Non è che per sollecitare il tuo fisico devi spedirgli una raccomandata

Sono tornato dall’osteopata/fisioterapista dopo due mesi di stop dopo l’intervento. Con le piscine ancora chiuse e la noia che mi prende nel fare esercizio da solo a casa, sentivo il bisogno di una supervisione di un esperto per praticare un po’ di attività a corpo libero.


Anche perché il motivo per cui sono andato dal fisioterapista la prima volta è che durante il lockdown generale nel fare esercizio da solo mi sono incriccato il trapezio.


Mi ha rimproverato di essere risalito in bici dopo soli 40 giorni dall’operazione. Secondo lui è troppo presto e le sollecitazioni sulla zona interessata non sono indicate in questa fase.

Riconosco il suo parere di esperto anche se, confesso, non ho intenzione di seguirlo, seguitando a salire in bici.


L’osteopata/fisioterapista è un professionista che lavora bene, ma il suo approccio olistico non mi si confà in pieno. Per dire, alla prima visita posturale mi esaminò anche i tatuaggi perché a suo dire minano l’equilibrio corporeo. Magari è pure vero, eh.


Avrei voluto commentare che ci sono state anche altri tipi di sollecitazioni nella zona interessata e avrei voluto chiedere che tipo di implicazioni avrebbero, ma sono sempre molto riservato e timido sull’argomento sessuale con gli estranei – pur se professionisti – e i non estranei e gli estranei non binary (che sono quelli che non riconosco né come estranei né come non estranei).

Ricordo quando parlai la prima volta con il chirurgo che mi avrebbe poi operato. C’era anche M. con me. Io gli stavo facendo alcune domande generiche sui tempi di recupero e il ritorno alla normalità.

Poi M. tagliò corto chiedendo: «Sì, per quanto riguarda la riprese di attività ludico-sessuali?».


Che è una domanda più che legittima e tecnicamente medica, ma così all’improvviso non me l’aspettavo.


Così come sono più restìo a parlare del mio privato in pubblico, sono molto pubblico qui su questo spazio privato, giacché qui posso vestire i panni dell’esperto.

Salve, mi presento, Dott. Gintoki, Piacerologo. Mi sono dottorato con una tesi dal titolo Piacer figlio d’affanno? Siamo sicuri non sia un figlio illegittimo?.

Quando scrivevo Non è che ti serva chiedere indicazioni su come si raggiunge il piacere avevo concluso la mia breve dissertazione sul tema dell’orgasmo femminile con un «E sicuramente me ne sono persi altri ancora».

All’epoca ancora non avevo esaminato tutte le potenzialità di una persona come M..

Mi piacerebbe tanto ora millantare mie grandi capacità amatorie tal da consentire le manifestazioni fisiche che descrivo di seguito, ma credo semplicemente che sia lei, così poliedrica e frizzante, a offrire di sua sponte vario materiale di osservazione e studio in merito.

Detto in soldoni: il soggetto di studio – giacché questa è una ricerca scientifica per il mio prossimo libro, dal titolo Perché rompere il cazzo agli altri invece di utilizzarlo (il cazzo)? – conosce il soddisfacimento sotto aspetti diversi, che esterna senza tabù.

Ad esempio, una volta all’apice aveva assunto un’espressione, con un occhio girato all’insù e uno socchiuso, che mi ricordava qualcosa. Appurato che non fosse un principio di emorragia cerebrale, ho ripensato ai miei ricordi cinematografici e mi è venuta in mente Brigitte Helm in Metropolis:

Un’altra volta invece, al culmine, ha avuto uno sfogo così rabbioso che pensai stesse per impersonare Tony Montana.

E un’altra volta ancora si ritrovò in stile Esorcista a fare il ponte all’indietro. Non so se dovrei etichettarlo sotto i “cinematografici” o sotto quelli “possessione demoniaca”.

Sono invidioso e ammirato, invero. E anche curioso.

Sto pensando a quali altri riferimenti cinematografici ci si potrebbe ispirare:

Psycho: un urlo alla Janet Leigh sotto la doccia. Occorrerà poi prepararsi all’arrivo della polizia che qualcuno sicuramente chiamerà.
Il Signore degli Anelli: un bel sibilante Tesssssoro!.
L’avvocato del Diavolo: incoraggiare al grido di «Si! Dacci sotto, vai figliolo! Coraggio, molto bene, tienila stretta questa furia, vai!»


La scena in cui Keanu Revees/Kevin Lomax spara inutilmente ad Al Pacino/Satana.


Full Metal Jacket: nel caso il partner rischi di “anticiparsi”, sottolineare la cosa, con disappunto, con la battuta «Ma Cristo di un Dio, ma cosa fai, stai venendo?».


Riferita alla scena dell’addestramento massacrante cui viene sottoposto il soldato Palla di Lardo.


Il Padrino: «Che ti fici mai per meritare questa mancanza di rispetto?» Questa la utilizzerei in caso di orgasmo mancato.

Che grande il cinema!

Non è che il tipo lussurioso in punto di morte detti le sue ultime voluttà

Nella vita ho fatto:

– test
– testa o croce
– il testardo
– testacoda  (uno solo, nel 2014, sfasciando l’auto)

Mi manca da fare testamento.

Non sto morendo, precisiamo. O meglio, tutti dobbiamo morire e siamo avviati a farlo (la vita è la prima causa di morte ma questo non ce lo dicono), però pensavo tra me e me: se mi succedesse qualcosa, ho delle istruzioni scritte da lasciare? La risposta è no.

Quindi mi accingo ora a buttare giù qualche idea.

Il primo dubbio: intendo donare il mio corpo alla medicina per studio o per donazioni di organi?
Nessuna delle due cose.

Vorrei donarlo a una necrofila. Nessuno pensa mai a loro e alle loro esigenze (o magari se qualcuno ci ha pensato non può andare in giro a raccontarlo essendo morto, chi lo sa): in nome di una buona azione, perché non farlo? È un po’ come donare il 5×1000 un po’ a caso a chi ti sembra più sfigato.


Sì ho fatto così durante la dichiarazione dei redditi, non contestatemi. L’importante è il gesto!


Il funerale. Che sia in chiesa o meno, non mi interessa. La cosa importante è che al posto della bara ci sia una tunica marrone per terra. Quando qualcuno chiederà il motivo e dove sia il mio corpo, la risposta sarà: Era un Jedi.

Un’altra cosa importante è che qualcuno dovrà farsi carico della mia lista di persone cui chiedere scusa, per cose che ho fatto o detto loro durante la mia vita. Uno potrebbe chiedersi perché non domando scusa ora che sono in vita. Che domanda sciocca: venendo a sapere della mia scomparsa le persone saranno più comprensive e inclini ad accettare le scuse.

Cose da lasciare: non è che possa vantare molte proprietà. Ho l’abbonamento in piscina: l’attualità dimostra che in situazioni di emergenza nazionale può chiudere tutto (scuole, musei, locali, concerti ecc.) ma palestre e piscine possono restare aperte. Quindi, può esser sempre un valido rifugio in caso di calamità.

Ho una collezione di Cavalieri dello Zodiaco, originali con le armature in metallo. La lascio con il vincolo di non venderli (sul mercato collezionistico hanno valore) e di non farli combattere tra di loro. La storia insegna che se due cavalieri d’oro dovessero scontrarsi ne nascerebbe uno scontro infinito.

Ho diversi libri.  Magari li lascio alle scuole, purché li utilizzino per delle classi di lettura.

Potrebbero trovarmi nel cassetto dei barattoli di vetro con dell’erba (è quella legale, commissà). Sull’etichetta della bustina quando te la vendono c’è scritto che è solo per uso ambientale, ornamentale, decorativo. Lascio il compito di capire come decorare l’ambiente con delle ceppette di erba. Forse vanno nel presepe al posto del muschio.

E poi lascerò uno scherzone, del tipo: la carta di questo testamento è stata intinta in un veleno e l’antidoto è nascosto su un’isola raggiungibile alle seguenti coordinate ecc.. Dubito che qualcuno ci cascherà, ma se qualcuno mai andasse fino in fondo alla storia troverebbe sull’isola come premio alla sua tenacia un forziere d’oro. Finto. Intinto nel veleno (veleno legale, commissà).

Direi che c’è del buon materiale per un testamento coi fiocchi!

Non è che i sub vadano sempre a fondo delle cose

Ci sono diverse cose di cui mi vergogno.

Una di queste l’avevo dimenticata. Ho paura della profondità. Mi ero abituato a nuotare in piscine profonde al massimo 3 metri e mezzo; questa sera, nuova casa nuovo quartiere, decido di inaugurare un nuovo impianto, spavaldo come un bracconiere.

Quando nuotando ho visto lo strapiombo in cui degradava la vasca mi è venuta ansia. Che poi saranno stati 5 metri ma laggiù, in quella fossa oceanica, ho visto con un sorriso sardonico quel bambino spaventato dai fondali che ero che mi stava aspettando proprio lì da diversi lustri.

Un’altra cosa di cui mi vergogno è dire che non ce la faccio. Mi sembra sempre il momento meno opportuno. Mi sembra che uno lo voglia fare per riportare l’attenzione su di sé. Mi sembra di sottrarsi alle responsabilità. Mi sembra che se poi anche gli altri non ce la fanno allora si contribuisce ad abbassare ancor di più il morale.

Delle volte non mi sembra niente perché non ce la faccio neanche a figurarmelo.

So solo che ci sono delle volte come in questi giorni che non ce la faccio. Parlavo settimana scorsa con una collega, mentre bevevamo una cosa come commiato perché ho terminato al lavoro – per la cronaca poi il giorno dopo la Capa mi ha chiesto di restare un altro mese. La collega mi ha chiesto se avessi mai pensato a fare terapia, come sta facendo lei che sta seguendo un percorso.

Io non voglio pagare qualcuno per dire che non ce la faccio e poi ritrovarmi a metà mese ad aggiungere alla lista di cose che Non ce la faccio anche Non ce la faccio a permettermi questo perché ora tra le varie spese sto pagando una psicoterapeuta.

D’altro canto è necessario andare a fondo delle cose per venirne fuori. E varrebbe sia in senso fisico come per la prima parte del post che metaforico come per la seconda.

Ma se poi non si riemerge più?