Non è che ti senti Dustin Hoffman

Alla fine, andoqque come doveria andare. A 12 anni di distanza dall’ultima, mi sono laureato di nuovo, per la terza volta (la seconda per quanto riguarda una laurea magistrale, specifico sempre). Questa volta in Scienze Storiche.


Che non sono delle scienze così famose da essere passate alla storia.


È stato molto bello. Soprattutto, credo di essermi goduto in misura maggiore la soddisfazione perché ho portato avanti lo studio per puro piacere. Non che all’epoca qualcuno mi avesse obbligato a iscrivermi all’università o non mi piacesse il percorso scelto. Però è diverso. Quando sei ancora fresco di liceo e ti iscrivi all’università si tratta di una cosa che svolgi come una sorta di dovere della tua vita, quantomeno per la vita che hai scelto. In questo caso, invece, nessuno mi correva dietro o di fianco per iniziare e concludere gli studi e un mio percorso di vita già ce l’ho.

È stata anche una bella soddisfazione esserci riuscito nei tempi: da settembre 2020 ad aprile 2023 non è poco, considerando che non ho più il tempo libero che avevo nel 2011.


Leggasi: ero molto più giovane e sfaccendato.


È strano ripensarmi 12 anni fa. Avevo tanto da fare e imparare: non che io adesso sia uno imparato, s’intende. Però diciamo che posso magari insegnare qualcosa al me stesso di quel tempo.

Non ho fatto alcune cose che volevo fare ma ho fatto alcune cose che non pensavo di fare.

Nel 2011 mi aggiravo nel mondo del lavoro mostrando entusiasmo per qualsiasi colloquio; Sì davvero sarei felicissimo di lavorare per la Sbiancamenti dentali e anali Inc., una azienda seria (non riceve visite dalla Finanza da almeno una settimana) dalla storia semestrale, era il mio sogno sin da bambino prima ancora che esisteste e ora potete realizzare il mio desiderio; stipendio? No non mi interessa, io sono qui per imparare e crescere, la crescita è importantissima per un giovane!.

Nel 2011 scrivevo per delle testate giornalistiche locali. Ovviamente gratis. Ma se volevi ti avrebbero fatto avere il tesserino!,  mitico riconoscimento. Bastava chiedere. E pagare.


Sorvoliamo su metodologie da reato penale.


Nel 2011 mi piacevano meno cose da mangiare rispetto a oggi.

Nel 2011 guardavo un sacco di anime e andavo alle fiere del settore.


Non che non mi piacerebbe andare oggi a qualche fiera: però ora che sono estese a un mondo fatto di meme e tendenze, comprensive di influencer, content creator, famolostrano inventor, mi trovo più rilassato ad andare direttamente in una libreria, fumetteria o museo del fumetto rispetto a sopportare di farmi largo tra folle che sono lì per il fenomeno virtuale del momento.


Nel 2011 volevo trasferirmi altrove ma, non so perché, avevo questa predilezione per le cittadine formate da 4 case in croce. Credo di aver risposto ad annunci dei posti più sperduti e dimenticati dall’ortodonzia. Probabile che io andassi alla ricerca di un certo isolamento. Non dovevo certo essere proprio un allegrone.
Alla fine in questi anni ho vissuto fuori ma in città un po’ più estese di 4 case: Roma, Budapest, Milano. Un brevissimo periodo anche Barcellona. Ed è stato molto meglio così.

Non so cosa farò nei prossimi 12 anni: non so manco cosa farò nei prossimi 12 mesi. Figuriamoci. Forse mi iscrivo a teatro. Forse farò un corso di cucina. Forse aprirò un bistrot e farò lo chef. Forse mi compro una Ducati. Forse riprendo gli studi di ingegneria aerospaziale interrotti a 19 anni. Forse prendiamo un gatto. Forse compriamo casa. Forse è presto per capirlo. Forse è tardi. Se fossi gatto, miao. Se fossi cane, bao. Se fossi tardi, ciao.

Non è che il chirurgo abbia bisogno della matematica per fare le operazioni

Per la rubrica “Una cosa divertente che non farò mai più” alla lista aggiungo un ricovero in clinica.

Il momento di svolta di questa esperienza è stata quando l’amicone del Ciao caro – vedasi puntata precedente – è stato rispedito a casa perché non c’erano abbastanza letti liberi.

A quanto ho saputo lui e la sua famiglia l’hanno presa con filosofia. La filosofia del martello, cioè quello che avrebbero voluto utilizzare su guardia, personale medico e chiunque altro gli capitasse a tiro.

Lì ho pensato che non mi sarebbe andata tanto male. Ritrovarsi in reparto con lui sarebbe stata un’esperienza dadaista.

Il reparto è piccolo e la gente non mormora
In tempi di emergenza sanitaria le visite sono escluse e l’unico contatto con il mondo resta il telefono. Dato che più sono lontane le persone più è necessario urlare (lo sapevate?), capita che tutti sentano tutto delle conversazioni altrui.  Ho apprezzato in particolare il racconto di una ragazza sui dettagli della sua occlusione intestinale, narrazione che ha goduto di diverse repliche perché parenti, amici e anche la professoressa dovevano avere ragguagli sulla quantità di feci ritrovata nel suo intestino.

Il mio compagno di stanza era un tipo simpatico e tranquillo. Pensavo avesse la mia età, poi ho scoperto era più giovane. Anche lui pensava avessi la sua età, poi ha scoperto che ero più vecchio. Entrambi quindi non mostriamo l’età che abbiamo.

Compagnodistanza fa il cuoco. Ho iniziato a dubitare delle sue competenze culinarie quando è arrivato il cibo della mensa – che come qualsiasi cibo ospedaliero non può essere considerato vero e saporito cibo – e lui ha detto che aveva un buon profumo. Voglio credere fosse il digiuno a farglielo trovare gradevole.

Ha detto che considera la mia città “la piccola Berlino”. Ho dubitato anche delle sue competenze geografiche.

Le pene del pene
Nella stanza di fianco c’era un ragazzo che ha avuto il mio stesso intervento. Un tipo un po’ ansioso. Lo dico io che sono un ansioso, quindi so di cosa parlo.

Quando è svanito l’effetto dell’anestesia spinale mi sono rimesso in piedi e sono passato nella sua stanza. Lui è stato operato dopo di me, quindi era ancora sotto anestesia. Era in angoscia perché tra le gambe non sentiva ancora niente.

Ha iniziato a chiedermi quando io avessi ripreso sensibilità lì. Poi cosa sentissi lì. Poi quando mi erano arrivati i primi segnali di ripresa lì. A un certo punto gli ho chiesto cortesemente di smetterla di farmi domande sul mio pene.

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo
Quando giovedì sera era diventato chiaro non sarebbero riusciti ad operare noi in lista, mi sono rivolto sconsolato al primario chirurgo lamentando – non seriamente ma con ironia – il dover ripetere il digiuno il giorno dopo. Sai cosa dice il Dalai Lama, mi ha fatto, il miglior modo per purificarsi è astenersi dall’ingerire sostanze che possano avere effetti negativi sul tuo corpo. Quindi io ti sto purificando corpo e anima.

Non è certo se il Dalai Lama abbia mai detto ciò.

Priorità
L’infermiere arriva da me dicendomi che dobbiamo tagliare la barba.

Io lo guardo perplesso.

Lui mi guarda perplesso al mio essere perplesso.

Poi oso chiedere – con un certo ingenuo candore, riconosco – se davvero intendesse radermi l’onor del mento.

Lui si riferiva a una depilazione al basso ventre. Uno ci mette tanto a curarsi una barba, è normale che si preoccupi, mi giustifico io.

Musica maestro
In sala operatoria il capo anestesista mette in diffusione una cover di Umbrella di Rihanna cantata come fosse Despacito.
Gli chiedo cortesemente di mettere gli AC/DC se vuole mantenermi rilassato.

Ah, è medico!
Sempre della serie che tutti devono sentire tutto e al telefono si urla, una signora ricoverata mentre parlava col figlio all’altro capo vede passare il chirurgo e lo blocca al grido di Aspetta ora te lo faccio dire dal dottore. Si sente in modo distinto qualcuno all’altro capo chiedere Scusi lei è infermiere o è laureato dottore?. Il chirurgo risponde Sì, sono laureato in Dottore.

Non è che il medico si lavi con l’Anitra WC perché è un prodotto per la pulizia dei sanitari

Trovo assurdo che ci sia bisogno di affiggere un simile cartello, ma è evidente che educazione&modi appropriati non appartengono a tutte le persone.

Capitò anche una volta a Madre, nel rivolgersi a una farmacista: “Signorina, scusi…”. Io la ripresi con un colpo di gomito: “Madre, per favore…”. E Madre non è affatto una persona ottusa, nel senso di persona che ottende. Eppure è evidente che anche lei risente di una certa cultura dominante maschilista che vuole che a un uomo in camice ci si rivolga con deferenza, a una donna in camice con confidenza.

Premetto che trovo ridicoli i titoli e gli appellativi. Io stesso, quando al lavoro mi dissero che dovevo presentarmi come “dottore” – non in quanto medico ovviamente ma in qualità di laureato – mi sentivo un po’ ridicolo. Ma sarà questione di autostima e di sindrome dell’impostore.


La sindrome dell’impostore colpisce le persone che non sentono un traguardo e un successo come propri, giustificandoli solo come frutto del caso e/o di circostanze fortunate. Essi vivono nella condizione di sentire di non meritare una posizione e temono di essere prima o poi scoperti.


Laddove però esistono contesti formali trovo molto irrispettoso che ci si rivolga a un uomo in un modo e a una donna in un altro.

Fatta tale premessa, al foglio che ho pubblicato all’inizio di questo articolo vorrei fare un’aggiunta sotto il dottoresse: “Ma davvero?”.

Perché l’ambulatorio veterinario che frequento e dove è presente quel cartello sembra gestito come una bancarella del mercato. La titolare fa sia il medico che (male) l’assessore all’ambiente e ha l’aria perenne di chi ha ricevuto una botta in testa e perso la memoria.

Un paio di mesi fa avevo la gatta ricoverata per un ciclo di terapie. Andai a vederla per controllare come stesse e la titolare disse a un tirocinante:

– Questa è la gatta col tumore allo stomaco
– Eh?

Dissi sbiancando

– Ah no no scusa mi sono confusa col cane di quell’altro.

Ah. Ah. A soreta.

Nell’ambulatorio si alternano non so quante dottoresse. Perché ne incontro sempre una diversa. Ho rinunciato a imparare i loro nomi.

Il problema sorge quando devi tornare più volte e a ognuna devi raccontare la storia daccapo perché non si parlano tra di loro. Anche perché quando si parlano ognuna ha la propria versione:

(dottoressa 1) Si deve operare, bisogna aprire
(dottoressa 2) Non si deve operare, basta un prelievo con l’ago
(dottoressa 3) È guarita
(dottoressa 4) Scusa, tu sei?
(va avanti con altre dottoresse)

Avevo la gatta -una quasi ventenne- che pisciava sangue come una statua della Vergine e la soluzione offertami da una dottoressa era darle un integratore e comprare un diffusore di feromoni perché “Sarà colpa dello stress”.

Le diedi solo l’integratore perché 25 euro per uno spruzzatore erano troppo. Tornai dopo una settimana:

– Ma tu lo spruzzatore non l’hai messo, vero?
– No
– Eh…bravo. Hai visto?

Alla fine quindi lo comprai visto che mi si indicava come corresponsabile della patologia per la mia negligenza sparagnina e inoltre tra i due il medico è lei.


I gatti possono soffrire di stress, è vero, e la cistite può esser causata da questo fattore.


Ovviamente non servì a nulla, così dopo un’altra settimana le facemmo un’ecografia e scoprimmo una palla di sangue che occupava 2/3 della vescica e cominciammo quindi delle terapie col cortisone. Avremmo potuto iniziarla facendo un controllo sin da subito ma non si può certo rinunciare a un po’ di feromoni sintetici. Che per la cronaca non sono serviti a niente, a parte che io adesso ho voglia di fare pipì sui muri.

C’è poi una dottoressa che ha un carattere scorbutico. Per esempio, una volta, sempre dovendo fare il consueto riassunto delle puntate precedenti:

– Settimana scorsa ho parlato con la dottoressa…ehm…non ricordo…
– Boadicea? Clitemnestra? Pentesilea?*
– È una giovane
– Più giovane di me? (si indica, con gli occhi sbarrati)
– No no…cioè di me, dico
– Ah ok, no perché già stavo…(e non completa la frase)


* Nomi di fantasia così a caso.


Stavi cosa? Sì, vuoi sapere la verità, lei sembra una liceale e tu sua madre. Ora posso avere il mio responso?

No, qua non ci sono signorine ma teste di clitoride.

Non è che uno che naviga nell’oro se poi fa regali sia il Nababbo Natale

Tutti hanno qualcosa da chiedere a Babbo Natale ma delle esigenze di quel vecchietto nessuno si preoccupa mai.

Cosa desidera Babbo Natale?
Cosa sogna quando, tornato a casa, lascia gli stivali all’ingresso, smette l’abito rosso, lancia sulla poltrona la panciera, il tutto come se fosse una lavoratrice del sesso un po’ stagionata?

I suoi detrattori dicono che per aver lavorato un solo giorno – anzi una notte – all’anno matura il diritto al vitalizio pensionistico e questo sia scandaloso e quindi non avrebbe diritto di pretendere niente. Anzi, forse dovrebbe dimettersi perché in fondo chi l’ha votato ‘sto Babbo Natale?

D’altro canto il vitalizio è più che fittizio (bella rima): quand’è che andrà mai in pensione?
E forse questo è un bene, con tutti gli anni di contributi versati capirete che pagare la pensione a Babbo Natale manderebbe in crisi la previdenza sociale.

Per tal motivo si continuerà a ritardarne sempre di più l’uscita dal mondo del lavoro, finché non tirerà le cuoia. Questa cosa me lo fa sentire un po’ più vicino.

Forse potrei essere il prossimo Babbo Natale.
La barba la ho già, anche se è nera e dubito che si incanutirà mai del tutto. Credo che volgerà in un grigio piccione esausto e mi toccherà quindi tingerla di bianco.

Per metter su pancia potrei sempre chiedere consulenza a mia zia.
Bisogna sapere che lei ha per 40 anni provveduto al regime alimentare di mia nonna diabetica. La cara anziana fin quando ha vissuto è sempre stata in perfetta salute e non si è mai privata di nulla. Il segreto stava nel dosaggio preciso a livello subatomico di ogni singolo alimento.


Da qui il modo di dire che Si stava meglio quando c’era il regime alimentare, non come oggi che ci sono i vegani, poi c’è quello che si sveglia la mattina e decide che è meglio mangiare tutto senza glutine perché l’ha letto su internet, l’altro che segue la dieta del gruppo sanguigno, quella che segue la dieta delle targhe alterne e così via. Capirete che mettersi d’accordo per un pranzo crea una paralisi totale organizzativa ed è per questo che il Paese va a rotoli.


Tutta questa attenzione scientifica ma monotematica ha privato mia zia della capacità di saper cucinare per gli altri.

Ignora le quantità equilibrate di olio, sale, condimenti vari e singoli ingredienti per i non diabetici. Il risultato è che per non sbagliare e trovarsi a offrire di meno oppure a cucinare piatti insipidi, abbonda di qualsiasi cosa. Dall’olio al sale, dalla cipolla all’aglio, per non parlare di tutto il contorno di altri ingredienti che aggiunge per un singolo piatto.

Una volta mi disse: “Ti preparo una coscia di coniglio”.

Nel piatto ho scavato in mezzo a litri di pomodoro, cipolle, teste di aglio intere, rami di rosmarino, grani di pepe che sembravano pallettoni di un archibugio, porcini ancora attaccati al cesto di vimini, una corona di alloro forse rubata a un laureato, prima di trovare una coscetta piccola e smunta come quella di un Fassino che, com’è ovvio, alla fine di tutto aveva sapore tranne che di coniglio.

Una settimana a casa sua sarebbe sconsigliata da tutti i dietologi.

Babbo Natale, trema: il tuo posto un giorno sarà quindi mio.

Non è che nel Signore degli Anelli l’essenziale sia invisibile agli orchi

Oggi il Capo ci ha comunicato che a breve la società cambierà nome. Decisione della nostra consorella di Bruxelles.

Anche se più che sorella maggiore, per potere e dimensioni sembra una suocera.

Dovremmo assumere quindi il nome del gruppo di cui facciamo parte (Pinco Pallino) + Central Europe. A meno di non avere altre proposte di denominazione.

Al che mi sono alzato (metaforicamente perché sono rimasto seduto) e ho detto che, sì, suonerebbe più internazionale ma finirebbe per far smarrire identità alla società. Sarebbe forse meglio un qualcosa come Pinco Pallino Hungary oppure Pinco Pallino Budapest.

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È sempre positivo con gli ungheresi far leva su questioni come l’identità e l’orgoglio, ovviamente esaltandoli. Ad esempio, per guadagnare la loro stima puoi parlare di calcio citando la squadra storica (non è che poi il panorama calcistico nazionale offra altri esempi), l’Aranycsapat (“la Squadra d’Oro), cioè l’Ungheria degli anni ’50 che arrivò a giocarsi un Mondiale con la Germania. Acquisterai punti ai loro occhi.

Da questo punto di vista ci sarà molta attesa per i prossimi Europei di calcio, dove la squadra nazionale si è qualificata dopo anni. Vorrò essere altrove in quei giorni perché ho sempre remore a dire agli altri che non me ne importa nulla del loro entusiasmo e non me ne sento partecipe.


So fingere tante cose (tra cui anche orgasmi ma questa storia la riservo per momenti peggiori) ma l’entusiasmo non rientra tra le cose su cui riesco a recitare.


Come quella volta che arrivai a Londra il giorno della finale di Wimbledon tra Murray (idolo di casa seppur scozzese: gli inglesi storicamente si son sempre presi ciò che gli serviva) e Federer nel 2012.

La tizia che mi mostrò la stanza ci tenne a farmi presente che il televisore era funzionante e riceveva tutti i canali, in particolare quello che avrebbe trasmesso l’incontro.
– Perché, sai, oggi c’è la finale di Wimbledon, alle 16 (orario inventato perché non lo ricordo).
– Ah, sì, certo, la finale. Dissi io.

Il pomeriggio ovviamente me ne sono andato in giro perché non ero affatto interessato alla finale di Wimbledon.


NOTA 1
Non riesco a farmi piacere il tennis.
Ho un problema con uno sport dove è previsto il silenzio. Per me lo sport deve essere rumoroso, perché se non puoi fare rumore non so come ci si possa divertire.


NOTA 2
È lo stesso principio che seguivo per le feste alle scuole elementari. Non vedevo il perché andarci se non per fare casino.


NOTA 3
Poi arrivò la dannata festa delle medie (cit.) e cambiò tutto, ma su questo argomento c’è già una esauriente letteratura.


Insomma, col mio discorso sull’orgoglio identitario del nome li ho colpiti. O almeno ne sono convinto ma non ne sono certo perché non li guardavo in volto mentre parlavo.

Ho l’abitudine, quando dico qualcosa di serio, di fissare un punto a medio-bassa altezza davanti a me e tenerlo lì inquadrato, muovendo anche le mani come Alberto Angela intorno a qualcosa che vedo soltanto io.

È il discorso. È lì, prende forma mentre esce dalla mia bocca. Lo plasmo con le mani. Lo vedete?, penso mentre parlo. Poi alzo gli occhi e mi accorgo che gli altri non hanno visto un bel niente e credo non mi abbiano dato molto retta. Faccio discorsi invisibili seppur – credo – interessanti. È proprio vero che l’essenziale è invisibile agli occhi, come disse Galileo Galilei prima di inventare la fotocamera digitale.

Non parlo comunque sempre in questo modo. Fissando punti inesistenti davanti a me, intendo.

Ad esempio, Ti amo l’ho sempre detto guardando negli occhi.
Non è per quella convinzione che si è sinceri solo se ci si guarda negli occhi e se distogli lo sguardo allora significa che eccetera. Trappole da mentalisti.

Semplicemente, anche in quel caso sto seguendo un discorso. Negli occhi dell’altra persona. Come se ci fosse un “gobbo” che regge il cartello con scritto “Ti amo” celato nell’iride altrui.

Perché secondo me l’amore non è un qualcosa che nasce dal di dentro. Non del tutto, almeno. L’amore è lì fuori, prende corpo nelle altre persone. Lo andiamo semplicemente a cercare per riacquisirne il contatto. Come si spiegherebbe che si possa pensare a persone lontane centinaia e centinaia di chilometri se non con il fatto che hanno un qualcosa di nostro dentro di loro e che noi rivogliamo.

A volte c’è chi poi esagera e trova amori troppo facilmente e di continuo. Secondo me costui/costei o si è spezzettato/a troppo o vede amori altrui come se fossero i propri e allora lì è un problema perché non c’è mai amore per tutti.


È un discorso molto da libro di Moccia, ne convengo. “Amore è abbassare la tavoletta del water”, da venerdì in tutti gli Autogrill in promozione con “50 sfumature di Topo Gigio”.


La questione dei nomi è comunque intrigante.

Ho scoperto che nel nostro stabile al piano interrato prolifica una società hipster.
Prima scoperta è che quindi gli hipster sono qui più diffusi di quanto pensassi e si radunano insieme, seppur nei seminterrati.

La seconda scoperta è che questi hipster sono quelli di BP Shop, linea di abbigliamento marchiato Budapest: loro cavallo di battaglia è lo slogan Buda Fucking Pest.

Geniale, non c’è che dire. Avere successo è trovare il nome giusto e diffonderlo in giro.

La prima impressione che avevo di loro si ricollegava a una battuta di Bart Simpson: Guardatemi, sono un laureato, ho guadagnato 600 dollari l’anno scorso!

Poi ho scoperto che in realtà i loro affari vanno abbastanza alla grande e allora forse Bart Simpson si addice più a me. 

E quindi il tutto sta nel farsi un nome ed essere visibili.

Il Subito del villaggio

Ovvero, prima di vendere qualcosa ricordati che non sei su Real Time.

A volte mi capita di mettere in vendita qualche oggetto su Kijiji o Subito.it. Non mi riesce sempre di fare un buon affare, capita infatti che l’oggetto rimanga invenduto e l’annuncio scada.


DIDASCALIA PUBBLICITARIA
A tal proposito, se siete interessati a una giacca neo goth o al manga Zetman volumi 1-12, contattatemi pure


Mettere un annuncio vuol dire essere contattato da tipologie diverse di utente. Esiste ad esempio il timido, che dopo aver inviato un messaggio in cui si dichiara interessato sparisce. Lui magari scrive “ciao, sono interessato. Fammi sapere”, tu gli rispondi e lui, arrossito e in imbarazzo perché gli è stata rivolta la parola, non si fa più vivo.

Poi c’è l’affarista, quello che ha guardato troppi programmi su Real Time o su Cielo dove dei tizi col fegato steatosico e la pappagorgia realizzano affari milionari scambiando ciarpame. Lui ti contatta e ti propone un baratto. Anche se tu hai specificato nell’annuncio “No scambi”, arriva sempre il genio che vuole scambiare un orologio per un telefono o un telefono per la Playstation.

E poi capita sempre il tipo strano, come quello che mi ha contattato negli ultimi giorni.

Ho messo in vendita un lettore mp3 Samsung, un oggetto secondo me invendibile perché ormai tutti ascoltano musica dallo smartphone.


DIDASCALIA POLEMICA
Poi ci si chiede perché la batteria di uno smartphone duri quanto un fiammifero acceso. Una volta prima di uscire di casa dovevi fare attenzione a non dimenticare il telefono, oggi non devi dimenticare telefono, caricabatterie e, già che ci siamo, anche la batteria d’emergenza, col risultato che un moderno telefono comporta ingombro (distribuito in pezzi) quanto un DynaTAC Motorola anni ’80.


Mi ha scritto un tizio dicendo di essere interessato. Mi lascia il suo numero, io lo chiamo e lui mi dice che vorrebbe acquistare ma non riesce a trovare le specifiche tecniche del lettore su internet perché il codice del modello che ho scritto nell’annuncio non gli dà alcun risultato. La cosa è strana perché il numero l’ho scritto in modo esatto, comunque gli mando via mail l’indirizzo della pagina web sul sito della Samsung. Mi risponde dicendosi interessato (per la precisione mi ha scritto “molto interessante”) e poi mi ha chiesto il prezzo senza spedizione.

Da premettere che l’annuncio l’ho pubblicato sulla città di Roma e lui nella prima telefonata, probabilmente sentendo il mio accento bolzanese, mi ha chiesto se fossi a Roma. Il suo accento era invece fiorentino, dettaglio non secondario.

Quando l’ho chiamato la seconda volta e gli ho chiesto “tu sei a Roma, giusto?”, lui mi ha detto
“No, sono a Firenze”
“Scusami, come fai col ritiro? Perché mi hai poi chiesto il prezzo senza spedizione” ho risposto, dubbioso.
“No tranquillo poi vedo di organizzarmi”
“Tu a Roma studi?” ha proseguito
“Sì, frequento un master”
“E in che sei laureato?”
“Scienze Politiche”
“E com’è questa politi’a? Un gran ‘asino, eh?”


DIDASCALIA LINGUISTICA
Da qui in poi la conversazione viene riportata con l’inflessione dell’interlocutore per renderne meglio l’efffetto. Non si tratta di luogocomunismo o di qualche allusione sul fatto che il parlato del toscano – toscano con la gorgia* – abbia connotati buffi o comici. Perché poi ognuno potrebbe dire la propria, che a far ridere sia il siciliano, o il milanese, o il bolognese o il napoletano e così via. Del resto molti comici e pseudo tali impostano i propri sketch – a volte in maniera discutibile – sul dialetto, calcando molto sull’intonazione originaria o addirittura imitando altre inflessioni con intento parodistico. Non è scopo di questo blog fare della pseudo comicità spicciola.

* NOTA ALLA DIDASCALIA
Dall’enciclopedia Treccani: La gorgia è un fenomeno fonetico diffuso nei dialetti toscani (noto anche come spirantizzazione o aspirazione toscana). È un processo di ➔ indebolimento che coinvolge le consonanti ➔ occlusive scempie determinando la perdita della fase di occlusione, motivo per cui le consonanti interessate sono pronunciate ➔ fricative o spesso approssimanti.


“Sì…in Italia è difficile governare e far politica perché ci sono molte linee di frattura e particolarismi…” rispondo in politichese.
“E ‘he ne pensi del mio ‘oncittadino, eh?”
Non riporto per intero la risposta ma, sostanzialmente, in maniera ampollosa e retorica ho ripetuto la mia frase precedente.
“Eh ma sai quale è la verità? La gente s’è rotta i ‘oglioni, scusa la parola, ma perché vedi in tempi di crisi non poi mi’a fa’ chiacchiere, prendi pure la ‘osa degli immigrati, se non c’ho soldi mi dici te ‘ome si fa a mantenerli? Qua non c’è lavoro per gli italiani, ma fi’urati te per gli immigrati”
“Purtroppo sono processi lunghi che necessitano di valutazioni che al momento il dibattito politico anche a livello europeo sembra non concedere” ho esclamato mentre mi trattenevo dal mettere un dito nel naso nonostante una crosticina che mi prudeva, primo perché ero su un autobus, secondo perché evito di toccare qualunque parte del mio corpo se prima non ho lavato le mani.
“Eh se parliamo dell’Europa ti mando giù la batteria del cellulare. Va bene, ‘scolta ti fo’ sapere domani o al più tardi tra due giorni, va bene?
“Va bene”
“Allora a presto, tante ‘are ‘ose e buon tutto”
“Grazie, anche a te”.

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