Non è che stai facendo allusioni se parli di buchi neri

Sono tornato in telelavoro – volontario in quanto non siamo obbligati ma tanto se in sede non ci va nessuno non sarò certo io a presentarmici – e, devo confessare, oggi non ho concluso nulla. Non che ci fosse tanto da fare, ma comunque mi sento come se mi fossi fatto i casi miei per 8 ore col pc acceso.


Che è in effetti ciò che è avvenuto.


In questa modalità non riesco a darmi una routine, un’abitudine, come è con l’andare in ufficio, attaccare e staccare per poi tornare a casa. Sono diventato un umano da cartellino.

Chiariamo, lavorare da casa ha tanti vantaggi, come lo svegliarsi 5 mn prima dell’orario in cui accendere il pc e rispondere alle mail mentre ancora ci si sta amichevolmente grattando i gioielli post risveglio.

Ma, sarò sincero, su altri aspetti preferisco andare in ufficio.

Non mi lamento per carità, avendo ancora un posto di lavoro cui far riferimento e dove andare.

Intorno a me vedo gente che chiude, abbassa serrande, dice basta.

Non mi lamento.

Perché poi vedi o senti delle cose e a te viene un buco nero in petto in cui vorresti farti collassare come una stella morente per pura vergogna perché magari prima di uscire di casa stavi bestemmiando per il rubinetto che gocciolava e pensavi che la vita ti volesse punire per solo sadico diletto.

È una roba strana, da una parte ho le ansie di cui non riesco a parlare a nessuno che mi sembrano come quelle fastidiose alghe che quando esci dal mare te le ritrovi tra le dita dei piedi, tu ci provi a evitarle ma poi ce le hai addosso e ti viene lo schifo e scuoti il piede ma quella resta attaccata.

E quelle alghe sono lì anche nella tua testa e nel petto e nel cuore e nello stomaco e l’unico momento in cui riesco a scrollarmele è quando si apre il buco nero che mi risucchia, quindi devo scegliere tra sentirmi avviluppato tra tutte le mie paure e le mie paranoie e farmi invece ingoiare dal buco nero per aver solo pensato di avere dei problemi.


Che poi non è che uno scelga realmente, accade e basta.  Oh comunque non è sempre così, ci stanno pure momenti di sana serenità in cui frega un cazzo di niente perché uno si sente bene e basta.


 

Non è che il puritano sia scandalizzato dalla nuda roccia

Era da un po’ che non facevo qualcosa per conto mio, così sabato ho preso l’auto, verso il mare. Volendo evitare (riuscendoci in parte, perché è impossibile scansarlo del tutto) i disagi del turismo d’assalto del weekend, ho scelto una spiaggia selvaggia e scomoda, fatta solo di rocce enormi. Meglio gli scoglioni che lo scoglionamento, insomma.

Preoccupato dalla ripida e tortuosa pendenza della strada (stando a dei commenti su Tripadvisor che parlavano di frizioni bruciate), per preservare l’auto, al grido di Vado a piedi!, l’ho lasciata su nel paesello per far 2-3 km. Mi piace camminare.

Al ritorno in salita mi è piaciuto un po’ meno, confesso di aver vacillato. Tra l’altro, il percorso non era così improbabile da fare con l’automobile.

I commentatori di Tripadvisor sono dei grossi scogli senza la s.


Dovevo capirlo quando ho letto di una che diceva di essere andata in piena emergenza Covid e di aver trovato troppa gente. Le do ragione, potevano bene starsene a casa per lasciare spazio a lei. Un altro denunciava di aver trovato un gabbiano morto – anche qui, solidarietà al turista: il volatile non poteva andare a morire da un’altra parte? – mentre, infine, uno lamentava la scomodità delle rocce: in effetti, quand’è che attrezzeranno le spiagge libere con dei bei divani degli artigiani della qualità? Ci sono promozioni ogni weekend, sarebbe da approfittarne.


Amenità a parte, la vista che dalla Cala si poteva godere di Capri e dei suoi Faraoni è meravigliosa.


I Faraoni di Capri sono stati una dinastia minore fondata da una famiglia di esiliati dall’Antico Egitto che, dopo aver vagato nel Mediterraneo, arrivò all’isola di Capri. A loro si deve lo sviluppo di alcune invenzioni, come l’insalata caprese, la torta caprese e i Capri espiatori, degli animali cui addossare delle colpe, del tipo:

– Cos’è questa puzza?
– È stato il capro.

o anche

– Hettunonnephaiunagiusta: Hai sporcato tu il pavimento appena lavato?!
– No, Mamma Tepioaschiaph-oni, sarà stato il capro

Scogli che scoglieggiano.


La cosa che mi ha colpito è che su uno scoglio, bello piatto e largo, c’erano un paio di mutande abbandonate. Quel che mi chiedo, come fa uno a scordarsele lì sopra, in bella vista? Cioè, dico, uno arriva, mutandato e poi se ne va smutandato e non se ne accorge?

Poi ho pensato: in tempi di contingentamento anche gli accessi alle spiagge libere vanno prenotati, come in questo caso dove bisognava scrivere a un tizio per essere certi di aver posto.

E se la mutanda fosse una forma di prenotazione? Nessuno si sognerebbe di andare a toccare e rimuovere un paio di mutande usate, che resterebbero quindi lì. Metter mutanda potrebbe essere come piantar la bandiera, reclamare accesso e usufrutto del posto e dello scoglio.

Oppure, più banalmente, qualcuno era troppo scandalizzato dalla nuda roccia e, novello Daniele da Volterra o Braghettone, ha provveduto a fornirla di mutande.

Non è che il virologo si fidi solo del latte vaccino

Una mia amica ha dato un tema da scrivere ai ragazzi del liceo dove insegna. L’argomento era la stretta attualità: il Coronavirus. I risultati l’hanno lasciata un po’ perplessa.

Il migliore è uno che ha detto che la Cina vuole dominare l’economia globale e quindi ha creato il virus in laboratorio, per diffonderlo tra i cinesi perché il Paese è sovrappopolato.

Non ho ancora capito: la Cina vuole dominare il mondo quindi elimina la propria popolazione?

Un altro ha detto che finora il virus ha contagiato 77mila persone: la metà della popolazione cinese.

Praticamente la Cina potrebbe quindi star tutta contenuta in un quartiere di Roma.

Più di uno ha scritto che moriremo tutti.

Non rido dei ragazzi ma del bombardamento di notizie e di opinioni confuso cui siamo tutti sottoposti e che genera inquietudine e disinformazione. Forse sarebbe il caso di abbassare un po’ il volume del Mondo e riposare le orecchie.

Il Sindaco di Milano ha consigliato di “ridurre la socialità”: sono pronto, datemi libri, birre e serie tv e vi riduco a zero la mia socialità.

Ovviamente si esagera, ho bisogno come tutti del contatto umano. Ma di alcuni contatti farei a meno.

Ad esempio ho fatto un colloquio. Il selezionatore mi ha chiesto, a un certo punto, Come è stato il cambiamento di città, venendo da Napoli, l’approccio a Milano?”.

E io l’ho guardato indeciso se rispondergli Eh guardi non ho avuto ancora il tempo di vedere questo famoso Colosseo (semicit.) o di dirgli che, in effetti, non è la stessa cosa senza il sole il mare e la pizza. Solo che quest’ultima cosa non ha senso: le pizzerie storiche – e anche le meno storiche – di Napoli ormai hanno tutte una succursale a Milano, il mare invece sappiamo tutti che Ce Melàne tenève u màre avèv’a ièsse na piccola Bbare (e quindi non sarebbe mica Napoli!),  e per quanto riguarda il sole, forse qualche giorno di pioggia in più invece non avrebbe guastato per ripulire l’aria.

Ecco, avrei fatto a meno di venire a contatto con costui.

Oppure forse il Sindaco per socialità intende “l’essere social”: anche in questo caso avrei un esempio.

Ero a un concerto. Poco prima dell’inizio due tizie dietro di me si scattano una foto per pubblicarla su Instagram, con l’hashtag concertosegreto.


Era infatti un evento cui ti prenotavi ma senza conoscere il luogo dove si sarebbe tenuto, rivelato in un secondo momento via mail.


Fatta questa operazione, il senso della serata per loro era esaurito lì: appena iniziato il concerto hanno iniziato a farsi i fatti loro, chiacchierando e ridendo ad alta voce.

A un certo punto mi sono rotto le scatole, mi sono alzato e ho detto loro Scusate, io avrei pagato per sentire lui, non voi. Mi hanno guardato basite/terrorizzate.

Le capisco. Sarò sembrato affetto da rompicoglionivirus.

Non è che ti porti in gita uno sbruffone perché serve un pallone gonfiato per giocare

Che si tratti di gita fuori porta, vacanza, escursione di relax al mare o in montagna, se c’è un gruppo di napoletani nei paraggi farà la sua comparsa, a un certo punto, lui.

Il Super Santos.

Non è giornata e non è divertimento se per l’uscita non c’è un pallone da prendere a calci.

Il bisogno di calciare è antico. Pare che quando fu inventata la ruota, qualcuno, vedendola tondeggiante, provò ad assestarle un destro di collo pieno. La ruota però era di pietra e l’improvvisato calciatore iniziò a rotolarsi per terra, rantolando dal dolore e alzando il braccio per chiedere un rigore all’arbitro. Che però purtroppo per lui non era stato ancora inventato.

Il Super Santos gode di vita propria. Prova ne è il fatto che va un po’ dove vuole seguendo l’istinto. Un istinto difettoso, visto che si dirige spesso o verso una testa altrui o la cima di un albero o un roseto.

Se ci sono donne nel gruppo, si gioca di solito al Sette si schiaccia. Il gioco serve in realtà come coadiuvante dell’approccio con finalità di accoppiamento: il maschio gaudente gitarolo, difatti, cercherà di colpire col pallone la femmina gaudente gitarola di suo interesse. Se al giro successivo la femmina cercherà di colpire lo stesso maschio, vuol dire che si è instaurato un collegamento e l’approccio può proseguire. Il rituale di accoppiamento del Super Santos può coinvolgere anche un’ignara femmina che si trova in zona per fatti propri: il maschio gaudente la colpirà con una pallonata dietro la testa di proposito e poi correrà a scusarsi, invitandola a partecipare alla partita per discolparsi.

Che è un po’ come pestare il piede a qualcuno e invitarlo poi a fare un giro con le proprie scarpe, così, per rimettere le cose in pari. Ma le strategie riproduttive degli animali, si sa, sono sempre particolari e apparentemente prive di logica per gli esseri umani.

Così come vive al limite, così la sua vita ha limite: il Super Santos dura in genere il tempo di una scampagnata, perché poi o finisce perduto o bucato o dimenticato e così ne verrà ricomprato per strada uno nuovo la volta successiva.

Da qualche parte esisterà un paradiso dei Super Santos perduti.

Non è che l’enigmista sotto sforzo si asciughi il sudoku

Io non ce la faccio.

Non è un buon esordio per un testo. Ricomincio.

ImmagineIl motivo per cui ho iniziato a fare nuoto è perché, per quelle 2 volte a estate che andavo al mare, ero stufo di dovermi muovere col passo dello Zoidberg e quindi desideravo imparare a nuotare, smettendo di fare la figura del totano.

La cosa poi mi ha preso la mano – e anche tutto il resto del corpo – e quindi non ne ho potuto più farne a meno.

Il nuoto in vasca in sé non ha molto senso a mio avviso. Non c’è una palla da buttare in/oltre una rete (a meno che tu non ti dia alla pallanuoto, perbacco!). Non c’è neanche un traguardo fisico. È vero che ci sono le distanze ma le fai avanti e indietro in 25/50 metri.

C’è però un grande vantaggio: non ti accorgi di sudare.

Sudare è una delle cose che odio di più in qualsiasi altro sport. In particolare odio quella goccia salata che si forma sulla fronte e che ti entra improvvidamente nell’occhio accecandoti mentre ti sta venendo addosso uno che si crede CR7 e tu a occhi chiusi allunghi la gamba ciccando il pallone e prendendolo in pieno dove non batte il sole scatenando una rissa che poi però alla fine finisce a pacche sulle spalle da Amaro Montenegro che non fanno altro che sollevare sudore nebulizzato.

C’è un altro motivo per cui ho detto sì al nuoto e no a Valsoia: è che posso prendere il mondo e farcelo entrare in quei 25 metri di vasca. Tenerlo con la testa giù, fagli provare il soffocamento e metterlo a tacere per un po’.

Perché io non ce la faccio.

Sento che la mia vita se ne sta andando un po’ a puttane, sotto al mio naso.

Forse l’avrò un po’ trascurata. Avrò ignorato i suoi messaggi non verbali di insoddisfazione. Perché succede sempre così: ci aspettiamo che ci dica chiaro e tondo fin dal primo momento che qualcosa non va, mentre invece quando ciò avviene è già ormai troppo tardi. E non vediamo o sottovalutiamo tutti i segnali critici nel percorso di avvicinamento a questa rottura. “Mah sarà un periodo”, “Mah oggi la vita avrà la luna storta” e così via.

Così un bel giorno la sorprendi che va a puttane e lei ti guarda anche con quell’aria di sfida dicendoti “Beh, che ti aspettavi?”.

Avrò speso in un anno 400 euro di piscina, senza contare costumi e accessori. Penso sia comunque più economico di un anno da uno psicanalista. Sono andato a nuotare perché sono esaurito.

E perché odio sudare.

Quelli del deodorante Borotalco saranno degli esauriti?

Non è che se i tuoi amici hanno reazioni esagerate allora sono una compagnia teatrale

Sono momenti particolari alla Spurghi&Clisteri SpA dove io lavoro.

Per dire, c’è uno che impiega il tempo libero con il teatro e la recitazione ma in concreto si comporta come se fosse il lavoro a essere il suo hobby. Comparirà anche in una particina in una popolare soap. Sono ansioso di vederlo perché dicono sia bravo. Al che forse penso di capire, magari sta soltanto recitando di lavorare con noi.

Ci sono poi momenti di paranoia inconsulti, come quando, scherzando, ho detto alla ragazza del Servizio Civile chi glielo fa fare di presentarsi, se ne stesse pure a casa. Dopo, con apprensione, sono stato ripreso perché “Non bisogna dire ai ragazzi del SC che se ne possono stare a casa, loro poi ci credono e se qui viene un controllo poi ci tolgono la convenzione…”.

Io da quando sto qua l’unico controllo che ho visto è quello effettuato dalla tizia della macchinetta del caffè in comodato d’uso che viene a controllare che le versiamo la quota mensile.

Poi avverto ogni tanto la sensazione di un controllo della prostata non richiesto quando ti sbolognano all’ultimo momento cose sgradevoli ma questa è un’altra storia.

Necessiteremmo invece di una visita di un qualche ispettore della sicurezza sul lavoro, viste le condizioni in cui versa la sede. Se non altro per il livello di umidità che trasuda dalle pareti – siam al di sotto del livello del mare che è lì a 200 metri, ho chiesto di diventar enclave dei Paesi Bassi – e che mi ha causato diversi malanni in tutti questi mesi. Non voglio accampar scuse, sono sempre stato di salute cagionevole e irragionevole ma credo qui si sia superata la soglia di ragionevolezza.

Se chiedi su (e con su intendo sempre dirigenzialmente e geograficamente) ti rispondono di cercartene una nuovo, loro senza problemi provvederebbero a prenderla in affitto. Purché rispetti tutti i requisiti di sicurezza e abbia l’accesso per disabili e i bagni a norma  (tre bagni e non uno solo come ora) e l’impianto di aerazione e deve essere visibile fronte strada, insomma tutte le cose che qui attualmente non ci sono.

Riassumendo:

– Abbiamo una sede non a norma
– Per averne una nuova debbo cercarmela io
– Deve soddisfare tutti i requisiti e anche più sennò niente

Ho capito perché il tizio di cui sopra recita: siamo nel teatro dell’assurdo.

Non è che per il mare agitato il marinaio usi il Valium

Sul bordo della lavagna in classe in IV Ginnasio c’era una scritta con il bianchetto: IL MARIO IMPETUOSO AL TRAMONTO.

La scritta era già presente quando iniziai le superiori. Credo che posso far risalire a questo episodio la comparsa di cose strane nella mia vita. Stranezze ne avrò sempre incontrate ma non le avevo messe a fuoco, fino a quel momento puberale in cui il mio corpo ha iniziato a rendersi conto dell’esistenza di cose non spiegabili.

Da quanto tempo era lì quella scritta? Chi ne era l’autore? Chi era questo Mario e cosa faceva mai per rendersi degno di esser ricordato?

Mi è tornato in mente questo aneddoto guardando di sfuggita il mare oggi. Parecchio agitato al calar del Sole. Come un Mario.

Non posso che provare invidia per questo Mario, anche se non lo conosco e mai lo conoscerò. Forse l’ho incrociato per strada senza saperlo.

Provo invidia per la sua veemenza. Come impiegava tali energie? Le usava magari per combattere il crimine?

Ho deciso che voglio dare una svolta alla mia vita. Voglio avere l’energia di un Mario anche io e non lasciarmi più scorrere tutto addosso ma essere io a scorrere, impetuoso, come solo un Mario può essere.

Mare di novembre – Schizzi su finestrino sporco (2017)

Non è che per la cozza dispersa ci sia il monumento al Mitile Ignoto

Di recente sto avendo disavventure con le donne, come ho raccontato qui e qui. Entrambe le brutte esperienze si sono verificate tra i boschi. Ho così deciso, questa domenica, di passeggiare verso il mare, con la speranza che il pelago mi tenesse lontano dai guai.

Mentre osservavo due pesci gemelli (i dentici) deridere un pesce sega perché invece di trovarsi uno straccio di compagna è sempre dedito a piaceri solitari, mi sono distratto udendo il parlottare di una ragazza.

Mi sono voltato e ho visto una marinaia. Come mi sono reso conto che fosse una marinaia? Dal fatto che facesse promesse a tutti i passanti. Anche quelli delle cinture.

Ehi tu! Ti amerò per sempre! diceva rivolta a un ragazzo. Signore, mi presta del denaro? Glielo renderò di sicuro! e così via.

Incuriosito, mi sono avvicinato.

– Scusami, posso chiederti perché fai tutto ciò?
– Non trovavo lavoro e allora un giorno un’amica mi ha suggerito di intraprendere questa attività.
– Anche la tua amica fa promesse da marinaia?
– No, lei fa la parrucchiera. Che c’entra?
– E allora perché ti ha dato questa idea?
– Perché lei ti mette cose strane in testa.
– Ah.
– E comunque mi piace quel che faccio. È in linea con i miei ideali. Sai, io sono luogocomunista.
– Ma dai. Esistono ancora i luogocomunisti?
– Se esistono? Ma dove vivi? Siamo dappertutto. Partiti, tv, radio, giornali, pizzicagnoli. Per strada. Basta che ascolti la gente parlare e capisci quanti ce ne sono. Di’, mi stai ascoltando?
– Ah sì sì. Tutto vero.

Non la stavo ascoltando. La mia attenzione era attratta dal suo vistoso attaccapanni. Potrei sembrare una persona superficiale e forse lo sono, ma non si vede tutti i giorni una marinaia con davanti due bei chiodi così.

– Senti bello, per tagliare corto visto che le tue storie stanno diventando noiose, perché non mi inviti a pranzo? Prometto che lavo io i piatti.

Mi ha detto un po’ brusca.

Com’è come non è, è venuta con me a casa. Lei e anche uno scoglio che mi sono portato via come souvenir. I cittadini del villaggio sul mare dove ho incontrato la marinaia erano molto generosi, mentre mi allontanavo veloce con lo scoglio preso dal loro mare mi lanciavano addosso altri rocciosi souvenir. Li ho ringraziati ma non avevo spazio per portarli via.

Ecco dunque la mia squisita ricetta degli spaghetti allo scoglio!

1) La prima cosa da fare è pulire per bene i frutti di mare. Io avevo anche delle freschissime arance colte da un albero sulla scogliera e qualche limone di Costiera. I migliori frutti di mare che avessi visto.

2) Mettete delle vongole e delle cozze a mollo a spurgare. Aggiungete qualche goccia di Guttalax così siete sicuri che si spurghino bene e in fretta. Gettatele in un tegame con dell’olio ben caldo e coprire con un coperchio. Questo dovrebbe far aprir loro le vulve. Tenete lontani i bambini anche se all’età loro ormai al giorno d’oggi chissà quante ne avranno viste.

3) Fate insaporire in una padella dell’olio insieme a dell’aglio spremuto per bene da uno strozzino. Quando il tutto è ben caldo unite dei calamari. Io ne avevo di toscani: erano alamari, così freschi che erano ancora attaccati alla giubba.

4) Fate sgocciolare dei pelati. Assicuratevi che non sgocciolino fuori dalla tazza come fanno invece tutti i maschi.

5) Aggiungete po’ di scampi puliti e un che dio ce ne scampi! che è di buon augurio per la riuscita del piatto.

6) A questo punto avevo perso di vista il procedimento, ma sono quasi certo che bisognasse unire tutto tanto alla fine tutto nel piatto deve finire: frutti, pelati, vulve, olii, aglii, alamari, che dio ce ne scampi.

7) Regolatevi a piacer vostro con sale, pepe e peperoncino. Poi se berrete come cammelli tutta la notte son fatti vostri.

8) Unite lo scoglio che avevate messo da parte. Se non entra nel tegame sbozzatelo con uno scalpello. Conservate quel che avanza in luogo fresco e asciutto, sennò finisce che va a mare.

9) Scottate la pasta. Se fa ahia è al punto giusto.

10) Unite la pasta al tegame con tutto il resto. Aggiungete il liquido di cottura delle vongole e delle cozze che avevate messo da parte in precedenza. Non l’avevo detto prima perché l’avevo dimenticato. Quindi sono andato in un ristorante di pesce a farmene dare un po’. Mi hanno detto che era come nuovo, ha girato solo una settimana in cucina.

11) Saltate la pasta. Ventrale o alla Fosbury, scegliete voi. Ricordate solo che dopo 3 errori siete squalificati.

12) Dovreste decorare con del prezzemolo. Io lo odio ma me lo son ritrovato davanti lo stesso. La luogocomunista ha annuito compiaciuta.

12) Servite.

Alla fine la marinaia luogocomunista ha gradito. Il sesso, intendo. La mia ricetta non l’ha manco guardata di striscio. I piatti poi ovviamente non li ha lavati. Che altro c’era da aspettarsi.

Però mi ha lasciato il suo attaccapanni.

Proprio dei bei chiodi. Dite, ma voi mica pensavate a dei capezzoli? Certo che siete dei pervertiti.

Non è che l’idraulico sia un buon nuotatore perché sa fare un sacco di vasche

Sono sulla banchina in attesa che un ritardo abbia un treno. Noto che la ragazza di fianco a me ha i miei stessi jeans. Cosa non inusuale essendo un capo diffuso, ma il mio modello non lo avevo ancora visto in giro. Ha una colorazione particolare: io ci vedo del mare increspato su fondo roccioso. Ma io ci vedo male quindi questa opinione non conta.

Un tipo che vorrebbe essere brillante l’avrebbe avvicinata dicendo:
– Hey, abbiamo gli stessi jeans. Ma a te stanno meglio…(notare l’occhio languido).

Un tipo che vorrebbe essere simpatico l’avrebbe avvicinata dicendo:
– Hey, abbiamo gli stessi jeans. Ma a me stanno meglio, ha ha (notare l’occhio nero che lei gli farà).

Un tipo come me giudica invece se una tal coincidenza possa avere effetto o meno sulla propria giornata.

Non sono superstizioso né credo ai segnali dell’universo (a meno che non siano segnali provenienti da Quasar e/o Pulsar e/o eventuali civiltà aliene), ma, come molte persone, al mattino presto valuto singoli episodi come una indicazione sul prosieguo di quel giorno.

Trovare un semaforo verde, l’auto che va in moto subito senza sputacchiare le candele dal tubo di scappamento, la fetta biscottata che non ti si rompe in mano spalmandoti la marmellata nel palmo eccetera.

Quando è arrivato il treno lei si è accaparrata prima di me il posto cui ambisco di solito, cioè quello lungo la parete, dove potersi appoggiare ed evitare di essere compresso e/o spintonato dagli altri. L’unico rimasto libero. Quindi ho deciso che non sarebbe stata una gran giornata.

Ho avuto infatti una lunga conversazione telefonica (45 minuti) con una persona che trovo sgradevole e con cui purtroppo devo relazionarmi per lavoro e che per il buon esito dello stesso devo tener buona.

Non amo le persone che si lamentano a lungo degli altri con te. Anche perché, se tanto mi dà tanto, nulla toglie che facciano lo stesso nei tuoi confronti con gli altri.

Non amo le persone che si mettono sulla difensiva e pongono le mani avanti senza motivo. Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Non amo le persone che lanciano frecciate.

Questa persona racchiude, in formato matrioska, tali odiosi comportamenti in una singola conversazione.

Sono andato a nuotare in serata e ho dimenticato tutto ciò.

Purtroppo da qualche giorno avverto una infiammazione alla spalla. E non me la sono nemmeno diagnosticata su Google! Ho timore ad andare dal medico perché temo mi dica di star a riposo dalla vasca. Cosa che non vorrei fare. Non denoto buon senso, ne son conscio.

Ho trovato nell’andare in acqua un momento in cui posso far riposare la mente. In quei 45 minuti riesco a mettere a tacere il rumore di fondo che ho sempre nella testa: è un po’ fastidioso avere un perenne monologo interno attivo. È come se ci fosse un call center di vari Don Abbondio che su turni soliloquiano.


Ho anche tentato di delocalizzare ma non ha funzionato.


Quando racconto di questa sensazione mi sento guardato – me l’han anche detto – con l’aria tipo Eh sì ne hai bisogno [di scaricare la testa]. Io sono un tipo permaloso e non mi piace tale atteggiamento.

Allora invece dico che vado in piscina per guardare le nuotatrici e mi fanno un sorriso e una occhiata di complicità e compiacimento.


L’idea di andarci per fare sport non è contemplata: conosco tutte persone che al massimo come attività fisica sollevano obiezioni e lanciano Madonne.


Rammstein – Feuer und Wasser

È bello quando lei nuota a rana
allora io posso vedere nel suo centro
Non che il seno non sia bello
Nuoto semplicemente dietro di lei
Polvere di scintille fluisce fuori dal centro
un fuoco d’artificio zampilla dalla sua inforcatura

Il Vocaboletano – #21 – La Janara

Siamo arrivati al ventunesimo episodio del Vocaboletano curato da me e crisalide77.

Oggi in via un po’ alternativa voglio introdurre un termine legato al folklore e all’occulto locale seppur non proprio natìo dell’area napoletana.

Janara: nella credenza popolare con questa parola si suole indicare una strega originaria delle zone rurali del Sannio. Essa si aggira di notte per le stalle e ruba cavalli per cavalcarli lungo le campagne fino allo sfinimento, abbandonandoli poi con le criniere intrecciate (è per questo che Umberto Balsamo poi doveva andare in giro a scioglierle!).

È molto pericolosa soprattutto per i bambini: li rapisce o li fa ammalare di notte per gelosia in quanto alla Janara è negata la possibilità di concepire.

Anche gli adulti devono stare in guardia da costei: sembra che ami sdraiarsi su di essi mentre dormono, per appesantirne il respiro o immobilizzarli durante il sonno.


È il comune fenomeno della paralisi del sonno che, in tempi antichi di superstizione e credenze veniva imputato alla presenza di esseri maligni per la casa.


La Janara non è soltanto dedita ad atti malvagi: per il suo legame profondo con la terra, conosce le piante, i segreti delle erbe e i modi per preparare medicamenti di erboristeria. In origine la figura non era associata col demonio ma era più assimilabile a una entità pagana: soltanto in epoche successive la Janara fu accostata al Diavolo e fiorirono leggende su riunioni infernali tra Janare tenute sotto un grande albero di noce lungo il Sabato, il fiume che bagna il Sannio.


All’albero di noce sono stati attribuiti tanti significati. Per la forma dei suoi frutti, simili a testicoli, è considerato carico di simbologia fallica. Il gheriglio interno ricorda un cervello. Inoltre il noce ha natura ambivalente: le sostanze che produce possono essere utili per rimedi medicamentosi, ma possono anche essere tossiche se mal manipolate.


Con la loro maestria nella preparazione di pozioni, le Janare sarebbero in grado di volare grazie a un unguento da spalmare sul corpo. Come la Margherita di Bulgakov (Il Maestro e Margherita) che volava dopo essersi cosparsa di una crema donatale dal demone Azazello.

Per difendersi dalla Janara un metodo molto efficace era quello di lasciare fuori l’uscio durante la notte una scopa di miglio capovolta. La strega si distrarrebbe per contarne i rametti fino al mattino, quando alle prime luci dell’alba è costretta a ritirarsi.

Un altro rimedio sarebbe quello di appendere fuori la finestra un sacchettino pieno di sale: anche in questo caso la megera si intallierebbe (ricordate che significa?) a contare i granelli evitando così di insidiare casa.

Per poterla catturare, invece, bisogna afferrarla per i capelli e rispondere alla sua domanda “Che cos’hai in mano?”.

Al che bisogna rispondere “Ferro e acciaio” per poterla bloccare. Se si risponde “Capelli”, lei scappa via!

Ascolta l’audio

Etimologia – Il nome deriverebbe da Dianara, seguace o sacerdotessa di Diana, dea della caccia e anche di incantesimi notturni. Potrebbe anche essere legato a ianua, cioè porta, perché come detto la strega è dedita a insidiar l’uscio di casa.

L’altra Janara – Esiste una versione marina della Janara, quella di Conca dei Marini (Salerno). Le Janari locali sono donne normalissime, mogli e fidanzate di pescatori e marinai. Essendo la vita dell’uomo di mare spesso lontana dalla terraferma, queste donne, per solitudine prolungata, cadevano in uno stato di cupezza e malinconia che le portava a diventare streghe e a praticare malefici.

Alcune, come le Sirene di Ulisse, attiravano sugli scogli i marinai per giacere con loro e poi sacrificarli al mare.

A essere onesto, io di strega del beneventano conosco solo questo:

Non è che sei così sicuro della cucina da metterci la mano sul cuoco

Capita, qualche volta ogni tanto, di pranzare in un posto un po’ più raffinato della trattoria di Ciruzzo il zozzoso cui si è soliti andare. Solo su invito, ovviamente, se le possibilità di autonomia manducatoria si limitano al già citato livello trattoria.

Di fronte alla ristorazione da chef ho un atteggiamento a tratti agnostico. Non è che io non ci creda, anzi, ne sono più che compiaciuto quando mi ci accosto, ma ci sono dei dogmi verso i quali la mia razionalità mi blocca.


Probabilmente è un atteggiamento da profano qual io sono, non in grado di apprezzare a tutto tondo forma e sostanza della cucina elaborata, frutto di una certa diffidenza verso l’esplorazione e la sperimentazione in alternativa al piatto tradizionale di stampo vetero-popolare.


Alcune cose mi lasciano comunque perplesso.

I menù, ad esempio. Sembrano ideati  da Franco Battiato e Manlio Sgalambro, anche per descrivere solo un’insalata mista: Fantasia di primizie con guizzi di vinagre catalano. Poi arrivano carote e radicchio sconditi, accompagnati da un cumshot di aceto intorno (su cui tornerò più avanti).

Avrei a tal proposito qualche suggerimento di titolo per l’elenco alla carta:

Passacaglia dello chef al tocco di cembalo
Traviata euclidea dell’ayatollah Khomeini
Putti bretoni all’ombra di cinghiale bianco

La seconda cosa che mi sfugge è la moda della croccantezza. Credo, ma parlo pur sempre da ignorante – nel senso di colui che ignora -, che sia un po’ sfuggita di mano agli chef. Me ne resi conto quando, durante una delle centinaia di edizioni di MasterChef (credo fosse MasterChef Vergate sul Membro), vidi un giudice lamentarsi dell’assenza del croccante. In un brodo.

Una volta ordinai una tagliata con contorno di rucola.
La rucola era stata croccantizzata.

Perché mai, io mi chiedo.
Pretendo di brucar come una capra la mia rucola e non di farla scrocchiare come fosse pop corn. Avrei chiesto del pop corn, nel caso. Invece esigo dell’erbaccia, dalla consistenza di erbaccia.

Quando hanno tentato di offrirmi il caffè ho rifiutato. Ho avuto paura che me lo avrebbero servito a cubetti soffiati.

A far da contraltare al croccante, c’è la mania di vellutare tutto.
Gustose le vellutate, non c’è che dire. Lynch ne fece anche un film: Vellutata blu, storia di uno chef che tagliava orecchie à la julienne.

In un’altra occasione, scelsi una Terra & Mare rivisitata.
Null’altro che fagioli con le cozze, ma chiamarli fagioli con le cozze è da parvenu (si veda il discorso sui menù precedente).
All’arrivo del piatto, c’erano le cozze adagiate su una melma color vomito post concerto dei Nine Inch Nails.
Praticamente quella melma erano i fagioli.
Credo che il nome giusto sarebbe allora stato Terra & Mare rimasticata, visto che sembrava bolo alimentare.

Altri commensali presero altre cose che poi si scoprirono tutte vellutate o ridotte in poltiglia. In pratica era un pranzo per l’asilo. O per ottuagenari in una casa di riposo.

Questo è ciò che succede quando si ordina senza chiedere ragguagli al cameriere. Il fatto è che uno non chiede spiegazioni onde evitare di doversi sorbire due volte la stessa cantilena: quando si ordina e quando si viene serviti. L’altra peculiarità, infatti, è la didascalia verbale del cameriere come accompagnamento al piatto.

Una volta c’era a centrotavola un misto di affettati di varia origine, lavorazione e misura. Credo ci fossero in mezzo anche un paio di specie estinte ma per fortuna non era ancora epoca di squadrismo vegano.

Il cameriere si prodigò nello spiegare ogni singola fettina lì presente. Quando finì il giro ovviamente avevo già dimenticato tutto e gli avrei voluto dire “Senti, puoi ricominciare al contrario perché ho dimenticato l’inizio, magari prendo appunti questa volta?” ma avevo fame.

Infine, la cosa che più mi infastidisce sono i ghirigori, gli spruzzi di salsine intorno al cibo. Sono una mera decorazione? Perché allora sono indicate nel nome del piatto come fossero condimento ma è impossibile condire alcunché vista la loro inconsistenza? Potrei leccare il piatto o sarei troppo barbaro? Quei ghirigori sono casuali o le spirali seguono una successione di Fibonacci?

Aguzzando la vista lì giusto al centro della spirale aurea c’è anche il cibo

Ho capito che ho ancora molto da imparare.

Non è che se sei partenopeo e sostieni il Papa puoi atteggiarti a guelfo di Napoli

2015-08-26 16.30.12

Mentre scattavo questa foto sono stato bonariamente preso in giro per essermi comportato da turista. Avrò visto questo panorama migliaia di volte – da diverse angolazioni – e chissà quanta gente avrà scattato la medesima foto.

Eppure c’è un meccanismo perverso in tutto ciò, la voglia di rubare un qualcosa che è di tutti ma vorresti far tuo.


DIDASCALIA GEOLOGICA
Ho constatato che, erroneamente, da parte di molti non Campani il Vesuvio viene associato a questa forma che ricorda un po’ un cappello da cowboy – che in realtà poi sarebbe un serpente che ha divorato un elefante come ci hanno insegnato ne Il Piccolo Principe:

È un’identificazione erronea, in quanto il Vesuvio vero e proprio è il conetto alto sulla destra, mentre l’altra punta è ciò che resta del Somma, un antico cono vulcanico al cui interno poi sorse il Vesuvio e il cui versante dal lato del mare è poi collassato.

Molti ignorano che il versante opposto, quello che dà sull’entroterra, è rimasto invece in piedi, cosicché ciò che noi entroterranei vediamo è questo:

Un frastagliato tronco di cono, in pratica.


Fin quando si tratta di rubare con una foto, va bene. Penso a quelli che invece si portavano via la sabbia dalle spiagge della Sardegna, o i sassi dalle montagne nei parchi naturali. O al turista tedesco di cui parlai che in una cisterna romana a Chiusi voleva staccare un pezzo di muro.

E ripensavo quindi oggi al post in cui diamanta poneva la differenza tra turisti e viaggiatori. Il turista alla fine vuol solo dire di esserci stato e vuol “rubare” una qualche testimonianza della propria presenza.

Il viaggiatore non è una presenza, non timbra un cartellino: il suo è un flusso, o forse più propriamente un’onda che viene e che va. E l’onda conosce tutte le coste su cui si infrange e collega con un filo invisibile tutti i posti che ha visto.


DIDASCALIA-FREDDURA
Ma un ornitologo timbra il cardellino?


Non so dove volessi arrivare con questo post se mai si possa dire che io cerchi di giungere a qualcosa, di sicuro però a dispetto del titolo non mi sono cimentato in dissertazioni su papi, imperatori o cesaropapismo, per quanto interessanti sarebbero state.


Per cesaropapismo si intende il fenomeno dell’unione di potere temporale e potere spirituale concentrati nella persona del sovrano. Un esempio odierno potrebbe essere rappresentato dal Regno Unito, dove la Regina è capo di stato e capo della Chiesa anglicana.