Non è che l’ecologista cerchi sinonimi di “no” per differenziare un rifiuto

Scrivo molto di meno qui sopra. Leggo anche con meno frequenza, sia altri blog che libri. Ho terminato due giorni fa un Urania che avevo iniziato partendo per le vacanze il 5 di agosto. A me che in un mese leggevo 3-4 libri. Almeno.

Il tempo. Dove se ne va il tempo? Esce, fa due passi, torna fischiettando mentre tu sei sul divano preoccupato fino a prima che apra la porta. Poi lui entra e tu cambi volto e lo guardi male perché se ne è andato via.

In realtà sento il mio corpo che rallenta o chiede di rallentare. E se non sei tu a fermarti sono gli altri che te lo fanno fare, imponendoti di non andar sempre di fretta.

L’altra sera stavo rientrando a casa dopo 12 ore che ero fuori, di cui 10 passate attaccato a uno schermo a riempire celle Excel. Parcheggio e vedo fuori al cancello del palazzo le due inquiline del primo piano che litigano.

Non mi hanno visto. Potrei girare al largo e camminare intorno l’isolato, entrare nel supermercato per uscirne mezz’ora dopo con un pacchetto di caramelle, andare a farmi un bicchiere di vino all’angolo, qualunque cosa pur di evitarle. Ma io sono stanco, voglio solo togliermi i vestiti e girare nudo per casa.

Allora opto per la tattica ariete: testa bassa mi dirigerò verso l’ingresso, saluterò con un cordiale ma volante “buonasera”, infilerò la chiave nel portone e schizzerò sopra.

Nella mia testa è tutto giusto. Nella pratica loro, vedendomi arrivare, si sono girate e piantate davanti al cancello stile picchetto del liceo al grido di Oggi non si entra.

I fatti, in breve: una fa presente che i sacchi dei rifiuti, quando vengono portati fuori di sera, non debbano essere messi in corrispondenza – in linea d’aria – del suo balcone, perché sale cattivo odore fin al primo piano, dove abita. Una volta infatti la trovai che prendeva a calci i sacchi per spostarli più in là, verso un muretto perpendicolare al cancello. E accusava l’altra – che negava, difendendosi – di non rispettare l’indicazione di mettere i summenzionati sacchi più in là.


Qui nel palazzo funziona così: per secco e umido ci sono dei bidoni all’interno, che vengono svuotati dai netturbini. Invece plastica, cartone, vetro, devono esser posti fuori la sera prima.


Bisogna trovare una soluzione, dicono in coro. Parlare con l’amministratrice, affermano sempre in coro. Nessuno però fa niente, cantano ancora in coro. Io guardo in basso a destra seguendo con gli occhi un piccione che prova a rimorchiare una picciona, fingendo di non cogliere la velata richiesta di ergermi a loro capopopolo.

Una delle due, l’accusata, poi getta in campo un altro argomento: afferma che le dicono di non essere pulita, che dal suo appartamento arriva cattivo odore. Ma lei sotto il balcone (che dà sull’interno, non sulla strada) si ritrova i bidoni dove viene messo indifferenziato e umido. E mi invita ad andare a osservare (come se non li avessi mai visti). Poi trascina uno dei bidoni e fa per mettermelo sotto il naso: «Sentite come puzza, io non dico bugie!».

Mi scosto, dicendo di non dubitare certo che un secchio del pattume esali cattivi odori.

Lei, proseguendo, lamenta che nessuno provveda alla loro pulizia. E fa di nuovo per mettermelo sotto il naso per mostrarmi il lerciume all’interno.

Mi scosto di nuovo, dicendo di non dubitare che non sia certo pulito come la palandrana del Papa.

L’accusatrice dà ragione all’accusata. I bidoni sono gestiti e posizionati male, il sistema stesso della differenziata in questo palazzo non è eseguito bene.

«Tutti si lamentano e però nessuno dice niente», fa la prima accusatrice.

Io cerco con gli occhi il piccione che vedo è rimasto solo. Avrà ricevuto un due di penne. Approfitto di un momento di pausa – la capacità invidiabile di queste persone è quella di sparare raffiche di parole senza respiro – per congedarmi con un «Eh va così qui le cose vanno sempre peggio» e salire verso la mia dimora.

Che dire, in questo mondo in cui si corre, esci da una scatola (la tua casa), per entrare in una scatolina (l’auto) che ti porterà verso un’altra scatola (l’ufficio) dal quale, ore dopo, farai il percorso inverso, senza pause, ben venga chi ti blocchi, ti dica, portandoti anche in situazioni surreali, che tu ti devi fermare un attimo.

Il giorno dopo, sempre tornando dal lavoro, ho trovato di nuovo le due signore a parlare fuori il cancello. Questa volta, però, amabilmente come due comari.

Io ho girato al largo rientrando solo quando se ne erano andate via.

Non è che l’ecologista sia per forza contro la plastica facciale

Di questi tempi si parla tanto di coscienza ecologica. Le persone e le aziende (o forse prima le aziende e poi le persone) sono sempre più attente alle questioni ambientali.


Dal canto mio ne sono felice perché ora posso giustificare la mia pigrizia nello stirarmi i vestiti facendola passare per una scelta etica consapevole.


Sempre più spesso si vedono in giro borracce di metallo dalle forme più astruse – il design è sempre un’ottima scusa per giustificare il prezzo – per sostituire le bottiglie di plastica, ad esempio. La gente cerca di comprare prodotti con meno plastica, gli involucri di plastica vengono tassati, eccetera.

Contemporaneamente, non passa giorno senza leggere notizie su isole galleggianti di plastica che aumentano di dimensioni, plastica negli stomaci dei delfini, i vestiti che rilasciano fibre di plastica, microplastiche nella catena alimentare, addirittura ieri leggevo che la plastica sta venendo inglobata dalle rocce.

Dinanzi questo scenari tragici, ancor di più per salvare il pianeta e noi stessi è necessario darci un taglio con la plastica.

Ma sarà proprio così?

Sono dell’idea che, invece, il futuro per noi debba essere sempre più fatto di plastica. Non mi riferisco agli interventi estetici dei personaggi della tv e del cinema, ovviamente (anche se c’è qualche personaggio famoso che ha già da tempo tracciato la strada per assumere delle sembianze di plastica).

Ho preparato quindi un piccolo elenco di riflessioni a supporto del

PROGETTO PER IL PLASTICAMENTO DELL’UOMO

– La plastica mantiene giovani. Al massimo, se esposta al sole, dopo qualche tempo cambia colore in modo perenne, il che comunque renderà contenti i maniaci dell’abbronzatura.

– Non dovremo più preoccuparci delle microplastiche disperse in mare che poi vengono ingerite dai pesci che noi mangiamo, entrando a far parte del nostro organismo: un umano plasticato infatti trarrà giovamento e rinforzo dall’assunzione quotidiana di microplastica.

– Il sistema sanitario ne beneficerà. Stop alle lunghe liste d’attesa per i trapianti: basterà ordinare un modello di organo di plastica su Amazon per sostituire quello vecchio. Per gli interventi urgenti si consiglia l’abbonamento Prime.

– La plastica migliorerà le prestazioni sessuali. Niente più arrossamenti e infiammazioni nelle zone intime: gli organi genitali plasticati ne sono immuni (al massimo dopo un po’ con l’uso si consumano, ma tanto quanto sesso sperate di fare nella vita?). Per gli uomini, basta con le erezioni nulle o insoddisfacenti: un membro di plastica garantisce sempre vigore e durata. Per le donne, basta tette che scivolano giù per la gravità: la plastica non si deforma così facilmente col tempo!


A patto di stare lontani dalle fonti di calore.


– Niente più illazioni sugli interventi estetici altrui: tanto saremo tutti artificiali.

– La plastica galleggia e questo farà fallire il business dei bagnini che passano le vacanze al mare a molestare turiste con la scusa del salvamento.

– Calpestare un mattoncino Lego a piedi nudi non sarà più un’esperienza traumatica.

– Parafrasando Shakespeare, si potrà dire “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i Sony”.


Questa era così brutta che ho fatto testa o croce per decidere se scriverla.

 


– Quelli che stanno sempre a denunciare episodi di razzismo soltanto per qualche piccolo episodio di libera espressione di pensiero e di folklore (chi per costume e folklore infatti non ha mai insultato un ebreo o una persona di pelle nera?) non avranno più di che polemizzare: i nostri materiali corporei verranno tutti da qualche grande fabbrica delocalizzata dello stesso Paese e nessuno avrà più a disposizione materiale folkloristico, quindi. Contenti?

– Concettualmente sperimenteremo la vita eterna: l’umano di plastica non morirà ma verrà riciclato per assemblare altri umani.


Spero con queste pillole (in comodi blister monouso di plastica) di avervi convinto a pensare di intraprendere la strada del plasticamento!