Non è che l’affarista a casa abbia solo mobili da incasso

A. ha commesso un errore che potrebbe costarci qualche decina di migliaia di euro, ammesso che il progetto vada in porto.

Ha messo in copia in una mail me e un altro, cosa che il destinatario istituzionale di tale messaggio di posta non vuole che si faccia.

Tutto qui? Una cosa simile costa migliaia di euro?

Le regole non le scrivo io. Sono meccanismi imperscrutabili. Viviamo in un mondo che ruota intorno a cose di cui ignoriamo i lati nascosti.

Le costituzioni non si toccano.
Ma non possiamo esserne sicuri senza aver visto la loro cronologia internet.

I vaccini provocano gli autisti, che infatti sono sempre irritati e in sciopero.

Erano quindi le 8 di sera e via Skype ho detto ad A. – in preda a crisi ansiose autolesioniste a causa dell’errore commesso – di staccare, tornarsene a casa e farsi una dormita.

Giacché io a casa già c’ero andato. Stavo in mutande sul divano a grattarmi i Gintokini e quindi mi sentivo in colpa per la poveretta ancora chiusa in ufficio.


A meno che non fosse anche lei andata a casa e si stesse grattando altro, cosa che avrebbe potuto stimolare un piacevole prosieguo telematico di serata ma ahimé la timidezza reverenziale umana in tali approcci inibisce sempre questo tipo di relazioni.


Lei ha continuato a scusarsi prima di staccare, perché questo errore vanificherebbe un mio lavoro di due settimane.

Io le ho risposto placido e tranquillo, con filosofia: Non fasciamoci la testa prima del tempo.

Sono zen come un monaco?
Ebbene sì.

O almeno è ciò che faccio credere.

In realtà non me ne frega un gatto.

Non riesco a provare irritazione, perché che non arrivino dei soldi alla compagnia non me ne cale né tanto né poco.

E non son quei soldi a pagarmi lo stipendio. Non sono una gallina e non sono pagato a quantità di uova prodotte.

Beninteso, se la compagnia non incassasse danaro, presto o tardi il mio stipendio diverrebbe un onere eccessivo, quindi, che sia in modo diretto o in modo indiretto, la cosa finisce per tangere anche me.


Se fossimo in Marocco finirebbe per Tangeri?


Eppure non riesco a preoccuparmici con tensione emotiva.
È sempre stato così. Non sento lo spirito di squadra intorno al capitale aziendale.

L’ultima volta che invece ho preso a cuore le sorti di danaro non mio, anni fa, mi è poi venuta la gastrite.

E la cosa buffa è che non mi era mai capitato invece per il denaro mio, quello del mio portafoglio. Al massimo è arrivato un rodimento anale, ma quello è scontato.

Non sono comunque scevro da partecipazione emotiva in campo professionale. Ma riguarda più questioni che mi toccano sul personale o che mi provocano una reazione istintiva.

Ad esempio se ti vedo prendere la pizza con l’ananas ti guarderò male per qualche giorno.
E no, non ti giustifico perché non sei italiana: siamo nel XXI secolo e certi valori devono essere riconosciuti altrimenti qui non si capisce più dove stiamo andando a finire.

E tu invece pensi ai destinatari delle mail mentre nel mondo accade ciò?

Non è che siglare un contratto voglia dire metterci la musica

Mercoledì di settimana scorsa.
Il capo mi convoca per parlarmi.
Mi chiede come mi trovi lì con loro.


Passavo di qui per caso, avrei voluto rispondere.


Poi mi dice che la compagnia non è in un buon momento.


E io lo so che non è un buon momento. Mi hanno raccontato che il precedente amministratore, poi defenestrato, ha lasciato un grande vuoto. Finanziario. Capita quando approfittando di essere il capo ci si triplica lo stipendio da soli.


Da quel momento in poi tutto il resto del discorso è avvolto nel buio.

Ho un problema a seguire chi parla con tono piatto e monocorde e senza muovere le labbra. Li definisco gli ermetici, perché hanno la bocca ermeticamente chiusa. Ho un medico che parla così, lui però la bocca la apre e serra invece i denti. Mi ha costretto a imparare a decifrare la scrittura da medico per capire cosa mai mi stia indicando perché a voce non si capisce niente.


Una cosa che in genere solo un farmacista sa fare. Forse un mio avo aveva una farmacia e mi è rimasto nel dna.


So cosa si potrebbe pensare: sono uno degli ultimi sciocchi che partecipa a tenere in piedi questa farsa mondiale della medicina rivolgendosi ai medici, quando con Google e un bicchiere di acqua e limone potrei curarmi da solo, è risaputo.


La difficoltà aumenta quindi nel cercare di comprendere uno che parla così in inglese.

Aggiungiamo che ho delle mie colpe. A volte, mentre mi stanno parlando, parte in me un dialogo interiore che mi isola dalla conversazione ponendo più o meno queste domande:

– Che cosa vorrà dire?
– Che cosa dovrei dire?
– Che cosa si aspetta che io dica?
– Quale effetto avranno le mie parole?
– Avrò spento i termosifoni prima di uscire di casa?

Mi sono ripreso e sono tornato alla realtà mentre lui mi diceva più o meno “E quindi è così”. Io ho risposto “Ok”.
Non so a cosa io avessi detto ok perché mi ero perso un pezzo di discorso anche se dalla premessa poteva essere comunque intuibile.

Mi sono confidato con CR chiedendo cosa dovessi fare e lei mi ha aiutato a ricostruire quel pezzo mancante. Ne aveva in precedenza già parlato col capo: la società non può permettersi di rinnovarmi il contratto.

Ho esultato perché avevo recuperato il pezzo del puzzle della conversazione. Poi ho realizzato per cosa io stessi in effetti esultando.

Ho ormai una discreta dimestichezza con l’avere una data di scadenza a breve termine addosso. Mi ricordo anche di controllarla periodicamente prima di cominciare a puzzare. Ora ho due mesi per riflettere e capire cosa fare. Potrei restare qui e cercare altro, in tutt’altro campo, tornando a fare cose che facevo già in Italia e che ho odiato fare. Con una differenza: a uno stipendio inferiore. Vantaggi della delocalizzazione.

Oppure, cercare nel mio campo altrove, Italia o qualsiasi altro posto. Sperando di rimediare qualcosa.

Oppure chiedo un prestito e apro una caffetteria minimal-recycle-bio dove al posto delle sedie ci sono dei puff fatti di sacchi di iuta intrecciati da una cooperativa equo-solitaria di ex falsi invalidi con sede in un palazzo sottratto alla politica.

Ultimamente mi sento fumettoso.

Gli anziani disertano bar per riempire centri scommesse (e pure Achille è d’accordo)

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Una scorciatoia dietro casa mia, decorata da inserti di rifiuti che sbucano dal terreno. Sullo sfondo, a sinistra, la gigantesca antenna Telecom

Oggi ho fatto una passeggiata quasi senza meta per la mia città, approfittando della mite giornata autunnale. Ho riflettuto che qui non esco mai se non per uno scopo, che sia vedere qualcuno o svolgere qualche commissione.

Il fatto è che questa città da provincia meccanica non ispira molto a camminare per il gusto di farlo.

Siamo immersi in una conca vegliata dal Gigante e non c’è quindi un panorama. Non c’è il mare, quindi niente lungomare. E nemmeno un lungolago o un lungofiume. Forse l’ultima cosa è un bene, considerando l’attitudine all’abusivismo edilizio che tanti addusse lutti agli Achei italici (e altri ancora continua a farne).

Non ci sono percorsi o luoghi di interesse storico-artistico, a parte una chiesa settecentesca spoglia e la tomba di uno scrittore dell”800.

C’è un parco pubblico molto vasto in cui se non ci si reca per correre, di giorno, per farsi una canna in compagnia o fare robe col partner, di sera, è solo uno scenario di desolante mestizia.

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Non sembra, ma questo qui secondo un architetto doveva essere un ingresso di un parco. Foto scattata dall’interno

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La prospettiva inganna: sembra boscoso, ma c’è un albero ogni morte di papa. E questi stuzzicadenti fogliati che si vedono son lì da 16 anni. Mai cresciuti

Non c’è una vera zona commerciale né negozi tipici o caratteristici. Il commercio qui è in lento declino. Questa città è una rappresentazione in scala ridotta dell’Italia: di tradizione agricola, ha conosciuto il boom economico industriale che ha portato a un incremento demografico. Poi il “boom” ha fatto “spif” come una miccetta bagnata e negli ultimi 25 anni circa 10mila abitanti sono stati persi. E il numero dei residenti dichiarati è superiore a quello degli effettivi che realmente ci vivono.

Così, per dare un senso alle mie passeggiate, i piedi mi conducono sempre verso la libreria dove vado a leggiucchiare. È sempre un pericolo per me entrarci, perché corro il rischio di uscire comprando qualcosa anche quando il portafogli piange. Oggi ho resistito, a malincuore. Non percepire da due mesi lo stipendio è una buona leva dissuasiva (e poi mi chiedono come mai ho la gastrite).

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Tormenti amorosi e ortografici

È tutta qui una passeggiata per la solitudine del cittadino. A meno di non essere un pensionato e ritrovarsi la mattina con i propri coetanei fuori al centro scommesse a barattare la pensione con due chiacchiere e qualche azzardo.

Poi ho pensato di sbagliare io, nel cercare qui qualcosa che non c’è.

Ecco, si dice che la creatività è vedere cose dove gli altri non ne vedono. Ma ostinarsi nel cercare di vedere delle cose non è creativo. È cretino.

Una passeggiata è una buona metafora di vita.

E passeggiando impari a schivare e a subire anche schivate, come interazioni che si riducono in paradossi di Zenone: Achille era uscito per una passeggiata, forse come la mia. Trova la tartaruga ma non riuscirà mai a raggiungerla. Invece di interrogarsi sulla fisica e sulla filosofia, qualcuno ha fatto delle domande alla tartaruga? Probabilmente scopriremmo che non vuol essere raggiunta, altrimenti procederebbe in senso contrario. Sta aspettando che Achille si stanchi e capisca da solo di cercarsi un’altra tartaruga. O forse si compiace tutto sommato che il “piè veloce” si affatichi dietro la sua scia.

Non è meglio ricordarsi allora di esser felino e scomparire un bel giorno come fanno tutti i gatti? Magari c’è un Paese dei Gatti nascosto dietro una siepe, una siepe come quella che hanno divelto dal Parco perché devono sistemarci invece un vetro costato 100mila euro.

Allora non restano che i centri scommesse. Anche quelli son metafore di vita. Si vive di attese e azzardi e intanto il meglio che è nel mondo fuori scorre via senza che ci si renda conto.