Non è che puoi usare un compressore per gonfiarti i muscoli

Cerco di essere un pianificatore.
Per l’autunno ho in genere qualche attività nuova da iniziare, o un’impresa (personale) da intraprendere. Quest’anno, invece, mi sono fatto cogliere impreparato al rientro dalle vacanze. O, più probabile, non ho voluto pensare a qualcosa di nuovo.

Il lavoro resta uguale. Nel novembre scorso mi ero posto come obiettivo il cambiare azienda entro il termine del 2023. Mancano ancora 4 mesi, ma nei precedenti non è che io abbia avuto delle opportunità. Se ne va, intanto, un’altra persona dal mio reparto. È la terza in 6 mesi. Siamo ormai Dieci piccoli indiani.

Gli impegni sportivi sono i soliti. Il costo della piscina aumenta, la retribuzione di quelli che ci lavorano mi sembra di no. È quella che in economia si chiama legge dei rendimenti marginali: al crescere delle entrate della società il dipendente resta marginale.

Ieri alle 20 ero l’unico iscritto presente e inserviente e istruttore mi han lasciato da solo in vasca. Mentre nuotavo a un certo punto ho pensato che se mi fosse venuto un malore non ci sarebbe stato nessuno pronto a ripescarmi. Non era un pensiero d’ansia. Era più un “però dai che fine del cazzo” e poi ho pensato a qualche titolo sui giornali del tipo “Si poteva evitare”, “Tragedia annunciata”, e anche magari “Se nuoti da solo poi non ti lamentare che arrivano gli squali”.

Ho anche ripreso kickboxing, con la vecchia istruttrice in una nuova palestra addirittura fornita di spogliatoi. La sala attrezzi ho notato è frequentata solo da gente ipertrofica. Quindi mi chiedo: se arriva uno non ipertrofico non viene accettato, viene gonfiato in fretta oppure gli dicono Torna già gonfio?

Mi sono iscritto a un concorso ma più passa il tempo e meno mi interessa.

Mi sono iscritto alla DeeJay Ten (la corsa non competitiva organizzata dall’omonima radio), anche se ci ho provato ad allenarmi ma la corsa continua a non piacermi affatto.

Nella prossima vita voglio rinascere agenda. Di quelle però con delle vignette buffe a fondo pagina.

Non è che devi essere un pianista per toccare il tasto giusto

Ebbene sì, son sparito. Non credevo fosse trascorso così tanto tempo. Invece vedo che il mio ultimo post è del 24 ottobre.

A esser sincero a un certo punto riflettendo sulla cosa credevo di aver abbandonato a titolo definitivo il blog.

Non mi è successo niente in questo periodo tal da impedirmi di scrivere. Soltanto che mi sembra di non trovare mai tempo per far tutto. Una volta gli articoli che pubblicavo me li ero già formulati in testa nel corso della giornata e, quando mi sedevo al computer la sera, non facevo altro che trascrivere quello che avevo già pensato.

Adesso cosa mi tiene occupata la mente durante il giorno?

– Cose di lavoro da fare
– Un altro lavoro da cercarmi
– Esami/Tesi da completare*
– Cosa diavolo mangiamo stasera?
– Devo curarmi la spalla/lo stomaco/il raffreddore/altro malanno occasionale sopraggiuntomi
– Se vado via alle…arrivo alle…farò in tempo per occuparmi di questo…e poi andare in palestra/piscina?


* La settimana scorsa comunque ho sostenuto il penultimo. Vedo il traguardo.


Oggi ho detto basta a questo circolo abbastanza triste di pensieri.

Già, ma cosa scrivo? Mi sento fuori allenamento.

Per riprendere confidenza col mezzo offerto da Parolastampa, riprendo un articolo che in realtà era in bozza da parecchio e che riformulo per adattarlo a delle considerazioni.

Tempo fa regalai a M. delle mutande un po’ porcelle, come capita di far in una coppia. Nello specifico erano del genere con apertura sul davanti.

Ci siamo poi accorti che doveva averle ideate o un uomo poco pratico o comunque una persona che concepisce un incontro porcello solo con modalità, come dire, di inserimento.

Come mi spiego meglio? Faccio un esempio: immaginate di comprare una cover per il telefono che lascia scoperto lo schermo ma che copre però il tasto centrale. Voi potete comunque utilizzare il telefono con la cover indosso perché lo schermo è touch: ma se il tasto centrale è coperto direi che non è comodo. E senza utilizzare il tasto centrale ci si perde un bel po’ di funzionalità, credo possano confermarmi le proprietarie di telefono!

La mutanda ha lo stesso problema: è aperta sì ma copre il tasto centrale.


Certo, la cosa si risolve rimuovendo il capo in questione e liberando le parti interessate. Ma se uno progetta una mutanda aperta è per un utilizzo senza la rimozione della suddetta, presumo? Non lo so, non mi sono mai interrogato se, oltre a mutanda mutandis, in certi frangenti valga sempre il mutanda rimuovendis o no.


Mi scuso comunque per la pessima similitudine e l’analogia con il pulsante di un telefono, sono arrugginito alquanto come dicevo.


Questa progettazione mutandara discutibile mi fa pensare a quante cose vengono ideate, messe in piedi, organizzate, giusto per rendere tutto meno semplice, scomodo, magari dietro l’apparenza di funzionalità estetiche o connesse all’ordine.

Le panchine individuali. Perché poi magari su quelle lunghe ci si coricano i senzatetto e a noi poi rovina la giornata un’immagine del genere, signora mia che tempi.

Le stazioni senza posti a sedere e senza più sale d’attesa. Sempre antibivacco, così lei è serena signora mia.


Esiste una definizione per tutto questo: design ostile o architettura ostile. Per approfondire (PDF).


L’università che tiene le aule non utilizzate chiuse a chiave perché «Sennò poi entrano gli studenti», come mi hanno detto. I quali studenti, vivendo la giornata in facoltà, cercano dei posti dove potersi sedere a studiare, perché le aule studio sono

– piccole e non sufficienti
– chiuse
– non ci sono aule studio

Ma a quanto pare signora mia anche questo è brutto da vedersi.

È chiaro che ci sono anche altre esigenze di cui tenere conto ed è difficile conciliare gli interessi di tutti, ma se le soluzioni proposte sono per il rendere l’ambiente che ci circonda meno accogliente lo trovo un po’ triste.

Come una mutanda che sceglie di ignorare un tasto.

Non è che ti serva una cassaforte per i gioielli di famiglia

Mi sono iscritto in palestra.
A dirla tutta io e M. cercavamo un posto poter tirare qualche pugno e qualche calcio a un sacco: lei voleva riprendere kick-boxing, a me piaceva l’idea di provare qualcos’altro rispetto alla piscina, senza abbandonarla.

E poi un abbonamento può risultare più economico che farsi la doccia nel proprio bagno, di questi tempi.

La palestra vicino casa è di quelle aperte dalle 7 alle 23 e ha le formule entra quando vuoi e fa’ quel che vuoi. Sembra un ambiente tranquillo. Non ci siamo rivolti a una palestra di pugilato e/o arti marziali specifica perché cercavamo qualcosa di soft. In genere sono piuttosto cattivi e incazzati gli istruttori di pugilato e/o arti marziali.

La prima settimana un giorno abbiamo sbagliato corso: pensavamo si tirassero pugni ai sacchi e invece ci siamo ritrovati con uno su un palco che, a ritmo di musica, ti incita a mosse di pugilato, taekwondo, muay thai colpendo l’aria come fosse air guitar. Le famose air marziali. Qualche dubbio sull’impostazione del corso l’ho avuto quando, presentandoci prima all’istruttore, lui ha parlato del rilascio della sua prossima release di brani. E io mi chiedevo se fossimo a fare sport o a un Dj set.

Non è stato proprio quel che fa per me, per due motivi:

1) Ascoltare uno che, sempre sorridente per tre quarti d’ora perché deve per contratto trasmettere entusiasmo, grida E…salto! E…calcio! Siete dei guerrieri! Questa è la vostra sfida! mi crea molto fastidio.
2) Va bene che il fine è solo bruciare calorie ma usare delle mosse molto tecniche senza preoccuparsi di far curare l’impostazione non mi sembra molto indicato. E ci si può anche far male se non eseguite correttamente.

Frequentando invece la sala attrezzi ho fatto poi un paio di considerazioni.

La prima è che tanti adolescenti, ragazze e ragazzi, oggi si pompano. Ai tempi in cui andavo al liceo chi faceva sport praticava o nuoto o pallavolo. Qualcuno calcetto, qualcuna danza, ma non c’era molto altro.

Oggi ci sono 15enni con gli addominali di Cristiano Ronaldo. Cristiano Ronaldo di oggi, perché non credo a 15 anni fosse così strutturato.

La seconda considerazione riguarda gli spogliatoi maschili. Più che altro sulla questioni dei pendagli.

In piscina ho notato c’è molta discrezione sui pendagli: ci si cambia sia prima che dopo con l’accappatoio addosso. A me non frega niente e faccio senza anche perché lo trovo scomodo.

In palestra invece si gira tranquillamente per gli spogliatoi con il proprio pendaglio all’aria, avanti e indietro tra docce e armadietti. C’è anche chi si siede sulle panche senza niente addosso e a me non piacerebbe tanto pensare di sedermi con le chiappe nude e sudate dove poco prima magari ci sono state altre chiappe nude e sudate. Senza contare la questione gioielli del pendaglio: se sei nudo, devi fare attenzione a sederti senza schiacciarli.

Comunque mi son chiesto: la palestra incita all’esibizione del pendaglio mentre la piscina no? Come mai, visto che, comunque, in piscina si sta più svestiti rispetto alla palestra? Forse è paura che l’acqua della piscina abbia un effetto vasocostrittore e che, quindi, il pendaglio possa uscirne ridimensionato?

Interrogativi che restano pendenti.

Non è che i compagni di università di Napoleone fossero i colleghi del Corso

Nel precedente post parlavo della salute mentale degli adolescenti. In questi giorni invece mi trovavo a riflettere sugli universitari e la loro vita.

Il mio progetto 2aL – seconda laurea, prosegue. La scorsa settimana ho portato a casa un 30 e un 30 e lode, grazie ancora all’utilizzo della modalità a distanza. In virtù di ciò con i miei colleghi di corso non ho avuto molti contatti. Anzi, direi nessuno: li ho visti fisicamente soltanto una volta. Per me in realtà sono solo delle figure bidimensionali che vedo su uno schermo e di cui leggo nelle varie chat dei corsi.

Pur non avendo io una propensione nel far comunità insieme a loro, ho in qualche modo sviluppato qualcosa di affettivo nei loro confronti. La maggior mi sembra molto in gamba, lo vedo dall’interesse che hanno verso la Storia e verso la ricerca storica, dalle considerazioni e gli interventi che fanno alcuni, dalla volontà di far le cose per bene. E tutto ciò mi è di una qualche forma di conforto, di rassicurazione, nonostante le condizioni.

Vale lo stesso discorso che facevo per chi va a scuola: non riuscire a vivere questa esperienza nella modalità consueta da studente dev’essere per loro molto penalizzante e frustrante.


Poi, a dirla tutta, il semestre appena trascorso era in modalità mista: si poteva seguire in presenza, previa prenotazione. Peccato che le aule disponibili non avessero disponibilità di posti congrua rispetto alla richiesta, quindi riuscire a prenotare il posto era sempre una lotteria.


Non va per niente bene.

Per raccontare, la mia piscina ha chiuso da oggi le porte. I costi di gestione sono alti e i frequentanti attualmente pochi a causa di quarantene e paura di. Sperano di riaprire presto. Intanto, lo staff che ci lavora ha appreso della chiusura da un semplice foglio appeso in bacheca.

E io capisco le difficoltà economiche che si trova ad affrontare chi ha un’impresa, un’azienda, una società privata. Ma non posso capire che uno scopra che non lavorerà da un foglietto che legge quando si presenta al lavoro.

Eppure, non lo so. Cosa dire, cosa fare? Le esigenze dei lavoratori, le esigenze e gli obblighi della proprietà, le esigenze degli studenti, le esigenze e gli obblighi dell’università, le esigenze del cittadino, le esigenze e gli obblighi delle istituzioni. Come si gestiscono tutte insieme?

Come si vive tutti insieme e non si sopravvive?

Non è che per il fan di Agatha Christie le restrizioni prevedano la zona giallo

Gli scorsi giorni ci si è svegliati con la nebbia, evento inusuale da queste parti.

Mi ha riportato con la mente indietro di giusto un anno fa, quando partivo da Milano. Lo stesso grigiore color piccione esausto morente. Mi è salita un po’ di inquietudine.

Un anno fa non si pensava nulla di ciò che sarebbe successo. Un anno fa non pensavo nulla di come la mia vita avrebbe affrontato dei cambiamenti.

Ora comincio ad avvertire timore del cambiamento del cambiamento.

È come se la pandemia avesse creato una zona comfort. Mi sono abituato, ad esempio, a stare lontano dalla folla. Già di mio, in tempi normali, quando mi trovavo ingabbiato, in mezzo a un esercito di pedoni lenti e ondeggianti come pinguini, sognavo di appallottolarmi tipo Sonic e cominciare a roteare facendo strike delle persone.

Mi mancano però i concerti, quelli sì. E Il cinema, la piscina, le serate.

La prima cosa che farò, quando sarà possibile, è comprare il biglietto di un concerto. Uno qualsiasi – nell’ambito di quello che per me è uno standard di decenza, del tutto personale e soggettivo beninteso ma, senza offendere nessuno, c’è della roba che non andrei a vedere neanche se mi pagassero. A meno che non mi paghino tanto!

Delle volte poi mi chiedo se ritornare alle vecchie abitudini significhi rompere dei nuovi equilibri.

La cosa che più mi spaventa è di arrivare a sviluppare una sindrome di Stoccolma nei confronti del contesto di privazioni.

Oh dea madre delle fasce colorate, proteggici affinché nulla cambi.

Signora del contenimento, so di essere un miscredente e di non credere neanche a me stesso, ma se avrà cura del bisogno di intima condivisione in quarantena sono pronto ad accendere un C’ero (distanziato).

Signora, le ho mentito, comunque. A me stesso credo. Anche troppo.

Credo a una parte di me che fatico delle volte ad accettare.

Credo alla parte di me che vuole essere impeccabile per le persone cui tiene.

Credo a una parte di me che si innervosisce delle volte facilmente e vorrebbe dare un calcio a un oggetto qualsiasi per spedirlo in orbita solo per dimostrare a negazionisti della Terra tonda, della gravità e dello sbarco sulla Luna che sono dei coglioni.

Credo a quella parte di me che ha paura di perdere ciò che gli è caro.

Credo a una parte di me che vorrebbe che tutti intorno a lui stiano bene e tranquilli perché così può sentirsi bene e tranquillo.

Credo a una parte di me che non vuole mostrare tutto ciò al prossimo.

Credo a una parte di me che si sente un gatto di strada che guarda con sospetto gli esseri umani.

E proprio perché credo che queste parti esistano vorrei tenerle confinate in una quarantena perenne sperando che prima o poi si estinguano.

 

Non è che il fabbricante di peluche non si senta una pezza

Mentre andavo in piscina stasera la mia attenzione è stata attirata da questa panchina sul retro della struttura, su cui giaceva, triste e solitario, un cane pupazzo:

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Chi lo avrà lasciato lì? E perché? E come mai proprio sulla panchina di un luogo non di passaggio occasionale, non vissuto, se non dai frequentatori della piscina e dell’attiguo centro di danza che in genere entrano ed escono dagli edifici senza fermarsi all’esterno. Al massimo qualcuno sosta per qualche manciata di minuti sulle panche per attendere la persona che gli darà uno strappo.

Sarà stato dimenticato? Perché una persona va a fare sport con un cane di pezza? E come ci si fa a dimenticare di una cosa così ingombrante?

Sarà stato abbandonato lì di proposito? Chi può fare una cosa del genere?

Avrà avuto una vita questo cane di pezza? Sarà stato sul letto di qualcuno? Avrà visto cose? Avranno fatto del sesso con lui accanto?

Io ho un po’ di difficoltà a farlo coi peluche intorno. Ricordo una ragazza che ne aveva 3 o 4 sul letto, tutti raffiguranti animali. Rammento però solo un pupazzo di un delfino, perché andavo in giro tenendolo in mano e facendone l’imitazione del verso. Quando si arrivò al momento di conoscersi in senso biblico, con la scusa di mostrarmi irruente e passionale, con un colpo di mano liberai il letto dai pupazzi gettandoli sul pavimento, in modo che io non vedessi loro e loro non vedessero me.

Son fisime. Anche perché nella mia cameretta invece ricordo di aver avuto una platea di Cavalieri dello Zodiaco che stavano ad osservare e l’altra persona di allora non ha detto niente, né io mi sentivo turbato dalla loro presenza, anzi, forse col senno di poi frasi come “Hai mai sentito il cosmo dentro di te?” acquisiscono un senso diverso.


Chi conosce sa e non spiego, chi non conosce non sa e non spiego.

 


Alla mia uscita dalla piscina le ombre della sera ormai calavano, le luci della città creavano, giù in periferia dov’ero, un finto tramonto rosato dipingendo tetti di amianto come fossero le cime Dolomitiche.

E il cane era ancora lì. Ad attendere qualcuno che non sarebbe mai arrivato.

Il vero pupazzo sei tu che lo abbandoni!

Non è che il tipo lussurioso in punto di morte detti le sue ultime voluttà

Nella vita ho fatto:

– test
– testa o croce
– il testardo
– testacoda  (uno solo, nel 2014, sfasciando l’auto)

Mi manca da fare testamento.

Non sto morendo, precisiamo. O meglio, tutti dobbiamo morire e siamo avviati a farlo (la vita è la prima causa di morte ma questo non ce lo dicono), però pensavo tra me e me: se mi succedesse qualcosa, ho delle istruzioni scritte da lasciare? La risposta è no.

Quindi mi accingo ora a buttare giù qualche idea.

Il primo dubbio: intendo donare il mio corpo alla medicina per studio o per donazioni di organi?
Nessuna delle due cose.

Vorrei donarlo a una necrofila. Nessuno pensa mai a loro e alle loro esigenze (o magari se qualcuno ci ha pensato non può andare in giro a raccontarlo essendo morto, chi lo sa): in nome di una buona azione, perché non farlo? È un po’ come donare il 5×1000 un po’ a caso a chi ti sembra più sfigato.


Sì ho fatto così durante la dichiarazione dei redditi, non contestatemi. L’importante è il gesto!


Il funerale. Che sia in chiesa o meno, non mi interessa. La cosa importante è che al posto della bara ci sia una tunica marrone per terra. Quando qualcuno chiederà il motivo e dove sia il mio corpo, la risposta sarà: Era un Jedi.

Un’altra cosa importante è che qualcuno dovrà farsi carico della mia lista di persone cui chiedere scusa, per cose che ho fatto o detto loro durante la mia vita. Uno potrebbe chiedersi perché non domando scusa ora che sono in vita. Che domanda sciocca: venendo a sapere della mia scomparsa le persone saranno più comprensive e inclini ad accettare le scuse.

Cose da lasciare: non è che possa vantare molte proprietà. Ho l’abbonamento in piscina: l’attualità dimostra che in situazioni di emergenza nazionale può chiudere tutto (scuole, musei, locali, concerti ecc.) ma palestre e piscine possono restare aperte. Quindi, può esser sempre un valido rifugio in caso di calamità.

Ho una collezione di Cavalieri dello Zodiaco, originali con le armature in metallo. La lascio con il vincolo di non venderli (sul mercato collezionistico hanno valore) e di non farli combattere tra di loro. La storia insegna che se due cavalieri d’oro dovessero scontrarsi ne nascerebbe uno scontro infinito.

Ho diversi libri.  Magari li lascio alle scuole, purché li utilizzino per delle classi di lettura.

Potrebbero trovarmi nel cassetto dei barattoli di vetro con dell’erba (è quella legale, commissà). Sull’etichetta della bustina quando te la vendono c’è scritto che è solo per uso ambientale, ornamentale, decorativo. Lascio il compito di capire come decorare l’ambiente con delle ceppette di erba. Forse vanno nel presepe al posto del muschio.

E poi lascerò uno scherzone, del tipo: la carta di questo testamento è stata intinta in un veleno e l’antidoto è nascosto su un’isola raggiungibile alle seguenti coordinate ecc.. Dubito che qualcuno ci cascherà, ma se qualcuno mai andasse fino in fondo alla storia troverebbe sull’isola come premio alla sua tenacia un forziere d’oro. Finto. Intinto nel veleno (veleno legale, commissà).

Direi che c’è del buon materiale per un testamento coi fiocchi!

Non è che ti puoi rinfrescare con un ventaglio di possibilità

Ho fatto un giro su per visionare un po’ di stanze a Milano. Una di quelle che ho visto ha anche vicino un grande centro fitness di una nota catena (il cui nome è in una vecchia e nota canzone di Madonna), dotato anche di piscina. Dato che mi piacerebbe proseguire l’attività natatoria anche dopo essermi trasferito, nel tempo libero tra due visite di case sono andato a darci un’occhiata.

Più che parlare con un’istruttrice mi sembrava di avere di fronte il commerciale di una società di consulenza. Mi ha mostrato il ventaglio di opzioni e possibilità e tipologie di abbonamenti che il loro mega-centro offre.

– Ma io voglio solo nuotare
– Sì certo ma poi magari ti piace anche la palestra tu con l’abbonamento puoi utilizzare tutta la struttura come e quando vuoi vedi con l’opzione abbonamento 3 mesi in realtà io posso darti un mese al 50% che dividendo il costo per 4 mesi sarebbe come se pagassi di meno di quanto…
– Sì ma penso verrò solo a fare piscina
– Non è detto tanta gente ad esempio si iscrive da noi in palestra e poi utilizza anche la vasca dato che c’è tu frequentando il centro magari vedi qualcosa che ti piace e cominci anche a fare altro…

Devo dire che offrono molta libertà di scelta. La struttura dove attualmente nuoto invece non ha scelte: un unico prezzo, pochi orari e anche fissi. E scaduti i 45′ in acqua ti spengono le luci per farti capire di sloggiare.

Ma le cose staranno veramente come sembrano?

Io credo che la libertà di scelta data dalle mille opzioni sia in realtà una non-scelta, e la non-scelta data dall’assenza di alternative sia invece una libera scelta.

Non avere alternative ti permette di fare le tue valutazioni e pensare che, se le cose non ti stanno bene, non le accetti e ti rivolgi altrove. Questa è la libertà della non-scelta.

Il grande ventaglio di possibilità che ti offre il mega-centro invece ti porta a farti attrarre dalla presunta libertà di fare quel che vuoi, incentivato dall’aver a disposizione anche possibilità che non avevi contemplato: andare a fare i pesi dopo una nuotata e poi magari un bagno turco, per dire. Cose che non avevi contemplato perché in realtà non te ne frega una beneamata dei bagni turchi, altrimenti saresti già andato a cercarteli. Ma ingolosito dall’avere tante cose perché “tanto è tutto compreso” tu stai dedicando il tuo tempo libero al mega-centro e stai in realtà facendo esattamente ciò che loro si aspettano che tu faccia e che hanno deciso che è il meglio per te. Da qui la non-scelta della libera scelta.

L’esempio sportivo rispecchia l’andamento della nostra vita attuale, apparentemente piena di opzioni e possibilità ma nel concreto sempre più paralizzata da vincoli.

Ad esempio è molto comodo avere tanti strumenti utili sul telefono. Ti rompi un po’ il cazzo quando invece per fare qualsiasi cosa orami ti serve avere l’app. Ora anche le mie banche mi obbligano ad avere l’app – che non funziona neanche bene – per utilizzare le procedure di sicurezza perché le chiavette coi codici saranno abolite da settembre.

Si può replicare che se non avevo scelta prima, non ce l’ho adesso. È cambiato solo lo strumento. Vero. Ma io mi sento sempre più connesso giocoforza alla tecnologia, incatenato, costretto, nonostante la libertà di cose che mi offre.

Una libertà che io non ho chiesto!

Visione consigliata:

Per chi non ha modo o tempo di vedere il video, qui c’è la trascrizione tradotta dell’intervento.


A proposito della libertà che sa di catena al collo: per chiedere informazioni il grande centro ti chiede il numero di telefono. Oggi mi hanno chiamato per chiedermi cosa intendessi fare, perché mercoledì scade la favolosa promozione e “sarebbe un vero peccato perdere questa libera opzione”.


Non è che chi organizza gare sportive sia una pessima atleta perché si piazza sempre dietro le quinte

Il bello di partecipare alle Universiadi – non come atleta, s’intende – è il poter stare nel dietro le quinte dell’organizzazione e in mezzo agli atleti, respirando l’aria di grande evento. Sono anche riuscito a farmi assegnare alla piscina dove si tengono le gare principali. È stata una bella fortuna, se non altro perché una piscina è l’unico posto dove gli atleti che ti passano accanto dopo una gara non puzzano di sudore.

Ho avuto anche modo di capire qualcosa in più sul mondo della nuotisteria agonistica.

1) In primo luogo, il ruolo più importante di tutti è anche il ruolo più inutile di tutti: quello dell’assistente al salvataggio.


Non chiamateli bagnini per carità che una volta un tale in treno sentendomi parlare con un mio amico di bagnini mi attaccò una pezza assurda sul fatto che lui avesse il diploma di addetto al salvamento mica da bagnino.


2) Gli atleti girano a piedi nudi un po’ ovunque: bordo vasca, spogliatoi, bagni, tribune, asfalto esterno. Passi per le micosi, su cui non voglio indagare, ma come facciano a evitare pestoni e incocciare spigoli con le dita resta un mistero. Sarà la consapevolezza mentale che solo la disciplina atletica ti fornisce.

3) Chi fa nuoteria deve alimentarsi bene. Anche prime delle gare. Ma solo se la mamma non sta guardando sennò deve aspettare 4 ore prima di tuffarsi.

4) Nelle gare ufficiali ci sono gli umarell:

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5) La capigliatura può essere un impedimento all’essere un veloce nuotista:

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6) Chi fa parte dello staff non può fare foto agli atleti se non per uso personale. Un volontario è stato cacciato dalle Universiadi perché era stato visto spacciare dieci grammi di nuotatori.

7) È assolutamente vietato usufruire di mezzi a motore in gara in acqua:

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L’atleta qui presente è stato squalificato dal giudice coi pantaloni gialli

8) Il vero allenamento di un nuotistatore è quello per riuscire a sfilarsi il costume e metterne un altro con l’asciugamano indosso in un paio di secondi degno del miglior pit stop di F1.


Avevo dimenticato di accennare che per non fare il giro ed entrare a cambiarsi negli spogliatoi molti che stanno a fare riscaldamento o ad assistere ad altre gare si cambiano in mezzo la gente, sugli spalti.

 


9) Un grande scandalo ha investito questi Giochi: si chiamano Universiadi ma partecipano solo atleti Terrestri e nessuno dal resto dell’Universo.

Non è che Verdone si vestisse in fretta e Furio

Avevo raccontato de IL FISSATO che frequenta la piscina. Coi figli si comporta come Furio:

– Marco hai preso lo shampoo?
– Matteo hai preso la chiavetta?
– Marco ti sei insaponato?
– Matteo, hai finito?
– Marco, è possibile che ti stai ancora lavando?*


* Notare che la doccia ha una durata prestabilita, circa 2 minuti di getto, quindi non è che Marco si trattenga a lavarsi, utilizza semplicemente i 2 minuti che ha a disposizione (che sono anche pochi)!


Marco e Matteo non proferiscono mai verbo e mi danno l’idea di sbattersene.

L’altra sera nello spogliatoio un tale, vedendo “Furio” già vestito da capo a piedi, fa:

– Il papà fa sempre per primo

e lui

– I ragazzi devono imparare a muoversi.

I ragazzi devono imparare a muoversi.

Va detto che i bambini/ragazzini, in generale, hanno la tendenza a intalliarsi (perder tempo), come diciamo a Napoli. Ed è pur vero che a casa sua ognuno li educa come gli pare.

Questa cosa del Bisogna imparare a muoversi mi dà però da pensare. Perché bisogna imparare a muoversi? Quand’è che è iniziata la tirannia del tempo? Quand’è che è diventato obbligatorio gestirlo con furia e superficialità, considerando un grave peccato l’essersi posati un attimo?

A volte osservo le persone e mi chiedo cosa mai abbiano da dover andare così di fretta.

Poi guardo me e mi accorgo di essere spesso anche io schiavo del dovermi muovere, del dover fare presto a volte senza ragione alcuna.

Mettiamo che io sia in coda nel traffico e si avanzi lentamente. Non appena si apre uno spiraglio, com’è malcostume di molti, mi infilo per sopravanzare giusto quel paio di auto per tornare poi a restare fermo. Cos’è che mi spinge a questo sorpasso che non mi farà guadagnare nulla, in termini pratici? È giusto la frustrazione dovuta allo stare fermo sentendomi impotente mentre il tempo scorre?

Ho dovuto imparare a mangiare più lentamente perché mi faceva male. Quando mi chiedevano perché mai facessi sparire il cibo così veloce come un prestigiatore non sapevo mai bene cosa rispondere. In effetti, non c’era motivo di andar di fretta.

Ho la mania dell’anticipo e anche quando cerco di tardare riesco ad arrivare sempre puntuale nell’anticiparmi.

Viviamo nel terrore di doverci fermare e non capisco se sia più per lo stigma sociale nel mostrarci pigri o per l’ansia di ritrovarci a disagio nello stare con le mani in mano senza sapere cosa fare.

Poi però andiamo alla ricerca di posti “dove il tempo si è fermato”. Secondo me è una bella cazzata. Il tempo scorre, sempre e comunque. Siamo noi che ci fermiamo o che rallentiamo il nostro tempo, ma anche quando viviamo un momento di relax forse non siamo capaci di ammetterlo.

Mettiamo che poi ci piaccia e non vogliamo più correre?

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casa abbandonata dove mi sono fermato per vedere se il tempo si fosse fermato

Non è che vuoi.

Quando frequento un nuovo ambiente tendo a crearmi una nicchia mentale di zona comfort focalizzandomi sulle persone che frequentano abitualmente quell’ambiente stesso. In parole povere: osservo quelli che mi sembrano simpatici e volta dopo volta che vivo quel contesto sento crescere un senso di rassicurante familiarità.


Una cosa simile mi è sempre capitata anche nel mondo virtuale, quando andavano di moda chat e forum. Mi affezionavo agli utenti abituali e mi dispiaceva quando non partecipavano più. Anche qui su WP lo stesso: la sparizione di bloggers storici (per me) mi dispiace assai.


Non è detto che io debba per forza legare con questi personaggi familiari. Con qualcuno posso scambiarci qualche chiacchiera, con qualcun altro un semplice saluto, con qualcun altro ancora posso non avere alcuna interazione.

Una di queste persone familiari è Roberto, un signore 55enne habitué della piscina (15 anni consecutivi!) dove sono iscritto.

Mi ha spiegato lui il trucchetto di pulire con lo shampoo gli occhialini da nuoto per non far appannare le lenti.

Non che fosse un così gran segreto, per chi era pratico. Io da neofita all’epoca cercavo ancora una soluzione alla mia cecità subacquea, sciacquando le lenti di continuo, sputandoci sopra, umiliandole verbalmente. Nulla funzionava. Allora una volta vidi il Signor Roberto impegnato nell’operazione di pulizia e siccome lui così a pelle mi ispirava fiducia dissi: “Scusi, ma…a che serve?”.

Abbiamo sempre scambiato qualche chiacchiera, da allora, prima e dopo la nuotata.

Quando gli raccontai dell’Islanda era già a conoscenza di qualche aneddoto sul luogo. Se ricordo bene un nipote vive lì.

Un metodico come me, Roberto: sempre in anticipo, per far le cose con calma. La piscina come una esperienza di relax, che comincia da prima ancora di entrare in acqua. È un rilassamento fatto di rituali: la routine cambiarsi-stretching-pulizia lenti-qualche battuta con Enzo l’istruttore, senza fretta alcuna.

Una persona pacata e serena.
In grado di scambiare qualche parola con chiunque. Non un tipo di quelli invadenti, che a tutti i costi vogliono attaccare bottone e raccontarti della loro terza ernia scrotale. Anzi, posso descriverlo come molto rispettoso degli spazi altrui.

A proposito di spazi, non ho mai capito perché quando arrivo nello spogliatoio devo sempre sistemarmi dove capita mentre lui trovava sempre libero il posto preferito.

Nelle ultime due-tre settimane non l’ho visto venire più in piscina.

Dapprima ho pensato a un caso episodico. Poi mi son detto fosse strano, per un metodico come lui. Forse si è ammalato, ho creduto. Anche se pure su quello debbo dire sia stato sempre scrupoloso: i tappi nelle orecchie per evitare l’otite, la fase dell’asciugarsi/rivestirsi lenta per non sudare/non uscire bagnato.

Poi mi sono preoccupato. Ho pensato forse aveva avuto problemi col diabete.

Entrando in confidenza mi aveva raccontato che ne soffriva, da una decina d’anni ormai. Stava sempre attento: usciva dall’acqua 5 minuti prima se si accorgeva di star sudando troppo (e quindi di star andando in ipoglicemia).

Sabato mattina mentre mi cambio sento parlare Carmine, un altro signore familiare e che ultimamente vedevo poco causa turni diversi.

– Lo vedo là di fronte Roberto, mi sembra che ce l’ho davanti

fa rivolto a Enzo

– Mi sembra che ce l’ho davanti agli occhi in questo momento, non ci posso pensare.

Ripete.

Mi inquieto. Mi avvicino e gli faccio:

– Scusa, è successo qualcosa a Roberto?
– Roberto? Roberto è morto. Martedì scorso.

Sono rimasto di merda.

Tornando a casa mi è venuto da piangere in auto.

Ci sono rimasto così male che mi chiedo se non sia una reazione esagerata. In fondo puoi dire che così è la vita. Puoi dire che era uno con cui parlavi giusto una mezz’ora scarsa per 3 volte la settimana. Puoi dire che era tutt’al più un conoscente, insomma.

Puoi.

Ma non è che vuoi.

Non è che il professore di geometria quando perde le staffe ti mandi a fare in cubo

A volte la soluzione migliore per un problema non è lambiccarsi la mente per risolverlo ma seppellirlo sotto del cemento.

Non è convincente? Racconto un esempio.

La piscina dove vado aveva chiuso a luglio due settimane in anticipo per degli urgenti lavori di ristrutturazione. In pratica si era aperto un buco nella zona tra gli spogliatoi e la vasca, l’area di “stazionamento” prima di entrare per docciarsi e posare gli accessori. Un tizio in quel buco ci era anche finito con la gamba dentro, senza conseguenze. Scoprimmo così che sotto quella zona c’è il vuoto: praticamente quindi per fare la vasca non devono aver scavato ma semplicemente riempito d’acqua una voragine.

Quando sono tornato in settimana ho scoperto che il buco non è stato otturato: gli han costruito un cubo di cemento intorno che hanno collegato alle panche dove ci si prepara prima di entrare, per dargli un senso e anche un tocco di design. Il design è un tema su cui oggigiorno siamo tutti sensibili insieme ai cuccioli abbandonati e il mangiare sano.

Io mi ostino sempre ad attuare forme di controllo su me stesso, e per evitare problemi e per trovare il modo migliore di risolverli. Molto spesso invece basterebbe una bella camicia di calcestruzzo stile armatura contenitiva della centrale di Černobyl’.

È vero che molto spesso le idee vengono fuori quando si smette di pensare a ciò che ci turba. La mente opera meglio quando cessa di muoversi in una direzione e può essere libera di creare.

Quello che ha fatto il cubo di cemento in che direzione stava pensando?

Le famose due settimane di chiusura avrei dovuto recuperarle, dato che all’epoca avevo pagato per tutto il mese.

– Sì ma ti devi iscrivere, se vuoi recuperarle.
Mi fa il tipo della segreteria
– Ma io avevo pagato tutto il mese
– Sì ma io non ti posso fare entrare così, ti iscrivi e te le scalo
– Va bene.

Mi sono accorto poi a casa che mi ha scalato 15 euro dall’iscrizione. Considerando che un mese ne costa 55 e che dovevo recuperarne metà, i conti non mi tornano molto.

Questo è uno di quei casi quindi in cui dovresti mandare qualcuno a fare in cubo. Di cemento.