Ho fatto ordine in dei cassetti per fare ordine dentro di me. Ho ritrovato delle vecchie pagelle. A rileggere quei giudizi fatico un po’ a rivedermici.
Vivace. Irrequieto. Irruente.
In effetti ricordo che le maestre avevano parecchio da lamentarsi su di me. Ero una sorta di Bart Simpson.
Non ero scostumato né violento. Più che altro, per me la scuola era un momento di divertimento.
Figlio unico, non avevo cugini con cui giocare, non abitavo in un condominio dove c’erano altri bambini, non andavo all’oratorio e con l’attività sportiva avevo fallito. Insomma, non avevo molte altre opportunità di socializzazione e svago.
La scuola quindi era a disposizione mia e della mia vitalità. Delle volte, un po’ eccessiva.
In virtù di ciò mi sono guadagnato più volte la via del corridoio. Delle volte ci andavo di mia iniziativa, prima che la maestra potesse aprire bocca. Bastava vederla alzare la testa che capivo di aver esagerato e che per il tempo restante della lezione non sarei più stato gradito in classe. Una volta, invece, mi fregò: teneva la testa china sul registro e io ne approfittavo per lanciare palle di carta a un mio compagno. Lei mi invitò ad andarmene fuori a respirare un po’ di aria di termosifone esausto senza che in tutto questo avesse mai alzato lo sguardo e mi avesse visto. Pensai che avesse poteri paranormali.
I termosifoni valgono due righe di specificazione.
Quelli nelle classi venivano riverniciati ogni estate. La vernice aveva una fragranza al petrolio e pomodori pelati di scarsa qualità inaciditi. Tale odore ci deliziava durante la prima settimana di accensione del riscaldamento, cioè mesi dopo il lavoro fatto. Per fortuna a inizio anni ’90 non eravamo a conoscenza del potenziale tossico delle vernici e per questo credo ci siamo tutti salvati.
Quelli nei corridoi, invece, non venivano mai riverniciati. Quando erano accesi mi ricordavano una stufa alimentata a gomitoli di polvere.
Capii che la scuola non apparteneva solo a me quando mi capitò, per motivi diversi, di dover fare il giro di altre classi. Lì conobbi l’inibizione e l’imbarazzo dello stare sotto lo sguardo altrui. Gli altri bambini ti guardano sempre con un ghigno beffardo come se ti avessero messo una gomma da masticare sulla sedia. Una volta mi successe di essere ospitato una intera giornata in una di quelle classi, un giorno che tutti gli altri erano in gita e io e altri 4-5 tapini che non partecipavamo all’uscita fummo diasporizzati e deportati. Mi bastarono 10 minuti per portare casino&confusione anche tra quelli che per me erano degli estranei.
Non era tutto un divertimento.
C’erano in classe un paio di bambini un po’ bulli e maneschi. E non capivo perché mi sembrassero godere di una certa impunità; insomma, io dovevo sorbirmi le reprimende di Madre, cui le maestre un giorno sì e uno no ripetevano, fuori scuola, Vostro figlio ha fatto questo, vostro figlio ha detto quest’altro e loro non venivano mai richiamati?
Poi un paio di volte ho visto a scuola i rispettivi padri di costoro.
Erano dei tipi aggressivi. Uno le dava di santa ragione al figlio ogni volta che a casa perveniva un richiamo. Anche l’altro non era da meno.
Quando li vidi capii la fortuna che avevo nel poter essere rimproverato.