Non è che siccome suonano uguale “addetto vendita” e “ha detto vendita” siano la stessa cosa

Cerco di avere sempre la massima solidarietà verso chi lavora, soprattutto per coloro i quali non percepiscono stipendi eccezionali, magari anche sottopagati, faticosi e al contatto con il pubblico che, si sa, non è sempre la cosa più piacevole del mondo.

Ciò nonostante, le mia capacità di resistenza e di empatia a volte sono messe a dura prova dagli addetti vendita che hanno il costume di prendere d’assalto il cliente.

Sono conscio che certi atteggiamenti siano frutto di logiche e pressioni aziendali, che spingono per il vendere! fatturare! a ogni costo e che magari il povero dipendente ne farebbe volentieri a meno.

Però per tal motivo ci sono punti vendita in cui non entro mai e quella volta che ci entro mi ricordo perché non voglio mai entrarci. Su alcuni ho la croce nera da anni, ad esempio quello dove gli addetti vendita sono vestiti da arbitri.

L’altro giorno invece sono entrato, ed era più di un anno che non ci andavo (e poi ho ricordato il motivo), in un negozio di una nota catena di vendita console&videogiochi. Ero entrato per una console. Alla fine ne sono scappato e l’ho comprata nel negozio di elettrodomestici di fianco.

Sono stato preso d’assalto dalle due addette, che non mi hanno mai lasciato in pace proponendomi qualunque cosa. Sconti, offerte, tessere, promozioni. Quando ho preso il cellulare dalla tasca mi sono anche sentito proporre una custodia trasparente per sostituire quella che ho a libretto. “Così puoi goderti l’aspetto del tuo smartphone”, mi ha detto.

I famosi telefoni da contemplazione, immagino. Quante serate davanti al telefonetto mentre fuori piove e fa freddo!


È chiaro che si fa di tutto per vendere. Quando ho svolto volontariato per una onlus sui banchetti di fiori e uova le provavo tutte per avvicinare le persone. A un certo punto ho anche gridato, come slogan, rivolto a una coppia: Cioccolato? Migliora l’umore, fa bene all’amore!, facendo pubblicità ingannevole sulle presunte caratteristiche antidepressive e afrodisiache del cacao.

Per la cronaca: non si fermarono a comprare. Però hanno riso di gusto.


 

Non è che affidi un cane a un vigile perché è un incrocio

Pensieri sparsi.

Gli anziani che portano a spasso il cagnetto mi fanno molta tenerezza. Quando sono in bici e ne incrocio uno di fronte a me però mi viene l’ansia. Penso sempre “Oddio, se adesso il cane facesse un movimento inconsulto e/o io perdessi il controllo della bicicletta e lo investissi, farei morire di crepacuore questa persona”. Poi li supero e tiro un sospiro di sollievo e rifletto su quanto mi facciano tenerezza gli anziani col cagnetto.

Nella cascina sede del mio lavoro ci sono dei gatti che si aggirano nei paraggi. Sono schivi e fuggenti, semi-selvatici. Si nascondono nelle siepi. Spesso mi sento osservato e, guardando fuori dalla finestra, mi accorgo che uno di essi mi sta fissando. Sono giorni che provo a far loro una foto ma quando prendo il cellulare loro si girano e se ne vanno correndo verso le siepi.

In questa cascina terremo un aperitivo. Lo scrivo lungo, aaaa-peeee-riiii-tiiii-voooo, perché sentir dire ape mi fa venire l’orticaria. Ape cosa? Ape regina? Ape operaia? Ape tito?

Per questo aperitivo mi hanno chiesto di mettere su una playlist di musica di sottofondo. Penso di aver inserito cose buone, ho ricevuto apprezzamenti dalle mie colleghe che ho utilizzato come tester. Pensavo sarebbe stato complicato raggiungere almeno un’ora di musica invece ho superato le tre ore e mi sono accorto che tante cose che avrei voluto mettere non le avevo ancora inserite. Spero che piaceranno, qui sono molto attenti all’atmosfera dell’aaaaaa-peeeee-riiii-tiiiiii-vooooo.

Oggi io e due colleghe siamo andati in giro a fare spese per l’organizzazione di questo aaaaa-peeee-riiiii-tiiiii-voooo. Hanno detto che la mia guida è un po’ troppo “meridionale”. Io non ho capito cosa volessero insinuare. Rispetto il codice, metto sempre la freccia per ogni minima svolta, lascio passare i pedoni, accelero quando esce il giallo che vuol dire “corri fai presto!”, segnalo col clacson a tutti gli automobilisti in prossimità di incroci/uscite laterali di non osare inserirsi in carreggiata, cosa c’è da contestare? Al massimo avrò esagerato facendo 30 metri in senso vietato, ma è la stradina deserta dove c’è la nostra sede e poi ho evitato loro un lungo giro, lungo ben 3 minuti.

Stando qui ho compreso finalmente cosa si intenda quando si dice che a una ragazza si vede “lo zoccolo di cammello” o cameltoe come dicono gli esperti del settore (non so quale settore ma mi sembrano esperti). Non mi era chiaro fino a che non ho visto su un tram ciò:

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Un cameltoe eccellente, da sfoggiare con fierezza!

Non è che serva un corso di alpinismo per farti scalare il credito

Ho Padre che vive fuori dal tempo, ultimo baluardo della resistenza alla moderna telefonia. Anni fa fu convinto da Madre a comprarsi un cellulare per una qualsiasi evenienza.

L’avrà utilizzato al massimo una volta all’anno, lasciando poi scadere ogni volta il credito. Praticamente a conti fatti ogni telefonata è costata quanto una chiamata in Messico.

Di recente ha dovuto riattivare la SIM per fare una telefonata (la solita esigenza annuale). Si è poi presentato da me indignato:

– Io non ho capito, ho fatto fare una ricarica di 10 euro e mò sono andato a controllare il credito e risultano 4 euro. Io una telefonata ho fatto, ché si sono presi 6 euro?
– Ma tu ora hai un abbonamento?
– Che vuol dire?
– Tu paghi a chiamata o paghi un fisso mensile e chiami quanto vuoi?
– Chiamo quando voglio io ma questi si son presi 6 euro per una telefonata!
– No, aspetta, tu paghi 6 euro al mese e hai tot minuti a disposizione che si consumano a ogni chiamata, adesso non so quanti ne sono nell’abbonamento che hai sottoscritto
– E questi 4 euro di credito allora che sono?
– Sono quelli che ti serviranno il prossimo mese per pagare l’abbonamento. Devi fare un’altra ricarica ovviamente, visto che l’abbonamento costa 6 euro
– E devo pagare 6 euro al mese?
– Sì però parli quanto vuoi…
– Ma a me non interessa, io non voglio parlare proprio con nessuno non mi serve neanche il telefono!

Chiedo quindi ai gestori di telefonia di valutare di introdurre la tariffa Sticazzi Voi Tutti – Summer Edition, per Padre e quelli come lui che non desiderano telefonare.

Non è che in Argentina si scansino perché “Evita” per loro è importante

Ho un amico che ultimamente sembra non parlarmi più.


“Sembra” è un modo per dire che non mi parla ma non so se non mi parli per caso o per desiderio.


 

Non mi scrive, non mi cerca, se ne va ai concerti da solo. Potrei aver fatto qualcosa e in effetti sto facendo qualcosa in questo periodo, ma non capisco in che modo questo qualcosa possa influire su di lui e sul suo comportamento.

Potrei chiedere chiarimenti. Purtroppo chiarire è una delle cose che mi mette più a disagio in questo mondo. Seconda solo a quando busso alla porta di un bagno e nessuno risponde e poi entro e dentro c’è qualcuno intento a mingere.


Tra parentesi dovrebbe sentirsi lui a disagio ma chissà perché il disagio lo provo io. Il che mi induce a pensare che ci siano persone che non rispondono alla bussata proprio per mettere a disagio il prossimo.


Non sono bravo in questi frangenti.


Chiedere chiarimenti, intendo.


Allora taccio, mi eclisso, mi raccolgo nella mia propria intimità perché penso che se qualcuno vuol evitarmi io poco posso farci.

È la soluzione più comoda assumere un comportamento simile ed evitare il confronto. Io evito. Sempre.

Evito le persone per strada. Mi scanso assumendo pose matrixiane. Anche perché molti ormai non sanno più come si passeggia. Fissano il cellulare, parlano con qualcuno senza guardare avanti, guidano i passeggini come se fossero dei panzer tedeschi che invadono la Francia. Oggi una signora mi è passata sul piede col passeggino, mi ha chiesto scusa ritraendolo indietro e ripassandomi sul piede. Così, perché non aveva altro da fare.

Evito il traffico stradale introducendomi in vie laterali e infilandomi in giri tortuosi che mi fanno allungare il percorso. Vuoi mettere però l’aver evitato lo star fermo imbottigliato?

Evito autostrade e superstrade se posso percorrere una via piacevole da guidare. Ultimamente però il navigatore mi ha una volta portato in una zona che neanche i peggiori bar di Caracas e in un’altra mi ha condotto in una selva oscura. C’erano anche tre bestie ad aspettarmi. O forse erano degli abitanti autoctoni.

Evito di telefonare se posso scrivere.

Evito i farmaci se posso risolvere con un tè+miele+propoli+goccio di alcool. Evito questa brodaglia se posso riempirmi di paracetamolo.

Evito di toccare qualsiasi cosa una volta tornato a casa se prima non ho lavato le mani.

Evito di proseguire questo post.

Non è che il cinefilo ami la Domopak perché produce buone pellicole

Non vado molto al cinema, inteso come multisala. Soprattutto da quando ho maturato la convinzione che molte cose in circolazione non valgano il denaro speso.


Fatta eccezione per i nuovi film di Star Wars.


Che, detto per inciso, sono una mossa per cavar denaro.


Preferisco le piccole sale e le proiezioni riservate a pochi appassionati.

Ho così dimenticato, fino a ieri, come sia trovarsi al cinema in una grande sala piena di ragazzini. Che siano tanti o pochi inoltre fa poca differenza: 3 ragazzini o 50 producono la medesima quantità di rumore e lo stesso livello di fastidio negli altri spettatori.

Mi sono reso conto che l’irritazione in questi frangenti è una cosa abbastanza comune e che quella dei ragazzini al cinema sia una vera e propria piaga sociale sottovalutata dai media e dalla politica. Anzi, i poteri forti ci raccontano una realtà distorta: parlano da anni di bassa natalità nel nostro Paese, allora com’è che dovunque mi giri io trovi ragazzini?

Ho pensato quindi a una lista di soluzioni per ovviare al problema del fastidio prodotti dai ragazzini al cinema.

1) Dedicarsi a generi alternativi che – inspiegabilmente – non incontrano il favore del pubblico dei giovanissimi e quindi azzerano il rischio di aver a che fare con loro. Ad esempio, andare a vedere solo produzioni di nicchia di registi uzbeki che con un piano sequenza di 3 ore raccontano la malinconia delle notti nel deserto del Kyzyl Kum mentre un passero giace stecchito sotto l’ombra che una roccia proietta alla luce lunare e il protagonista un umile coltivatore di capre e allevatore di cavoli si suicida per non assistere più al dolore della figlia con le adenoidi.

2) Creare nei cinema sale apposite per under 18 dove poterli confinare coi loro simili.

3) Istituire la “Tessera dello spettatore”: chi viene sorpreso a dar fastidio verrà squalificato e gli verrà proibito di andare al cinema per un determinato periodo di tempo.

4) Aggiungere sedativi alla bibite servite ai ragazzini al bar del cinema. Potenti sedativi.

5) Distribuire occhialini 3D che oscurano la visuale quando chi li indossa disturba.

6) Installare poltrone intelligenti che al primo segnale di intemperanza infilino un calzino sudato – di quelli di spugna che si impregnano bene e fanno da terreno di coltura di batteri – nella bocca del disturbatore.

Nella prossima occasione parlerò dei rimedi contro quelli che, siano giovani o adulti, tirano fuori il cellulare durante la proiezione. +++SPOILER: un cecchino appostato in sala che fredda il telefono appena si illumina! Quello che succede è incredibile!+++

Non è che il blocco note sia il divieto di diffondere musica

Ho acquistato un piccolo taccuino con penna incorporata, investendo ben 1 € da Tiger. Carta riciclata perché ho una coscienza. Carta riciclata probabilmente impastata da un bambino bengalese.

Ho deciso di portarlo sempre con me e provare a prendere nota di tutto ciò di cui prenderò nota.

Ho deciso di portarlo con me ed evitare di tenere a mente quel che devo ricordare.


In genere prendo appunti solo mentali. La memoria mi ha sempre funzionato bene. Soltanto che, per evitare di dimenticare ciò che ho mentalmente appuntato, le cose continuano a girarmi in testa e rimescolarsi e venire su come dopo aver mangiato la peperonata. Voglio quindi verificare se, scrivendole, io riesca a scaricarle dalla testa e ad avere la mente più libera.


Ho deciso di portarlo con me e fingere che mi interessi ciò che mi stanno dicendo tanto da prenderne nota.

È vero che potrei segnar le cose con il cellulare. Purtroppo su alcuni aspetti sono conservatore. Antico. Vecchio dentro.


Seppur una cassiera di Mercato Trionfale due giorni fa porgendo una bottiglietta si è riferita a me esclamando Questa è der ragazzetto. Non so se una persona debba offendersi o inorgoglirsi, in questi casi. Ma per quel poco che ho imparato da Roma ho capito che in realtà, così come qui a Napoli, ci sono cose che non bisogna chiedersi. È così e basta, non c’è giusto, sbagliato, brutto, bello, nero, bianco: Napoli e Roma sono fenomeni quantistici, dove tutto è niente e niente è tutto.


Le cose scritte a mano sono le migliori – Dinosauri conservatori contro la modernità

Ad esempio non mi trovo bene con gli ebook e credo che continuerò ad avere libri cartacei.

Ho deciso inoltre che la prossima casa in cui traslocherò dovrà avere un giradischi perché Spotify mi ha stancato.

Le persone hanno bisogno di un’àncora di sicurezza. Io ho bisogno di un ancòra. Che qualcosa ancora ci sia. Che qualcosa ancora prosegua.

Ho ancora dei posti miei.

Ho ancora delle persone vicino.

Ho ancora degli insegnamenti da ricevere.

I Melvins ancora fanno uscire dischi.

Tutto ciò è rassicurante. E degno di nota.

Non è che la morfina sia senza speranze perché è spacciata

Si dice che, visto da vicino, nessuno è normale.

È per questo che mi tengo a distanza dalle persone.

Esistono due categorie di individui strani. Quelli come me che cercano di conservare una parvenza di rispettabilità per stare in società e quelli che non se ne curano per niente.

Venerdì sera ho incontrato una persona della seconda categoria e vi ho quasi concluso un affare. Un gattino in cambio di un paio di fiale di morfina.

Costei, un’amica di un amico di amici, aveva la memoria del cellulare piena di foto dei suoi gatti. Io ho una teoria su chi ha foto monotematiche: bisogna stargli alla larga perché potrebbe essere pericoloso.

Anche io ho foto dei miei gatti e su facebook ogni tanto ne pubblico qualcuna: una sola per soggetto. Non mi interessa fotografare il gatto mentre sbadiglia, il gatto mentre beve, il gatto mentre è stato vestito – controvoglia – da sirenetto, il gatto mentre si lecca il pene.


Gli animali domestici per costoro sono un surrogato del neonato-trofeo. Capire se un neonato sia un neonato-trofeo, è semplice: se la mamma ci terrà a mostrare anche foto che dovrebbero essere private, come il primo vasino, il neonato è un neonato-trofeo.


Esauriti i racconti felini, tra cui l’emozionante e strappalacrime racconto della prima volta nella lettiera per un trovatello (vedasi sopra: il neonato-trofeo), ci ha raccontato della sua attività di anestesista. E di come sarebbe facile trafugar fiale di morfina dal policlinico, se solo volesse. Ma non lo fa perché la morfina È roba da vecchi. Serve ad abbattersi: che gusto c’è a farlo?.

Non lo so, pensavo, ma avrei avuto gusto a vedere lei abbattuta.

È possibile fosse una mitomane, ma ho preferito non contraddirla: non era priva di una certa arguzia, come quando sosteneva di notare, tra i graffiti con cui era decorata la camicia che indossavo, il profilo di un gatto.

– Non c’è
– Mi sembrava di averlo visto
– Se ci credi veramente allora c’è
– Questa cosa si dice ai malati di mente, lo sai?

Non la si poteva beffare, astuta come un cervo!

Dove l’avesse visto un gatto, non so. Poi lo strano sono io!

Non è che quando sei stanco chiami la Celere per avere un po’ di carica

Oggi un tale, cui non avevo risposto a una mail del 3 marzo, mi ha scritto con tono vagamente polemico.

Ha esordito con:

Caro Gintoki,
forse sei giovane e inesperto, ma sarebbe professionale replicare a una mail scrivendo “Chiedo scusa, al momento non posso rispondere perché…”.

Oppure è un tipo di linguaggio (eh?) o forse un atteggiamento culturale dell’Est Europa, […]

Ha ragione, senza dubbio.
A parte quando l’ha buttata sulla “cultura dell’Est Europa”.

Ho commesso una mancanza su un aspetto cui tengo molto quando mi trovo nella posizione di attesa di una risposta. È fastidioso e disdicevole vedere una mail cadere nel vuoto.

Il fatto è che a volte le ciance altrui mi stancano.

Mi stanco di molte cose.
Sarò sincero.

A volte mi stanco di esser sincero.

Mi stanco di dover contraddire qualcuno. Mi stanco a essere contraddetto.

Mi stanco di quelli che credi ti stiano ascoltando e poi rispondono in base a una loro idea precostituita in testa, che prescinde da ciò che tu stai dicendo.

Mi stanco di dovermi giustificare per conto terzi, come se la cosa mi riguardasse.

Mi stanco del calzino che cade dal bucato tolto dalla lavatrice. Poi debbo tornare indietro a cercarlo e mi sembra che, finendo a terra, appena lavato, si sia contaminato.

Mi stanco delle cose che cadono dopo tanto tempo.

Mi stanco di trovare un buco nei boxer.

Mi stanco dell’obsolescenza programmata. Porto con me un notebook del 2009 e mi stanco se dicono di cambiarlo.

Mi stanco di chi pensa abbia speso troppo. Mi stanco di chi pensa sia avaro. Mi stanco di chi fa i conti in tasca agli altri.

Mi stanco di non avere abbastanza tasche per chiavi, telefono, tessera dei mezzi, scaldacollo, cappello, libro, fazzoletti, cose acquistate.

Mi stanco di uscire e preferisco rimanere sul divano.
Mi stanco di star da solo e preferisco uscire.

Mi stanco di quelli che ai controlli all’aeroporto dimenticano di togliere qualcosa e rallentano la fila. Mi stanco di concentrarmi su quello che fanno gli altri e come un fesso dimenticare io qualcosa.

Mi stanco che in aeroporto un panino dalla consistenza del cartone con una fetta di prosciutto trasparente del LIDL costi quanto un piatto di penne al tartufo a Norcia.

Mi stanco dei veleni che sono contenuti nei cibi. Mi stanco di passare oltre alcuni scaffali senza prendere niente pensando di guadagnare un mese di salute in più. Mi stanco di cucinare e allora prendo una cosa a caso senza leggere l’etichetta sul retro.

Mi stanco di quelli che mangiano al cinema. Mi stanco di quelli che guardano il cellulare durante la proiezione e mi illuminano la sala come a un concerto di Tiziano Ferro.

Mi stanco degli attacchi usb, delle canottiere, dei preservativi, di tutte le cose che hanno due lati quasi uguali e che puntualmente nella fretta prendo dal verso sbagliato.

Mi stanco di correre e di fare sempre le cose di fretta. Mi stanco di avere qualcuno che mi mette fretta se me la prendo con calma.

Mi stanco di ascoltare quelli che credono alle ricette magiche trovate su internet, la dieta dei peli del pube, la cura a base di sperma di lumaca e tutte le altre pozioni magiche degli stregoni 3.0. Mi stanco che non se le tengano per sé talune minchiate.

Mi stanco di quelli “ma perché non fai…?”. Mi stanco di non poter rispondere “ma perché non ti fai i cazzi tuoi?” perché poi si diventa cattivi.

Mi stanco di chi non afferra l’ironia e necessita spiegazioni. Mi stanco di dare spiegazioni. Mi stanco di spiegare la tovaglia e allora preferisco cenare su una tovaglietta di PVC.

Mi stanco a non poter dire che mi stanco perché mi sembra offensivo per tutti gli altri che si stancano. Mi stanco che gli altri mi offendano senza lo stesso riguardo.

Mi stanco di riguardarmi allo specchio.

Mi stanco e quindi vado a dormire.
Per stancarmi anche l’indomani.

Non è che la ragazza perspicace ti tiri giù dal letto al mattino perché è una sveglia

L’essere umano è un animale sensibile. Basta poco per alterare il suo equilibrio psico-fisico. O almeno è ciò che ci dicono i venditori di lactobacilli e di compresse effervescenti.

Vero è che l’ambiente che ci circonda influenza il nostro umore.

A me ad esempio può indisporre chi prova a entrare in bagno mentre sto urinando. Non perché la cosa mi blocchi: noi maschi possiamo ritenerci fortunati, fin da piccoli siamo abituati a innaffiare coi nostri idranti in libertà, come tanti Grisù, senza subire condizionamenti pudici come in genere accade per le femmine. Quindi se qualcuno volesse entrare in bagno mentre il rubinetto è in funzione sarebbero problemi suoi, non miei.

È l’atto stesso del disturbo dell’azione che è tediante. L’interruzione di un breve momento di pace intima oltre che di riflessione. Non so per gli altri, ma per me anche una breve pisciata è un’occasione per meditare sulla mia vita.

Disse il Buddha: Noi siamo quel che pisciamo.

Minzioni a parte, questa mattina ho provato a intervenire su uno di quei disturbi che alterano l’equilibrio psicofisico. E senza assumere lactobacilli.

Ho cambiato suoneria alla sveglia del telefono.

Ho sempre avuto problemi con il suono delle sveglie. Quelle meccaniche da pochi euro sono logoranti per il sistema nervoso.

Quelle del cellulare sono oltremodo fastidiose.
Alcune sembrano mixate da Skrillex. Mi chiedo chi riesca ad alzarsi rilassato in questo modo.

Altre, quelle con i suoni della natura, sembrano tutto fuorché naturali.

Le onde del mare ricordano la cassetta del water che si riempie. La pioggia, un bagno che si sta allagando. Gli uccelli, che stanno scassinando una vecchia porta che cigola.

Sono andato avanti a tentativi, mal sopportando ogni risveglio, fino a che non ho trovato e scaricato la sveglia che fa al caso mio:

Sto scherzando. È questa:

Com’è come non è riesco a svegliarmi in maniera più rilassata.

Ma ora vorrei decapitare degli Stuart.

Non è che Conversano sia una città dove si parla molto

Nelle mie vite lavorative, che cominciano a essere in numero discreto, mi sono sempre trovato più a mio agio stando a contatto con le colleghe invece che con i colleghi.

Il motivo è semplice. Durante 8-9 ore è necessario distrarsi e scambiare una parola con qualcuno, se non altro per staccare gli occhi dal monitor e fare una pausa dalle sessioni di videogiochi online.

Essendo una persona che si annoia con facilità, necessito di conversazioni stimolanti. In questo le donne sono più propense a fornire input di riflessione.

A parte discorsi su vestiti e oroscopi. È un rischio da correre e per il quale ho delle contromisure.

Nel primo caso, conscio di essere uno che sceglie come vestirsi in base a ciò che l’armadio gli pone sotto gli occhi in quel momento (discorso che varia in base al numero di capi in fase lavaggio/asciugatura o alla pigrizia nel mettere ordine), utilizzo la psicologia inversa per fornire pareri.

– Ti piace questo vestitino?
– Uhm…tu che ne pensi?
– Non lo so, lo vedo troppo chiassoso
– Sono d’accordo, lo vedo troppo…caotico, ecco
– Poi non so in che occasione andrebbe mai bene
– Infatti, poi resta chiuso in armadio
– Quindi dovrei prenderlo o no?
– Beh, lo prenderesti sapendo di non metterlo?
– Hai ragione, grazie!
– Prego!


Questo breve scambio è un esempio di applicazione di maieutica socratica. Le persone in genere hanno già in sé la risposta, basta farla emergere.


Nel caso degli oroscopi, mi capita sempre qualcuna che voglia da me l’ascendente. La prima volta che mi fu chiesto pensai Uhm, intenderà del sesso?.

In genere rispondo che non lo conosco e fornisco sempre un orario di nascita a caso per il suo calcolo. Mi hanno quindi attribuito decine di caratteristiche diverse e confliggenti ma che sarebbero tutte tipiche di quelli nati il/quando come me, a detta loro.

Con gli uomini la conversazione è un po’ più complessa.
Quando si ha un rapporto soltanto professionale ci si tiene su argomenti comuni.

Calcio e figa.

Il calcio diventa un problema se non si tifa per la stessa squadra, cosa che capita spesso. Il rischio di non trovarsi d’accordo è alto. Anche opinioni che sembrano disinteressate possono essere scambiate per sfottò e gufate:


E probabilmente lo sono.


– Dai, stasera vincete facile

Mi disse una volta uno juventino. Al che quando andai in bagno prima di lavarmi le mani mi accinsi a eseguire un rituale apotropaico intimo. In quel momento il Team Leader stava aprendo la porta, poi la richiuse appena si accorse che c’era qualcuno.

Non so se mi abbia visto o meno, ma quando rientrai fece-con tono canzonatorio:

– Gintoki, dov’eri?
– In bagno
– A fare?
– Eh, quel che fan tutti!

Ho sempre avuto il sospetto che mi avesse visto e frainteso e che da allora mi abbia considerato un onanista compulsivo.

L’altro argomento, la figa, si rivela a volte noioso.

Chiariamo, la figa in sé non è noiosa, ci mancherebbe. Essa non ha alcuna colpa e, anche se tra le tendenze social del momento vien messa in ombra da gattini e ricette istantanee, è sempre un fenomeno evergreen da quando è stata scoperta.

È l’uomo che parla di figa che dopo un po’ si rende noioso. Perché i discorsi di figa vanno privati di una tara di spacconate e vanterie che, come da Convenzione delle Nazioni Unite sulle Divagazioni intorno la Figa, poi non vanno neanche messe in dubbio. Almeno non di fronte l’interessato:

– E quindi poi mi trovavo a Ibiza c’era questa della Papuasia in viaggio studio per una ricerca sui calamari orfani che appena le ho detto che ero italiano non ci ha visto più allora le ho detto Ma quale calamaro ma beccati ‘sto gamberone e lei mi è saltata addosso non ti dico tre giorni chiusi in stanza poi mi ha detto Vengo in Italia mollo tutto per te io le ho detto Sì sì lasciami il numero poi mi faccio vivo guarda se la chiamassi adesso correrebbe subito dalla Papuasia peccato che non c’ho credito mannaggia…

E quindi io stavo pensando di sviluppare una app di intercalari per annuire nei discorsi, dimodoché si possa proseguire con le proprie attività mentre dallo smartphone partono commenti come Ah! Eh! Wow! Grande! Davvero? per gestire simili conversazioni.

Non è che un manager quando fa conoscenza si presenti in PowerPoint

Mi sono arreso al fato che vuole che in ogni viaggio ci sia qualcuno che attacca bottone con me e sente il bisogno di condividere cose.

Domenica sera ero seduto nel minibus all’aeroporto, in attesa che partisse per portarmi nel mio monolocale Pestese. A bordo sale un omino entusiasta. Non so entusiasta di cosa, in ogni caso era su di giri. Mi si è seduto di fianco e mi ha stretto la mano: Hi! I’m Russell!.

Che persona educata, ho pensato.

A me invece capita di parlare due ore con qualcuno senza presentarmi. Quando mi rendo conto della mia mancanza attendo una pausa abbastanza lunga per poterlo fare, con ansia crescente pensando Dovrei presentarmi? È passato troppo tempo e presentarmi dopo farà risaltare la mia maleducazione?.

L’omino ha poi iniziato a parlarmi. Più andava avanti e meno comprendevo: parlava con tono piatto, monocorde, a volte sembrava quasi recitare una confessione. Per giunta guardava dritto davanti a sé e non potevo manco interpretarne il movimento delle labbra.

Annuivo quando capivo qualcosa.

A parte una sua considerazione sul fatto che i Londinesi siano gente noiosa, ho afferrato che fosse un dentista e stesse parlando di cose dentistiche.

È la seconda volta di seguito che uno sconosciuto conversa con me per raccontarmi cose che hanno a che fare con i denti.

E quindi ho pensato che, tra le tante lobby che sono in giro e che vogliono imporci segretamente cose da fare o da assumere, ci sia una lobby del dente che mi sta braccando.

Oppure chi fa un mestiere simile deve sentirsi molto solo e ha il bisogno di parlare con qualcuno.

Poi ha tirato fuori il cellulare e ha iniziato a mostrarmi foto scattate durante i suoi viaggi. Foto molto belle, invero: ho dimenticato di fare i complimenti alla sua app di fotoritocco e presentarla alla mia.

Ironia a parte, le inquadrature erano molto accurate. Di ogni foto mi spiegava quanto tempo avesse atteso per riuscire a scattare quella giusta, la ricerca dell’angolazione, il gioco della ripresa dal basso verso l’alto e via dicendo.

Tutto molto interessante.

Dopo la cinquantesima foto – e non è una esagerazione – il mio interesse era già sotto le coperte.

Ho quindi iniziato a registrare messaggi vocali su Messenger fingendo di essere impegnato in una conversazione, finché lui non ha riposto il suo cellulare.

È probabile che io mi sia mostrato poco socievole. Il sonno e il fatto che capissi poco di ciò che dicesse mi hanno fatto desistere dall’approfondire la conversazione.

A parte questo episodio, come ho già avuto modo di raccontare, a me piace interagire con gli sconosciuti. Non saprei bene spiegare per qual ragione. Forse è solo il piacere, in un mondo dematerializzato, di incontrare vere persone.

Dico “vere persone” e non “persone vere”, in quanto questa seconda categoria – molto inflazionata nel suo pubblicizzarsi – fatico a concepirla; né riesco a capire cosa intendono coloro che, autoreferenziali, definiscono sé stessi come “persone vere”.

Cos’è una persona vera? Si presuppone ne esista quindi una versione finta: com’è? È fatta con materiali scadenti? Si rompe prima rispetto a una persona vera?

Io mi rompo facilmente: sono quindi finto?


Si dirà che finto è chi finge di essere ciò che non è: ma nella sua finzione quel tipo è vero quanto noialtri. Se fosse il finto quindi la sua vera natura? Ma poi, finto rispetto a cosa? Esiste una sua versione originale con cui confrontarlo?


Con questo inquietante interrogativo sono andato a dormire, preoccupato inoltre dalla lobby dentale.

Non è che il deejay parcheggi solo in zona disco

Divido le persone in due categorie: quelli per i quali il giorno solare si conclude solo quando vanno a dormire, pur essendo trascorsa la mezzanotte, e quelli per cui a mezzanotte scatta inesorabilmente il nuovo giorno.

Io non appartengo a nessuna delle due scuole di pensiero: se sono sveglio dopo mezzanotte e dovrò rivedere una persona nella giornata appena cominciata, continuerò a dire “Ci vediamo domani”. Ciò però vale fino alle 3 del mattino: passata quest’ora, dirò “Ci vediamo più tardi”.

In tema di attività notturne, ultimamente ho ripreso a fare sogni strani, articolati, lisergici. Alcuni poi svaniscono al risveglio e non riesco ad afferrarli più, altri mi restano impressi.

Ho sognato ad esempio di desiderare un giradischi nell’auto.

In questo sogno, infatti. ero al volante della mia auto e mi rammaricavo del fatto che essa non avesse un impianto stereo. In effetti, è una cosa di cui mi lamento anche nella realtà. A volte cerco di ovviare con la musica dal cellulare, ma l’altoparlante non è tanto potente e la connessione in viaggio è instabile. Altre volte canticchio.

Nel sogno mi viene un’idea: piazzare un giradischi in auto.
Così sistemo l’impianto – un Pioneer anni ottanta – sul sedile posteriore e lo collego alla presa accendisigari. Il giradischi è intelligente: basta porre una scorta di vinili in una busta ai piedi del sedile e, acceso l’impianto, il braccino prenderà un disco a caso e se lo piazzerà sul piatto.

In una dormita pomeridiana, che doveva essere costituita da 10 minuti di riposo tramutatisi in una sonora ronfata di un’ora, ho invece sognato di aspettare un infermiere a casa per un prelievo di sangue. Per risparmiare tempo, nell’attesa sono quindi andato in bagno e mi sono ficcato un ago nel braccio per farmi trovare già pronto.
Mi sono svegliato con l’incavo del gomito che mi prudeva.

Non è un sogno ma un incubo, invece, il mio rapporto con le Poste.

Devo chiudere un Bancopostaclick che non uso da anni e sul quale è depositata la considerevole somma di euro trentotto e settanta. Il fatto di aver ricordato di disporre di questi soldi mi ha fatto pensare a quale sarebbe il modo migliore per sprecarli.


Laddove migliore equivale a massimizzare la soddisfazione che può dare ciò che verrebbe acquistato con tale denaro.


Chiedo sulla pagina facebook di Poste Italiane se debbo necessariamente recarmi all’ufficio postale dove il conto è stato aperto oppure posso andare ovunque. Avendo un ufficio a 50 metri da casa, preferirei l’ultima ipotesi. Loro mi confermano di sì:

Ciao, per la chiusura del conto corrente Bancoposta Click puoi recarti in un qualsiasi ufficio postale

All’ufficio postale non c’è fila ma l’impiegato allo sportello mi respinge sostenendo che per questa operazione debbo recarmi lì quando c’è il direttore o il consulente. Mi dà appuntamento al lunedì successivo (ieri).

Chiedo di nuovo delucidazioni alla pagina della Poste e mi rispondono:

Per la chiusura del Conto Corrente puoi recarti in qualsiasi Ufficio postale, previo appuntamento con la sala Consulenza

Ah. Non mi era stato specificato.

Lunedì (sempre ieri), torno all’ufficio postale. Un’altra impiegata questa volta mi respinge sostenendo che o invio una raccomandata alle Poste (a Torino) o mi reco all’ufficio dove ho aperto il conto. Io dico che non è così che funziona, ma l’addetta si giustifica al suon di Eh sa qua le normative cambiano da un giorno all’altro.

Sto per sbattergli il cellulare sul vetro mostrandole cosa dice l’informativa ma mi accorgo che non c’è campo e che dietro di me è comparsa come per magia una fila di anziani nervosi e impazienti in attesa del proprio turno.

Non capisco l’impazienza. Io pensavo gli anziani facessero la fila solo per trovare un posto in cui sedersi e passare il tempo lamentandosi.

Tornato a casa ho segnalato con un reclamo la cosa alle Poste, che mi hanno telefonato un’ora dopo invitandomi a tornare all’ufficio postale in questione, da loro sollecitato ad esaudire la mia richiesta.

Non ci sono ancora andato, un po’ perché a questo punto desidero prenderla comoda, un po’ perché ho paura di ritrovare gli anziani.