Non è che il chirurgo abbia bisogno della matematica per fare le operazioni

Per la rubrica “Una cosa divertente che non farò mai più” alla lista aggiungo un ricovero in clinica.

Il momento di svolta di questa esperienza è stata quando l’amicone del Ciao caro – vedasi puntata precedente – è stato rispedito a casa perché non c’erano abbastanza letti liberi.

A quanto ho saputo lui e la sua famiglia l’hanno presa con filosofia. La filosofia del martello, cioè quello che avrebbero voluto utilizzare su guardia, personale medico e chiunque altro gli capitasse a tiro.

Lì ho pensato che non mi sarebbe andata tanto male. Ritrovarsi in reparto con lui sarebbe stata un’esperienza dadaista.

Il reparto è piccolo e la gente non mormora
In tempi di emergenza sanitaria le visite sono escluse e l’unico contatto con il mondo resta il telefono. Dato che più sono lontane le persone più è necessario urlare (lo sapevate?), capita che tutti sentano tutto delle conversazioni altrui.  Ho apprezzato in particolare il racconto di una ragazza sui dettagli della sua occlusione intestinale, narrazione che ha goduto di diverse repliche perché parenti, amici e anche la professoressa dovevano avere ragguagli sulla quantità di feci ritrovata nel suo intestino.

Il mio compagno di stanza era un tipo simpatico e tranquillo. Pensavo avesse la mia età, poi ho scoperto era più giovane. Anche lui pensava avessi la sua età, poi ha scoperto che ero più vecchio. Entrambi quindi non mostriamo l’età che abbiamo.

Compagnodistanza fa il cuoco. Ho iniziato a dubitare delle sue competenze culinarie quando è arrivato il cibo della mensa – che come qualsiasi cibo ospedaliero non può essere considerato vero e saporito cibo – e lui ha detto che aveva un buon profumo. Voglio credere fosse il digiuno a farglielo trovare gradevole.

Ha detto che considera la mia città “la piccola Berlino”. Ho dubitato anche delle sue competenze geografiche.

Le pene del pene
Nella stanza di fianco c’era un ragazzo che ha avuto il mio stesso intervento. Un tipo un po’ ansioso. Lo dico io che sono un ansioso, quindi so di cosa parlo.

Quando è svanito l’effetto dell’anestesia spinale mi sono rimesso in piedi e sono passato nella sua stanza. Lui è stato operato dopo di me, quindi era ancora sotto anestesia. Era in angoscia perché tra le gambe non sentiva ancora niente.

Ha iniziato a chiedermi quando io avessi ripreso sensibilità lì. Poi cosa sentissi lì. Poi quando mi erano arrivati i primi segnali di ripresa lì. A un certo punto gli ho chiesto cortesemente di smetterla di farmi domande sul mio pene.

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo
Quando giovedì sera era diventato chiaro non sarebbero riusciti ad operare noi in lista, mi sono rivolto sconsolato al primario chirurgo lamentando – non seriamente ma con ironia – il dover ripetere il digiuno il giorno dopo. Sai cosa dice il Dalai Lama, mi ha fatto, il miglior modo per purificarsi è astenersi dall’ingerire sostanze che possano avere effetti negativi sul tuo corpo. Quindi io ti sto purificando corpo e anima.

Non è certo se il Dalai Lama abbia mai detto ciò.

Priorità
L’infermiere arriva da me dicendomi che dobbiamo tagliare la barba.

Io lo guardo perplesso.

Lui mi guarda perplesso al mio essere perplesso.

Poi oso chiedere – con un certo ingenuo candore, riconosco – se davvero intendesse radermi l’onor del mento.

Lui si riferiva a una depilazione al basso ventre. Uno ci mette tanto a curarsi una barba, è normale che si preoccupi, mi giustifico io.

Musica maestro
In sala operatoria il capo anestesista mette in diffusione una cover di Umbrella di Rihanna cantata come fosse Despacito.
Gli chiedo cortesemente di mettere gli AC/DC se vuole mantenermi rilassato.

Ah, è medico!
Sempre della serie che tutti devono sentire tutto e al telefono si urla, una signora ricoverata mentre parlava col figlio all’altro capo vede passare il chirurgo e lo blocca al grido di Aspetta ora te lo faccio dire dal dottore. Si sente in modo distinto qualcuno all’altro capo chiedere Scusi lei è infermiere o è laureato dottore?. Il chirurgo risponde Sì, sono laureato in Dottore.

Non è che si chiamano “rifiuti” perché vuol dire che tu non ne vuoi più saperne

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Cosa rappresenta questa foto? Una pattumiera piena?
Errato.
Questo è il “Bentornato Gin-chan” che mi aspetta ogni sera, perché qualcuna, qualcuna che durante la giornata ha mangiato tortellini Rana e tutta un’altra serie di cose che sono l’equivalente in kcal del fabbisogno di tre persone, una volta che il sacchetto è pieno non si prende la briga di gettarlo.

Ho provato con la resistenza passiva la settimana scorsa, lasciando il sacchetto lì come stava, tanto io di rifiuti ne produco pochi: utilizzo molte cose prive di imballaggi. Il cartone vuoto del latte, l’unica cosa che avrei dovuto gettare, l’ho lasciato in frigo di proposito.

Dopo due giorni in cui il sacchetto è rimasto lì, pieno (anche se la roba al suo interno continuava ad aumentare, tanto da far raggiungere alla busta la densità di una nana bianca*), al terzo giorno, come predetto dalle Scritture, ha preso vita ed è andato a gettarsi da solo. O meglio, l’ha gettato Coinquilino, che è presenza sempre più evanescente in casa.


* Una nana bianca non è una donna caucasica bassa: è una stella di ridotte dimensioni (su scala stellare, ovviamente) ma dalla straordinaria compattezza e densità. Insomma è come fare l’amore in una vecchia 500: lì dentro si sta come in una nana bianca.


Ieri, dopo aver invocato la solita divinità egizia a cui mi rivolgo nei momenti d’ira, sono andato da lei sfondando la porta come Walker il Texas Ranger, dicendo: Vieni un po’ qua, vieni. Senti un po’, amante della Muraglia: ma per caso al Paese tuo la spazzatura ve la tenete in casa e la vegliate senza toccarla come fosse un caro defunto? No perché se vuoi ti piazzo un tabernacolo davanti e due candele e abbiamo fatto l’angolo votivo.

Questo è quello che la divinità egizia mi aveva suggerito di fare. Poi il Dalai Lama che è in me mi ha preso per mano, mi ha fatto bussare la porta e mi ha fatto spiegare ad Astro Nascente che la spazzatura, ogni tanto, si porta fuori.


Ho dovuto portarla davanti al bidone e, indicandolo, dire “Questo, se pieno, si porta fuori”. Non mi sono azzardato a dirglielo in inglese perché, seppur lei mi avesse detto che lo capiva meglio dell’italiano, quando arrivò in casa la prima volta e le chiesi “Where do you come from?” lei mi rispose “Grazie!”.


La sua risposta è stata:
– Aaaah, sì sì capito, grazie, grazie mille.

“Capito”? “Grazie mille”?

Avrei voluto rispondere così, ma il Dalai Lama mi stava ancora osservando, così ho ringraziato anche io e l’ho congedata.

La prossima volta ascolto Anubi.