Euro 2016 – Tutti in Francia! (#01)

Annunciazione, annunciazione: in occasione degli Europei di calcio, il Fra ha coinvolto me e sua Magnidivinità Zeus in questa macchinata virtuale per seguire il torneo!

Sarà una cosa molto easy (e anche un po’ minchiona – cit. romolo giacani – data la mia presenza), quindi spero apprezzabile anche da parte di chi il calcio non lo mastica: in quel caso ne faremo una vellutata, come i migliori chef megastellati.

Sintonizzatevi!

Do As I Say, Not As I Do

Amici, ma soprattutto amiche (cit.),

Venerdì 10 giugno partono gli europei di calcio e, come già successo durante i mondiali brasiliani di due anni fa, questo blog si rianimerà con un vigore tale da fare invidia al buon vecchio Lazzaro di Betània e proverà a rispondere ad alcune delle domande che da mesi attanagliano i tifosi di tutto il continente, quali per esempio «Chi fermerà i robot tedeschi?», o ancora «Chi si sbronzerà prima, gli irlandesi o i nord-irlandesi?», ma soprattutto «Quanto farà schifo l’Italia da 1 alla birra al limone?».

Ma se nel 2014 ero un laureando cazzeggiatore con una discreta quantità di tempo libero a disposizione, in questi giorni trovare spazio per il blog è molto più difficile. Ecco perché ho chiesto a dei fini conoscitori del giuoco del pallone (e del mondo WordPress) di supportarmi in questa maxi-rubrica di durata mensile.

E allora magno cum gaudio…

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Non è che nel Signore degli Anelli l’essenziale sia invisibile agli orchi

Oggi il Capo ci ha comunicato che a breve la società cambierà nome. Decisione della nostra consorella di Bruxelles.

Anche se più che sorella maggiore, per potere e dimensioni sembra una suocera.

Dovremmo assumere quindi il nome del gruppo di cui facciamo parte (Pinco Pallino) + Central Europe. A meno di non avere altre proposte di denominazione.

Al che mi sono alzato (metaforicamente perché sono rimasto seduto) e ho detto che, sì, suonerebbe più internazionale ma finirebbe per far smarrire identità alla società. Sarebbe forse meglio un qualcosa come Pinco Pallino Hungary oppure Pinco Pallino Budapest.

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È sempre positivo con gli ungheresi far leva su questioni come l’identità e l’orgoglio, ovviamente esaltandoli. Ad esempio, per guadagnare la loro stima puoi parlare di calcio citando la squadra storica (non è che poi il panorama calcistico nazionale offra altri esempi), l’Aranycsapat (“la Squadra d’Oro), cioè l’Ungheria degli anni ’50 che arrivò a giocarsi un Mondiale con la Germania. Acquisterai punti ai loro occhi.

Da questo punto di vista ci sarà molta attesa per i prossimi Europei di calcio, dove la squadra nazionale si è qualificata dopo anni. Vorrò essere altrove in quei giorni perché ho sempre remore a dire agli altri che non me ne importa nulla del loro entusiasmo e non me ne sento partecipe.


So fingere tante cose (tra cui anche orgasmi ma questa storia la riservo per momenti peggiori) ma l’entusiasmo non rientra tra le cose su cui riesco a recitare.


Come quella volta che arrivai a Londra il giorno della finale di Wimbledon tra Murray (idolo di casa seppur scozzese: gli inglesi storicamente si son sempre presi ciò che gli serviva) e Federer nel 2012.

La tizia che mi mostrò la stanza ci tenne a farmi presente che il televisore era funzionante e riceveva tutti i canali, in particolare quello che avrebbe trasmesso l’incontro.
– Perché, sai, oggi c’è la finale di Wimbledon, alle 16 (orario inventato perché non lo ricordo).
– Ah, sì, certo, la finale. Dissi io.

Il pomeriggio ovviamente me ne sono andato in giro perché non ero affatto interessato alla finale di Wimbledon.


NOTA 1
Non riesco a farmi piacere il tennis.
Ho un problema con uno sport dove è previsto il silenzio. Per me lo sport deve essere rumoroso, perché se non puoi fare rumore non so come ci si possa divertire.


NOTA 2
È lo stesso principio che seguivo per le feste alle scuole elementari. Non vedevo il perché andarci se non per fare casino.


NOTA 3
Poi arrivò la dannata festa delle medie (cit.) e cambiò tutto, ma su questo argomento c’è già una esauriente letteratura.


Insomma, col mio discorso sull’orgoglio identitario del nome li ho colpiti. O almeno ne sono convinto ma non ne sono certo perché non li guardavo in volto mentre parlavo.

Ho l’abitudine, quando dico qualcosa di serio, di fissare un punto a medio-bassa altezza davanti a me e tenerlo lì inquadrato, muovendo anche le mani come Alberto Angela intorno a qualcosa che vedo soltanto io.

È il discorso. È lì, prende forma mentre esce dalla mia bocca. Lo plasmo con le mani. Lo vedete?, penso mentre parlo. Poi alzo gli occhi e mi accorgo che gli altri non hanno visto un bel niente e credo non mi abbiano dato molto retta. Faccio discorsi invisibili seppur – credo – interessanti. È proprio vero che l’essenziale è invisibile agli occhi, come disse Galileo Galilei prima di inventare la fotocamera digitale.

Non parlo comunque sempre in questo modo. Fissando punti inesistenti davanti a me, intendo.

Ad esempio, Ti amo l’ho sempre detto guardando negli occhi.
Non è per quella convinzione che si è sinceri solo se ci si guarda negli occhi e se distogli lo sguardo allora significa che eccetera. Trappole da mentalisti.

Semplicemente, anche in quel caso sto seguendo un discorso. Negli occhi dell’altra persona. Come se ci fosse un “gobbo” che regge il cartello con scritto “Ti amo” celato nell’iride altrui.

Perché secondo me l’amore non è un qualcosa che nasce dal di dentro. Non del tutto, almeno. L’amore è lì fuori, prende corpo nelle altre persone. Lo andiamo semplicemente a cercare per riacquisirne il contatto. Come si spiegherebbe che si possa pensare a persone lontane centinaia e centinaia di chilometri se non con il fatto che hanno un qualcosa di nostro dentro di loro e che noi rivogliamo.

A volte c’è chi poi esagera e trova amori troppo facilmente e di continuo. Secondo me costui/costei o si è spezzettato/a troppo o vede amori altrui come se fossero i propri e allora lì è un problema perché non c’è mai amore per tutti.


È un discorso molto da libro di Moccia, ne convengo. “Amore è abbassare la tavoletta del water”, da venerdì in tutti gli Autogrill in promozione con “50 sfumature di Topo Gigio”.


La questione dei nomi è comunque intrigante.

Ho scoperto che nel nostro stabile al piano interrato prolifica una società hipster.
Prima scoperta è che quindi gli hipster sono qui più diffusi di quanto pensassi e si radunano insieme, seppur nei seminterrati.

La seconda scoperta è che questi hipster sono quelli di BP Shop, linea di abbigliamento marchiato Budapest: loro cavallo di battaglia è lo slogan Buda Fucking Pest.

Geniale, non c’è che dire. Avere successo è trovare il nome giusto e diffonderlo in giro.

La prima impressione che avevo di loro si ricollegava a una battuta di Bart Simpson: Guardatemi, sono un laureato, ho guadagnato 600 dollari l’anno scorso!

Poi ho scoperto che in realtà i loro affari vanno abbastanza alla grande e allora forse Bart Simpson si addice più a me. 

E quindi il tutto sta nel farsi un nome ed essere visibili.

I dolori del giovane runner

Era l’estate del 2000. Quella dei miei 15 anni. La Francia aveva da poco castigato l’Italia in finale degli Europei di Calcio, la Playstation 2 ancora non era arrivata in Europa e il Venerdì di Repubblica, in vista delle Olimpiadi di Sidney, aveva pubblicato un servizio fotografico sulle più belle atlete italiane. Tutte immortalate in bikini, intente a stare in posa a bordo piscina, sotto una cascata d’acqua e altro ancora. La cosa mi procurò degli innocenti (più o meno) pruriti adolescenziali. A qual tempo avevo la passione per le donne sportive, interesse nato alle scuole medie quando fecero la propria comparsa le Spice Girls: m’ero invaghito di Mel C, la Sporty Spice:


Poi capii in un momento successivo che non si è atleti mettendo una canotta di una squadra di basket. Io ad esempio avevo quella dei Chicago Bulls, con nome e numero di Michael Jordan che tra l’altro a quell’epoca aveva già lasciato la squadra. La indossavo anche per uscire la sera, a volte. Insieme ai pantaloni larghi che portavo ero un vero b-boy. O un clown.

La vita serale si svolgeva lungo 2-300 metri di strada. A quel tempo c’era un’isola pedonale permanente, panchine e alberi avevano sottratto di prepotenza l’asfalto alle automobili. Ogni gruppo sociale si era creato la propria nicchia ecologica. Talvolta le nicchie erano troppo a stretto contatto e volavano ceffoni tra animali di specie diverse. No, mi correggo. Se le davano all’interno dello stesso gruppo. La Polizia Municipale nel frattempo si dileguava. La pancetta da posto fisso non è utile a parare i ceffoni, perciò è opportuna una sana e decorosa fuga come prescriverebbe Sun Tzu.

Una delle nicchie che più mi incuriosiva era quella della gioventù alternativa o presunta tale. Con le loro barrette di titanio infilate un po’ ovunque sotto pelle e i jeans consunti, cadenti e strappati che in realtà erano più nuovi delle loro mutande. Trascorrevano la serata sui gradini di un negozio, nel pieno centro dell’isola pedonale. Tutti completamente immersi nel buio, causa un albero che oscurava il lampione di fronte e che proiettava in basso un cono d’ombra. Macché, era una piramide d’ombra, tanto era grande. Qui nascevano i miei dubbi. Se volevano starsene isolati e mostrare il proprio essere dissociati dal resto della massa, perché non andare a dissociarsi in una zona realmente priva di altre persone? Poi, ho realizzato. Come faccio a mostrare la mia dissociazione se non c’è nessuno a vedermi? E via così.

Fare sport a 15 anni voleva dire partita di calcetto al sabato. Unico schema: dove va la palla si corre. Più che calciatori, sembravamo uno sciame di moscerini. La partita finiva quando a qualcuno venivano i crampi (sempre a me), quando nessuno aveva più fiato o quando qualcuno sanguinava. Nel caso invece in cui il campo sportivo fosse stato prenotato immediatamente dopo di noi, la partita finiva per invasione di campo da parte delle squadre che dovevano giocare.

In tutto ciò cosa c’entra il titolo? Nulla, ma ho ripreso a correre  da una settimana. Essendo io sportivo della domenica, anzi, del sabato, corro solo col bel tempo. I dolori nascono dal fatto che la corsa, all’inizio che riprendo la pratica, mi fa venire mal di stomaco nelle ore successive. Chi corre capirà.