Non è che ti serva chiedere indicazioni su come si raggiunge il piacere

Orgasmo.

Che strana parola. Sembra una patologia. Oddio ho l’orgasmo!

Oppure potrebbe essere il termine per indicare una reazione corporea tipo il vomito: Bleah, adesso sento che orgasmo.

L’orgasmo è una cosa che invidio molto nelle donne.

Questa roba ad esempio di poter continuare anche dopo non è mica giusta. La natura ha invece detto agli uomini una volta fatto vi fermate un turno ai box prima di poter riprendere. Ma perché?

L’altra cosa che trovo meravigliosa nelle donne è la varietà.

Non ho conoscenza diretta di orgasmi maschili altrui – né credo di voler approfondire – ma mi sento di dire che, grossomodo, per gli uomini sia sempre più o meno la stessa roba. Al massimo può variare l’intensità, passando da effetto “confezione dello shampoo vuota che viene spremuta e fa piiifff” alla sensazione geyser islandese.

Scatti miei – Islanda 2018

Per le donne c’è un campionario più ampio, almeno per quanto ho visto nella mia modestissima esperienza.


Sottolineo modestissima non per essere paraculo, ma è perché davvero non vorrei millantare chissà quale esperienza o prodigiose arti amatorie.


C’è l’orgasmo normale. Poco da aggiungere.
C’è l’orgasmo Trenitalia: pensavi non arrivasse più e invece.
C’è l’orgasmo con le lacrime. Lascio a sessuologi e medici le dissertazioni sul perché ci si commuova o pianga. A me piace ricordare le parole di un’amica, invece, con la quale parlavo della cosa e mi disse «Tientele strette quelle lacrime, valgono più di tante parole».
C’è l’orgasmo epilettico: convulsioni e occhi girati all’indietro che manco l’Esorcista.
C’è l’orgasmo marino: arriva a ondate e c’è sempre quell’ultima ondata che ti sorprende perché non pensavi arrivasse.
C’è l’orgasmo comizio: lungo e non sai quando finisce.
C’è l’orgasmo Muhammad Ali: stende lasciando stramazzate senza energie.

E sicuramente me ne sono persi altri ancora.

Insomma, io non posso che rimanere semplicemente affascinato da tutto ciò.

Mi sento dichiaratamente orgasmosessuale. Ne sono attratto e mi piace vederli. Al punto che, per quanto mi riguarda, il discorso che riguarda il lato mio del piacere può diventare del tutto relativo. Perché, per prima cosa, devo ammirare, vedere, conoscere, questa cosa che ogni volta mi fa un effetto che mi fa restare estasiato.

Però a me la parola continua a far ridere.

Non è che l’educazione sessuale consista nel ringraziare dopo un rapporto

ATTENZIONE: QUESTO POST NON HA ALCUNA FINALITÀ EDUCATIVA E PERTANTO L’AUTORE SI AUTOESONERA DA POSSIBILI DANNI DERIVANTI DALL’USO DI QUANTO SEGUE


L’altro giorno passa in ufficio un collega che, senza gli avessimo chiesto niente, ci inizia a parlare dei cavoli suoi. Tra le varie cose, ha espresso la propria preoccupazione per il dover affrontare col figlio 13enne alcuni discorsi seri: il sesso, in primo luogo, e, poi, dato che l’anno prossimo andrà al liceo, la droga.

Già qui secondo me sta partendo col piede sbagliato. Per me dovrebbe iniziare prima con la droga e poi col sesso: la prima aiuta a fare il secondo.

La preoccupazione di un genitore è comprensibile: c’è tanto bombardamento di informazioni e contemporaneamente tanta disinformazione che è difficile tenere un figlio lontano da messaggi fuorvianti.

Prendiamo l’ultimo “click award”:


Il click award è una non-notizia che fa scalpore e vince il premio di più cliccata del giorno


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Tante risate e ironia su questa notizia diffusa da varie testate e siti. Un giovane che messaggio ne coglierà? Che il sesso ascellare fa ridere.

Un genitore savio dovrebbe invece insegnare al figlio che il sesso ascellare è più pratico, pulito, sicuro e anticoncezionale. E magari si può provare dopo aver strofinato una pietra di hashish sulla medesima ascella (giacché anche la droga ascellare dovrebbe essere una pratica posta all’attenzione).

Tornando al mio collega, lui sosteneva che non sapendo come introdurre certi argomenti, pensava di parlarne dopo aver visto un film. Ad esempio, citava Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino come uno spunto per parlare delle droghe.

E per il sesso come si fa? Beh, io direi che la pornografia ci ha sempre fornito i migliori spunti e non capisco perché nel 2020 ancora non venga presa seriamente in considerazione per finalità educative, quantomeno dai poteri forti perché noialtri già ne conosciamo il potenziale didattico.

Io ad esempio dai porno ho appreso varie avvertenze e indicazioni:

  • I PERICOLI DEL MESTIERE: Fare il ragazzo delle consegne è un mestiere difficilissimo; ti capita sempre di venir trascinato dentro casa da una donna seminuda che ti porta ad avere del sesso con lei mentre tu hai ancora il tuo giro da terminare. Anche i giardinieri e gli idraulici non se la passano benissimo.
  • SII COOL: I letti sono per gli sfigati. Si fa sesso in qualsiasi luogo della casa, soprattutto le cucine, purché non su un morbido materasso come dei pappamolla
  • LE PERSONE SONO GENEROSE: Se c’è più di una donna nella stessa stanza vuol dire che sono lesbiche. Se ci sei anche tu nella stanza però loro decideranno di condividere con te del sesso
  • RISPETTA IL TEMPO: Le persone che fanno sesso hanno sempre orgasmi simultanei
  • PRENDITI LE TUE RESPONSABILITÀ: Prestare aiuto a una donna più adulta comporterà alla fine del sesso, sappilo
  • RISPETTA LA PRIVACY: Non spiare mai una donna mentre si cambia perché poi pretenderà del sesso da te come punizione
  • LE SUOCERE SONO INVADENTI: La madre della tua ragazza ti imporrà del sesso, prima o poi, non appena ti ritroverai da solo con lei. E delle volte anche mentre c’è la tua ragazza
  • SII PAZIENTE: Ci sono molte più persone di quanto tu creda che hanno problemi di memoria a breve termine e che hanno costante necessità che tu ricordi loro quello che devono fare, ripetendo di continuo imperativi come f*ck, s*ck e così via
  • INCLUSIVITÀ: Non importa chi tu sia o da dove tu venga. Il pornosesso accoglie tutti.

Cosa meglio di un porno può quindi prendersi cura dell’educazione sessuale dei nostri giovani?

Non è che nel Signore degli Anelli l’essenziale sia invisibile agli orchi

Oggi il Capo ci ha comunicato che a breve la società cambierà nome. Decisione della nostra consorella di Bruxelles.

Anche se più che sorella maggiore, per potere e dimensioni sembra una suocera.

Dovremmo assumere quindi il nome del gruppo di cui facciamo parte (Pinco Pallino) + Central Europe. A meno di non avere altre proposte di denominazione.

Al che mi sono alzato (metaforicamente perché sono rimasto seduto) e ho detto che, sì, suonerebbe più internazionale ma finirebbe per far smarrire identità alla società. Sarebbe forse meglio un qualcosa come Pinco Pallino Hungary oppure Pinco Pallino Budapest.

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È sempre positivo con gli ungheresi far leva su questioni come l’identità e l’orgoglio, ovviamente esaltandoli. Ad esempio, per guadagnare la loro stima puoi parlare di calcio citando la squadra storica (non è che poi il panorama calcistico nazionale offra altri esempi), l’Aranycsapat (“la Squadra d’Oro), cioè l’Ungheria degli anni ’50 che arrivò a giocarsi un Mondiale con la Germania. Acquisterai punti ai loro occhi.

Da questo punto di vista ci sarà molta attesa per i prossimi Europei di calcio, dove la squadra nazionale si è qualificata dopo anni. Vorrò essere altrove in quei giorni perché ho sempre remore a dire agli altri che non me ne importa nulla del loro entusiasmo e non me ne sento partecipe.


So fingere tante cose (tra cui anche orgasmi ma questa storia la riservo per momenti peggiori) ma l’entusiasmo non rientra tra le cose su cui riesco a recitare.


Come quella volta che arrivai a Londra il giorno della finale di Wimbledon tra Murray (idolo di casa seppur scozzese: gli inglesi storicamente si son sempre presi ciò che gli serviva) e Federer nel 2012.

La tizia che mi mostrò la stanza ci tenne a farmi presente che il televisore era funzionante e riceveva tutti i canali, in particolare quello che avrebbe trasmesso l’incontro.
– Perché, sai, oggi c’è la finale di Wimbledon, alle 16 (orario inventato perché non lo ricordo).
– Ah, sì, certo, la finale. Dissi io.

Il pomeriggio ovviamente me ne sono andato in giro perché non ero affatto interessato alla finale di Wimbledon.


NOTA 1
Non riesco a farmi piacere il tennis.
Ho un problema con uno sport dove è previsto il silenzio. Per me lo sport deve essere rumoroso, perché se non puoi fare rumore non so come ci si possa divertire.


NOTA 2
È lo stesso principio che seguivo per le feste alle scuole elementari. Non vedevo il perché andarci se non per fare casino.


NOTA 3
Poi arrivò la dannata festa delle medie (cit.) e cambiò tutto, ma su questo argomento c’è già una esauriente letteratura.


Insomma, col mio discorso sull’orgoglio identitario del nome li ho colpiti. O almeno ne sono convinto ma non ne sono certo perché non li guardavo in volto mentre parlavo.

Ho l’abitudine, quando dico qualcosa di serio, di fissare un punto a medio-bassa altezza davanti a me e tenerlo lì inquadrato, muovendo anche le mani come Alberto Angela intorno a qualcosa che vedo soltanto io.

È il discorso. È lì, prende forma mentre esce dalla mia bocca. Lo plasmo con le mani. Lo vedete?, penso mentre parlo. Poi alzo gli occhi e mi accorgo che gli altri non hanno visto un bel niente e credo non mi abbiano dato molto retta. Faccio discorsi invisibili seppur – credo – interessanti. È proprio vero che l’essenziale è invisibile agli occhi, come disse Galileo Galilei prima di inventare la fotocamera digitale.

Non parlo comunque sempre in questo modo. Fissando punti inesistenti davanti a me, intendo.

Ad esempio, Ti amo l’ho sempre detto guardando negli occhi.
Non è per quella convinzione che si è sinceri solo se ci si guarda negli occhi e se distogli lo sguardo allora significa che eccetera. Trappole da mentalisti.

Semplicemente, anche in quel caso sto seguendo un discorso. Negli occhi dell’altra persona. Come se ci fosse un “gobbo” che regge il cartello con scritto “Ti amo” celato nell’iride altrui.

Perché secondo me l’amore non è un qualcosa che nasce dal di dentro. Non del tutto, almeno. L’amore è lì fuori, prende corpo nelle altre persone. Lo andiamo semplicemente a cercare per riacquisirne il contatto. Come si spiegherebbe che si possa pensare a persone lontane centinaia e centinaia di chilometri se non con il fatto che hanno un qualcosa di nostro dentro di loro e che noi rivogliamo.

A volte c’è chi poi esagera e trova amori troppo facilmente e di continuo. Secondo me costui/costei o si è spezzettato/a troppo o vede amori altrui come se fossero i propri e allora lì è un problema perché non c’è mai amore per tutti.


È un discorso molto da libro di Moccia, ne convengo. “Amore è abbassare la tavoletta del water”, da venerdì in tutti gli Autogrill in promozione con “50 sfumature di Topo Gigio”.


La questione dei nomi è comunque intrigante.

Ho scoperto che nel nostro stabile al piano interrato prolifica una società hipster.
Prima scoperta è che quindi gli hipster sono qui più diffusi di quanto pensassi e si radunano insieme, seppur nei seminterrati.

La seconda scoperta è che questi hipster sono quelli di BP Shop, linea di abbigliamento marchiato Budapest: loro cavallo di battaglia è lo slogan Buda Fucking Pest.

Geniale, non c’è che dire. Avere successo è trovare il nome giusto e diffonderlo in giro.

La prima impressione che avevo di loro si ricollegava a una battuta di Bart Simpson: Guardatemi, sono un laureato, ho guadagnato 600 dollari l’anno scorso!

Poi ho scoperto che in realtà i loro affari vanno abbastanza alla grande e allora forse Bart Simpson si addice più a me. 

E quindi il tutto sta nel farsi un nome ed essere visibili.