Il Subito del villaggio

Ovvero, prima di vendere qualcosa ricordati che non sei su Real Time.

A volte mi capita di mettere in vendita qualche oggetto su Kijiji o Subito.it. Non mi riesce sempre di fare un buon affare, capita infatti che l’oggetto rimanga invenduto e l’annuncio scada.


DIDASCALIA PUBBLICITARIA
A tal proposito, se siete interessati a una giacca neo goth o al manga Zetman volumi 1-12, contattatemi pure


Mettere un annuncio vuol dire essere contattato da tipologie diverse di utente. Esiste ad esempio il timido, che dopo aver inviato un messaggio in cui si dichiara interessato sparisce. Lui magari scrive “ciao, sono interessato. Fammi sapere”, tu gli rispondi e lui, arrossito e in imbarazzo perché gli è stata rivolta la parola, non si fa più vivo.

Poi c’è l’affarista, quello che ha guardato troppi programmi su Real Time o su Cielo dove dei tizi col fegato steatosico e la pappagorgia realizzano affari milionari scambiando ciarpame. Lui ti contatta e ti propone un baratto. Anche se tu hai specificato nell’annuncio “No scambi”, arriva sempre il genio che vuole scambiare un orologio per un telefono o un telefono per la Playstation.

E poi capita sempre il tipo strano, come quello che mi ha contattato negli ultimi giorni.

Ho messo in vendita un lettore mp3 Samsung, un oggetto secondo me invendibile perché ormai tutti ascoltano musica dallo smartphone.


DIDASCALIA POLEMICA
Poi ci si chiede perché la batteria di uno smartphone duri quanto un fiammifero acceso. Una volta prima di uscire di casa dovevi fare attenzione a non dimenticare il telefono, oggi non devi dimenticare telefono, caricabatterie e, già che ci siamo, anche la batteria d’emergenza, col risultato che un moderno telefono comporta ingombro (distribuito in pezzi) quanto un DynaTAC Motorola anni ’80.


Mi ha scritto un tizio dicendo di essere interessato. Mi lascia il suo numero, io lo chiamo e lui mi dice che vorrebbe acquistare ma non riesce a trovare le specifiche tecniche del lettore su internet perché il codice del modello che ho scritto nell’annuncio non gli dà alcun risultato. La cosa è strana perché il numero l’ho scritto in modo esatto, comunque gli mando via mail l’indirizzo della pagina web sul sito della Samsung. Mi risponde dicendosi interessato (per la precisione mi ha scritto “molto interessante”) e poi mi ha chiesto il prezzo senza spedizione.

Da premettere che l’annuncio l’ho pubblicato sulla città di Roma e lui nella prima telefonata, probabilmente sentendo il mio accento bolzanese, mi ha chiesto se fossi a Roma. Il suo accento era invece fiorentino, dettaglio non secondario.

Quando l’ho chiamato la seconda volta e gli ho chiesto “tu sei a Roma, giusto?”, lui mi ha detto
“No, sono a Firenze”
“Scusami, come fai col ritiro? Perché mi hai poi chiesto il prezzo senza spedizione” ho risposto, dubbioso.
“No tranquillo poi vedo di organizzarmi”
“Tu a Roma studi?” ha proseguito
“Sì, frequento un master”
“E in che sei laureato?”
“Scienze Politiche”
“E com’è questa politi’a? Un gran ‘asino, eh?”


DIDASCALIA LINGUISTICA
Da qui in poi la conversazione viene riportata con l’inflessione dell’interlocutore per renderne meglio l’efffetto. Non si tratta di luogocomunismo o di qualche allusione sul fatto che il parlato del toscano – toscano con la gorgia* – abbia connotati buffi o comici. Perché poi ognuno potrebbe dire la propria, che a far ridere sia il siciliano, o il milanese, o il bolognese o il napoletano e così via. Del resto molti comici e pseudo tali impostano i propri sketch – a volte in maniera discutibile – sul dialetto, calcando molto sull’intonazione originaria o addirittura imitando altre inflessioni con intento parodistico. Non è scopo di questo blog fare della pseudo comicità spicciola.

* NOTA ALLA DIDASCALIA
Dall’enciclopedia Treccani: La gorgia è un fenomeno fonetico diffuso nei dialetti toscani (noto anche come spirantizzazione o aspirazione toscana). È un processo di ➔ indebolimento che coinvolge le consonanti ➔ occlusive scempie determinando la perdita della fase di occlusione, motivo per cui le consonanti interessate sono pronunciate ➔ fricative o spesso approssimanti.


“Sì…in Italia è difficile governare e far politica perché ci sono molte linee di frattura e particolarismi…” rispondo in politichese.
“E ‘he ne pensi del mio ‘oncittadino, eh?”
Non riporto per intero la risposta ma, sostanzialmente, in maniera ampollosa e retorica ho ripetuto la mia frase precedente.
“Eh ma sai quale è la verità? La gente s’è rotta i ‘oglioni, scusa la parola, ma perché vedi in tempi di crisi non poi mi’a fa’ chiacchiere, prendi pure la ‘osa degli immigrati, se non c’ho soldi mi dici te ‘ome si fa a mantenerli? Qua non c’è lavoro per gli italiani, ma fi’urati te per gli immigrati”
“Purtroppo sono processi lunghi che necessitano di valutazioni che al momento il dibattito politico anche a livello europeo sembra non concedere” ho esclamato mentre mi trattenevo dal mettere un dito nel naso nonostante una crosticina che mi prudeva, primo perché ero su un autobus, secondo perché evito di toccare qualunque parte del mio corpo se prima non ho lavato le mani.
“Eh se parliamo dell’Europa ti mando giù la batteria del cellulare. Va bene, ‘scolta ti fo’ sapere domani o al più tardi tra due giorni, va bene?
“Va bene”
“Allora a presto, tante ‘are ‘ose e buon tutto”
“Grazie, anche a te”.

Impostazioni->Impostazioni chiamata->Rifiuto Chiamata->Elenco rifiuto automatico.

La biancheria intima di Stella

Titolo fuorviante per attirare pruriginose curiosità: adesso che ho la vostra attenzione, siete in trappola, qui si parla di matematica! La biancheria di Stella (nome di fantasia) resta un affare…intimo.

Ho dei vaghi ricordi di matematica e quindi potrei errare e questo post perderebbe poi senso, ma vorrei cimentarmi in un’analisi avvalendomi appunto di un supporto matematico.

Una sommatoria è data da


Se N = nascita ed M = morte e assumiamo k = esperienza, possiamo dire che la vita di un individuo è la sommatoria delle k esperienze comprese tra N ed M.

Siamo ciò che facciamo, di bello, di brutto, di così e così. E ciò vuol dire che non viviamo quando siamo immobili, che in realtà è impossibile essere completamente immobili perché anche stare a fissare il soffitto crea un’esperienza che dopo un tot periodo di tempo ci darà una nuova forma.

Però in senso più ristretto comunemente fare qualcosa vuol dire fare esperienze.

Nelle ultime settimane sto meditando molto sull’opportunità di fare un qualcosa. Un qualcosa che mi crei una forma, perché al momento sento di avere assunto la consistenza di un blob che scivola sul pavimento.

Ho preso una decisione. O meglio, sto riflettendo sull’opportunità di prendere una decisione per il 2015. Mi porto avanti anche se siamo solo a settembre.

Credo non ne farò parola con nessuno, o almeno non fornirò dettagli ma mi terrò sul vago. Ho sempre detestato essere il tipo di individuo che dice che ha in programma di fare questo, codesto e quello e poi non fa nulla. Da questo punto di vista un ottimo esempio (detto in senso ironico) è costituito da una persona che conosco, sempre pronta a giurare che farà qualunque cosa, dall’andare a un concerto a lavorare alla Neue Nationalgalerie di Berlino. Poi non farà né l’una né l’altra. Gli amici hanno smesso di fargli domande e prenderlo sul serio, ormai lo conoscono bene.

Non so se farò bene o male. So che da quando ho iniziato a riflettere su questa cosa, sento come un ticchettio che si è messo in moto dentro di me. Come se si fosse sbloccato qualche ingranaggio. In un altro post ho detto che ultimamente mi sento un po’ perseguitato dagli orologi. Forse la soluzione è diventare io stesso un orologio e fottere il tempo. Potrei essere io stesso a scandire la mia vita.

Il mondo di Dalí (2)

(prima parte)
Seconda parte

___Il tempo non è l’unica cosa qui che non segue le regole convenzionali. Lo spazio e la fisica degli oggetti sembrano ordinati in base a parametri puramente casuali, privi di una qualsiasi logica comune. Dopo l’episodio dell’orologio, camminai per quelle che mi sembrarono ore, ma con la sensazione di non essermi mai spostato dallo stesso punto, come avessi percorso un nastro di Möbius. In altri momenti, invece, mi bastarono pochi passi per cambiare completamente scenario, passando anche dal giorno alla notte. Nel luogo in cui mi trovo non esiste un alternarsi degli astri, considerando anche che questi ultimi non sembrano affatto presenti; l’ambiente è illuminato, ma non esiste un Sole, così come l’oscurità notturna, priva di stelle, è rischiarata da un lontano chiarore non prodotto da alcuna Luna. I due momenti del giorno non si susseguono, luce e buio si raggiungono spostandosi a piedi.
___Le ombre rappresentano un altro mistero. Ho notato di avere la mia sempre alle spalle, in qualsiasi posizione io mi trovi; se mi girassi sul posto lei si sposterebbe, risistemandosi a guardia della mia schiena. Ho lasciato perdere questa stranezza dopo poco, attratto da altre curiosità. Una volta diedi con noncuranza un calcio a un ciottolo, che rotolò via per diversi metri. L’ombra, però, non si mosse via dal punto in cui il sasso in precedenza giaceva. Provai a calciare un’altra piccola pietra, ma questa invece non si spostò affatto, né io riuscii ad afferrarla con le mani. In compenso, con un paio di dita potei trascinare via l’ombra che proiettava.
___Il mondo è densamente popolato da strane creature, più bizzarre e inquietanti dei demoni mostruosi che imitavano gli amplessi di N. e del suo ex, ma totalmente indifferenti alla mia presenza. Accertatomi che non rappresentassero una minaccia, tentai più volte di stabilire un contatto, senza mai riuscire ad attirare la loro attenzione, quasi la mia presenza qui fosse insignificante. Tentai di stuzzicare con un ramo un enorme essere equino, dalla cui schiena spuntava un busto maschile – privo di testa – fuso all’altezza del ventre con il suo corpo. Lento, il cavallo si spostava su sei zampe lunghe e sottili, simili a quelle di un fasmide. Appena lo punzecchiai, l’insetto-cavallo si scompose davanti ai miei occhi in tanti piccoli cubi, via via sempre più minuscoli, fino a smaterializzarsi nell’aria.

Alla ricerca della quarta dimensione

___La prima reazione la ottenni quando mi avvicinai a uno specchio davanti al quale si muoveva, rimirandosi, una donna. Esile e alta, aveva il volto coperto da una maschera bianca, incorniciata da boccoli di capelli oro che le scendevano dalla testa. Braccia scheletriche e lunghe terminavano con dita appuntite e colorate, che faceva scorrere in modo alternato sulla maschera, tracciando scie ora cremisi, ora violetto, ora blu. Ricordava una bambina che si trastulla con i trucchi della madre per giocare a fare l’adulta. Insoddisfatta del risultato, scuoteva la testa e i segni delle dita-rossetto  in un attimo sparivano, permettendole di ricominciare il gioco della vanità. Un serpente le cingeva il busto a mo’ di corpetto, lasciando le spalle scoperte e facendosi via via più sottile intorno al collo, a formare una collana. Il fiocco di una fusciacca che le cingeva la vita si estendeva sino ad avvolgerle una coscia, per poi scendere giù a spirale sino al piede, fasciato anch’esso; guardando meglio tra le pieghe, però, non intravidi nessuna gamba al di sotto, era la stoffa stessa a farle da arto. L’altra gamba, nuda, era percorsa in lungo sino alla caviglia da una cicatrice i cui lembi non sembravano uniti.
___Mi avvicinai sino a poter sbirciare nello specchio, notando una giovane donna, di spalle, intenta a vestirsi. Un abito elegante, forse per un’occasione da celebrare. Stavo per sporgermi di più, ma la creatura smise di giocare voltandosi verso di me, mostrando due occhi luminosi tra i fori della maschera. Il serpente si slanciò per mordermi, mentre lo sfregio lungo la gamba si apriva lanciando un sibilo infernale accompagnato da vapori che non mi soffermai a inalare. Fuggii.
___Impiegai tempo – se avesse ancora un senso tale concetto – a riprendermi, scosso e sconfortato vagai tenendomi a distanza dagli specchi, per poi abbandonarmi lungo disteso a riva di un piccolo lago in cui nuotavano degli strani uccelli. Ebbe modo di riflettere. Rammentai: se esisteva un mondo di mostruosi alter ego di noi stessi, da qualche parte avrei dovuto trovare anche il mio. Dare un senso alla mia presenza in questo universo, camminare alla ricerca di me stesso e dei miei lati oscuri, una strada che potevo percorrere.
Due interrogativi spegnevano i miei entusiasmi: come avrei trovato il mio doppio in questo spazio in apparenza senza fine? E come l’avrei riconosciuto?

fine seconda parte

Donna con testa di rose (1935)

 

Il mondo di Dalì

«È l’ultima volta».
Forse N. lo avrà detto a se stessa, mentre le sue mani scivolavano sulla schiena dell’ex di una vita. La relazione tra i due poteva dirsi finita da qualche anno, ma occasionali appuntamenti di letto non erano mai cessati. Inconsciamente, era il pretesto di N. per fuggire ogni altra relazione, evitare di sentirsi legata a qualcuno che le si potesse stringere troppo.
Mentre lui indugiava sui segreti intimi di lei, il senso del rimorso si fece evanescente, sopraffatto dal demone della passione. Mi allontanai da quelle scene per pudore, e anche per rabbia, considerato che la verità sulle persone che si conosce non fa mai del bene.
___
Qualsiasi spettatore indiscreto avrebbe visto due corpi nudi stretti su un letto, ma, in fondo la stanza, lo specchio mostrava tutte altre immagini: esseri mostruosi stretti in un animalesco amplesso, zanne e artigli che incidevano le carni in un’orgasmatica estasi, versi inumani da bocche grondanti ulcerose bave. Nessuno sa ciò che gli specchi proiettano quando non sono osservati, pur essendo a portata di sguardo. Nella beata indifferenza, si apre la finestra sul mondo di noi stessi, con i nostri diabolici corrispettivi, portatori delle nature occulte di ogni essere umano, inconsapevoli abitanti di una Terra al di là di un vetro.

La disintegrazione della persistenza della memoria (1952)

___Non ricordo di preciso quando io abbia effettivamente varcato la soglia, né da quanto io mi trovi qui. In questo mondo non esistono meccanismi per scandire il tempo, né è disponibile un qualsiasi riferimento allo scorrere degli eventi. Tentare di cogliere qualche indicazione scrutando l’altro lato è speranza vana, le mie ricerche sono terminate senza successo.
___Un giorno, uno specchio che si apriva su una stanza provvista di un orologio a muro con datario mi diede modo di iniziare il mio esperimento. Senza smettere di guardare dall’altra parte, sincronizzai il mio orologio da polso, lasciando poi trascorrere un minuto. Il tempo passò in maniera uguale e con precisione simmetrica per tutte le lancette, dandomi modo di procedere con il test successivo. Memorizzate ora e data, mi allontanai tenendo d’occhio il mio orologio anche questa volta per un solo minuto. Rimasi basito nello scoprire che per il calendario dell’orologio a muro erano invece passati due giorni, quando andai a controllare. Pensai che quella fosse l’equivalenza base tra i due mondi in assenza di un osservatore, ma per sicurezza ritentai l’esperimento con la stessa modalità. Scaduti i 60 secondi, al di là dello specchio vidi che era trascorsa una settimana! Dopo l’iniziale smarrimento, mi allontanai da lì pensando che si trattasse di uno scherzo o di un malfunzionamento dell’oggetto. Trovai altre finestre aperte su calendari automatici, orologi o altri apparecchi per segnare il tempo, ma ogni esperimento finì col restituirmi risultati ogni volta diversi, un minuto dal mio lato poteva valere da un secondo a un intero mese dall’altra parte del vetro. Affranto e nervoso, gettai il mio orologio in un fossato. Pochi secondi dopo, un rumore attirò la mia attenzione: col quadrante in pezzi, l’orologio giaceva al suolo come piovuto dal cielo.

fine prima parte

seconda parte