Il corpo umano sarà pure una macchina fantastica come si dice ma è una macchina che se la tieni ferma un po’ si rammollisce.
Mi sono fatto l’ultimo concerto in piedi penso nel 2019. Poi non ci sono più stati eventi, come sappiamo, in seguito sono tornati ma solo da seduti. E io mi ero abituato molto bene ai concerti seduto: sì, è vero, non è una cosa che fa molto rrruoocck ma è una cosa che fa molto comodo alle tue chiappe.
Ad esempio andare a vedere Iosonouncane nel Teatro Bellini dal balconcino dove ti puoi anche appoggiare è stata un’esperienza che si situa molto in alto nel mio comodometro.
Sono stato al Sonar – festival di musica elettronica – a Barcelona lo scorso fine settimana. E passare da qualche concerto seduto a un festival in piedi per ore devo dire mi ha fatto rendere conto che la mia macchina fosse proprio fuori allenamento per questo tipo di attività.
Dei festival avevo dimenticato anche un’altra cosa: sono un’economia chiusa in regime monopolistico. I prezzi di cibo e bevande sono degni di un locale di *nuovo imprenditore delle pizze*
Difatti, tra le varie proposte alimentari, ho visto un chiosco dove c’erano pizze a 12€.
Sì, proprio quello lì che si sta facendo un sacco di pubblicità in questi giorni con una polemica montata ad arte.
Uno dei problemi che affrontiamo nella realtà di oggi è ritenere rilevante qualsiasi opinione pubblica e degna di essere riproposta affinché se ne discuta a forza.
«Dei vaccini non mi fido, ci sono dentro cormorani sbeffeggiati e frullati» Ce lo dice Valchirio Fannulloni, partecipante Isola dei Famosi
«La teoria del gender nuoce allo sviluppo» La polemica su TikTok lanciata da Asfodelia Crudelini, suonatrice di rutti
«Sulla guerra so io la verità, ci stanno mentendo» Afferma Misogino Andropatico, ex componente del Bagaglino
Beninteso, Valchirio e Asfodelia e Misogino possono avere delle opinioni personali, ma in quanto personali sono soggettive e fallibili e, comunque, non degne – quantomeno non dovrebbero esserlo – di competenza.
Invece bisogna replicare per giorni e giorni a quelle che sono delle stronzate, e a volte mi viene il dubbio che, così come nel sistema di un festival sei in un regime economico monopolistico e ti magni e ti bevi quello che dicono gli organizzatori ai prezzi che dicono gli organizzatori (sto pensando per le prossime volte, prima che agli ingressi introducano le perquisizioni come in carcere, di infilarmi una bottiglia nel sedere prima di accedere, sarà meno doloroso di pagare poi un bicchiere d’acqua a 3€), siamo anche nella realtà di tutti i giorni in un monopolio. Quello della stronzata.
Non sono uno dedito a necrologi pubblici per la morte di personaggi della musica e/o dello spettacolo, ma la scomparsa di Elisabetta dei Prozac + (e anche dei Sick Tamburo ma per me resta quella dei Prozac) m’ha colpito molto. È una di quelle cose che ti mette di fronte al passare degli anni.
Il tempo. Il cazzo di fottuto tempo. Riesci a ignorarlo quando sei da solo con te stesso, ma quando accade qualcosa di esterno a te ma che è ricollegabile alla tua vita o a una parte di essa, alzi la testa ed esclami Cazzo.
Mi sono appena reso conto che sono più distante dal 2000 di quanto lo fosse il 2000 dalla mia nascita. Negli anni ’90 il XXI secolo mi sembrava davvero lontano. Su un Topolino del 1994 leggevo che tra il 2004 e il 2011 saremmo andati su Marte. Sto ancora aspettando la partenza della navicella.
Non voglio entrare nella polemica retorica di quelli che nel 2000 aspettavano le macchine volanti e invece ora c’è gente che mette in piedi le scope. Per quanto mi riguarda le persone possono impegnarsi in tutte le minchiate che vogliono e infilarsi le scope dove gli pare. Quello che vorrei è che il futuro man mano che diventa presente vada avanti solo per addizione di eventi e non per sottrazione di fatti e persone.
I ricordi, certo, restano.
Queste canzoni – che tecnicamente oggi definirei abbastanza mediocri ma per fortuna all’epoca non ero così snob e acido (acido?)- all’epoca dei miei teen mi causavano parecchio devastamento emotivo e cose da adolescenza complessata:
Con il disco della seconda canzone siamo già negli anni 00. Ricordo invece quando uscì Acida io ero alle scuole medie. Per i test di Educazione Tecnica il professore ci dava da trasformare, con cartoncino e colla – rigorosamente Uhu – le proiezioni ortogonali su carta in solidi veri e propri di cartoncino, da decorare.
Un mio compagno di classe decorò il suo cubo con il disegno di un murale con la scritta Acido. Un lavoro ben fatto, le lettere si scioglievano condensandosi in colori da evidenziatori fluo. Il professore disapprovò duramente, asserendo che una che va in giro a fare apologia lisergica non sia un buon segno dei tempi e un buon esempio da citare per un compito in classe.
Io per aggirare la censura nei miei graffiti scrivevo allora Acido Muriatico. Ero l’apologeta dello spurgo.
C’è sempre un aggancio temporale che fa da ponte tra l’universale (una canzone, un personaggio, un film, eccetera) e il personale: quando scompare qualcuno che ha creato quell’àncora cronologica poi alla fine ti resta solo da dire Cazzo.
In radio passano per la 62364237esima volta Heroes di David Bowie. Ci sono delle stazioni radio che trasmettono grandi classici del rock e della musica in generale ma programmano sempre le stesse canzoni.
Meglio questo, ovviamente, che qualche tormentone contemporaneo.
Ripensavo a quando da ragazzino ho scoperto per la prima volta questi grandi classici della musica. La sopracitata Heroes, The sound of Silence, (I cant’ get no) Satisfaction, The passenger, Like a Rolling Stone e altre ancora. A quell’epoca fu per me come conoscere una ragazza e innamorarmi di lei.
Alcune di queste canzoni facevano da colonna sonora a degli spot pubblicitari. Aspettavo quelle réclame per poter sentire quelle canzoni (no, non c’erano YouTube né Spotify). Avevo anche capito gli abbinamenti dei blocchi pubblicitari a seconda delle trasmissioni, quindi sapevo che durante un determinato film/programma, sarebbe arrivato quello spot che aspettavo per quella determinata canzone.
Altre ero riuscito a registrarle sulla cassettina. Le registrazioni erano tutte sporcate dagli interventi degli speaker, che devono sempre parlare sugli intro/outro delle canzoni per far vedere quanto sono bravi. Consumavo quelle cassettine a forza di riascolti, facendo spesso rew-play per riascoltare uno specifico verso.
Tra i vinili di mio padre di sicuro c’erano ma mi vergognavo un po’ a chiedergli “Mi metti per favore questa?”. Più che vergogna era una sorta di gelosia. Era stata una “mia” scoperta e non desideravo condividerla. Doveva restare un fatto intimo e privato.
A volte mi chiedo se mi ricapiterà di riprovare simili sensazioni.
Ascolto tantissima musica, oggigiorno, molta più di quanta ne ascoltavo in passato. E ascolto tante belle cose, di qualità (almeno secondo me!) e ne scopro di continuo di nuove. Ascolto cose che mi emozionano, mi prendono, dischi che consumo.
Però il piacere emotivo di quella scoperta che mi diedero quelle canzoni non l’ho più ritrovato. Beninteso, parliamo di grandi classici della musica, pezzi che di continuo vengono inseriti nella “lista delle 100 canzoni di tutti i tempi” che qualcuno si ostina ancora a stilare. È anche normale non aspettarsi che compaia di nuovo una Yesterday, adesso.
Però io non credo sia solo un discorso di qualità musicale e di ammirazione per dei mostri sacri del rock. Anche perché, all’epoca, mi erano del tutto ignoti gli artisti dietro questi pezzi. Era più un discorso legato al piacere adolescenziale della “prima volta”, della scoperta di qualcosa di nuovo in assoluto. Il mio riferimento musicale prima di allora potevano essere massimo le Spice Girls e gli Articolo 31.
Una prima volta che non si può rivivere. Poi nella vita ci sono tante altre occasioni per vivere qualcosa di emozionante, e non mi lamento di certo della mia vita attuale.
Però quel piacere lì, di quella emozione viscerale nel chiedersi per la prima volta “Ma cos’è questa canzone?” non ci sarà più.
Per chi ama un certo tipo di musica va messo in conto che il concetto di ‘underground’ non ha riferimenti metaforici ma è da intendersi alla lettera. Il fruitore di concerti – che per forza di cose non dovrà soffrire di claustrofobia e/o attacchi di panico, altrimenti è meglio che cambi genere – deve abituarsi a locali sotterranei che in certi casi definire dei ‘buchi’ è anche un complimento.
Il microclima all’interno, possa soffiare anche il vento siberiano fuori, è sempre a livelli amazzonici. C’è anche quell’umidiccio tipico della foresta, poi ti rendi conto che è solo sudore (tuo e degli altri) che condensa su soffitto e pavimento.
Il calore, come in un’incubatrice, favorisce la crescita. Dei prezzi. Acqua a 2,50 €, nota birra tedesca di Brema a 4 €. Mi fermo perché in genere svengo alla terza riga del listino e non so cosa venga dopo.
L’altra caratteristica di posti del genere è che sono diventati più di tendenza e quindi capita ci sia gente che paga un biglietto non per seguire il concerto ma giusto per stare a pascolare, bere, parlare, passeggiare avanti e indietro pestando i piedi. Pare che stia lì solo perché si ottengono coiti. Solo che non ho mai capito se la musica sia propiziatrice dell’accoppiamento o meno: io mi sono sempre e solo concentrato sul seguire il concerto e sono sempre tornato a casa senza coiti.
Sono stato a sentire un gruppo sabato scorso. In uno dei buchi così descritti. Si esibivano gli I Hate My Village, gruppo formato da Fabio Rondanini (Afterhours e Calibro 35), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Alberto Ferrari (Verdena), Marco Fasolo (Jennifer Gentle).
Il locale aveva anche dei ventilatori. Li hanno accesi a concerto finito.
Fortuna che mi vesto a cipolla e posso denudarmi. Anche le mie ascelle alla fine comunque erano a cipolla.
Avevo deciso di vendere la chitarra. Ce l’ho da 14 anni ma non ho mai imparato seriamente a suonarla, con costanza e regolarità. È come nuova in effetti.
Dopo alcuni tentennamenti (“e se poi mi venisse di nuovo voglia di suonarla?”), l’ho messa in vendita su un sito specializzato. Poi però non ce l’ho fatta. L’ho tenuta. Ho ripreso a provare a suonare qualche giorno fa. Mi fanno male le dita e ho un polpastrello sbertucciato che sanguina.
Una cosa che sento mi manca al momento è la magia che infonde il musicista. Il suono, in breve, non è una semplice sequenza di note. Posso riprodurre tale sequenza ma non è detto che all’orecchio suoni come la suonerebbe – bene – un altro. E non è questione di ritmo o di effetti: è questione di metterci qualcosa in più per colorare quelle note. Altrimenti, saranno soltanto suoni in fila.
Nella vita stessa compiamo atti mettendo in sequenza un insieme di gesti. I risultati, però, non sono gli stessi per tutti né a volte li troviamo soddisfacenti.
A volte provo invidia per quelli che riescono a mettere sempre del colore in ciò che fanno.
Non che io sia abulico e grigio e amorfo. Anzi, credo a volte al contrario di essermi trovato in difficoltà pur essendomi spremuto molto il tubetto.
Non è un doppio senso, anche se spremersi troppo il tubetto fa diventare ciechi, don’t try this at home.
Indovinare la melodia (melodia? Selotenga) giusta nella vita non è semplice. Alla fine non è che uno abbia velleità da rockstar che riempie gli stadi: basta anche solo nel proprio piccolo riuscire ad avere le sonorità giuste.
Pomeriggio.
Sono in un negozio per animali per comprare dello scatolame per gatti che costa quanto una fetta di chianina.
Mentre la proprietaria imbusta il tutto, mi fa
– Tutti quanti con questa barba, ma che dovete fare non capisco
– È bella la barba, se curata
Dico, e nel frattempo getto un’occhiata a una cliente entrata dopo di me, intenta a esaminare una confezione di croccantini come se stesse leggendo la trama di un libro di Pinchon. Una ragazza molto giovane. Per un attimo ho il pensiero di aggiungere “E poi la barba piace alle donne”, cercando conferma e complicità nella giovane, poi qualcosa nella testa mi dice che nonostante il caldo sia meglio evitare di far calare il gelo.
– Aé, ma che dovete fare, sembrate tanti vecchi. Pure mio figlio, 26 anni, con ‘sta barba, glielo dico sempre, tagliala, e lui dice che si scoccia. Sembri un vecchio, gli ho detto. Tu quanti anni hai?
– 31
– Va be’, mio figlio però è più giovane
– Eh infatti, giustamente io invece già son vecchio, quindi posso pure tenerla…
Dico mentre prendo la busta e me ne vado.
Signora, ma se ne vada a quel Paese lei e suo figlio.
Sera.
Sono a un concerto nel giardino di una elegante villa. Suona un pianista di cui non riesco a fissare il nome pur avendolo letto una decina di volte.
Lubomyr Melnyk.
L’artista ama molto parlare e prima di ogni pezzo fa una lunga introduzione. In inglese, ma molto comprensibile.
A un certo punto si avvicina al palco un omino. Un tipo occhialuto e bassino e con la pancia a marsupio.
La pancia a marsupio è quella conformazione tipica che si sviluppa negli uomini. In pratica, stringendo i pantaloni fin sotto l’ombelico, la pancia in eccesso strasborda oltre la cintura creando questo sacchetto che grava in avanti a mo’ di marsupio.
L’omino marsupiale interrompe l’artista mentre sta presentando un pezzo, proponendosi come traduttore.
Inizia traducendo parola per parola, molto bene. Poi inizia a saltare delle frasi.
Il culmine lo raggiunge quando l’artista si produce in un’ampia metafora sulla bellezza nel mondo e il male, arrivando a citare poi l’ultimo episodio di Twin Peaks nella stanza dalle tende rosse con il nano. Il discorso viene mal riproposto dall’omino marsupiale.
Metafora di cui purtroppo ho perso il filo e che non saprei riproporre a parole mie, quindi credetemi sulla parola sul fatto che fosse un discorso interessante.
Sul finale al suddetto omino poi suona il cellulare. “Mia moglie, scusate”, esclama. Raffazzona in qualche modo il resto della traduzione e poi si allontana. Penso fosse per raggiungere la moglie che lo aspettava col battipanni.
Sono rimasto nel dubbio se fosse un intermezzo comico o ci fosse un qualcosa di lynchiano anche lì.
Sulla via del ritorno a casa ho tentato di collegare i due episodi della giornata, giungendo a delle riflessioni.
La barba in ogni caso non mi invecchia, perché mi danno sempre meno anni rispetto a quando non la avevo.
Inoltre, non potrò essere ufficialmente vecchio finché non avrò un marsupio di pancia da sfoggiare.
Il pezzo introdotto dal discorso su Twin Peaks è questo:
Il fulmine di Zeus nella sigla è interpretato da uno stuntman professionista, quindi don’t try this at home
Siamo giunti alla terza puntata – ebbene sì, qualcuno ha pagato per far proseguire questo show – del Gintoki Show. Potete rivedere le puntate precedenti qui e qui, ma guardatele dopo aver visto questa, perché sennò se andate subito poi rischiate di perdervi questa qui e non trovarla più.
Questa sera, dopo aver ospitato in precedenza un venerabile Faraone e una Venere del calcio, come potevamo far di meglio? Ma ospitando direttamente il Re degli Dei, è ovvio! Gente, ecco Zeus!
G: Per rompere il ghiaccio comincio così: innanzitutto ti ringrazio per aver concesso questa intervista. Immagino che essendo divinità tu sia molto oberato di impegni. Come riesci a conciliare con l’attività sul blog?
Z: Ti ringrazio a te per l’ospitalità e, vista la cortesia, uso un po’ del ghiaccio rotto per l’ambrosia. Hai ambrosia? Se no va bene anche una birra calda.
Per tornare alla tua domanda: ho la fortuna di essere un manager oculato. Truccando le pagliuzze ho sbolognato le rotture più grandi, acqua e inferi, a Poseidone e Ade. A me rimane solo il cielo e il tuono, non proprio un lavoro a tempo pieno.
Rendo breve ciò che è lungo: scrivo sul blog per noia.
G: Ho una Tuborg lasciata al sole, anche se credo tu non intenda ciò per birra calda… Sono curioso: la noia incrementa la produttività scrittoria, quindi mi dici?…È molto leopardiano. E so quel che dico: di felini me ne intendo!
Z: Io intendevo una Ceres… ah ah ah *matte risate*. Questa mette KO tutto l’Olimpo ogni volta che la dico. Ridono se no li fulmino, ma tant’è.
La noia è uno stimolo potente, anche se non sembra. L’ispirazione è passeggera: che scrive vive del lampo di genio, sfruttando il momento buono fino allo stremo. E si finisce senza parole o idee.
Io no. Scrivo per noia e perciò con la costanza tipica dei Testimoni di Kingu, quelli che bussano al tempio alle 7 di mattina.
G: Questi Testimoni di Kingu mi ricordano qualcuno con la stessa abitudine. Restando sulla scrittura (un gentile dono agli umani da parte di Prometeo, a proposito, l’hai perdonato per quella storia di averti fregato l’accendino?), ti sei concentrato spesso proprio sull’analisi del modo con cui il blogger vi si approccia. Sono spunti per una semplici riflessione o vogliono anche essere dei semi lanciati affinché germoglino in un qualche cambiamento in ciò che leggi?
Z: Guarda, so con certezza che,a Prometeo, il rimorso sta rodendo il fegato. Spero stia bene, veramente, certe situazioni ti mangiano vivo.
Sì, quando non sparo minchiate o anestetizzo il mondo con la mia musica, cerco di guardare il comportamento dei blogger. Sono una razza strana, interessante. Nuova, se vogliamo. Diversi dal popolo di facebook e, proprio grazie ad internet, possono ambire a più notorietà e influenza… che ne carbura l’ego.
Ecco il perché delle mie sono riflessioni, spesso scoordinate: vorrei è un cambiamento di rotta, un po’ di qualità&contenuti, e anche un pizzico di autoironia, in più.
G: Eppure, nonostante la diversità dal popolo di facebook, come hai fatto notare anche tu in un tuo post, sembra che il blogging a volte assuma connotati molto da social network. La stessa nuova impostazione grafica di WP sembra ricalcare tale dimensione 3.0. Per carità, io poi non me ne intendo, non sono un grafico (infatti in spiaggia non mi capita mai che una ragazza mi veda e si giri esclamando “Però, che grafico quello lì”). Mi piace però lo spirito che hai: sii il cambiamento che vuoi vedere nel blogging.
Z: Sto cercando di portare, nel mio piccolo, un cambiamento… e non vorrei essere scambiato per arrogante per il mio essere il Capo degli Dei. Sono ancora l’umile dio che ha sconfitto i Titani.
Le collaborazioni con il Faraone nei Grandi Antichi e con Cineclan sono la mia idea di nuovo blog/blogger: personale E comunitario. Le idee fluiscono.
G: Le iniziative “open source” sono molto interessanti: oltre a quella col faraone (qua il progetto Grandi Antichi) e quella con cineclan (qui l’inizio della serie), ne hai qualche altra in cantiere o che vorresti realizzare? Mi compiaccio comunque che la battaglia coi Titani non ti abbia dato alla testa. Ma c’è stata invece un’occasione in cui qualcosa invece ti ha dato alla testa (non vale l’alcool)? Quella volta magari che hai saputo che i Tool suonavano vicino e non ci hai capito più nulla dall’esaltazione, per dire?
Z: Al momento, oltre a questi progetti, sto portando avanti alcune iniziative personali (di cui mantengo il riserbo). Altre iniziative da realizzare? Ho già accennato una mia idea a qualcuno (no spoiler adesso), ma per il resto: chi ha idee è libero di contattarmi. Senza andare indietro fino a Ercole (il Chuck Norris dell’epoca), direi che il traguardo è il 13 giugno 2016 all’Arena di Verona: tour di addio dei Black Sabbath. Una cosa da far tremare le vene dei polsi.
G: Parlando di musica e concerti, il più bello cui hai assistito o quello che è stato proprio come un’esperienza mistica (anche se per la presenza di una divinità come te sono tutti mistici! )?
Z: Mi stai chiedendo di scegliere fra i miei figli con i concerti eheh. I concerti di Heaven & Hell e Ozzy Osbourne (o i Rotting Christ) sono stati grandiosi, intensi, li attendevo da anni.
Fra tutti i concerti dei Down che ho visto sceglierei quello del 2008: è stato liberatorio. Mi hanno stupito gli Anaal Nathrakh, un concerto così brutale e così cattivo da essere un calcio nei denti. Incredibile. Un grandissimo concerto, non metal, è stato quello di Bruce Springsteen: 3 ore di esaltazione e rock.
G: Mi rendo conto fosse una scelta molto difficile, ma ne sei uscito alla grande. A proposito proprio invece di calci nei denti e di Chuck Norris, visto che hai trattato a volte l’argomento, se dovessi fare una classifica di film “muscoli e sangue” (categoria che mi sono inventato ora), quale sarebbe la tua lista di preferenza?
Z: Diciamo che sull’Olimpo sono rinomato per dare un colpo alla botte ed uno alla ninfa ahaha. ‘Ste battute fanno tremare quei bifolchi perdenti dei Troiani.
“Lacrime e sangue”? Sarò scontato, ma un Terminator (il primo) mi da sempre gioia, come anche un film di guerra. Se voglio la poesia assoluta dell’ignoranza (detto con rispetto assoluto) i vecchi film anni ’80 di Bruce Willis o Kurt Russell o L’Armata delle Tenebre… o Machete… Troppi da elencare tutti.
G: Sapevo non mi avresti deluso, infatti mi hai piazzato lì un John McClane (il personaggio di Willis) taaac! Beninteso, dimenticherei l’ultimo Die Hard, se sei d’accordo. A parte Machete, comunque, noto che non sono film recenti. Colgo l’occasione per farti allora questa domanda: ritieni che un certo tipo di cinema, così come anche per un certo tipo di musica, abbia perso qualcosa rispetto al passato? E, connessa a questa domanda butto lì quest’altra: sei un rocker nostalgico, della serie “Era meglio un tempo” oppure rispetto al nuovo ti poni con interesse e curiosità?
Z: La delusione è un fattore fondamentale sul mio blog (Ysingrinus docet). L’ultimo Die Hard è scarso, perde il confronto con la poesia bolsa e dopata di Voltaren di The Expendables.
Il cinema sta producendo cose buone anche adesso (è innegabile), ma quell’ignoranza degli eighties (con le buone storie connesse) non è replicabile. Il troppo politically-correct sta distruggendo il cinema bruto e d’azione. Adesso, in un film, sentire “vaffanculo John” (detto al capo di Polizia) o altre volgarità assortite è impensabile in un film che non sia comico/demenziale di seconda fascia. Stessa cosa per la musica. Si è persa l’innocenza già negli anni 60/70… ma almeno negli anni passati c’era tanta qualità quanta merdazza fetida. Il rapporto, adesso, pende più per la seconda.
Sono sempre curioso delle nuove uscite, ma se voglio “andare sul sicuro” o l’album “vincente”, prendo un disco del passato.
G: E se dovessi mettere su una super band, chi sceglieresti come componenti tra i musicisti che stimi?…Altra domanda “scomoda”, qualche figlio subirà un torto!
Z: Mi stai chiedendo l’impossibile… fortunatamente sono un Dio.
Provo a fare una formazione standard:
– BATTERIA: Carter Beauford (Dave Matthews Band) / backup: Richard Christy (Death)
– BASSO: Geezer Butler (Black Sabbath) / backup: Steve DiGiorgio (Death To All / Testament / Sadus)
– CHITARRA: Tony Iommi (Black Sabbath) & Dimebag Darrell (ex-Pantera) / Ritchie Blackmore
– VOCE: Phil Anselmo (Down / ex-Pantera)
G: Mondogatta! Che supergruppo. Ancora una volta, impossible is nothing per te. Ne verrebbe fuori un concerto da sogno…o da incubo per chi non apprezza il genere (blasfemi!) ehehe. Com’è il tuo rapporto con gli incubi? Ricordo ne hai anche raccontato sul tuo blog…
Z: A parte il defunto Dimebag, sarebbe una lineup atomica. Secondo me molto più da incubo (blasfemissimi). Ma, a noi, l’incubo piace.
Non so se definire i miei sogni sei veri incubi o solo dei sogni inquietanti. C’è un particolare però: me li ricordo spesso e le trame, oh le trame!, sono incredibili. Devo ancora capire come ho fatto a sognare un gerarca nazista morto che veniva giù da una collina su una sedia a rotelle.
In ogni caso, gli incubi che do agli umani sono ben peggio! *ahahaha*
G: Sì ma gli umani in fondo se li meritano. Cioè prendi Poseidone, fu provocato da Ulisse e il minimo che potesse fare è farlo poi vagare 20 anni (che secondo il codice olimpico è la pena minima mi risulta) nel Mediterraneo. Nei tuoi racconti trasferisci un po’ il contenuto di queste sequenze oniriche notturne? Oppure, quanto ci metti di “vissuto” nella tua fase creativa?
Z: Io avrei fatto venire gli incubi ad Enea… quel codardo è scappato facendo finire presto il mio epic-movie preferito. Speravo in più battaglie ma niente. E, comunque, Poseidone ha il senso dell’umorismo un po’ annacquato.
Nei racconti lunghi non ci metto molto dei sogni/incubi: il masterpiece Capra Diddio è al 90% opera creativa di Lord Baffon II… io mi limito ad aggiungere il 10% e lo scritto, mentre nei Grandi Antichi l’opera è un delirio condiviso fra il sottoscritto e Ysingrinus.
Dove metto qualcosa di “vissuto” – anche se talmente mascherato e distorto da non capirsi – è nei racconti brevi.
G: Enea era proprio un figlio della sua città!
E con questa direi proprio che siamo alle battute finali.
Comunque, vorrei che oltre a quanto già detto in questa intervista ci raccontassi chi è Zeus per chiudere il cerchio (o il quadrato, fai tu). E, visto che l’hanno affrontato anche i tuoi predecessori, tocca anche a te il giochino che vanta il peggior numero di imitazioni. Descriviti inserendo nel testo questi tre elementi: brodo di pollo, Babbo Natale, puritanesimo. Ci sarebbe anche un’altra cosa: ci vorrebbe un bel consiglio musicale non richiesto per i lettori, come la tua famosa rubrica. Il problema è che questa sarebbe una richiesta, quindi ne invaliderebbe il senso! Quindi facciamo che io te lo chiedo, poi dalla regia questa la tagliamo e tu allora dai il consiglio e io dico ma che bella idea!
Z: Enea era proprio un figlio della sua città. Anche se non riconosciuto, vista la tendenza della città ad aprire le porte ad un mirmidone qualunque.
Chi è Zeus? Zeus è IL dio dell’Olimpo, colui che regna e che, al contrario di Babbo Natale, non vi porterà doni o simpatia. Zeus guarda, ghigna (ma non ride) e si incattivisce di fronte alle cose più inutili. Quali? Rinunciare a grigliare il pollo e farne una gustosa mangiata per creare un brodo di pollo sciapo e inconsistente. La peggior bestemmia che si potrebbe immaginare in queste lande antiche; anche se, a dirla tutta, gli antichi greci non erano sostenitori del puritanesimo del New England, quindi la bestemmia non può essere annoverata come tale.
Visto che siamo alle battute finali, mi permetto di far scendere il già magro share che ho in questa intervista e, inoltre, di farti perdere adoranti lettori e seriosi follower: ecco perché un consiglio musicale ci sta sempre bene. Soprattutto se viene ascoltato da cima a fondo.
Voglio andare sul classico e non cercare qualcosa di estemporaneo, perciò ecco a voi… i ROTTING CHRIST – ZE NIGMAR (a quanto si dice è una parola aramaica e potrebbe significare “è finita”. La canzone fa riferimento ad una delle ultime parole di Cristo in croce).
Ma che bella idea…Ach! Mi ero scordato che eravamo in diretta! Ehm, grazie comunque! Signore e Signori, il grande Zeus!
Qualcuno ricorda i Timoria? Spero di no, per il vostro bene.
Questa mattina mi sono svegliato con in testa il loro tormentone Sole spento.
Che bel risveglio!
È lodevole da parte loro, comunque, esser riusciti a costruire un’intera canzone solo sulla rima in -ento, con la variante dentro nel secondo verso, quando Pedrini canta e tutto sommato provo a starci dentro, che sembra una frase di un tamarro di Quarto Oggiaro: minchia fratello, provo a starci dentro, bella lì.
Dicevo che mi sono svegliato con in testa la canzone, ripensando a certi giorni in cui mi sveglio con la sensazione di essere completamente scarico. Tra aprile e maggio mi capita di convivere con sonnolenza, stanchezza, irritabilità e umore altalenante.
Ho iniziato ad assumere (con contratto a progetto) fiale di pappa reale, polline e ginseng. Che sia efficace o meno, credo sia un intervento tardivo. Per risultati stimolanti immediati dovrei forse ricorrere a un pusher.
Ho scoperto che lo definiscono mal di primavera, ma io sono un po’ stanco che si trovi sempre una definizione che coincida con “mal” per qualunque cosa, hanno cominciato con Mal dei Primitives e non si sono fermati più.
Tutto mirava ad arrivare alla battuta.
La camicia nella foto di copertina sarebbe oggi illegale in diversi Stati
La poliedrica ladykhorakhane mi ha nominato in questo gioco, il Mood Music Tag. In che consiste? Non l’ho ben capito quindi faccio copia-incolla e spero poi di indovinare bene le regole:
– Per partecipare devi essere stato taggato almeno una volta.
– Scegli almeno 5 tracce musicali (o più) che rispecchino alcune emozioni o stati d’animo al positivo.
– Tagga almeno 5 blogger (o anche di più ) e avvisali di averli taggati.
– Cita il mio blog all’interno del tuo articolo con link diretto o esteso: GHB Memories https://ghbmemories.wordpress.com, scrivendo che l’idea è partita da qui.
– Se vuoi spiega anche brevemente perché hai scelto alcune tracce piuttosto che altre.
Quindi senza indugio, senza tema e senza senso provvedo subito all’elenco delle canzoni, che sono più di 5 perché non sapevo quali scegliere.
1) Bon Jovi – Bad Name
Avevo 9-10 anni e un walkman con la radio incorporata, col quale mi ammazzavo di musica dalle varie emittenti radiofoniche. Questa canzone, pur essendo degli anni ’80, è un classicone e mi capitava spesso di ascoltarla. Mi metteva sempre una bella carica addosso. Non capivo nulla di ciò che diceva, infatti io canticchiavo “iuli-o-ohh, benny benny” (you give love a bad name).
2) Nirvana – Lounge act
C’è un momento nella vita di un adolescente in cui tocca passare ai Nirvana. Ecco, io per ricordare quei momenti dovrei mettere tutto Nevermind perché è l’intero album un simbolo dei ricordi, ma se devo pensare a momenti positivi penso a Lounge Act e al basso di Krist Novoselic: ricordo mettevo in loop l’intro per sentirlo fino allo sfinimento. Poi andavo in giro facendo con la voce tun-tututun tutututu tutu tutu-tun imitando il basso e a volte anche i miei amici facevano tun-tututun tutututu tutu tutu-tun quando uscivamo insieme il sabato sera, a volte eravamo in 3, a volte in 5, a volte in numero variabile ma sempre maschi senza donne e forse era perché facevamo troppi tun-tututun tutututu tutu tutu-tun difatti quando poi ho smesso le donne sono arrivate. Quindi la conclusione è che forse alla donna non piace l’uomo-basso.
3) The Rembrandts – I’ll be there for you
Mi chiedo sempre quanti ricordino gruppo e titolo della canzone e non la conoscano semplicemente come “la sigla di Friends”. Ebbene, in termini di positività, non posso fare altro che citare questa come la mia allegria assoluta, per ciò che identificava: sognavo un divano e un bar e un gruppo di amici eterni adolescenti, per me rappresentava l’ideale della felicità raccolta direttamente dalla pianta, confezionata e venduta in bustine da 10 grammi da fumare. Ah no, forse quella è un’altra cosa. Piccola chicca, dato che io sono un canticchiatore professionista tanto da aver suonato al conservatorio (ma non mi hanno mai aperto), la canzone era da me storpiata in “Il bidet for youuuu”.
4) Moi Dix Mois – Monophobia
Per la maggior parte delle persone credo che questa musica sia una trashata e basta, inascoltabile. Io invece presi una fissa per il visual kei, ancora oggi mi interesso un po’ (ci sono gruppi come i Dir En Grey che sono cazzutissimi e musicisti molto versatili e abili). Questa canzone mi ricorda la Micia. Lei per un periodo scriveva su un forum firmandosi Monophobia. Ah, i forum! Un tempo ero frequentatore assiduo.
Alla Micia piacevano il visual kei e il goth loli e il cosplay. Andammo anche a un Lucca Comics dove Lei partecipò alla sfilata Lolita. Ci ho messo un bel po’ a poter arrivare a considerare certi ricordi con un sorriso e non con dolore per la mancanza. Ecco, quindi visto che sorrido, oggi nella lista pubblico del visual kei, ripensando a un amore. O forse all’Amore.
5) Ska-p – Intifada
Ancora indietro con gli anni, tra i 18 e i 20, in cui il mio impegno politico (o più correttamente il mio presunto impegno politico) consisteva nell’ascoltare canzoni di protesta e urlare slogan alle manifestazioni. Un vero rivoluzionario, non c’è che dire, un Che Gattara de’ noantri. Peccato non ci fosse facebook, già mi vedevo altrimenti a pubblicare link: condividi! sveglia! resisti! ribellati! È così che si cambia il mondo. Come dite? Da quando avevo 20 anni non è poi cambiato? E mica posso far tutto io, scusate!
6) White Stripes – Seven Nation Army
Sì lo so cosa pensate. Mondiali del 2006, poo popopo po poo. Sbagliato. Io ascoltavo i White Stripes prima che diventassero famosi e conoscevo questa canzone da quando uscì, cioè nel 2003. Mi rendo conto di aver detto la classica frase dello stereotipo indie, ma è così. La ricordo perché fu la prima canzone che imparai a fare sulla chitarra (non è che ci voglia molto) e anche una delle poche che imparai prima di appendere le corde al chiodo. E sì, poi mettiamoci anche il 2006 perché fu un’estate divertente, anche se per me un po’ meno perché passai il periodo dei Mondiali chiuso in casa a causa della mononucleosi.
7) NIN – Copy of
Questa mi ricorda la primavera scorsa, per la precisione il Primavera Sound e un pogo spettacolare sui NIN, fatto partire da noi 4 scalmanati, mentre intorno c’era gente tutta composta e ingessata: ma si può? Li abbiamo fatti sgombrare a forza di pogo, attirando altre bestie da concerto. Quel festival è stato fantastico, Barcelona con la giusta compagnia una bella esperienza, tra serate alcoliche, figure di merda e tanta musica. E i panini del Cafe Viena poi sono un orgasmo culinario.
Ecco, ora dovrei nominare altri blogger: ma dato che questa cosa sta facendo il giro già da qualche giorno e tra quelli che conosco vedo già nomine e contronomine, facciamo che cedo a tutti coloro che vogliono un numero illimitato di biglietti con scritto “valevole per una nomina per il Mood Music-ma-è-una-carica-di-elefanti-o-viene-dal-tuo-stereo Tag” utilizzabile da oggi sino al 31 maggio 2015 (le promozioni mica son per sempre!).
Dopo aver assistito al concerto dei Verdena domenica sera mi sono soffermato a pensare su quanti no sense, significati criptici o altre cose oscure ci siano nei testi delle canzoni. I Verdena in questo dominano, anche se va detto (e il buon Alberto Ferrari l’ha precisato più volte) che i loro testi non hanno un vero significato oppure ce l’hanno ma ognuno ci può vedere quello che gli pare. Inoltre, lui scrive le canzoni pensando alla melodia, poi ci canticchia sopra qualcosa in inglese che si adatti bene e infine crea un testo italiano.
Ciò non toglie che in questa breve carrellata di assurdità io voglia metterceli. Ho escluso di citare Vasco Brondi perché lì sennò non si finisce più.
La passione per la geologia di Alberto Ferrari mi è ormai nota:
– In 40 secondi di niente (Il suicidio dei samurai, 2004), dice che settembre ci porterà via con se e come una roccia che pende avremo le stesse pretese, addosso a me e te/ poi ritorna l’alba che vibra è solo che sei in me come una roccia
Io non so una roccia che pende quali pretese abbia, forse quella di vincere la forza di gravità, magari, e di non cadere più. Poi essere dentro qualcuno come una roccia non mi sembra una frase carina, è un modo per dire “sei un peso sullo stomaco”?
– In Trovami un modo semplice per uscirne (Requiem, 2007) invece canta Il paradiso è lei e non ho più rocce leggere ormai. Immagino parli della pietra pomice, è l’unica roccia leggera che mi viene in mente possa esistere. E il non averla è un problema se vuoi farti gli strappi nei jeans.
– Infine, nella recente Un po’ esageri (Endkadenz vol. 1, 2015) dà un utile avvertimento: Stai sulle rocce/Ti ferirai. Probabilmente qui siamo in riva al mare, sugli scogli. Si sa che son scivolosi e quindi può essere molto pericoloso camminarci su.
Sorvolerei poi sulla passione per il colore blu che ricorre in più canzoni, vorrei citarne solo una: Ultranoia (Verdena, 1999), in cui canta Tu seno blu, credo qui siamo in presenza di un caso di ipossia o di ipotermia, insomma la ragazza è cianotica. Altrimenti, avevo ipotizzato un’altra spiegazione e per questo ricorro ai Marlene Kuntz.
In Overflash (da Il vile, 1996), il buon Godano a un certo punto grida Voglio una figa blu.
Mi sono interrogato per anni su cosa volesse dire, finché poi non ho visto al cinema quella immane cagata del film Avatar. Lì ho capito tutto. E se i blu abitanti del pianeta Pandora esistessero davvero e qualcuno ne fosse a conoscenza prima ancora della versione cinematografica? Insomma, può essere un caso che due cantanti parlino di tette e patonze blu?
Tornando a parlar di blu, ancora mi chiedo cosa fossero i lampi di blu citati nella sigla di Jeeg robot d’acciaio. Sirene della polizia forse? Il nostro eroe doveva correre perché inseguito dalla madama?
Infine, di blu era anche il fiocco di Lady Oscar, come cantato dalla sigla del cartone animato. Ciò che non mi è chiaro è un passaggio nel testo: tre briganti con spada e con lancia: agguato a sua Maestà/Lady Oscar si è proprio nascosta nella grande stanza del re/ con scatto felino ed abile mossa colpirà tutti e tre!
Ora, io non voglio malignare, anzi faccio i complimenti alla spadaccina per aver fatto fuori i tre briganti. Ma che ci faceva nascosta nella stanza del re? Anzi, “proprio nascosta” (e perché mai proprio?)?
Tornando alle band, ripensavo a Ballata per la mia piccola iena (Ballate per piccole iene, 2005) degli Afterhours. Bellissima canzone, con un testo che mi colpisce molto. Ma ogni volta che la riascolto e arriva al punto in cui Manuel Agnelli grida Aiutami a trovare qualcosa di pulito a me viene da ridere, perché immagino la scena di uno che ha fretta di vestirsi e apre i cassetti in cerca di vestiti, perché son tutti o a lavare o nel cesto dei panni sporchi. Aiutami! C’è un paio di calzini puliti in questa casa?!
Un cantautore che un tempo seguivo molto (e del quale ho assistito a un concerto) era Moltheni (oggi Umberto Maria Giardini): ricordo che In porpora cantava a un certo punto Grazia e lealtà marcite che produrrò. Qualsiasi tentativo da parte mia di trovarne un senso mi sfuggiva. La marcita è un tipo di campo coltivato, va bene. Ma quale è il collegamento semantico e sintattico con grazia e lealtà?!
Sono ben accetti contributi ulteriori: però non sparate sulle croci rosse, tipo Gigi d’Alessio (che ho comunque citato nel titolo) perché è troppo facile.
Questa mattina avevo in mente di scrivere un altro post, una volta tornato a casa stasera.
Poi, in ufficio, è accaduta una cosa che mi ha fatto sorridere.
Io ho l’abitudine, quando sono impegnato in attività che richiedono un “pilota automatico” attivo e, quindi, la mente libera, di cantare. Non ho grandi doti, anzi prendo pure delle stecche paurose, però in certi frangenti mi parte la vena canora.
Non so cantare cose difficili, mi astengo dal lanciarmi in pezzi complicati. Al massimo mi concedo un Bob Dylan. A volte i Doors, Riders on the storm, avendo una voce un po’ tendente al baritonale. Qualche Nirvana, spesso la loro versione di Where did you sleep last night. Che è una domanda che avrei voluto e vorrei rivolgere a donne che ho conosciuto o che conosco.
Comunque, per lo più, mi vengono in mente vecchie canzoni italiane che, pur non rientrando in cima alle mie classifiche di preferenze musicali, sono musicalmente semplici, orecchiabili, gradevoli. Il mio cavallo di battaglia è Ragazzo di strada dei Corvi.
Mi capita di canticchiare anche in ufficio. Ma come, canti al lavoro?! E certo. Sono quello che fa meno rumore, a tratti qui sembra di essere in un mercato del pesce.
Oggi mi è partita Il tempo di morire. Non l’avevo mai cantata, di Battisti mi viene Pensieri e Parole, tutt’al più.
All’improvviso la collega che ho di fianco si volta, con gli occhi lucidi, dicendomi: “Mi hai fatto venire il freddo addosso”. Ho pensato Oh cavolo, ho la voce di Frank Sinatra e non lo sapevo?!
Poi mi ha spiegato:
“Giusto oggi moriva, 4 anni fa, il papà di mio marito. E questa era la sua canzone preferita, la cantava sempre al karaoke. Non l’avevi mai tirata fuori da quando sei qui. E, pensa, si chiamava come te”.
Non so, son quelle cose strane che accadono e fanno sorridere.
E potrò raccontare che ho cantato e una donna si è commossa (e non per la terribile esecuzione!)!
Tre giorni fa, sulla pagina fb dei Marlene Kuntz ho letto questo post del buon Cristiano Godano
Sono stato all’Atonal, che è un festival eminente nell’ambito della elettronica. Posto fantastico (non era ancora mai stato al Tresor, lo ammetto; e… Beh: wow!). Ci sono stato la sera dei grandi Cabaret Voltaire (che poi, se non sbaglio, in realtà era solo Richard H.Kirh, uno dei membri fondatori, timido, nascosto e ingobbito su stesso dietro una pila di macchine ed effetti) e una volta per tutte mi sono persuaso che assistere a un “concerto” di gente che manipola live i suoni (e credo di essere generoso), assistervi, intendo dire, con quell’aplomb tra il medio-fatto e il più-o-meno-intellettuale-super-preso-bene-e-stra-convinto, sia una cosa un po’ ridicola. Non vorrei essere equivocato: mi piace un sacco certa elettronica; ma dal vivo, stando davanti al palco come a un concerto e guardando il nulla di uno o due o tre esseri esseri che si dibattono un po’ a vuoto facendo finta di aver molte cose importanti da fare, resta un rito senza senso (se non per veri-fatti che cercano, trovandola assai facilmente, la sequenze di onde giusta per ondeggiare artificialmente estatici. O perlomeno, immagino, visto che vero-fatto non lo sono mai stato. In quel caso, da veri-fatti, le cose cambiano radicalmente)
Ieri sera, neanche a farlo apposta, sono stato a un festival di media art che ha raggiunto anche una discreta notorietà. Ci sono installazioni artistiche interessanti e spazio per la musica elettronica.
La musica, per l’appunto.
Attenzione: quella che segue è una mia dichiarazione di incompetenza e ignoranza: non sto dicendo che ciò a cui cui ho assistito sia una cagata pazzesca, probabilmente sono io che non ne so apprezzare il lato artistico.
Fatto sta che ieri, nel teatro che ospitava parte della manifestazione, ho assistito all’esibizione di Fennesz. Uno con una chitarra e un portatile e un socio che non ho capito bene cosa facesse (forse si occupava dei video che scorrevano sullo sfondo).
È stata una esperienza AGGHIACCIANTE. Anzi, AGGHIAGGIANDE. HO PAURAAAA.
Più di un’ora ad ascoltare uno che fa rumori distorti, poi ogni tanto faceva PLIN sulla chitarra e per mezz’ora ne manipolava l’eco. A un certo punto mi sono addormentato per una decina di minuti perché i suoni ipnotici mi fanno questo effetto.
Ripeto, probabilmente sono io che non sono pronto per tale arte e non la comprendo. Ma mi faceva girare le palle. Chiedo scusa per la parola “girare”.
Un esempio di ieri sera
Mentre mi deliziavo con tale esibizione, non potevo non constatare che intorno a me vedevo sempre le solite facce che incontro in queste occasioni: a parte il sottobosco di persone che conosco di persona o di vista, tutti gli altri erano tra loro simili. Sembrano prodotti da una fabbrica, il laboratorio ACME hipster-indie. Tutti facenti parte dell’universo “faccio cose, vedo gente”, impegnati, come si suol dire, che non ho capito bene dove ci si impegna, anche io vorrei fare l’impegnato ma non posso impegnare me stesso perché solo un me stesso ho e mi serve.
Io non so se il post di Godano m’avrà condizionato, fatto sta che quando ieri sera li osservavo ho pensato alla sua frase “quell’aplomb tra il medio-fatto e il più-o-meno-intellettuale-super-preso-bene-e-stra-convinto“
e ho detto Minchia! È vero. È stata una rivelazione. Mi ha fatto venire in mente un vecchio sketch di Luttazzi sull’Iraq, quando disse “Ti guardi intorno e noti che tutti assomigliano a D’Alema. Ma non si dice. Infatti quando due italiani si incontrano si guardano così (ammiccando): stiamo pensando la stessa cosa?” Ecco, la sensazione è stata proprio quella.
Tutti con la mano poggiata sulla guancia e l’indice alto verso la tempia, tipo Oscar Wilde, che è una posa che io uso quando fingo che mi sto interessando a ciò che qualcuno mi dice. Ora che vi ho messo a parte del mio segreto, dovrò eliminarvi.
La domanda è: perché ci vai? Perché io non escludo mai a priori nulla e poi penso beh, magari sarà interessante, quindi c’è tutto da guadagnare. Forse farei meglio a imparare a informarmi preventivamente.
E poi ho pensato. Visto che gira e rigira io mi ritrovo negli stessi ambienti delle persone che ho descritto, non è che sarò anche io così?
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.