Non è che devi essere un pianista per toccare il tasto giusto

Ebbene sì, son sparito. Non credevo fosse trascorso così tanto tempo. Invece vedo che il mio ultimo post è del 24 ottobre.

A esser sincero a un certo punto riflettendo sulla cosa credevo di aver abbandonato a titolo definitivo il blog.

Non mi è successo niente in questo periodo tal da impedirmi di scrivere. Soltanto che mi sembra di non trovare mai tempo per far tutto. Una volta gli articoli che pubblicavo me li ero già formulati in testa nel corso della giornata e, quando mi sedevo al computer la sera, non facevo altro che trascrivere quello che avevo già pensato.

Adesso cosa mi tiene occupata la mente durante il giorno?

– Cose di lavoro da fare
– Un altro lavoro da cercarmi
– Esami/Tesi da completare*
– Cosa diavolo mangiamo stasera?
– Devo curarmi la spalla/lo stomaco/il raffreddore/altro malanno occasionale sopraggiuntomi
– Se vado via alle…arrivo alle…farò in tempo per occuparmi di questo…e poi andare in palestra/piscina?


* La settimana scorsa comunque ho sostenuto il penultimo. Vedo il traguardo.


Oggi ho detto basta a questo circolo abbastanza triste di pensieri.

Già, ma cosa scrivo? Mi sento fuori allenamento.

Per riprendere confidenza col mezzo offerto da Parolastampa, riprendo un articolo che in realtà era in bozza da parecchio e che riformulo per adattarlo a delle considerazioni.

Tempo fa regalai a M. delle mutande un po’ porcelle, come capita di far in una coppia. Nello specifico erano del genere con apertura sul davanti.

Ci siamo poi accorti che doveva averle ideate o un uomo poco pratico o comunque una persona che concepisce un incontro porcello solo con modalità, come dire, di inserimento.

Come mi spiego meglio? Faccio un esempio: immaginate di comprare una cover per il telefono che lascia scoperto lo schermo ma che copre però il tasto centrale. Voi potete comunque utilizzare il telefono con la cover indosso perché lo schermo è touch: ma se il tasto centrale è coperto direi che non è comodo. E senza utilizzare il tasto centrale ci si perde un bel po’ di funzionalità, credo possano confermarmi le proprietarie di telefono!

La mutanda ha lo stesso problema: è aperta sì ma copre il tasto centrale.


Certo, la cosa si risolve rimuovendo il capo in questione e liberando le parti interessate. Ma se uno progetta una mutanda aperta è per un utilizzo senza la rimozione della suddetta, presumo? Non lo so, non mi sono mai interrogato se, oltre a mutanda mutandis, in certi frangenti valga sempre il mutanda rimuovendis o no.


Mi scuso comunque per la pessima similitudine e l’analogia con il pulsante di un telefono, sono arrugginito alquanto come dicevo.


Questa progettazione mutandara discutibile mi fa pensare a quante cose vengono ideate, messe in piedi, organizzate, giusto per rendere tutto meno semplice, scomodo, magari dietro l’apparenza di funzionalità estetiche o connesse all’ordine.

Le panchine individuali. Perché poi magari su quelle lunghe ci si coricano i senzatetto e a noi poi rovina la giornata un’immagine del genere, signora mia che tempi.

Le stazioni senza posti a sedere e senza più sale d’attesa. Sempre antibivacco, così lei è serena signora mia.


Esiste una definizione per tutto questo: design ostile o architettura ostile. Per approfondire (PDF).


L’università che tiene le aule non utilizzate chiuse a chiave perché «Sennò poi entrano gli studenti», come mi hanno detto. I quali studenti, vivendo la giornata in facoltà, cercano dei posti dove potersi sedere a studiare, perché le aule studio sono

– piccole e non sufficienti
– chiuse
– non ci sono aule studio

Ma a quanto pare signora mia anche questo è brutto da vedersi.

È chiaro che ci sono anche altre esigenze di cui tenere conto ed è difficile conciliare gli interessi di tutti, ma se le soluzioni proposte sono per il rendere l’ambiente che ci circonda meno accogliente lo trovo un po’ triste.

Come una mutanda che sceglie di ignorare un tasto.

Non è che ti serva una cassaforte per i gioielli di famiglia

Mi sono iscritto in palestra.
A dirla tutta io e M. cercavamo un posto poter tirare qualche pugno e qualche calcio a un sacco: lei voleva riprendere kick-boxing, a me piaceva l’idea di provare qualcos’altro rispetto alla piscina, senza abbandonarla.

E poi un abbonamento può risultare più economico che farsi la doccia nel proprio bagno, di questi tempi.

La palestra vicino casa è di quelle aperte dalle 7 alle 23 e ha le formule entra quando vuoi e fa’ quel che vuoi. Sembra un ambiente tranquillo. Non ci siamo rivolti a una palestra di pugilato e/o arti marziali specifica perché cercavamo qualcosa di soft. In genere sono piuttosto cattivi e incazzati gli istruttori di pugilato e/o arti marziali.

La prima settimana un giorno abbiamo sbagliato corso: pensavamo si tirassero pugni ai sacchi e invece ci siamo ritrovati con uno su un palco che, a ritmo di musica, ti incita a mosse di pugilato, taekwondo, muay thai colpendo l’aria come fosse air guitar. Le famose air marziali. Qualche dubbio sull’impostazione del corso l’ho avuto quando, presentandoci prima all’istruttore, lui ha parlato del rilascio della sua prossima release di brani. E io mi chiedevo se fossimo a fare sport o a un Dj set.

Non è stato proprio quel che fa per me, per due motivi:

1) Ascoltare uno che, sempre sorridente per tre quarti d’ora perché deve per contratto trasmettere entusiasmo, grida E…salto! E…calcio! Siete dei guerrieri! Questa è la vostra sfida! mi crea molto fastidio.
2) Va bene che il fine è solo bruciare calorie ma usare delle mosse molto tecniche senza preoccuparsi di far curare l’impostazione non mi sembra molto indicato. E ci si può anche far male se non eseguite correttamente.

Frequentando invece la sala attrezzi ho fatto poi un paio di considerazioni.

La prima è che tanti adolescenti, ragazze e ragazzi, oggi si pompano. Ai tempi in cui andavo al liceo chi faceva sport praticava o nuoto o pallavolo. Qualcuno calcetto, qualcuna danza, ma non c’era molto altro.

Oggi ci sono 15enni con gli addominali di Cristiano Ronaldo. Cristiano Ronaldo di oggi, perché non credo a 15 anni fosse così strutturato.

La seconda considerazione riguarda gli spogliatoi maschili. Più che altro sulla questioni dei pendagli.

In piscina ho notato c’è molta discrezione sui pendagli: ci si cambia sia prima che dopo con l’accappatoio addosso. A me non frega niente e faccio senza anche perché lo trovo scomodo.

In palestra invece si gira tranquillamente per gli spogliatoi con il proprio pendaglio all’aria, avanti e indietro tra docce e armadietti. C’è anche chi si siede sulle panche senza niente addosso e a me non piacerebbe tanto pensare di sedermi con le chiappe nude e sudate dove poco prima magari ci sono state altre chiappe nude e sudate. Senza contare la questione gioielli del pendaglio: se sei nudo, devi fare attenzione a sederti senza schiacciarli.

Comunque mi son chiesto: la palestra incita all’esibizione del pendaglio mentre la piscina no? Come mai, visto che, comunque, in piscina si sta più svestiti rispetto alla palestra? Forse è paura che l’acqua della piscina abbia un effetto vasocostrittore e che, quindi, il pendaglio possa uscirne ridimensionato?

Interrogativi che restano pendenti.

Non è che devi essere un Antico Egizio per invocar Anubi

Ho ingaggiato una personale lotta contro gli afidi, che hanno deciso di insediarsi sul falso gelsomino del balcone. Gli afidi però sono veri. Oppure, amando una pianta falsa, sono falsi anch’essi?
Gli afidi falsi sono forse meglio delle persone false? Grandi domande che ora provo a lavare via passando l’aceto sulle foglie per vincere la loro resistenza.

Nell’ambito delle mie lotte e sfide, prosegue quella di conseguire una seconda laurea. Devo portare avanti una ricerca su due figure storiche per il corso di Storia del Cristianesimo Medievale.

Ho chiesto aiuto a un collega con il quale ho condiviso altri corsi. È un prete. Anche lui è al secondo titolo, ha una laurea presso l’Università Pontificia. Insomma, chi meglio di lui può conoscere la materia?

Eppure, non conosceva i due personaggi oggetto del mio studio. Ho pensato fosse strano. Poi mi sono reso conto di una cosa. Le due figure storiche erano due eretici valdesi: ecco perché non li conosce, per la Chiesa di Roma non saranno mai esistiti!


ba-da-bum-tscha! Momento satira.


Una lotta che invece perdo sempre è quella con la pazienza. Perdo sempre con lei. Anzi, la perdo.

Per esempio, al lavoro. Tizia, che chiameremo Occhio di Falco per comodità narrativa, mi scrive chiedendomi una fotografia in tempo reale dei suoi fondi.

Io, siccome amo fare tabelline colorate con Excel, le invio questo specchietto dove nelle righe trova le voci di costo, nelle colonne – con rispettive intestazioni – invece lo stanziamento iniziale, lo speso e, nell’ultima colonna, il residuo.

Chiunque nella vita abbia visto una tabella, foss’anche quella su un’etichetta che riporta i valori nutrizionali del centrifugato di carrube detox utile per la palestra, sa che incrociando righe e colonne ottiene i valori desiderati e che, in fondo alla tabella, trova i totali.

E poi Occhio di Falco è una che fa robe di roba di scienza, insomma un cervello che sicuramente mi batte in parecchi campi.

Mi risponde – come se le avessi incollato nella mail i valori nutrizionali del centrifugato di carrube detox – dicendomi che ha bisogno di una mano a leggere le tabelle e che e comunque lei ha bisogno di una fotografia ad oggi dei suoi fondi e di sapere i residui.

Ho fatto il mio solito esercizio zen che uso in questi casi. Qualche invocazione ad Anubi, un paio di passeggiate nervose nel corridoio, un respiro, un saluto ad Anubi che è sempre disponibile in qualunque momento della giornata e mi sono apprestato a risponderle, in maniera cortese, professionale e didascalica.


Il fatto di star ancora lavorando in telelavoro è d’aiuto in questi casi. Ho problemi a invocare Anubi in ufficio e, in generale, in luoghi pubblici. Lui non si fa problemi, figuriamoci, a sentirsi invocare ovunque. Sono io che mi imbarazzo se poi qualcuno mi vede (e mi sente) mentre lo invoco.


Poi capisco che Occhio di Falco non è mica stupida. Il suo era un caso di Pesoculismo.

Il Pesoculismo può colpire chiunque, in qualunque momento. Per alcuni è cronico. Per altri, estemporaneo e passeggero. Può presentarsi in varie forme. Come suggerisce il nome, la malattia colpisce il culo del malcapitato, rendendolo pesante come una Multipla. All’inizio, è asintomatica. Poi, dal culo si propaga in maniera casuale verso altre zone del corpo. Può colpire gli arti inferiori, costringendoti a stare sul divano invece di andare a fare la spesa per la cena; poi ti ritroverai a friggere un paio di bastoncini esausti che hai raccattato grattando il fondo mai sbrinato del frezeer (oppure forse stai solo friggendo due blocchetti di ghiaccio sporchi). Può bloccare gli arti superiori, impedendoti di prendere un oggetto in alto, in basso, insomma, in una qualunque posizione che comporta uno spostamento delle braccia. Può affliggere occhi e cervello, inibendo la lettura e comprensione di una tabella!

Questi sono solo alcuni esempi della sindrome Pesoculica.

E tu, sei sicuro di conoscere il tuo culo?

Ma soprattutto, quando incontri qualcuno col Pesoculismo, invochi anche tu Anubi?

Non è che se hai caldo ti lanci sul buffet perché è un rinfresco

Frammenti casuali e discontinui di vita gattuta.


Oggi nel Centro dove lavoro ha fatto visita il megadirettore, sceso dal Nord. Sono andato in ufficio invece di restare a casa in telelavoro con la speranza che, per l’occasione, ci sarebbe stato un rinfresco. Le mie aspettative sono rimaste deluse e c’è stato solo un momento di raccoglimento collettivo in cui il Mega invitava a fare domande e/o lamentele e ricordava che la sua casella email è sempre disponibile.
Gli scriverò lamentandomi dell’assenza di un rinfresco.

La Costiera Amalfitana, posso dire una cosa che tutti sanno ma non osano dire, è un posto bello ma non ci vivrei e anche un posto vivo che non ci bellei. A riprova di ciò va considerato che:
– un qualsiasi luogo che in linea d’aria dista pochi km comporta mezz’ora di tornanti con autobus che ti arrivano addosso in senso contrario, senza rallentare;
– scendere a piedi comporta scalinate, tante. Lo scendere comporta più allenamento che a salire;
– considerato il costo delle strisce blu – quando se ne trovano, libere -, conviene collezionare un paio di multe;
Allora perché ci vai, è la domanda che ti fanno di fronte alle difficoltà summenzionate; niente, amo l’avventura e i clacson bitonali degli autobus.

Sono tediato dalle discussioni di attualità come se stessi guardando una partita di calcio noiosissima che si è trascinata ai supplementari, poi ai rigori e dopo 5 serie di calci di rigore stanno procedendo ad oltranza. A quel punto vorresti solo che finisse, non importa manco più la squadra che ti appartiene, basta che si possa porre fine allo strazio, quindi tifi per un’eruzione vulcanica.

Ci sono persone come me – ho scoperto di non essere tanto solo – che quando leggono di personaggi disfunzionali e/o negativi – spesso letterari – si pongono il problema se per caso non abbiano delle caratteristiche in comune con costoro.


In genere poi mi convinco ovviamente di avere anche io le stesse caratteristiche del personaggio disfunzionale.


Si sta avvicinando settembre, quindi vuol dire che la mia mente si metterà all’opera nel cercare qualche nuova attività da intraprendere. Non faccio mai buoni propositi alla fine dell’anno, né a dire il vero a fine agosto: sento però sempre l’esigenza di partire con qualcosa di nuovo con l’approssimarsi dell’autunno.
Le opzioni che sto vagliando sono:
– fare teatro
– iscrivermi a un corso di spada medievale
– iscrivermi a scherma
– andare a menare calci nella palestra di M.


Nel senso la palestra dove va, non che sia la sua.


L’essenza della serenità per alcune persone ho scoperto può risiedere in un pantaloncino. Sul serio. D’estate c’è chi, a causa di caldo, sudore e sfregamento, soffre molto nell’interno coscia. È un problema che avevo anche io da bimbetto, poi è sparito da solo. Comunque, per farla breve, c’è chi mette dei pantaloncini aderenti – tipo quelli da ciclista ma senza imbottitura – sotto ed evita stress e irritazioni vivendo una vita felice e spensierata mentre il resto del mondo ignora il suo segreto.

Mi hanno proposto di andare in un posto dove in una serata propongono la formula “Bevi tutto quello che riesci”. Il costo è 10€ per gli uomini e 5€ per le donne. Tralasciando i dubbi sulla qualità di quel che ti possono servire per queste cifre, è evidente che contino sul fatto – presunto – che le donne bevano di meno.
Non so che donne conoscano, ma tra le mie conoscenze vicine e lontane c’è chi può rompere qualsiasi stereotipo alcolico di genere.

Un amico ha comprato al supermercato dei dolcetti di pasta di mandorle per poi scoprire che erano a base di pasta di arachidi e con soltanto aroma di mandorla.
Comprendo la sua delusione, pari alla mia di quando comprai uno yogurt non ricordo dal sapore di quale particolare frutto, per poi scoprire che era a base di banana con l’1% del frutto promesso.
Il capitalismo non è per anime candide.

Sì, questo è il mio nuovo costume da bagno e desto più attenzione in spiaggia di una modella in costume inguinale:


Non è vero, ovviamente. Però i miei bermuda si fanno notare.



 

«Mi sono sentito in famiglia», penso sia una delle cose più belle che ho detto ultimamente. Perché è una delle sensazioni più belle che mi è capitata.

Non è che la tua lettera sia un’ospite non gradita perché è imbucata

Caro Babbo Natale,

sarà dagli anni ’90 che non ti scrivo. Da quella volta che in quel centro commerciale mi dicesti Mandami una Letterina! – indicando degli schermi tv con dei culi ballanti in un programma di Gerry Scotti – facendo una grassa risata che non era il tuo Oh Oh Oh ma più un Ahr Ahr Ahr come Pietro Gambadilegno. A ripensarci credo non fossi comunque tu ma un tuo scalcagnato imitatore.

In ogni caso, non ti ho più scritto non per raggiunti limiti di età ma perché tutto sommato adesso possiamo dircelo con tutta franchezza: TU NON ESISTI.

Solo che poi in tutti questi anni tante cose che uno diceva No, impossibile, c’è un limite poi si sono concretizzate.

E quindi mi son detto: vuoi vedere mai che gira e rigira si scopre che esisti pure tu? In tal caso, come prova della tua esistenza ti chiedi di portarmi sotto l’albero:

  • Un castello per aria: così potrei smettere di farne io, avendone già uno pronto.
  • Una carta di “credilo”. Tutte le volte che mi sento a torto messo in dubbio o quando ho bisogno di un po’ di autorevolezza, un po’ di “credilo” farebbe comodo. Prometto di usarla con parsimonia e per giusta causa e di non abusare del “credilo” per smerciare bugie e falsità.
  • Un orologio che funzioni col-pendolo. Cioè che per ricaricarlo devi prenderlo a pugni o calci. Un utile promemoria per ricordare la sveglia e per scaricare lo stress.
  • Delle tende da sòle: per ripararmici quando mi tirano fregature.
  • Un cappello introduttivo. Un copricapo utile per presentarmi e farmi da preambolo.
  • Una sedia a gongolo: una sedia che ondeggia dando soddisfazione e compiacimento.
  • Un acquario pieno di carpe-diem per essere sempre pronti a godersi l’oggi.

Sono un po’ di cose ma è per gli arretrati di tutti gli anni in cui non ci siamo sentiti.

Se non esisti non potrai portarmi nulla di tutto ciò, ma non preoccuparti. Fa niente e amici come prima. Facciamo che anche quest’anno mi faccio da solo un regalo che può tornare utile a chi mi sta vicino: cercare di essere una persona migliore rispetto all’anno precedente.

Non è che ti puoi rinfrescare con un ventaglio di possibilità

Ho fatto un giro su per visionare un po’ di stanze a Milano. Una di quelle che ho visto ha anche vicino un grande centro fitness di una nota catena (il cui nome è in una vecchia e nota canzone di Madonna), dotato anche di piscina. Dato che mi piacerebbe proseguire l’attività natatoria anche dopo essermi trasferito, nel tempo libero tra due visite di case sono andato a darci un’occhiata.

Più che parlare con un’istruttrice mi sembrava di avere di fronte il commerciale di una società di consulenza. Mi ha mostrato il ventaglio di opzioni e possibilità e tipologie di abbonamenti che il loro mega-centro offre.

– Ma io voglio solo nuotare
– Sì certo ma poi magari ti piace anche la palestra tu con l’abbonamento puoi utilizzare tutta la struttura come e quando vuoi vedi con l’opzione abbonamento 3 mesi in realtà io posso darti un mese al 50% che dividendo il costo per 4 mesi sarebbe come se pagassi di meno di quanto…
– Sì ma penso verrò solo a fare piscina
– Non è detto tanta gente ad esempio si iscrive da noi in palestra e poi utilizza anche la vasca dato che c’è tu frequentando il centro magari vedi qualcosa che ti piace e cominci anche a fare altro…

Devo dire che offrono molta libertà di scelta. La struttura dove attualmente nuoto invece non ha scelte: un unico prezzo, pochi orari e anche fissi. E scaduti i 45′ in acqua ti spengono le luci per farti capire di sloggiare.

Ma le cose staranno veramente come sembrano?

Io credo che la libertà di scelta data dalle mille opzioni sia in realtà una non-scelta, e la non-scelta data dall’assenza di alternative sia invece una libera scelta.

Non avere alternative ti permette di fare le tue valutazioni e pensare che, se le cose non ti stanno bene, non le accetti e ti rivolgi altrove. Questa è la libertà della non-scelta.

Il grande ventaglio di possibilità che ti offre il mega-centro invece ti porta a farti attrarre dalla presunta libertà di fare quel che vuoi, incentivato dall’aver a disposizione anche possibilità che non avevi contemplato: andare a fare i pesi dopo una nuotata e poi magari un bagno turco, per dire. Cose che non avevi contemplato perché in realtà non te ne frega una beneamata dei bagni turchi, altrimenti saresti già andato a cercarteli. Ma ingolosito dall’avere tante cose perché “tanto è tutto compreso” tu stai dedicando il tuo tempo libero al mega-centro e stai in realtà facendo esattamente ciò che loro si aspettano che tu faccia e che hanno deciso che è il meglio per te. Da qui la non-scelta della libera scelta.

L’esempio sportivo rispecchia l’andamento della nostra vita attuale, apparentemente piena di opzioni e possibilità ma nel concreto sempre più paralizzata da vincoli.

Ad esempio è molto comodo avere tanti strumenti utili sul telefono. Ti rompi un po’ il cazzo quando invece per fare qualsiasi cosa orami ti serve avere l’app. Ora anche le mie banche mi obbligano ad avere l’app – che non funziona neanche bene – per utilizzare le procedure di sicurezza perché le chiavette coi codici saranno abolite da settembre.

Si può replicare che se non avevo scelta prima, non ce l’ho adesso. È cambiato solo lo strumento. Vero. Ma io mi sento sempre più connesso giocoforza alla tecnologia, incatenato, costretto, nonostante la libertà di cose che mi offre.

Una libertà che io non ho chiesto!

Visione consigliata:

Per chi non ha modo o tempo di vedere il video, qui c’è la trascrizione tradotta dell’intervento.


A proposito della libertà che sa di catena al collo: per chiedere informazioni il grande centro ti chiede il numero di telefono. Oggi mi hanno chiamato per chiedermi cosa intendessi fare, perché mercoledì scade la favolosa promozione e “sarebbe un vero peccato perdere questa libera opzione”.


Non è che il palestrato vada al doposcuola per fare le ripetizioni

Tra le cose che mi irritano ci sono le ripetizioni. Non quelle scolastiche, né quelle da palestra, anche se non ho mai amato ripetere sui libri e in palestra non ci sono mai stato perché è un posto brutto e cattivo.

Ho trascorso l’ultimo dell’anno segnato da acciacchi di stagione. Colpa delle mie tonsille incomprensibili: sono criptiche. A ciò va aggiunto che l’occhio destro mi si era riempito di sangue, forse per un colpo di freddo.

Ognuno dei presenti alla tavolata all’orgia alimentare e alcolica, a turno, mi ha chiesto cosa avessi all’occhio. Alla quinta identica domanda ho iniziato a dare risposte a caso. Mi pento però di non essermi giocato le migliori che ero fortemente tentato di dire:

– Ho fatto una rissa in un peggior bar di Caracas
– È una nuova moda, colorarsi la sclera con la salsa di pomodoro
– Succede quando mi trasformo in un Ghoul.

In un contesto amicale possono anche andar bene risposte del cavolo. Per quanto tu possa esser guardato in modo strano le persone che ti conoscono sono già consce da tempo della tua stranezza e sembrano non farci più caso.

I problemi sorgono in contesti professionali dove non si può dire tutto ciò che si pensa.

Da quando sono arrivato qui qualche mese fa – intendo qui dove lavoro e faccio altro – c’è una cosa ricorrente che sento ripetere da tutte le persone che lavorano con me. E che cioè ognuno procede per conto proprio, ogni singolo coltiva soltanto il proprio orto, non c’è coordinazione, non c’è dialogo, le sedi regionali procedono ognuna all’insaputa delle altre.

Lo ripetono tutti i soggetti coinvolti.

Tutti quei medesimi soggetti che all’atto pratico fanno esattamente ciò di cui si lamentano e che potremmo sintetizzare con pensare solo ai cazzi propri.

Ho formulato delle ipotesi in materia.

1) Sono vittime di una maledizione: non vorrebbero essere così strafottenti ma ne sono costretti e io sono l’Eletto che dovrebbe spezzare l’incantesimo (ipotesi presuntuosa)
2) È un test per me che sono l’ultimo arrivato: in realtà fanno finta di badare solo ai propri cazzi e lamentarsene per verificare se io mi adeguo all’andazzo oppure mostro spirito collaborativo e intraprendenza (ipotesi complottista)
3) Sono tutti molto timidi e nessuno fa il primo passo verso gli altri e questo clima di vergogna generale crea una situazione di stasi (ipotesi dell’adolescente imbarazzato)
4) Sono delle teste di cazzo (ipotesi dell’essere circondati da teste di cazzo).

Cosa dovrei fare io:

1) Fregamene
2) Fregarmene
oppure 3) Fregarmene?

(Mi sono ripetuto. Ora vado a odiarmi)

Non è che l’erede al trono nuoti solo con lo stile Delfino

Devo avere un problema con gli addetti alla reception per le attività sportive. Li trovo tutti dotati di uno strano senso di ovvietà.

Mi successe ad aprile quando andai a chiedere informazioni in una palestra di Budapest.

Mi è accaduto di nuovo stamattina, quando sono andato a chiedere informazioni in piscina.

Ho deciso infatti di praticare nuoto. Non so per quale insano motivo. Sarà che nelle ultime settimane nell’acqua di rubinetto comunale hanno aumentato la concentrazione di cloro e ne sento il richiamo. Il cloro è stata una buona cosa, ha coperto quel sapore di terra che quell’acqua aveva negli ultimi mesi. Spero facciano qualcosa anche per le blatte che sbucano dai tubi: un mio conoscente se ne è trovata in casa una così grossa che non sapeva se fosse un insetto o Gregor Samsa trasformato.

Quando sono entrato nella reception della piscina mi ha accolto una zaffata di aria al cloro. Per riflesso condizionato mi è venuta sete e volevo il mio rubinetto di casa.

Al tizio che mi accolto ho detto:

– Buongiorno, volevo delle informazioni sulle iscrizioni…
– Prego, qui abbiamo corsi di nuoto

Ma non mi dire. Stavo per replicare Peccato, io cercavo corsi di tamburello!

Mi ha messo davanti una brochure indicando un riquadro:

– Questi sono gli orari.

Ha detto, mostrandosi sempre più sorprendente. Aspettavo mi dicesse che entrando in acqua ci si bagna.

– Come vedi sono indicati gli orari di inizio e fine…inizia un corso e poi finisce…

La sua spiegazione mi ha lasciato un po’ perplesso: in base al suo ragionamento, se quelli nel riquadro sono gli orari di inizio e anche di termine, il martedì e il giovedì per esempio c’è quindi un corso che inizia alle 13:30 e dura 5 ore.

– Scusami, quindi alle 20 inizia un corso o è solo l’orario di fine lezioni?

Chiedo, per metterlo in difficoltà.

– No, alle 20 finisce. Credo. No aspetta ci dovrebbe essere. Non ne sono sicuro.

L’ho mandato in tilt. Magari a quest’ora sta ancora pensando al corso delle 20.

Mi ha poi mostrato la vasca. Abbiamo incrociato una istruttrice. Lei mi ha guardato e ha esclamato Tu mica vieni quando ci sono io?.

Devo aver dimenticato di lavarmi la faccia stamattina e togliere dalla fronte la scritta TOTALMENTE INABILE ALL’ATTIVITÀ NATATORIA.


Ho una fronte spaziosa.


In ogni caso non mi faccio scoraggiare e andrò a fondo della vicenda.
O a fondo della vasca.

Non è che il pugile non si lavi solo perché ha gettato la spugna

Salve, sono Gintoki, forse vi ricorderete di me per post come Non è che il palestrato riverente si alleni facendo le genuflessioni.

Sono andato in palestra a chiedere informazioni.

Quando sono entrato ho notato che mancava il pavimento. Ho pensato stessero in ristrutturazione, eppure quando c’ero passato davanti giorni addietro la struttura sembrava operativa. Che avessero deciso di chiudere sapendo del mio arrivo?

Prego? Mi fa la ragazza alla Reception
Ehm…siete aperti vero? Dico alludendo al non-pavimento
Sì sì, non farci caso
Un po’ difficile non farci caso (ri-alludo)…Comunque, posso avere delle informazioni?
Certo! Tanto per cominciare, questa è una palestra!
Ah e vedo che vi allenate nella simpatia
Prego?
Sì, dicevo sembra un posto simpatico…riguardo gli accessi?

E mi sventola davanti un foglio, dicendo che quelle sono le tariffe più basse di tutta Budapest.

Quando mi ha invitato a fare una ricognizione della palestra, ho capito il motivo di prezzi così stracciati. Anzi, straccioni.

I macchinari risalgono più o meno all’epoca Sovietica. Qualcuno è fuori servizio. Le barre di ferro dei sostegni dei tapis roulant sono così arrugginite che anche il batterio del tetano ha paura di prendersi il tetano. Le panche hanno i bordi smangiucchiati.

Ho detto che sarei ripassato. Magari insieme a qualche ispettore dell’ufficio igiene.

C’è un’altra palestra a 7 minuti a piedi da casa.
Non vi sono manco entrato perché la porta d’ingresso aveva i vetri così sporchi che non erano più trasparenti. Un foglio di carta scritto a penna indicava gli orari. Un cartello OPEN di quelli con le lucine a led verdi-blu-rosse che vendono i bengalesi era mezzo fulminato e recava la scritta PEN.
Se tanto mi dà tanto l’interno non doveva esser tanto curato.

C’è ancora un’altra palestra nella stessa zona. Questa è invece una di quelle iper professionali, con accesso solo tramite badge e scansione ottica, parcheggio riservato con taglio delle gomme di avvertimento quando non ti impegni abbastanza nell’allenamento.

Hanno una sorta di club fedeltà cui ci si può iscrivere. La presentazione sul sito sembra quella di una setta religiosa. In corsivo degli estratti:

  • Unisciti a noi e sarai un membro della comunità Life1. Saremo molto felici di darti il benvenuto tra noi.
  • Il nostro team ti ispirerà e motiverà a raggiungere i tuoi obiettivi di fitness.
  • Potrai essere un membro di una comunità energica e orientata al movimento.
  • Gli allenamenti regolari e il nostro gioioso team ti daranno la giusta energia.
  • I nostri club sono totalmente climatizzati e ricchi di luce naturale. L’ambiente è amichevole e confortevole.

Le macchine sono di ultima generazione, con schermo e connessione internet, allenamenti super personalizzati, con personal trainer così personal che ti seguono anche a casa per controllare se in cucina tu stia calibrando bene proteine e carboidrati.

La retta costa così tanto che credo alla fine sia semplice seguire un regime alimentare ferreo: se ti iscrivi non ti restano soldi per mangiare.

Infine, sempre nei paraggi, c’è una palestra di arti pugilistiche. Ma non so se sono pronto a essere tiranneggiato da un ex pugile magiaro come trainer. Non so perché ma l’idea non mi suona simpatica.

Quindi facciamo che per ora faccio footing sul lungoDanubio dietro casa.

Non è che il palestrato riverente si alleni facendo le genuflessioni

Forse mi iscrivo in palestra.

Mi sorprendo da solo mentre me lo dico e lo scrivo.
Non sono mai stato in vita mia in un posto simile. Non so manco cosa ci sia in una palestra e cosa si faccia. Nella mia immaginazione la gente va a bersi il Gatorade.

C’è una palestra a cento metri da casa mia. Forse domani entro per chiedere informazioni.

Il percorso di avvicinamento ad essa l’ho preso molto alla larga. Allo stesso modo in cui mi approccio a una donna.

Sabato l’ho notata. In realtà sapevo della sua esistenza da quando mi sono trasferito in questa zona, ma non l’avevo mai considerata fino alla settimana scorsa. Ho iniziato a cercare informazioni su di lei sui social. Stamattina ci sono passato davanti osservandola più a lungo. Domani, come dicevo, tenterò un primo informale approccio per vedere come va e se ci sono margini per una frequentazione da parte mia.

Qui a Budapest il fitness va molto. Almeno a giudicare dalla quantità di uomini che girano in t-shirt anche a gennaio, con le braccia larghe e tese tipo Robocop. Forse fanno la ceretta alle ascelle e dopo spruzzano un deodorante troppo alcolico e hanno dei bruciori.

Inoltre hanno una forma strana, gonfi e impettiti verso la parte alta con una testolina minuscola e ristretti verso il basso con due gambe sottili.

Un tipico palestrato ungherese

Più che per la forma fisica – la mia disciplina sportiva, il lancio dei coriandoli, non tollera eccessi di muscolatura – è per occupare il tempo libero. I miei appuntamenti con lo storytelling in spagnolo sono purtroppo cessati. Il narratore, un messicano, è stato rispedito in patria per fornire un contribuente in più cui esigere il conto del muro di Trump.

Non è che il pescatore vada dall’odontoiatra a far controllare i dentici

Non guardo molto la televisione, anche perché è sempre uguale.
Forse dovrei accenderla, qualche volta.

L’altro giorno però ho visto in tv una cosa che mi ha sorpreso: la pubblicità di un dentifricio per soli uomini.

Dopo un iniziale stupore, un sopracciglio inarcato e una grattata a una chiappa, ho realizzato che fosse una grande idea.
Ho capito finalmente perché al mattino si incontrano uomini con l’alito che falcia teste: si vergognavano a utilizzare un dentifricio normale, loro erano maschi e necessitavano di un prodotto adatto alle loro esigenze.

La confezione, pardon, volevo dire il packaging, ha un design moderno e accattivante: nera con inserti blu elettrico. È elegante e soprattutto maschile: si può portare finalmente il dentifricio con sé, al lavoro, in palestra, ovunque, sfoderandolo con orgoglio.
Era ora di basta! con quelle confezioni bianche e verdino, bianche e rosato, bianco e azzurrino sbiadito che devono aver causato degli imbarazzi all’orgoglio di noi maschi.

Io sentivo che al mattino ci fosse qualcosa che non andasse. Davo la colpa al lunedì mattina, all’afrore di plastica bruciata che aleggia nell’aria dalle mie parti, al litro di birra la sera precedente, alla congiuntura economica, all’Europa, agli spoiler sulle serie tv.
Invece era il dentifricio sbagliato.

Immagino ora invece ci sia qualcuno che tira fuori in pubblico il proprio dentifricio da uomo: sicuramente alla vista del prodotto lo farà qualcun altro e ci si potrà scambiare un cenno d’intesa, una pacca sulle spalle, un cinque, una fraterna toccata di pene.

Ho letto un po’ di ironia in rete: che gusto avrà? Whiskey? Falegnameria canadese? Pube di Scarlett Johansson?


Che poi sono sempre restìo a idealizzare così, solo perché magari è Scarlett Johansson o chi per lei. Magari invece nel suo intimo non c’è Chilly, chi lo sa.


Immagino invece avrà il gusto da dentifricio normale: sono lontani, purtroppo, i tempi in cui era in vendita questo:

Questo era l’unico, vero, originale dentifricio da uomo: per il maschio che voleva sentirsi sempre fresco e alla moda come una bettola del Tennessee con delle ballerine in burlesque. Hi-hah!


Gli esperti di marketing plauderanno invece a questa scelta di genderizzazione del prodotto, perché in questo modo l’azienda si differenzia innanzitutto dalla concorrenti creando una novità e, in secondo luogo, sembra che oggi paghi differenziare i prodotti per sesso.

Io penso sempre che il marketing sia quella cosa che ti vuol convincere di aver bisogno di qualcosa anche se non ne hai bisogno.


Non mi sono fermato alla terza media e quindi mi è venuta la nausea

Il sistema scolastico italiano è fondato sull’inganno.

Ricordo quando in 5a elementare ci portarono a fare un tour di orientamento tra le principali scuole medie della città. Io ne avevo già scelta una per motivi logistici (era 20 metri più in là della scuola elementare e a 500 metri da casa), ma qualcosa secondo me avrebbe dovuto indurmi a un ripensamento.

Durante il tour ci venne mostrata “la sala computer”: la studentessa scelta per l’ingrato compito di mistificazione della realtà ce la presentò come aula dove “poter studiare, imparare l’informatica e, perché no, anche giocare un po’ (sottolineò queste ultime parole mimando con le dita il gesto di battere sulla tastiera)“.

In questa fantomatica aula computer erano poggiate, per ogni banco, perfettamente allineate le une con le altre in orizzontale e in verticale,  delle calcolatrici a energia solare come questa (ovviamente dal design meno moderno):

Il prestigioso Atari 2600 (l’originale)

Siamo d’accordo, era il 1995 e noi bambini degli anni ’80 non eravamo avvezzi alla tecnologia come i marmocchi di oggi: tanto per dire, a casa potevo vantare una modernissima copia cinese di un Atari 2600 (già di suo costruito in Cina o da quelle parti) dove i videogiochi di calcio avevano un numero di calciatori variabile da 2 a 7, il campo aveva un colore variabile dal nero al verde evidenziatore (ma ricordo una versione col campo blu) e il pallone era quadrato. E facile giocare a PES con Cristiano Ronaldo sulla PlayStation 4: ma per calciare un pallone quadrato ci vogliono le palle…quadrate!

Nonostante, comunque, il nostro analfabetismo digitale, presentarci un’aula calcolatrici come sala computer fu un inganno e un insulto all’intelligenza.


Tra l’altro nel corso dei tre anni di scuola non ho mai visto neanche una calcolatrice e in caso di bisogno durante un compito in classe se avevi dimenticato la tua, beh, erano calcoli amari.
L’inganno era sovrapposto a un altro inganno: una truffa quadratica.


Le cose non andarono meglio per la scelta delle scuole superiori. Questa volta, chissà perché, non ci fu nessun tour. Gli open day non erano ancora di moda e anche se qualcuno ce l’avesse proposto non avremmo capito cosa fossero; alcuni di noi però furono coinvolti in un progetto presso un centro no profit che aveva organizzato degli incontri con gli insegnanti delle scuole superiori.

Inutile dire che feci parte della delegazione, come “volontario”: ho sempre avuto una vocazione speciale per attirare seccature.

I professori ci presentarono le materie che insegnavano al liceo e poi illustrarono per linee generali cosa offrivano le scuole da cui provenivano.

Mi fu detto che il liceo che poi scelsi aveva due palestre. Il che era vero, però non fu specificato che una delle due aveva le pareti completamente ammuffite e fare attività fisica lì dentro per 5 anni per due ore la settimana non so quanto bene abbia fatto ai polmoni. In compenso però devo aver inalato così tanta penicillina che negli anni successivi al liceo non ho avuto febbri.
La seconda era invece grande quanto un garage e aveva il pavimento composto da orribili mattonelle rosse a L che andavano di moda negli anni ’80 (purtroppo non si esce vivi dagli anni ’80, come cantavano gli Afterhours) per rivestire i balconi dei condomini.


Ah, ho dimenticato di dirlo: il liceo era ricavato infatti da un ex condominio. C’erano classi con un pilastro in mezzo all’aula (che ho sempre invidiato per mettere in pratica la tattica di occultamento ninja nota come “appiattirsi dietro un pilastro”) e classi come la mia del ginnasio che aveva ancora dei tubi sporgenti dalle pareti in memoria dei servizi igienici che erano stati rimossi, unico ricordo di quando in quelle aule una volta qualcuno espletava i propri bisogni fisiologici e si faceva (mi auguro) il bidet.


La cosa positiva è che c’era realmente una sala computer. Difatti io mi iscrissi a una sezione che prevedeva un corso sperimentale contenente un modulo di informatica, del quale non erano ben specificati i contenuti e a cui aderii perché ancora memore della delusione durante le scuole medie avevo voglia di maneggiare computer sul serio.

Per 5 anni non abbiamo fatto altro che – per un’ora ogni due mesi, sotto la supervisione della professoressa di matematica che gestiva il modulo – risolvere equazioni, disequazioni e poi funzioni. Non era informatica, era informartica, perché rimasi di ghiaccio quando scoprii di cosa si trattava.

Gli esercizi potevano essere anche utili, peccato che per 3 anni non abbiamo fatto altro che scrivere equazioni sul Turbo Pascal.


Il Turbo Pascal è un compilatore per sistemi DOS. In pratica, dal 1998 al 2001, in piena era Windows, noi scrivevamo su DOS (avete presente, schermo nero e caratteri bianchi o a fosfori verdi?) con un programma che credo fosse stato abbandonato nel 1994 o giù di lì.


La scuola è in debito con me di sana attività sportiva e di informatica. Altro che riscatto della laurea: è la scuola dell’obbligo che deve riscattarsi!