché non esiste un piano editoriale concordato, fatto anche di promozione e distribuzione (e questo spiega perché l’artista di cui sopra debba andare porta a porta a elemosinare un posto sullo scaffale). Tutto ciò comporta che, alla fine, molti libri pubblicati con edp siano di qualità infima e non solo per punteggiatura e ortografia (che alcuni edp controllano anche) ma soprattutto per costruzione della trama, stile, coerenza narrativa.


Il negozio è triste e sta sempre qua: Quello che viene, chiacchiera, si lamenta per due ore, conclude dicendo No basta non torno più. E poi il giorno dopo ritorna.

Avendo trovato il mio amico a rassettare, gli ho chiesto come si regolasse con le norme igieniche: insomma, la gente raramente entra e dice “Voglio questo libro”. Chi fa così in genere lo fa per un regalo o per uno specifico evento (es. l’uscita programmata di un’opera di una serie). Nella maggior parte dei casi, le persone girano, guardano, sfogliano e leggono. In poche parole, toccano. Quindi, se decine di mani si posano sui libri, mani che sono state altrove, in giro,  come si fa di questi tempi? La gente non può più sfogliare libri?

– Eh o debbo disinfettarli con la candeggina oppure obbligare la gente a comprare i libri che hanno toccato
– Va be’ ma la candeggina li rovina
– Appunto. Quindi?

Ha detto ammiccando al libro che avevo appena tirato fuori dallo scaffale.

Scherzo, non è andata così.
Però il libro l’ho realmente preso perché dopo averlo sfogliato e maneggiato sul serio mi sentivo un po’ untore.

Non è che il fabbricante di porte sia un tipo ammanigliato

Ho un amico che si è messo in auto-isolamento per panico da panico. Nel senso che non ha il panico del contagio – gliene frega poco – ma gli è venuto il panico del panico delle persone: pur vivendo in una zona non toccata da alcuna emergenza, le persone hanno cominciato ad agitarsi, gli scaffali dei supermercati a svuotarsi, i ristoranti di sushi a chiudere per desolazione.

Il panico del panico è difficile da trattare. L’unico rimedio è appunto astenersi dal venire a contatto con impanicati.

Da piccolo credevo che i maniglioni antipanico si chiamassero così perché infondevano sicurezza: se uno cominciava ad avere un attacco d’ansia, si aggrappava alla maniglia e si sentiva meglio. Una volta quindi ci ho provato e ho fatto scattare un allarme. Mi sono spaventato assai.

Morale: la via immediata contro il panico non sempre è la soluzione giusta per il panico.

Il concetto però di aggrapparsi a qualcosa di per sé non è errato. Una persona mi aveva raccontato che quando si sente precipitare nell’ansia ha bisogno di qualcosa cui avvinghiarsi, foss’anche sentirsi raccontare un episodio dei Teletubbies.


Che a me in realtà fanno venire ansia. Sono aberranti e inquietanti. Sono inquierranti.


Ognuno di noi ha quindi una maniglia cui aggrapparsi. Anche se il più delle volte si finisce per attaccarsi ad altro.

Non è che il botanico sia uno al passo con la tecnologia perché si intende di Digitale

Da piccolo, quando sentivo che qualcuno si stava preparando per un concorso pensavo fosse impegnato anima e corpo nella raccolta dei bollini del Mulino Bianco o della Parmalat.

Poi crescendo ho capito che si trattasse di altro. Ho capito anche che fosse più facile vincere l’estrazione della Porsche della Melegatti che un posto messo a concorso pubblico.

Siccome a tutti capita, prima o poi nella vita, di prendere parte a un concorso, ne sto preparando uno anche io. Non si sa mai, metti che.

Tra le cose più insidiose nella preparazione c’è il riuscire ad allenare la lucidità mentale nel rispondere ai quiz. Ci sono delle volte in cui si gira e rigira intorno a un quesito che appare – errando – complesso, non riuscendo a vedere una risposta che è invece è immediata, chiara, lampante.

Questa storia mi fa venire in mente un episodio, accaduto a un mio amico. Un mio cugino. Al cugino del mio amico, che è anche un mio cugino.

Lui stava uscendo con questa ragazza. Si era agli inizi, ci si stava conoscendo. Quella sera si era creata l’atmosfera per conoscersi un po’ di più, nel senso biblico del termine.

Iniziò quindi una fase di approcci e sondaggi digitali. Dopo un po’, sempre il mio amico (o suo cugino) le chiese se le andasse di. Lei fece cenno di sì. Lui tirò su la mano e, mentre gliela passava intorno al viso, definendo con l’indice prima la appena accennata prominenza del suo zigomo destro e, poi, le vette del labbro superiore fin nella vallata dell’arco di Cupido sdraiata sotto il naso, si sistemava col corpo un po’ meglio (la comodità delle utilitarie!).

Lei in quel momento ebbe un sussulto e disse no. Poi si scostò e, risistemandosi, anche un po’ infastidita, chiese di tornare a casa. Il cugino (o il suo amico) rimase un attimo perplesso. Lei si scusò. Lui le disse che non aveva nulla di cui scusarsi. La riaccompagnò.

Prima di andare, lei si scusò ancora ma lui fermamente ribadì che non c’era nulla di cui scusarsi e che inoltre non era uscito con lei giusto solo per approfondire la conoscenza della Bibbia. Si congedarono sereni.

Sulla via solitaria del ritorno, però, il cugino di mio cugino si interrogava su cosa fosse successo. Beninteso, ci sta tutto che si possa cambiare idea o non ci si senta convinti di andar fino in fondo. La sua preoccupazione, essendo una persona molto autogiudicante, era però che avesse fatto qualcosa di sbagliato o qualche gesto inopportuno tal da impressionarla.

Mentre rifletteva e guidava, con la mano destra sulle 12 del volante, si passò la sinistra sul viso, corrucciato.

E proprio dalle dita di quella mano salì un afrore non particolarmente gradevole. Lì realizzò, facendo un rewind-stop del filmato di tutto l’accaduto, che la ragazza si era resa conto, nel momento in cui lui le aveva passato sotto il naso proprio quella mano, esploratrice digitale, di non sentirsi particolarmente a posto nella propria intimità e di aver dovuto quindi, per imbarazzo, fermarsi.

Ci sta, succede. Siamo esseri umani e capita, molte volte neanche per negligenza nostra, che non spargiamo sempre aroma di mughetto. O di mugatto, nel caso dei felini.

Questo aneddoto aiuta a comprendere che, molto spesso, la soluzione più semplice e immediata è proprio a portata di dita, sotto il nostro naso!


Visto che era citata nel titolo e, per alzare il livello del post, lascio qui la Digitale Purpurea del Pascoli

Non è che l’automobilista corretto abbia rispetto pure dei passanti della cintura

Oggi parlavo con un amico, che mi diceva che in Belgio hanno scoperto che quelli che parcheggiano sui posti per i disabili o riservati alle donne incinte non avendone il diritto, sono anche evasori fiscali.

Non so se sia vero ma mi piace pensarlo che lo sia.

Chi dimostra di farsi beffe del bene comune e del rispetto degli altri in un frangente secondo me lo fa anche in altri casi.

Io per esempio farei accertamenti e controlli su quelli che in coda a uno svincolo sorpassano a destra sulla corsia di emergenza.

O quelli che lasciano l’auto in mezzo alla strada e non restano neanche reperibili per spostarla. Se poi qualcuno richiama l’attenzione clacsonando o se arrivano i vigili, s’infuriano anche perché Ero andato un attimo a farmi la lipoplastica allo scroto, che diamine!.

Magari un controllo lo meriterebbero anche quelli che portano a defecare il cane dove gli capita. E non fatemi parlare dei loro cugini, quei campioni che fanno defecare il cane, raccolgono tutto nell’apposita bustina che poi abbandonano a un angolo della strada. Forse pensano che la bustina serva a confezionare il tutto a mo’ di cadeau per la delizia degli altri passanti.

Quelli che provano a fare canestro nei cestini e, non riuscendoci, lasciano il tutto per terra perché forse pensano che valgano le regole del basket: palla fuori, gioco per l’avversario.

Ci sarebbero tanti esempi e tante verifiche, per capire se uno si specializza in un solo caso di stronzaggine o se è sempre la stessa persona a fare tante cose.

Non è che devi studiar musica per scrivere note

C’è quella canzone di Samuele Bersani, Lo scrutatore non votante, che in una strofa recita Intervistate quel cantante/ Che non ascolta mai la musica/ Oltre alla sua in ogni istante.

Frequento spesso la libreria del mio amico. Ne avevo parlato qui. Ormai è diventato un luogo di ritrovo per tutte le persone stravaganti della città.

Due-tre volte la settimana si tengono presentazioni di libri. Di alcune delle quale il mio amico ne farebbe a meno. Esigenze promozionali gli impongono di ospitare anche autori non così apprezzabili.

Sabato c’era un tale a presentare il suo primo libro. La caratteristica di questo autore è che non legge. Gli è stato chiesto quali fossero i suoi riferimenti letterari. Ha risposto “il thriller”. Al che, alla richiesta di indicare qualche autore di questo genere che lui seguiva, ha detto che non ne ha, non li legge. Guarda film.

Autori contemporanei che legge?
Nessuno.

Gli è stato chiesto se, in generale, avesse autori che apprezzava. Ha risposto “Verga, Pirandello e Ungaretti”. In pratica il suo bagaglio letterario è la tesina del liceo.

Io non so come sia essere scrittore, dato che non lo sono. È vero che dicono che tutti abbiano un libro nel cassetto. Io nel cassetto c’ho al massimo delle note spese che ho scritto.
Nonostante ciò fatico a immaginare come si possa scindere la passione per la scrittura da quella della lettura. Sarò io ancorato a un’idea antica. Oggi ci sono tanti strumenti per formarsi e godere di letture elevate senza aprire un libro. Internet non è solo fuffa. Apro una pagina facebook classificata sotto Cultura e società e mi aggiorno sulle teorie della disuguaglianza sociale e la caduta del saggio di profitto, per dire, senza necessità di consultare Il capitale di Piketty. Si legge poco perché per apprendere trovi già tutto reperibile in maniera fluida e accessibile. No?

Non sono convinto che sia questa la motivazione. E che letture fast food – per quanto molte di qualità, ma gli autori che le producono scrivono comunque dei libri per esporre in maniera più chiara e dettagliata le loro idee – bastino.

E davvero vorrei essere certo che quelli che non leggono libri ma scrivono lo stesso si siano formati almeno tramite qualche rivista online o pagina social di divulgazione artistica/culturale. Dubito purtroppo che sia così. Se anche lo fosse comunque non basterebbe solo questo.

Non si tratta di elitarismo. Sono conscio che la pedanteria nei confronti della sacralità e dell’importanza della lettura abbia generato un senso di sottesa riprovazione verso chi non legge, non si accultura, non si informa, tal da creare una contrapposizione sociale, i cui negativi effetti oggi si avvertono ovunque, tra chi è considerato un borioso professore e chi dell’ignoranza ne fa bandiera della libertà di essere come gli pare.

A me che una persona, in generale, non legga non me ne può proprio fregare. Avremo un argomento in meno di conversazione.

Diverso è il caso di chi vuole esordire, presentarsi, irrompere – perché alcuni sono anche rumorosi e irruenti nel proprio introdursi – in un’arte in cui una base di strumenti che si forma solo con la gobba dello studioso è necessaria. Purtroppo accade sempre più (e l’autopubblicazione ha incentivato ciò*) che la pulsione di qualcuno verso la scrittura venga solo dal desiderio di mettere il proprio nome su uno scaffale. Cosa che, a giudizio di quelli che leggono davvero, non basta certo per definirsi scrittori.


* Ci sarebbe un’altra considerazione da fare e cioè che l’autopubblicazione non ha come prodotto finale il libro, come nell’editoria classica, ma l’idea di essere scrittore. Chi paga per crearsi il libro non sta producendo un’opera, sta acquistando un servizio. Come se io comprassi – ed è possibile farlo – la possibilità di farmi qualche giro su un circuito automobilistico su un’auto sportiva per sentirmi un pilota. 


Quello del tale di sabato non è il primo caso: il mio amico, che gestisce con dei soci la casa editrice indipendente di cui la libreria è propaggine, mi racconta che gli arrivano diverse proposte da parte di chi al massimo avrà letto il bugiardino dei farmaci che assume.


Non per intero, ovviamente, perché il mondo si divide in due categorie: quelli che vanno a leggere solo tempi e modalità di somministrazione e quelli che vanno a leggere gli effetti collaterali.

Io appartengo alla prima categoria, perché non mi piace spoilerarmi il finale.

 


Non è che ti serva il navigatore per cercare la tua strada

Si avvicina la data del matrimonio del mio amico e io penso soltanto a due cose: il vestito e la busta. Che sommate mi danno SPESA. Anzi, GROSSA SPESA. Lo so che sembra un discorso gretto, ma ultimamente sono molto sensibile al tema della povertà. La mia. Attendo il momento per svoltare, come dicevano i giovani. Non lo attendo mani in mano, direi anzi che mi sto dando ben da fare. Ho solo l’ansia che una volta svoltato io possa trovare:

  • la via bloccata
  • una strada senza uscita
  • una brutta strada
  • un posto di blocco (nel caso decida per svoltare verso attività illecite)

Al matrimonio non sarà presente un altro mio amico. L’amico che si sposa mi ha detto che non ha pensato a invitarlo perché non è che poi negli anni ci sia stato chissà quale rapporto. Avevo quasi pensato di chiedergli di invitarlo, poi mi son detto che il matrimonio è il suo e non ho mica diritto a dire chi deve invitare e forse sarebbe stato anche poco rispettoso. Il non-invitato però si aspetta di esserci e temo il momento in cui dovrò essere io a dire che è un non-invitato. E più passa il tempo da quando ho saputo che fosse un non-invitato e più mi sento in colpa senza neanche aver capito per cosa in concreto.

Ho già parlato della mia attenzione verso la povertà. Purtroppo sono sempre stato molto distratto e incline a perderla, l’attenzione. Così se ho un surplus di denaro in tasca mi trovo a spenderlo. Ma vuoi mettere avere degli occhialini da nuoto specchiati? O un balsamo da barba al profumo di foresta canadese? Che io neanche ci sono mai stato e per quanto ne so quello che ho nel barattolo potrebbe essere profumo di Vergate sul Membro al tramonto.

Mi occupo anche della povertà in generale, quella seria di cui dovremmo preoccuparci tutti. Una insegnante mi ha fatto i complimenti «…per quello che fate. Meno male ci siete voi che li aiutate, così non vengono qua in Italia». Cara maestra, non è proprio così il concetto, sarebbe un po’ più lungo ed elaborato.

Missing the Point

In piscina, stasera, mentre sfoggiavo i miei nuovi occhialini specchiati che mi facevano sembrare un moscone, sono stato agganciato da IL FISSATO. È uno che si cronometra anche il tempo della minzione, stressa il figlio perché si muova a insaponarsi e racconta agli altri – cui non gliene può fregar di meno – dei km di corsa che fa a settimana. Io avevo appena messo il piede sulla scaletta per uscire dalla vasca, boccheggiando. Neanche il tempo di emergere dall’acqua che lui mi fa

– Senti, per andare più veloce che devo fare?

Io lo guardo perché penso mi voglia prendere per i fondelli. Non è che io sia proprio un sirenetto. La butto sull’ironia

– E lo chiedi a me?!
– Sì sì ti vedo veloce

Sconvolto dalla responsabilità che mi sta dando, provo ad azzardare una risposta tecnica. È una questione di scorrevolezza, è quel che vorrei dirgli.

– È una questione di SCIOGLIEVOLEZZA.

È ciò che ho detto. Sarà stata la carenza di ossigeno nel cervello o la cronica mia goffaggine sociale.

Adesso me lo immagino in un negozio Lindt alla ricerca della mitica scioglievolezza del Lindor.

Se è porno tolgo:

Non è che il sub non possa essere superficiale solo perché è uno cui piace andare a fondo

Una delle cose più sgradevoli che una persona possa fare agli altri dopo il non lavarsi l’ascella è trascinarli in situazioni imbarazzanti. In particolare quando tu e questa persona vi siete dati appuntamento in un posto e poi lei cambia i piani all’ultimo momento portandoti a casa di sconosciuti.

In certi casi ciò può dar luogo a situazioni e conoscenze interessanti.

A me questo non succede mai.

Dovevo incontrarmi con questa amica e il fidanzato che si sono trasferiti a Strasburgo e loro mi hanno portato a casa di quattro persone, così connotate:

– Una pittrice di quadri orribili, la cui ultima opera in corso di completamento era una maschera carnevalesca che io avevo scambiato per un lepidottero;
– Uno che ha esordito specificando che è originario del Vomevo;


Spiego per gli italiani oltre la Linea Gotica: i vomeresi, pardon, vomevesi, sono come i vegani, devono dire che sono del Vomero anche se a nessuno frega.


– Una che non parlava;
– Uno che ha parlato per due ore di pesca subacquea.

L’aver portato un amico con me non mi risollevava dalla situazione, anzi: mi sentivo terribilmente in colpa per aver coinvolto.

Questo è ciò che ho pensato mentre il tizio parlava:

Dopo 5 minuti: Ah un’altra cosa interessante che apprendo!
Successivi 10 minuti: Ah un’altra cosa di cui non me ne frega niente!
Tutto il resto del tempo fino a che non ce ne siamo andati: Corrado Guzzanti che dice “Subbaqqueria!”.

Verso mezzanotte, mentre il tizio parlava ancora di pesi e contrappesi, azoto ed embolie, cernie e cernite, per aver modo di scappare mi rivolgo al mio amico, a voce alta in modo che mi sentissero tutti:
– Senti forse è il caso di andare, fuori fa parecchio freddo, ho paura di trovare la statale ghiacciata
– No non credo che ghiacci

Sfruttando le conoscenze di pesca apprese proprio in quella serata, ho fatto partire un colpo di fiocina dallo sguardo che l’ha trafitto all’istante senza via di scampo. Al che lui si è convinto:

– Però pensandoci è meglio andare.

E io che pensavo non fosse una serata istruttiva!

Non è che un prete di moda sia un prete-à-porter

Ho un amico che ad Aprile 2019 si sposa e in questi giorni è affaccendato nei preparativi. È un po’ sotto stress perché dice che il tempo è poco e le cose da fare tante.

Poco tempo? Mancano ben 4 mesi! Cosa ci vorrà mai a preparare delle nozze?

Io non ho mai organizzato un matrimonio né prevedo di farlo ma, proprio per quelli come me che, non essendovisi mai cimentati, non saprebbero da dove iniziare, ho deciso di scrivere un piccolo prontuario di preparativi che vi permetteranno di evitare perdite di tempo per il vostro matrimonio.

1) Serve innanzitutto qualcuno che vi sposi. Non mi riferisco al trovare una persona insana di mente che decida di passare tutta la vita con voialtri scassaminchia: diamolo per scontato perché dare suggerimenti in merito è troppo faticoso. Mi riferisco al reperire un officiante, qualcuno che vi dichiari marito&moglie o moglie&moglie o marito&marito o fedez&ferragni. Il Comune non è disponibile? Il prete è occupato fino al 2030 a meno che non gli allunghiate sottobanco “un’offerta per i poveri” (offerta che lui recapiterà con la sua nuova Mustang)? Sappiate che la legge prevede che le funzioni di ufficiale dello stato civile possono essere delegate anche […] a cittadini italiani che hanno i requisiti per la elezione a consigliere comunale. Tradotto: trovate uno che abbia tempo libero e vi offici. Volendo, potete travestirlo da Sindaco, da prete, da Papa o da Cavaliere Jedi se volete dargli un tocco più ufficiale.

2) Uno degli assilli maggiori è quello del ristorante dove tenere il pranzo. Trovare il posto giusto, scegliere il menù, verificare la disponibilità…uno stress inaudito. Soluzione: il matrimonio destrutturato. Si mandano 10 invitati in un posto, 6 in un altro e così via fino a esaurimento lista invitati. Chi ha intolleranze o diversi gusti alimentari può scegliersi il ristorante che preferisce. Se qualcuno ha impegni quel giorno, può anche andare a pranzare in un’altra data potendo comunque dire di aver partecipato al matrimonio!

3) I vestiti. Una scocciatura e per gli sposi e per chi partecipa. Trova l’abito giusto, provalo, dai le indicazioni per farlo sistemare perché non è a misura, scopri qualche giorno prima che non ti va bene perché hai messo peso o ne hai perso…Che tragedie. Basta con la dittatura delle sartorie. Soluzione: un bel matrimonio nudista.

4) Le bomboniere, ovvero i raccoglipolvere da mensola, se va bene. Se va male, finiranno in qualche scomparto della credenza insieme ad altri orrori. Diciamo la verità: non piacciono a nessuno, tranne agli sposi che le ordinano. E a volte manco a loro. Soluzione: se le vogliono, le scelgano gli invitati. Aprite una linea di credito con un determinato budget presso un negozio specializzato, così chi vuole ne andrà a ritirare una personale.

5) Il fotografo. Uno che si crede un misto tra Alberto Korda e Steve McCurry e vi chiederà cifre esose per un discutibile servizio fotografico. Soluzione: lanciate un hashtag Instagram (del tipo #matrimoniocippolippo&ermengarda) chiedendo a ogni invitato di scattare almeno una foto dell’evento con quella dicitura.

Visto come è facile? Con i miei suggerimenti potrete organizzare le vostre nozze da qui a domani!