Non è che abbondi col risotto perché il riso fa buon sangue

Sono andato a farmi un prelievo di sangue. Il medico, mentre eseguiva l’operazione, mi raccontava che a San Valentino ha effettuato un sacco di prelievi a coppie (di persone unite in una relazione, quindi no parenti) che quel giorno sono venute a farsi le analisi.

Proprio così: prelievi di coppia a San Valentino.

C’è un significato dietro tutto questo? Tipo “Legati per il sangue”? Io e Te tre ml sopra le cellule? “Amore, per te butterei il sangue”? “Sei un mito-condrio per me”?

Per carità, magari ci sta che se due persone devono farsi le analisi magari preferiscano andare assieme. Oppure, che si possa trattare di analisi preventive per escludere malattie veneree (non ci vedrei nulla di strano). Ma proprio a San Valentino? Sto immaginando il laboratorio diagnostico che effettua delle promozioni: Valentine’s day; sconto di coppia Paghi 1 e Prelevi 2, e via dicendo.

Poi parlo io che sono andato lì il giorno dopo il mio compleanno: sia all’accettazione, sia nella sala prelievi, mi hanno riso in faccia per il bel modo secondo loro di festeggiare. Il dottore, ridendo, voleva anche regalarmi la campana (o si chiama camicia?) per il prelievo incrostata internamente di sangue, come ricordo.

Direi nel loro caso quindi che il sangue fa buon riso.

Non è che per forza se uno rompe poi gli devi lasciare dei cocci (e farglieli pagare)

Mi sta accadendo di non riuscire più a dedicarmi a scrivere post qui sopra come facevo un tempo. Non che mi manchi voglia di raccontare, ma non mi riesce più di poter dedicare mezz’ora in assoluta tranquillità al blog.

Anche adesso che la febbre post terza dose mi ha dato una giornata di nullafacenza non mi riesce di articolare un discorso organico e quindi procederò più per punti.

Ho la febbre, dicevo. Il “Moderno”, come sento chiamarlo in giro – giustamente per chi le dosi precedenti le ha ricevute da altri vaccini è qualcosa di nuovo, moderno per l’appunto – si è fatto sentire. Ho scritto al medico questa mattina – vuole solo contatti Whatsapp – per avere un giorno di malattia e lei mi ha risposto di venire in ambulatorio. Chiaramente, la prassi corretta sarebbe appunto a) visita b) certificato c) comunicazione al datore di lavoro. Tralasciando però il fatto che ho la febbre quindi non dovrei spostarmi né accedere a luoghi pubblici, mi ha fatto ridere la motivazione che ha aggiunto: dato che non ci siamo mai visti – ho cambiato medico di base quest’anno – vorrebbe prima conoscermi.

Morale: prima di richiedere prestazioni invitate almeno per un caffè il vostro medico!

Il collega Rompino che ho in ufficio continua invece a non volersi vaccinare. Lui è un naturologo e da qualsiasi cosa che non sia bio e che invece puzzi di chimica se ne tiene alla larga.


Poi va a cenare in una nota paninoteca della mia città. Sicuramente come sapori sarà buona, ma io fatico sempre a credere che un posto abbia Marchigiana e/o Chianina pura da servire per 200 coperti ogni sera. Praticamente ci sarebbe bisogno di un Pianeta a parte popolato solo da bovini per soddisfare tutte le paninoteche gourmet esistenti solo qui in provincia.


A me poco interessa di cosa fa o non fa. Evito ormai con le persone argomenti come politica, religione, vaccini, schivandoli come Neo coi proiettili. Quel che vorrei invece è che lui non fosse un rompino, ma come si fa? Non sarebbe Rompino, per l’appunto.

Un esempio: dove lavoriamo non ci sono i termosifoni ma i diffusori a soffitto solo nelle stanze. I corridoi, quindi, d’inverno sono gelidi. Un giorno particolarmente freddo avevo alzato di un paio di gradi la temperatura. Lui arriva tutto imbacuccato, dal freddo esterno e lamenta di percepire un’aria calda e soffocante (strano, se non ti togli berretto, cappello e piumino). Ok, spegniamo.

Lui nel frattempo apre la finestra. Arriva una tempesta. Chiude.

Io riaccendo l’aria.

Dopo un po’ lamenta di nuovo di sentire aria opprimente. Abbasso la temperatura del riscaldamento riportandola come ai  livelli soliti. Lui riapre la finestra. Arriva una grandinata. Chiude.

Infine dopo un altro po’ dice invece di sentire freddo e mi chiede allora di ri-alzare la temperatura.


Beninteso, aerare una stanza ogni tanto è importante. Magari però non mentre fuori infuriano gli elementi.


A casa, intanto, a proposito di riscaldamento, i nostri continuano a darci problemi.

Uno ha iniziato a perdere copiosamente da un punto di giunzione.

Un altro, la cui valvola era stata appena cambiata dall’idraulico inviatoci dal padrone di casa (un vero artigiano della qualità), pure ha iniziato a perdere. Dalla stessa valvola sostituita.

Ovviamente questi problemi si sono verificati la sera del 23 dicembre.

Mi ricordo quando all’IKEA M. comprò delle ciotole e io pensavo che in casa già ce ne fossero abbastanza. Adesso che le utilizziamo per raccogliere le perdite, mi sembrano poche.

Mai mettere in dubbio la saggezza e la lungimiranza femminile.

Non è che ti serva una siringa per un’iniezione di fiducia

Mi sono vaccinato.

Ma ho dimenticato di farmi fare la foto e quindi ora temo che non sia valido.

Il processo di vaccinazione è stato alquanto curioso.

Martedì mi arriva la convocazione per il giorno successivo, ore 19.

Mercoledì mattina, alle 9, ricevo una telefonata.

«Pronto, parlo con il Sig. Gintoki? La chiamo dal Centro Vaccinale, lei è convocato per oggi alle 19. Potrebbe venire anche stamattina?»
«A che ora?»
«Quando vuole, anche ora»
«Va bene, mi dia una mezz’ora»

E quindi vado al Centro Vaccinale. Mi avvicino al soldato dell’esercito di guardia e gli dico che sono stato convocato.

«Lei è?»
«Gintoki»
«Aspetti un attimo»

Va dentro. Ne esce in compagnia di un altro soldato:

«Lei è?»
«Gintoki»
«Eh ecco forse c’è stato un Qui Quo Qua…mi lasci vedere»

E rientrano tutti e due dentro.

Ne escono stavolta in tre.

«Lei è?»
«Sempre Gintoki»
«Sì come pensavo c’è stato un problema, non hanno avvisato il Responsabile del Centro che lei sarebbe arrivato»
«E io che devo farci? A me hanno telefonato dicendo di venire anche subito»
«Eh non posso farci niente»
«Io da qua non me ne vado»
«Aspetti un attimo»

Stavolta rientrano in due, lasciando la prima guardia fuori. Dopo 5 minuti dall’interno mi fanno cenno di entrare.

Mi mandano all’anamnesi, dove mi attende una dottoressa con una soldatessa che scrive i dati al pc.

«Lei è?»
«Gintoki, presumo»

Dopo le domande di rito su Covid, tamponi, allergie, arriviamo ai medicinali:

«Prende regolarmente medicinali?»
«Nulla, a parte degli integratori per il cuoio capelluto»
«Quelli alla mela?»
«Sì esatto»
«Anche il mio fidanzato li prende»
«Ah»
«Comunque bisogna aspettare arrivi l’età che non ci si pensa più»
«Ah»
Poi si gira verso la soldatessa, che non era per niente interessata alla conversazione
«Comunque lui è fortunato è solo stempiato, il mio invece li sta perdendo dietro, non può neanche farsi il trapianto perché non sono ancora caduti tutti, quando cadranno poi gli resterebbe il vuoto intorno»
«Ah»
Poi scrive
«Va bene, quindi…non dichiara patologie…a parte i capelli…va be’»
«Grazie, tornerò a casa carico di autostima»

E mi mandano allo step successivo, la sala d’attesa. Ci sono 20 sedie libere, 3 persone sedute vicine, senza distanziamento. Io faccio per sedermi a una sedia di distanza dagli altri, ma vengo ripreso da un’infermiera che mi invita a sedermi accanto a un signore.

Arriva da una stanza un soldato, che fa:

«Qualcuno è stato convocato stamattina?»
«Io»
«Lei è?»
«A questo punto non lo so più…Gintoki?»

E rientra nella stanza. Non è più tornato.

Vengo convocato nella stanza per l’iniezione. Me la faranno al braccio sinistro. Segnalo che ho un tatuaggio fatto da poco che, in via di guarigione, sta spellando come di norma.

«Ma è vero o è finto?» mi fa il medico.
«…È vero…»
«Quindi la pelle tatuata quando guarisce perde pellicine?»
«…Ehm sì»

Mentre mi sorgevano dei dubbi sulle sue competenze mediche, mi aveva già infilato ed estratto l’ago.

Come dicevo, non ho autoscatti o foto del momento del vaccino da pubblicare sui social e quindi non so se sia valido o meno. Però ho una foto del post tatuaggio, di cui posso quindi dire che è vero.

 

Non è che se una cosa ti salta subito all’occhio poi devi disinfettarti col collirio

Venerdì mentre stavo dando la calce ai tronchi degli alberi uno schizzo mi è finito nell’occhio.

Come, non usi una protezione, mi si dirà. Certo, avevo gli occhialini, ma quando stavo ormai finendo e mi mancava solo l’ulivo erano così appannati che non vedevo più se stavo realmente pitturando il tronco o stavo spennellando a caso nell’aria, così li ho alzati, tanto, mi son detto, ormai ho terminato e sinora non è schizzato niente.

Bravo merlo.

Mi sono subito sciacquato con abbondante acqua fresca e ho rimosso la puntina di calce dall’angolo della sclera, poi sono andato dal medico perché, pur non riscontrando problemi a parte un po’ di bruciore, non si può mai sapere. Mentre andavo a farmi vedere la mia preoccupazione era se mi avesse mandato al Pronto Soccorso: non perché ciò avrebbe voluto dire che era grave ma perché immaginavo il personale sanitario guardarmi male per rubar loro del tempo a causa della mia superficialità. Non so voi ma ho l’impressione che oggi non ci si possa più permettere di rompersi una gamba o tagliarsi un dito.

Vedevo già il Presidente della Regione che, in un video, tra un lanciafiamme e un altro, mi rivolgeva un pensiero, apostrofandomi come quell’imbecille che in un momento di gravità come questo ha deciso di intasare il sistema sanitario perché gli pesava troppo tenersi gli occhiali, poverino. “Glieli vado a cavare io di persona gli occhi”, concludeva.

Ci stava bene pure un titolo di Libero, che, con la proverbiale eleganza, titolava “Terrone e pure coglione”.

Comunque niente di serio, il medico mi ha dato solo del collirio da utilizzare.

Mentre tornavo a casa, osservando le strade, ho notato una cosa.

I tabaccai sono i nuovi bar. Gli anziani, col pretesto di far la fila, li usano come punti di ritrovo.

Qualcuno griderebbe allo scandalo, ma, riflettendoci, tecnicamente dove sta il problema per loro?

Il contagio non si è capito bene come è arrivato in Italia ma forse è stato uno che è tornato dalla Cina che poi è andato a cena fuori, ha organizzato partite di calcetto, eccetera. E non era anziano.

Al Sud sembra un contributo importante l’abbiano dato quelli che sono scesi dal Nord. E non erano anziani.

La gente poi ha cominciato a prendersela con quelli che vanno a correre. E non sono di certo anziani.

Sarà che, sotto sotto, gli anziani abbiano semplicemente capito che il problema non sono mica loro a essere a rischio ma che siamo noialtri a essere rischiosi?

Come si dice: i giovani sono il futuro. Se non riusciamo a fermarli prima.

Sagace.

Non è che nell’800 piangessero spesso perché si andava in giro con la cipolla

Ho fatto un incontro sgradevole, per strada.

Ho incontrato un conoscente, uno di quelli che ti trattiene a parlare con discorsi pedanti e pesanti. In particolare il suo tema preferito è la “questione Meridionale”: il mio conoscente è esponente di un movimento borbonico.

Già temevo, avendolo avvistato, qualche comizio da parte sua. Se non che, si è concentrato sulla mia barba:

– Ti vuoi tagliare ‘sta barba?
– No.
– Ti vedo filosofo.
– Ah.
– Marxista.
– Ah.
– E juventino.
– Eh?
– Sì, facci caso, tutti gli juventini tengono ‘sta barba.

Juventino a me, mai.
Tralascio tutto il resto dell’incontro, volevo soffermarmi sull’offesa ricevuta, una macchia sull’onore che un tempo si sarebbe lavata con un duello.

E ho riflettuto su come appunto, nell’età dei gentiluomini, certe cose fossero molto più semplici. Almeno stando al quadro della società e dei rapporti personali dipinto da romanzi coevi a quell’epoca.

1) Le offese, come dicevo, venivano risolte con un duello. Con regole certe e convenute dai duellanti, un appuntamento preciso, testimoni e medico al seguito. Non era necessario che l’incontro si concludesse con la morte di uno dei contendenti: molto spesso bastavano un paio di tiri di spada sulla coscia o un buco in più nel panciotto per porre termine alla questione e dopo magari amici più di prima. Un sistema regolativo delle divergenze efficace e discreto: i duellanti si incontravano in un luogo isolato, senza coinvolgere terzi (salvo i ‘secondi’ e il medico che assistevano) nello scontro.

2) Le relazioni sentimentali erano più semplici e immediate: il gentiluomo notava una fanciulla interessante a una festa, le chiedeva un ballo, dal giorno dopo cominciava a frequentare, con visite di cortesia, casa sua. Alla quarta-quinta visita i familiari si aspettavano una proposta ufficiale perché non è che uno può venire a casa a rompere le palle pretendendo di far conversazione e scroccando colazioni, tè, cene, ad libitum.

3) Sempre a proposito di relazioni, il marito stanco e annoiato di adempiere ai propri doveri coniugali poteva ben accettare la presenza di un accompagnatore per la propria consorte per le occasioni sociali. Spesso trasformato in vero e proprio amante, il cicisbeo in questa veste era accettato purché l’adulterio non si compiesse sotto gli occhi del coniuge.

4) Se una conversazione si faceva troppo accesa, se un argomento finiva per coinvolgere troppo personalmente, se la discussione cominciava a farsi scomoda, il gentiluomo o la gentildonna potevano farsi cogliere da uno svenimento, che il giorno dopo evolveva in febbre cerebrale impedendo di ricevere visite di postulanti e seccatori – gli stessi che erano causa dello svenimento – per giorni.

5) Per inviare delle comunicazioni si utilizzavano dei bigliettini. Che si potevano ignorare senza l’ansia di far venire a conoscenza al mittente di aver visualizzato e non risposto.

6) Le questioni importanti, in molti casi quelle di cuore, si comunicavano con lunghe, prolisse e verbose lettere, alcune della lunghezza di un romanzo. Si potevano utilizzare vaghi e vari giri di parole senza arrivare mai al punto, tanto il destinatario poteva ben dedicarsi alla lettura non avendo altro da fare né esistendo tv, cinema, computer,internet e altri intrattenimenti/distrazioni. La corrispondenza, anzi, era un modo di impiegare e trascorrere il tempo.

7) Fino al 1897 non esistevano juventini.

Mi sembrano tutte valide ragioni per trasferirsi nell’800!

Non è che non ti puoi laureare in piedi perché si tratta di una seduta di laurea

Viviamo in un’epoca in cui cerchiamo sempre più certezze per la nostra salute: vogliamo sapere che i prodotti che acquistiamo sono 100% organic 100% bio 100% senza olio di glutine e per questo ci piacciono le confezioni con tante di queste scritte colorate.

Organizziamo varicella party perché anche una malattia esantematica ha diritto a divertirsi.

Sempre più italiani si curano con metodi alternativi. Sempre più alternativi si curano con metodi italiani.

È per questo che oggi vorrei parlare di una pratica di cui mi sono da tempo note le virtù terapeutiche: il facesitting.


Preciso che questo articolo non ha alcuna finalità di divulgazione scientifica, non essendo io medico: indi per cui non posso essere tacciato di essere al soldo di qualche multinazionale.

La seconda avvertenza è quella di praticare il facesitting solo in ambienti sicuri e con personale professionista e qualificato. A tal proposito, posso fornire su richiesta in via privata il contatto di qualche mistress che effettua sedute terapeutiche di facesitting. Il contatto viene da me fornito a titolo puramente personale e SENZA ALCUNO SCOPO DI LUCRO se non quello di ricevere una percentuale sul numero di clienti.


Facesitting letteralmente vuol dire facciasedendo, dalla formula di cortesia che un tempo si utilizzava per dar inizio alla pratica. La padrona, infatti, chiedeva umilmente al servo

– Potrei metterle il culo in faccia, mio buon servitore?

il quale rispondeva

– Prego mia signora, faccia sedendo.

Il facciasedendo o facesitting nasce in Inghilterra nel ‘700, come pratica ricreativa della classe gentry per svagarsi dalle ubriacature al pub e le partite di whist. Molto spesso le due attività si univano e non era raro che venissero giocate partite di whist mentre i giocatori praticavano facesitting sulla servitù.

Ben presto però ci si accorse che i servi su cui era praticato facesitting durante il weekend fossero sul lavoro più volenterosi ed energici nel corso della settimana successiva.


Per quanto si possa essere volenterosi ed energici nello svuotare pitali giorno per giorno.


Qualcuno pensò a una correlazione con la pratica ma qualsiasi discorso intorno al facesitting si arenò in modo brutale quando un uomo morì soffocato durante una seduta.

Lo scandalo fu che la vittima non fosse un semplice domestico o lacchè – non era raro infatti che qualche sguattero di cucina ci lasciasse le penne sotto le poderose natiche di qualche Madame – ma un lord gentleman molto noto e stimato nella sua comunità, mentre la donna proprietaria del culo non una contessina ma una “volgarissima cuoca”, come scrissero i giornali del tempo. Il caso finì sulla bocca di tutti – quella stessa bocca su cui, con tanta ipocrisia, fino a poco prima era poggiato un deretano – e arrivò a Corte. Re Giorgio III, l’allora Sovrano che sembrava non disdegnare usmare sederi altrui, con un editto dichiarò illegale “poggiare le proprie nude terga a contatto col viso di un altro essere umano”. Per questo intervento bacchettone e moralizzatore fu molto criticato e da Re Giorgio Terzo fu soprannominato Re Giorgio Terga perché si diceva a forza di praticare avesse assunto la faccia come il.

Caduta in disgrazia, la pratica finì quindi nel dimenticatoio e bisognerà attendere l’età vittoriana per la sua riscoperta. A dispetto della sua dichiarata austerità e sobrietà di costumi, l’epoca della Regina Vittoria fu, per usare parole degli storici*, “un’età di veri porcelloni e mandrilli”.


* Tra cui il Prof. Durbans dell’Università di Scarborough.


Sempre più professioniste del meretricio offrivano nella propria lista di servizi anche quello di una bella seduta in faccia, facendosi però definire, forse per qualche vaga eco degli antichi trascorsi in cui esisteva una rigida separazione sociale, “padrone” mentre ai propri clienti era riservato il ruolo di “schiavo”. Molti avventori di postriboli tornavano a casa corroborati dalla seduta, rilassati e bendisposti d’animo e più di uno avrebbe giurato di aver tratto beneficio da malanni vari e doloretti reumatici che lo perseguitavano.

L’editto di Giorgio III tecnicamente resta ancora valido a tutt’oggi non essendo mai stato abrogato ma sin dalla sua promulgazione era stato aggirato: dato che citava “nude terga”, alla padrona bastava tenere indosso un capo intimo qualsiasi. Ancora oggi non è raro, forse per abitudine, che le mistress non pratichino il facesitting a sedere nudo ma indossino della biancheria, se non, addirittura, jeans o pantaloni.

Oggi è riconosciuto che regolari sedute di facciasedendo, insieme a uno stile di vita salubre, una corretta alimentazione e una sana attività sportiva, migliorino la salute generale della persona.

Test clinici dimostrano che la pressione di un paio di glutei sul volto favorisca il rilassamento dei tessuti muscolari e, tramite le microtture dei capillari superficiali, una macro ossigenazione della pelle.

Io ho 33 anni e ne dimostro 26, a esser precisi 26 e un po’. Coincidenza?

La mia prima esperienza in assoluto di facesitting fu del tutto involontaria. Ero in seconda media, in classe ci si stava simpaticamente spintonando, mimando risse tra compagni maschi come si fa a quell’età per cementare il proprio spirito di gruppo e sudare pezzandosi l’ascella per spargere i propri afrori prepuberali.

d43a30c703c9b696c6c83d2fcc015eceNon so se fu una spinta di troppo o una mia scivolata avventata, fatto sta che in caduta falciai in tackle una mia compagna di classe, come neanche il buon Fabio Cannavaro di quei tempi. La poveretta volò all’indietro piombando col sedere proprio sul mio viso e facendomi dare una sonora craniata al suolo. Testimoni dicono che la mia testa sul pavimento produsse il suono di un campanaccio da vacca.

All’epoca non sapevo che una testata simile potesse uccidere né che un culo in faccia, soprattutto quello della mia compagna che indossava una tuta di acetato 100% antitraspirazione, potesse indurre il soffocamento e quindi mi salvai non riportando dannx cerebrbali a lung034f9id02304ew0e45dlsl’scl”e’4”02303ì’ììì

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Pregevole stampa illegale d’epoca (XIX sec.) che mostra una coppia durante una seduta terapeutica

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Stampa didattica giapponese che invita le mogli a praticare facesitting ai mariti e consiglia alle figlie di osservare per apprendere i segreti della tecnica

Non è che devi stare attento ai pedoni se superi i trenta

Avere trent’anni è la cosa migliore che potesse capitarmi. Consiglio a tutti di provarlo, prima o poi.

A livello fisico mi sento meglio ora che a vent’anni. Non mi danno neanche l’età che ho adesso: pensare che a 17 anni pensavano fossi fratello di mia madre, oggi mi capita di sentirmi chiedere se io abbia finito la scuola/l’università.

Sindrome di Benjamin Button a parte, l’essere umano che supera i 30 deve rendersi conto che il tempo vada contro di lui. La cosa migliore dei trent’anni è iniziare ad avere la consapevolezza di saperlo accettare. Accettare che non puoi più immaginare di diventare un medico, un avvocato, un astronauta o un fantino di giraffe.

Certo, poi ti rammentano esempi di persone che prima dei trenta non avevano realizzato nulla nella vita e poi hanno avuto successo, tipo Joseph Conrad che il vero successo l’ha ottenuto dopo i 30 e a 20 anni non sapeva neanche parlare inglese (figuriamoci scrivere) o Jeff Bezos che ha avviato Amazon a 31, senza contare tanti altri che hanno anche superato i 40 e oltre prima di ottenere qualcosa. Il mio preferito resta il Sig. Momofuku Ando che inventò i noodles istantanei a 48 anni.

A prescindere di questi casi singoli, tu trentenne però devi fare i conti con la prospettiva che il lavoro che hai è forse la cosa migliore che potesse capitarti considerando che forse non sei affatto così speciale. E non puoi prendertela con qualcuno per avertelo fatto credere, perché magari speciale lo sei stato anche ma solo in un dato momento nel tempo e nello spazio poi conclusosi. Hai capito che non puoi dare la colpa alla maestra che ti portava in giro per le classi per farti leggere quel pensiero così creativo e intelligente che avevi scritto nel tema, cosa che ti gonfiava l’ego ma ti imbarazzava anche molto perché affrontavi gli sguardi beffardi e perfidi di altri bambini che non aspettavano altro che prenderti in giro solo perché avevi una stringa della scarpa slacciata. Per superare la tensione adottavi lo sguardo selettivo: trasformavi tutti gli altri in una macchia sfocata di colore bianco e blu e facevi finta di non vederli.

Adesso hai superato i trenta e hai compreso che non sei speciale perché avevi quel potere: ce l’hanno anche gli altri e sono in grado di farti sparire dal loro campo visivo quando vogliono per renderti invisibile.

Cacchio. Avere trent’anni è proprio brutto.

 

Non è che il telelavoro sia quello che fa Pippo Baudo

Non posso lamentarmi del mio lavoro per quanto riguarda la libertà organizzativa e di orari che mi concede; non essendo vincolato a una presenza fissa in sede posso anche usufruire della possibilità di lavorare a distanza.

Se mi reco in ufficio tutti i giorni è per una sorta di auto-disciplina che mi sono dato non suicidarmi.

Lavorare da casa può essere interessante per un giorno. Due, al massimo. Poi quando ti rendi conto che passi in modo immediato dal letto al lavoro e dal lavoro al letto oppure che quando hai finito di fare ciò che devi fare stacchi per aprire Netflix (o YouPorn…) senza alzarti dalla sedia, non ti senti molto bene con te stesso.

Anzi ti senti un po’ coglione, se mi è consentito.

Stare a casa poi ti porta ad assumere alcune abitudini tipicamente casalinghe. Ad esempio quella di avere telefonate importanti in ciabatte e boxer.


Quando ti sei ricordato di indossare i boxer.


Diventa problematico, una volta avvezzi a tali comodità, rinunciarvi quanto non sei più a casa tua.

Come fai a convincere gli altri che in ufficio ti deve essere concesso ogni tot di tempo di “cercare qualcosa profondamente nelle tasche” in totale libertà per scaricare la tensione?


Si dibatte molto, tra le donne, sul perché gli uomini abbiano questa triviale abitudine di cercare cose profondamente nelle tasche, quando non si tratta di rituali apotropaici – beninteso volgari in ugual maniera ma giustificabili in qualche modo. Le ragioni posson essere diverse, come la necessità di ricollocare le truppe spostatesi fuori territorio o la ricerca di sollievo da un tessuto scomodo o dermatologicamente aggressivo; in generale comunque va detto che lo sfregamento dell’anguinaia, come di altre parti del corpo, stimola la produzione di endorfine come fosse una sorta di ricompensa dell’atto. L’abitudine, per l’essere maschile, ad avere molta confidenza con le proprie zone private sembra spinga quindi a cercare ricompensa più spesso proprio lì che da altre parti.


Per questo resto a casa solo in caso di malattia o necessità tipo visite dal medico (mie o di altri) o dal veterinario.

Coincidenza o Legge di Murphy vuole che quando sono impegnato in queste situazioni e non presente in sede, mi cerchi al telefono, puntuale come la pioggia di Pasquetta, l’intero mondo – un mondo tra l’altro che non è a conoscenza che io non son presente in sede, dato che chiamano da altre parti d’Italia – e per conversazioni ovviamente non brevi.

Dato che non riesco a ignorare un telefono che squilla, a meno che io non sia alla guida, mi sono spesso dovuto esibire in equilibrismi vari: una volta con una mano mi sono trovato a reggere il telefono, con l’altra la gabbietta del gatto, mentre con il piede aprivo la porta, con il naso accendevo la luce e non so come ma nello stesso tempo mi sono anche cercato qualcosa molto profondamente nelle tasche.

Non è che il medico si lavi con l’Anitra WC perché è un prodotto per la pulizia dei sanitari

Trovo assurdo che ci sia bisogno di affiggere un simile cartello, ma è evidente che educazione&modi appropriati non appartengono a tutte le persone.

Capitò anche una volta a Madre, nel rivolgersi a una farmacista: “Signorina, scusi…”. Io la ripresi con un colpo di gomito: “Madre, per favore…”. E Madre non è affatto una persona ottusa, nel senso di persona che ottende. Eppure è evidente che anche lei risente di una certa cultura dominante maschilista che vuole che a un uomo in camice ci si rivolga con deferenza, a una donna in camice con confidenza.

Premetto che trovo ridicoli i titoli e gli appellativi. Io stesso, quando al lavoro mi dissero che dovevo presentarmi come “dottore” – non in quanto medico ovviamente ma in qualità di laureato – mi sentivo un po’ ridicolo. Ma sarà questione di autostima e di sindrome dell’impostore.


La sindrome dell’impostore colpisce le persone che non sentono un traguardo e un successo come propri, giustificandoli solo come frutto del caso e/o di circostanze fortunate. Essi vivono nella condizione di sentire di non meritare una posizione e temono di essere prima o poi scoperti.


Laddove però esistono contesti formali trovo molto irrispettoso che ci si rivolga a un uomo in un modo e a una donna in un altro.

Fatta tale premessa, al foglio che ho pubblicato all’inizio di questo articolo vorrei fare un’aggiunta sotto il dottoresse: “Ma davvero?”.

Perché l’ambulatorio veterinario che frequento e dove è presente quel cartello sembra gestito come una bancarella del mercato. La titolare fa sia il medico che (male) l’assessore all’ambiente e ha l’aria perenne di chi ha ricevuto una botta in testa e perso la memoria.

Un paio di mesi fa avevo la gatta ricoverata per un ciclo di terapie. Andai a vederla per controllare come stesse e la titolare disse a un tirocinante:

– Questa è la gatta col tumore allo stomaco
– Eh?

Dissi sbiancando

– Ah no no scusa mi sono confusa col cane di quell’altro.

Ah. Ah. A soreta.

Nell’ambulatorio si alternano non so quante dottoresse. Perché ne incontro sempre una diversa. Ho rinunciato a imparare i loro nomi.

Il problema sorge quando devi tornare più volte e a ognuna devi raccontare la storia daccapo perché non si parlano tra di loro. Anche perché quando si parlano ognuna ha la propria versione:

(dottoressa 1) Si deve operare, bisogna aprire
(dottoressa 2) Non si deve operare, basta un prelievo con l’ago
(dottoressa 3) È guarita
(dottoressa 4) Scusa, tu sei?
(va avanti con altre dottoresse)

Avevo la gatta -una quasi ventenne- che pisciava sangue come una statua della Vergine e la soluzione offertami da una dottoressa era darle un integratore e comprare un diffusore di feromoni perché “Sarà colpa dello stress”.

Le diedi solo l’integratore perché 25 euro per uno spruzzatore erano troppo. Tornai dopo una settimana:

– Ma tu lo spruzzatore non l’hai messo, vero?
– No
– Eh…bravo. Hai visto?

Alla fine quindi lo comprai visto che mi si indicava come corresponsabile della patologia per la mia negligenza sparagnina e inoltre tra i due il medico è lei.


I gatti possono soffrire di stress, è vero, e la cistite può esser causata da questo fattore.


Ovviamente non servì a nulla, così dopo un’altra settimana le facemmo un’ecografia e scoprimmo una palla di sangue che occupava 2/3 della vescica e cominciammo quindi delle terapie col cortisone. Avremmo potuto iniziarla facendo un controllo sin da subito ma non si può certo rinunciare a un po’ di feromoni sintetici. Che per la cronaca non sono serviti a niente, a parte che io adesso ho voglia di fare pipì sui muri.

C’è poi una dottoressa che ha un carattere scorbutico. Per esempio, una volta, sempre dovendo fare il consueto riassunto delle puntate precedenti:

– Settimana scorsa ho parlato con la dottoressa…ehm…non ricordo…
– Boadicea? Clitemnestra? Pentesilea?*
– È una giovane
– Più giovane di me? (si indica, con gli occhi sbarrati)
– No no…cioè di me, dico
– Ah ok, no perché già stavo…(e non completa la frase)


* Nomi di fantasia così a caso.


Stavi cosa? Sì, vuoi sapere la verità, lei sembra una liceale e tu sua madre. Ora posso avere il mio responso?

No, qua non ci sono signorine ma teste di clitoride.

Non è che Ajaccio sia impraticabile perché ci son sempre lavori in Corso

In chimica la normalità è la misura della concentrazione di soluto in una soluzione.

Io mi sento poco concentrato in questo periodo e fatico a trovare soluzioni.
Figuriamoci una normalità.

Nella via dove abito stanno costruendo un condominio da 6-7 unità abitative. I lavori dovevano durare 6-7 mesi. Ci stanno lavorando da un anno e mezzo. Non è normale.

Stamattina sono uscito con l’auto. Quando sono rientrato, un’ora dopo, la mia strada, in corrispondenza del condominio di Penelope, non c’era più. Al suo posto c’era un fossato tra un marciapiede e l’altro.


Il condominio di Penelope è quello che viene costruito di giorno e disfatto la notte.


L’operaio nella scavatrice mi fa Devi passare?.
No, guardi, mi piace stare in auto a farmi cullare dal borbottio del motore mentre osservo i lavori in corso.

Non era normale questa domanda.

Non sono potuto passare e ho abbandonato l’auto in strada. Pure questo non è normale.

Tutti i week end c’è il blocco della circolazione, tranne che per le auto Euro-qualcosa. Questo sabato, in giro c’era lo stesso volume di traffico che c’è di solito negli altri giorni. Non è normale.


In pratica l’unico a non poter circolare sono io che ho un’auto Euro-Numero Relativo.


Mi hanno chiesto 5000 euro per un’auto usata 1149 cc e 55 kw immatricolata nel 2010. Non è normale.

Sono uscito di casa il 30 ottobre a mezze maniche come fosse estate. Non è normale.

Il mio medico era raffreddatissimo. Prima di congedarsi, ha starnutito schermandosi con la mano. E poi me l’ha porta per salutarmi. Non è normale.

Le persone stanno male a causa di ciò che è giusto fare. Perché in certi casi se vuoi star bene in realtà stai sbagliando, quindi è meglio star male accettando ciò che è giusto sia fatto. Tutto questo non è normale.

Oggi un anziano signore in fila in posta cantava romanze in un dialetto meridionale indecifrabile. Ha proseguito cantando anche mentre era allo sportello. Ha continuato a cantare mentre abbandonava l’ufficio postale alzando la voce man mano che si allontanava. In barba all’Effetto Doppler.

Mi è sembrata la cosa più normale di questo mondo.

Non è che l’idraulico sia un buon nuotatore perché sa fare un sacco di vasche

Sono sulla banchina in attesa che un ritardo abbia un treno. Noto che la ragazza di fianco a me ha i miei stessi jeans. Cosa non inusuale essendo un capo diffuso, ma il mio modello non lo avevo ancora visto in giro. Ha una colorazione particolare: io ci vedo del mare increspato su fondo roccioso. Ma io ci vedo male quindi questa opinione non conta.

Un tipo che vorrebbe essere brillante l’avrebbe avvicinata dicendo:
– Hey, abbiamo gli stessi jeans. Ma a te stanno meglio…(notare l’occhio languido).

Un tipo che vorrebbe essere simpatico l’avrebbe avvicinata dicendo:
– Hey, abbiamo gli stessi jeans. Ma a me stanno meglio, ha ha (notare l’occhio nero che lei gli farà).

Un tipo come me giudica invece se una tal coincidenza possa avere effetto o meno sulla propria giornata.

Non sono superstizioso né credo ai segnali dell’universo (a meno che non siano segnali provenienti da Quasar e/o Pulsar e/o eventuali civiltà aliene), ma, come molte persone, al mattino presto valuto singoli episodi come una indicazione sul prosieguo di quel giorno.

Trovare un semaforo verde, l’auto che va in moto subito senza sputacchiare le candele dal tubo di scappamento, la fetta biscottata che non ti si rompe in mano spalmandoti la marmellata nel palmo eccetera.

Quando è arrivato il treno lei si è accaparrata prima di me il posto cui ambisco di solito, cioè quello lungo la parete, dove potersi appoggiare ed evitare di essere compresso e/o spintonato dagli altri. L’unico rimasto libero. Quindi ho deciso che non sarebbe stata una gran giornata.

Ho avuto infatti una lunga conversazione telefonica (45 minuti) con una persona che trovo sgradevole e con cui purtroppo devo relazionarmi per lavoro e che per il buon esito dello stesso devo tener buona.

Non amo le persone che si lamentano a lungo degli altri con te. Anche perché, se tanto mi dà tanto, nulla toglie che facciano lo stesso nei tuoi confronti con gli altri.

Non amo le persone che si mettono sulla difensiva e pongono le mani avanti senza motivo. Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Non amo le persone che lanciano frecciate.

Questa persona racchiude, in formato matrioska, tali odiosi comportamenti in una singola conversazione.

Sono andato a nuotare in serata e ho dimenticato tutto ciò.

Purtroppo da qualche giorno avverto una infiammazione alla spalla. E non me la sono nemmeno diagnosticata su Google! Ho timore ad andare dal medico perché temo mi dica di star a riposo dalla vasca. Cosa che non vorrei fare. Non denoto buon senso, ne son conscio.

Ho trovato nell’andare in acqua un momento in cui posso far riposare la mente. In quei 45 minuti riesco a mettere a tacere il rumore di fondo che ho sempre nella testa: è un po’ fastidioso avere un perenne monologo interno attivo. È come se ci fosse un call center di vari Don Abbondio che su turni soliloquiano.


Ho anche tentato di delocalizzare ma non ha funzionato.


Quando racconto di questa sensazione mi sento guardato – me l’han anche detto – con l’aria tipo Eh sì ne hai bisogno [di scaricare la testa]. Io sono un tipo permaloso e non mi piace tale atteggiamento.

Allora invece dico che vado in piscina per guardare le nuotatrici e mi fanno un sorriso e una occhiata di complicità e compiacimento.


L’idea di andarci per fare sport non è contemplata: conosco tutte persone che al massimo come attività fisica sollevano obiezioni e lanciano Madonne.


Rammstein – Feuer und Wasser

È bello quando lei nuota a rana
allora io posso vedere nel suo centro
Non che il seno non sia bello
Nuoto semplicemente dietro di lei
Polvere di scintille fluisce fuori dal centro
un fuoco d’artificio zampilla dalla sua inforcatura