Non è che i sub vadano sempre a fondo delle cose

Ci sono diverse cose di cui mi vergogno.

Una di queste l’avevo dimenticata. Ho paura della profondità. Mi ero abituato a nuotare in piscine profonde al massimo 3 metri e mezzo; questa sera, nuova casa nuovo quartiere, decido di inaugurare un nuovo impianto, spavaldo come un bracconiere.

Quando nuotando ho visto lo strapiombo in cui degradava la vasca mi è venuta ansia. Che poi saranno stati 5 metri ma laggiù, in quella fossa oceanica, ho visto con un sorriso sardonico quel bambino spaventato dai fondali che ero che mi stava aspettando proprio lì da diversi lustri.

Un’altra cosa di cui mi vergogno è dire che non ce la faccio. Mi sembra sempre il momento meno opportuno. Mi sembra che uno lo voglia fare per riportare l’attenzione su di sé. Mi sembra di sottrarsi alle responsabilità. Mi sembra che se poi anche gli altri non ce la fanno allora si contribuisce ad abbassare ancor di più il morale.

Delle volte non mi sembra niente perché non ce la faccio neanche a figurarmelo.

So solo che ci sono delle volte come in questi giorni che non ce la faccio. Parlavo settimana scorsa con una collega, mentre bevevamo una cosa come commiato perché ho terminato al lavoro – per la cronaca poi il giorno dopo la Capa mi ha chiesto di restare un altro mese. La collega mi ha chiesto se avessi mai pensato a fare terapia, come sta facendo lei che sta seguendo un percorso.

Io non voglio pagare qualcuno per dire che non ce la faccio e poi ritrovarmi a metà mese ad aggiungere alla lista di cose che Non ce la faccio anche Non ce la faccio a permettermi questo perché ora tra le varie spese sto pagando una psicoterapeuta.

D’altro canto è necessario andare a fondo delle cose per venirne fuori. E varrebbe sia in senso fisico come per la prima parte del post che metaforico come per la seconda.

Ma se poi non si riemerge più?

Non è che trovi Medusa in un museo perché è una mostra

In questo week-end volevo fare tante cose, alla fine un po’ per indolenza un po’ per la pioggia non mi sono dato molto da fare. Ho ritirato il libro per preparare il concorso, dopo aver saputo di aver superato la prima prova. Sono andato a nuotare, ho fatto il bucato, la spesa, il resto del tempo l’ho trascorso leggendo e guardando serie tv.

Sono proprio il soggetto di cui parlano quegli articoli online in cui ogni tanto mi imbatto e che dicono che “La vita è troppo breve per trascorrerla a fare la spesa il sabato”, che fanno il paio con altri articoli del tipo “La mia vita è migliorata da quando mi alzo alle 5 del mattino” o “La mia vita è cambiata da quando ho lasciato casa, lavoro e amici per viaggiare zaino in spalla”.

Io ho scoperto che la mia vita è migliorata da quando ho smesso di leggere questi articoli.

A dire il vero qualcosa comunque di rilevante ho fatto. Sono andato a una mostra fotografica in una struttura riqualificata che ospita laboratori, esibizioni, workshop, bar, eccetera.

Ho quindi stilato una lista di piccole avvertenze per chi vuole addentrarsi in questi luoghi.

Appena sono entrato c’era davanti a me la zona bar con una fila di banconi di legno e tanta gente che era lì seduta davanti al proprio MacCoso. Avvertenza 1: Un MacCoso è troppo importante per tenerlo tra quattro mura, quindi è opportuno portarselo al bar in modo da fargli conoscere altri MacCosi e farli socializzare.

All’interno dello spazio della mostra c’era una temperatura gradevole per non dire calda, eppure nessuno si toglieva il cappello di lana dalla testa. Sembravano tanti Todd Chavez di Bojack Horseman:

todd-chavez

Avevo anche io un cappellino ma non l’ho indossato perché poi mi avrebbero sudato i capelli. Inoltre le tonalità che vanno di moda quest’anno sono rosso, giallo oppure arancione e il mio non rientra in nessuno di questi tre colori e quindi ho evitato per non sembrare un poser, un wannabe. Avvertenza 2: portatevi quindi sempre il cappellino giusto per non sfigurare.

In queste mostre c’è sempre roba bella, tal che la mascella potrebbe cascarvi per la meraviglia. Avvertenza 3: aggiratevi per gli ambienti tenendovi il mento tra indice e pollice come se steste cercando di ricordare se avete chiuso il gas o no.

Se volete scattare foto alle opere, anche se dovete farlo solo a un metro di distanza, usate sempre una Reflex col teleobiettivo. Avvertenza 4: c’è bisogno di dirlo? Non uscite mai senza una Reflex.

Se siete accompagnati da qualcuno che è meno esperto di voi su ciò che state ammirando, gli fornirete spiegazioni e delucidazioni purché a voce alta anche se gli state parlando all’orecchio in modo che anche gli altri possano sentire. Avvertenza 5: portatevi qualcuno che ne sappia poco per darvi adito di sfoggiare conoscenza.

Se c’è un bar è d’obbligo fermarsi per una birra. Avvertenza 6: chiedete solo birre artigianali. Oppure non chiedetele, perché potrebbero dirvi che lì hanno SOLO birre artigianali e li offendereste se pensassero che potreste pensare che lì hanno anche birre industriali.

Spero di aver dato valide indicazioni per permettervi di far ottima figura e sembrare veri animali da certi eventi!

Non è che ti puoi rinfrescare con un ventaglio di possibilità

Ho fatto un giro su per visionare un po’ di stanze a Milano. Una di quelle che ho visto ha anche vicino un grande centro fitness di una nota catena (il cui nome è in una vecchia e nota canzone di Madonna), dotato anche di piscina. Dato che mi piacerebbe proseguire l’attività natatoria anche dopo essermi trasferito, nel tempo libero tra due visite di case sono andato a darci un’occhiata.

Più che parlare con un’istruttrice mi sembrava di avere di fronte il commerciale di una società di consulenza. Mi ha mostrato il ventaglio di opzioni e possibilità e tipologie di abbonamenti che il loro mega-centro offre.

– Ma io voglio solo nuotare
– Sì certo ma poi magari ti piace anche la palestra tu con l’abbonamento puoi utilizzare tutta la struttura come e quando vuoi vedi con l’opzione abbonamento 3 mesi in realtà io posso darti un mese al 50% che dividendo il costo per 4 mesi sarebbe come se pagassi di meno di quanto…
– Sì ma penso verrò solo a fare piscina
– Non è detto tanta gente ad esempio si iscrive da noi in palestra e poi utilizza anche la vasca dato che c’è tu frequentando il centro magari vedi qualcosa che ti piace e cominci anche a fare altro…

Devo dire che offrono molta libertà di scelta. La struttura dove attualmente nuoto invece non ha scelte: un unico prezzo, pochi orari e anche fissi. E scaduti i 45′ in acqua ti spengono le luci per farti capire di sloggiare.

Ma le cose staranno veramente come sembrano?

Io credo che la libertà di scelta data dalle mille opzioni sia in realtà una non-scelta, e la non-scelta data dall’assenza di alternative sia invece una libera scelta.

Non avere alternative ti permette di fare le tue valutazioni e pensare che, se le cose non ti stanno bene, non le accetti e ti rivolgi altrove. Questa è la libertà della non-scelta.

Il grande ventaglio di possibilità che ti offre il mega-centro invece ti porta a farti attrarre dalla presunta libertà di fare quel che vuoi, incentivato dall’aver a disposizione anche possibilità che non avevi contemplato: andare a fare i pesi dopo una nuotata e poi magari un bagno turco, per dire. Cose che non avevi contemplato perché in realtà non te ne frega una beneamata dei bagni turchi, altrimenti saresti già andato a cercarteli. Ma ingolosito dall’avere tante cose perché “tanto è tutto compreso” tu stai dedicando il tuo tempo libero al mega-centro e stai in realtà facendo esattamente ciò che loro si aspettano che tu faccia e che hanno deciso che è il meglio per te. Da qui la non-scelta della libera scelta.

L’esempio sportivo rispecchia l’andamento della nostra vita attuale, apparentemente piena di opzioni e possibilità ma nel concreto sempre più paralizzata da vincoli.

Ad esempio è molto comodo avere tanti strumenti utili sul telefono. Ti rompi un po’ il cazzo quando invece per fare qualsiasi cosa orami ti serve avere l’app. Ora anche le mie banche mi obbligano ad avere l’app – che non funziona neanche bene – per utilizzare le procedure di sicurezza perché le chiavette coi codici saranno abolite da settembre.

Si può replicare che se non avevo scelta prima, non ce l’ho adesso. È cambiato solo lo strumento. Vero. Ma io mi sento sempre più connesso giocoforza alla tecnologia, incatenato, costretto, nonostante la libertà di cose che mi offre.

Una libertà che io non ho chiesto!

Visione consigliata:

Per chi non ha modo o tempo di vedere il video, qui c’è la trascrizione tradotta dell’intervento.


A proposito della libertà che sa di catena al collo: per chiedere informazioni il grande centro ti chiede il numero di telefono. Oggi mi hanno chiamato per chiedermi cosa intendessi fare, perché mercoledì scade la favolosa promozione e “sarebbe un vero peccato perdere questa libera opzione”.


Non è che il caseificio sia un posto dove producono case

A settembre mi trasferisco a Milano.

La prima questione da risolvere sarà quella di trovare una casa. Un posto letto. Uno scatolo di cartone. L’esigenza di trovare una sistemazione è ovviamente quella primaria.

La seconda esigenza sarà quella di capire un po’ come funziona questa Milano.

La terza questione sarà  quella di imparare a galleggiare. Un po’ come invitava a fare Pennywise alle sue vittime.

C’è una regola per nuotare che viene insegnata fin da subito ai principianti: per imparare a stare a galla, bisogna imparare ad affondare.

Mi sembra negli anni di essere molte volte giù. Non profondità abissali, s’intende: sono fortunato a non aver avuto una vita difficile. Ho avuto i miei momenti, comunque, in cui mi sono sentito toccare il fondo. Quello lì è proprio il momento per imparare a trovare l’equilibrio e stare a galla.

Ecco, partire per un’altra nuova città con un contratto che a gennaio scadrà – senza possibilità di proseguire – è una nuova ricerca di equilibrio idrodinamico.

È da sempre che faccio questo. Contratti, contrattini, contratticini. Incertezze. Bisogna galleggiare, non c’è altro da fare.

Non è che ti serva ago e filo per ricamare su un discorso

Mi sono fermato in un bar con punto ristoro lungo una statale di ritorno da una trasferta di lavoro. C’erano alcuni camion parcheggiati fuori. La cosa faceva pensare che si sarebbe mangiato bene e a poco


Dannato Chef Rubio e il tuo programma sulle trattorie per camionisti, ormai cerco solo quelle.


Entro e vedo una lavagna con alcuni piatti del giorno: Cortecce di bosco, Millefoglie di vitello…sono entrato in un posto gourmet, ho pensato?

Poi sono andato a verificare: le “cortecce di bosco” erano pasta coi funghi. La “millefoglie di vitello” era una fettina di carne con speck prosciutto e formaggio fuso.

Ormai la presentazione descrittiva è tutto. Bisogna esaltare pure il bidone dell’umido, trasformandolo in “Stoccaggio materiale organico da re-impiego in campo agricolo”, magari.

Ne so qualcosa io che ai colloqui piaccio sempre per l’eloquio. Non che io inventi, ricami sulle cose o millanti competenze: ma diciamo che, volendo, potrei benissimo vendere fuffa presentandola come capacità di imbastire trame verbali di tessuto lanuginoso di risulta (la “fuffa”, appunto).

In un recente colloquio sono stato apprezzato per la mia fuffa, pardon, per la mia esposizione. Mi hanno dato modo di continuare nella selezione. Che consta, in totale, di 4 colloqui! Uno conoscitivo, uno relazionale, uno tecnico, uno non ho capito di cosa si tratti ma credo manchi solo l’ispezione rettale. Tra l’altro, il quarto, dovrebbe concludersi con la firma del contratto: io me lo immagino che, mentre sei con la penna in mano, pongono una domanda a tradimento e ti strappano via il foglio.

Mi chiedo per quanto tempo ancora potrò continuare a fare colloqui e vivere fasi di selezione. È vero che il mondo del lavoro ormai è fluido e che, soprattutto nel mio campo – anche se forse l’unico campo cui avrei dovuto pensare seriamente era un campo di ortaggi – si cambia molto e spesso.

Purtroppo io vivo sempre con tantissimo stress queste situazioni. Poi, durante l’esame, riesco invece a dare sempre il meglio e trasformare la tensione in una carica positiva. È il prima, i giorni precedenti, che mi logorano molto. Sto a disagio fisicamente e mentalmente. Ho provato ascoltando musica per relax e distrazione, di qualsiasi tipo: ho cominciato con Vivaldi e sono finito ai Cannibal Corpse. Ho anche preso la valeriana, sia in compresse che in infuso. L’infuso mi ha irritato ancora di più perché la valeriana puzza di vecchia credenza della nonna in cui hai lasciato del cibo ad ammuffire, che ha attirato degli scarafaggi che sono morti asfissiati lì dentro e sono ammuffiti anche loro.

Nuotare è l’unica cosa che mi fa star meglio ma l’effetto dura un paio d’ore. Non posso certo passare una giornata intera in vasca o presentarmi a un colloquio puzzando di cloro.


A meno che non sia un colloquio da istruttore di nuoto, potrebbero apprezzare la dedizione.

 


Certo, meglio questo di un pugno in un occhio.

Però mi riservo l’opzione campo di ortaggi, per un futuro lavorativo.

Non è che ti serva un sarto per metterti alla prova in altre vesti

Quando bisogna nuotare a delfino, l’istruttore, con sarcasmo e umorismo del tutto personali, ripete sempre che la cosa importante di questo stile è il movimento di bacino. Lo dice mentre mima delle spinte pelviche, alludendo che noi allievi siamo poco allenati in questo tipo di movimento.

Non ha mai fatto ridere. Spero sempre che dopo un tot di volte ci strappi un sorriso per dargli una soddisfazione. Forse è per questo che lo dice sempre.

Si è imprigionato in un ruolo, quello del simpatico, che egli stesso si è creato. Non è più lui a produrre la battuta, è la battuta che produce lui.

Il fenomeno della spersonalizzazione del parlante lo noto soprattutto nei romanzi. Ci sono libri, anche scritti molto bene, in cui i personaggi conversano in un modo del tutto irreale, che non attribuiresti a persone con quelle caratteristiche, in quel contesto, con quei tratti culturali. Ti rendi conto allora di non ascoltare più la voce del personaggio che sta parlando, ma una voce astratta che diventa uguale per tutti.

Ad esempio, immaginiamo due trentenni che convivono. Lui rientra a casa con le buste della spesa:

– Ti sei ricordato di prendere l’Anitra WC?
– Lo sapevo…me ne sono dimenticato…la mia solita memoria!
– La dimenticanza è sempre un brutto demone. Spesso fingiamo di non ricordare quel che ci arreca dolore, lo seppelliamo nella soffitta della mente e non ci pensiamo più. Ci abituiamo allora a dimenticare. Solo che quando qualcuno arriva a rovistare nelle nostre vite temiamo che ci metta a soqquadro e tiri fuori quel che abbiamo nascosto. Questa è la condanna delle relazioni tra esseri umani.

Il nonsense qui sopra potrebbe benissimo comparire in un qualsiasi romanzo che soffre dell’artificiosità dei discorsi  (il “romanzese”, di cui parlavo anche in un altro post) cui accennavo sopra. Quando mi imbatto in una cosa del genere non riesco più a visualizzare i protagonisti del libro. Vedo solo delle figure, dei manichini, che portano in giro sofismi che non gli appartengono ma che gli ha messo in bocca l’autore.

Anche nella realtà vedo spesso persone che sembrano cucite dentro una veste che li porta in giro. Non fanno sofismi (purtroppo o per fortuna) ma più che altro sembrano degli Edgar-abiti (cit.) ambulanti.

Io che abito ho non l’ho capito molto bene. Preferisco non pormi la questione dei vestiti che indosso.

Letteralmente.

L’altro giorno, tornato a casa, mentre toglievo le scarpe mi sono reso conto che sono uscito con indosso un calzino che sul tallone aveva ceduto. Un tempo mi sarei vergognato di ciò, per il pensiero che se mi fosse successo qualcosa e in ospedale mi avessero tolto le scarpe avrebbero visto che giro col calzino bucato. Un’atavica, vecchia, paura materna: più dell’incidente poté il disonore.

Madre ricordo quando mi invitava a sistemarmi prima di uscire diceva «Sennò la gente dice questo la madre come lo fa uscir di casa?». L’onta del giudizio altrui che ricade sulla famiglia intera, da evitare in modo assoluto!

Questi sono i discorsi reali!

Non è che l’enigmista sotto sforzo si asciughi il sudoku

Io non ce la faccio.

Non è un buon esordio per un testo. Ricomincio.

ImmagineIl motivo per cui ho iniziato a fare nuoto è perché, per quelle 2 volte a estate che andavo al mare, ero stufo di dovermi muovere col passo dello Zoidberg e quindi desideravo imparare a nuotare, smettendo di fare la figura del totano.

La cosa poi mi ha preso la mano – e anche tutto il resto del corpo – e quindi non ne ho potuto più farne a meno.

Il nuoto in vasca in sé non ha molto senso a mio avviso. Non c’è una palla da buttare in/oltre una rete (a meno che tu non ti dia alla pallanuoto, perbacco!). Non c’è neanche un traguardo fisico. È vero che ci sono le distanze ma le fai avanti e indietro in 25/50 metri.

C’è però un grande vantaggio: non ti accorgi di sudare.

Sudare è una delle cose che odio di più in qualsiasi altro sport. In particolare odio quella goccia salata che si forma sulla fronte e che ti entra improvvidamente nell’occhio accecandoti mentre ti sta venendo addosso uno che si crede CR7 e tu a occhi chiusi allunghi la gamba ciccando il pallone e prendendolo in pieno dove non batte il sole scatenando una rissa che poi però alla fine finisce a pacche sulle spalle da Amaro Montenegro che non fanno altro che sollevare sudore nebulizzato.

C’è un altro motivo per cui ho detto sì al nuoto e no a Valsoia: è che posso prendere il mondo e farcelo entrare in quei 25 metri di vasca. Tenerlo con la testa giù, fagli provare il soffocamento e metterlo a tacere per un po’.

Perché io non ce la faccio.

Sento che la mia vita se ne sta andando un po’ a puttane, sotto al mio naso.

Forse l’avrò un po’ trascurata. Avrò ignorato i suoi messaggi non verbali di insoddisfazione. Perché succede sempre così: ci aspettiamo che ci dica chiaro e tondo fin dal primo momento che qualcosa non va, mentre invece quando ciò avviene è già ormai troppo tardi. E non vediamo o sottovalutiamo tutti i segnali critici nel percorso di avvicinamento a questa rottura. “Mah sarà un periodo”, “Mah oggi la vita avrà la luna storta” e così via.

Così un bel giorno la sorprendi che va a puttane e lei ti guarda anche con quell’aria di sfida dicendoti “Beh, che ti aspettavi?”.

Avrò speso in un anno 400 euro di piscina, senza contare costumi e accessori. Penso sia comunque più economico di un anno da uno psicanalista. Sono andato a nuotare perché sono esaurito.

E perché odio sudare.

Quelli del deodorante Borotalco saranno degli esauriti?

Non è che i Ghostbusters stessero attenti a non incrociare i flussi di pensieri

Non è possibile il disagio perenne di questo ufficio. Adesso è vietato accendere la stufa se no salta tutto. Mi ritengo stufato abbastanza per dire che ci tornerò al disgelo. Non capisco questo gelo dalle tue parti. Spero almeno là sotto tu abbia tutto caldo. Preferirei non sapere. Le cose da leggere si accumulano a un lato della scrivania e io vorrei il sapere in tasca. Ho dimenticato a casa i guanti e tento di scaldare le mani stringendo I pugni in tasca. Non ho un Bell’occhio al mattino se ho dormito poco. Controllo le notifiche appena sveglio. Mi invitano ad eventi che non mi interessano. Partiamo alle venti per l’evento. A quell’ora no per favore che sono a nuotare. Non mi disturbate se sono impegnato con la vasca. Non mi chiamate se sono preso dal bidet. Mi lavo l’uccello più volte perché non si sa mai. Io non mi rendo conto mai quando piaccio. Volevi imprestarmi il tuo Piaggio ma non ci casco. Vado a piedi. Pedonami, oh signore. Alle volte mi sono atteggiato ad alfiere. Ho avuto il dono dell’obliquità. Ti ringrazio del regalo ma non dovevi. Ho controllato se m’avessi scritto ma non so reggere la verità. Mi sento sollevato. Ringrazio lo sconosciuto per avermi buttato per aria. Sono indeciso se guardarlo male o guardarlo male dopo un pugno. Il ristoratore ci narra la storia del pugno di riso che abbiamo avanti. Io volevo soltanto cenare e non avere lezioni di cucina esotica. Ora vomito ma non adesso che ho il cappotto buono. A casa accarezzo gli altri vestiti nell’armadio perché quella è la carezza del cappotto buono. Mi piace il suo colletto alla russa perché mi dà un aspetto Marziale. Infatti mi dedico degli epigrammi e rido di me. Non riesco a trattenermi dal fare battute. In una competizione mi sento già battuto. La tua assenza mi ha abbattuto. Volevo essere l’anima della festa e non imprecare l’anima di qualcos’altro come dicono a Roma. Mi servirebbe un breve viaggio. Una toccata e fuga. Non volevo toccarti, mi dispiace. Adesso fuggo. E spero che sia così anche domani.

Non è che serva un ascensore per mandare giù un bicchiere

Non sapendo nuotare e non amando neanche molto tale attività, come ho già raccontato in passato, mi muovo in acqua col passo del Dr. Zoidberg: a gambe arcuate spostandomi lateralmente.

A volte penso dovrei iscrivermi in piscina almeno per imparare.
Ho sempre rifiutato l’idea anche per mancanza di tempo e danaro. Il primo è una scusa, in quanto il tempo, se si vuole, si trova. Volendo, inoltre, con quello che spendo in birre nei week-end potrei pagare mensilmente la quota di iscrizione. Ne guadagnerei in salute, probabilmente.

Mi sono chiesto quando fosse stata l’ultima volta che sono uscito e non ho avuto un bicchiere in mano.
Non la ricordo.

E poi mi sono chiesto quando ho visto l’ultima volta i miei amici senza un bicchiere nelle loro mani.
Non ricordo neanche questo.

E tutte le persone che vedo in giro.
Anche gli astemi hanno bicchieri in mano.

L’invenzione più importante dell’umanità non è la ruota ma il bicchiere.
Immagino la scena quando non esistevano, nel Paleolitico o giù di lì:

– Grumbolz, stasera andiamo a bere qualcosa?
– Sì, dai, Brugloz. Avrei proprio voglia di latte di mammut fermentato
– Anche io. Certo se avessimo i bicchieri…
– Già, infatti.
– Va be’, sarà per la prossima volta se mai li inventeranno.

Il bicchiere è il vero collante sociale.

E offre anche argomenti di conversazione: ricordo al liceo mi raccontarono la storia di una tizia conoscente di amici di conoscenti che si infilava un bicchiere proprio lì, nell’origine del mondo.

Sì sa come vanno questo racconti. La storia sarà stata romanzata sicuramente. Io credo che in realtà sia frutto di un equivoco e sarà andata così:

– Ehi, ti va un bicchiere?
– Non lo so…Fammi provare!…Gnnn…Ah! Sì sì, guarda, mi va perfettamente!
– …

Non è che sei nuotatore perché il sabato pomeriggio vai a fare le vasche in centro


Anni or sono venni a conoscenza che nello slang urbano giovane del Centro-Nord andare a passeggio lungo il corso principale della propria città si dice “Fare le vasche”, per analogia con l’attività natatoria che prevede per l’appunto di andare avanti e indietro lungo uno spazio limitato¹. Mi chiedo però perché girare intorno a una medesima area allora non si dica “Ehi raga, andiamo a farci un circuito?” e cambiare improvvisamente verso e tornare indietro non sia “Bella raga, facciamoci ‘sto contropiede”.


¹ Anche se forse l’espressione sta cadendo in disuso. Mi sembra tipica degli anni novanta.


Si dice sempre che si impara solo buttandosi in acqua.
È un’affermazione sbagliata, in quanto su di me non vale. L’infallibilità dell’enunciato viene quindi a cadere, un po’ come la storia di Popper, noto zoofilo, e dei cigni bianchi che molestava.

Nella mia presentazione in questo blog (Chi mi credo d’essere?) ho accennato al mio rapporto conflittuale con l’acqua.


Ogni frase di quella presentazione ha un suo retroscena o aneddoto collegato e un giorno spero di spiegarli tutti.


A scanso di equivoci, io mi lavo.
Mi riferisco alla piscina, cui da piccolo fui iscritto in modo coatto perché “Il ragazzo è gracilino, dovrebbe fare sport”.

Io non ero d’accordo e, come tutti i bambini maschi, volevo giocare a calcio. Sembra che però non fosse di giovamento alla salute.


E io che speravo di essere convincente dicendo che il calcio fa bene alle ossa¹.


¹ Ironia della sorte, il calcio anni dopo mi è costato due fratture al braccio e diversi traumi alla caviglia che ancora oggi fanno sentire i loro effetti.


Inoltre, a casa mia veniva considerato sport da giovani delinquenti.


Il che, guardando alcuni iscritti alle scuole calcio dalle mie parti, era in parte vero.


La piscina dove fui iscritto mi inquietava. C’era un bar all’ingresso dove a volte mi fermavo a prendere una pizzetta perché dopo l’attività sportiva mi veniva fame. L’impasto era vischioso e il sugo di pomodoro puzzava di vernice.

Per accedere agli spogliatoi si dovevano scendere delle scale, sbarrate da porte automatiche e dotate di allarme. Come in una casa circondariale.

Una volta provai a nascondermi nei suddetti spogliatoi per poi scappare perché non volevo entrare in acqua. Si scatenò una caccia all’uomo in tutta la struttura, culminata con me che venivo identificato e bloccato mentre mi trovavo con indosso accappatoio, asciugamano in testa a celare il volto e costume bagnato ai piedi per fingere di avere appena finito il turno. Fui additato al pubblico ludibrio.

In acqua ricordo soltanto episodi curiosi. Come quando una compagna di corsia di fianco a me, afflitta da catarrus horribilis, con uno starnuto sputò in acqua una chiazza di muco di dimensioni notevoli. Un’altra bambina, alla vista di tale isoletta gialleggiante* di leucociti morti, vomitò. Ricordo ancora il suo pranzo, che doveva constare di prosciutto a dadini.


*Gialla+galleggiante¹.


¹ Io mi scuso per la nauseante immagine ma non posso nascondere la verità e voltare la testa dall’altra parte. Salveeny eroicamente avrebbe fatto una foto a muco e vomito per sensibilizzarci tutti.


Una volta fui invece centrato in faccia da una tavoletta, lanciata da un’istruttrice che voleva rendersi simpatica con l’istruttore ma che difettava in mira. Lei per consolarmi, con una carezza dietro la testa, mi disse “Se a fine lezione vai al tavolo laggiù, vicino la mia borsa trovi una gomma da masticare”. Io andai ma non trovai nessuna gomma. In fondo non la volevo neanche ma era per quietare i sensi di colpa della mentecatta.

A parte questo, io avevo di mio una fobia dell’acqua. L’ansia si accentuò quando un giorno, mentre nuotavo a dorso convinto di avere ancora il gancio di sicurezza dietro la testa, mi voltai e vidi che l’istruttore a bordovasca l’aveva tolto a tradimento.

È come quando si impara ad andare in bici senza rotelle: ti lasciano andare senza preavviso. Ma io, da buon imbelle, mi spaventai e finii sott’acqua. La cosa si ripeté altre due volte di seguito.

Mi affidarono a un ragazzo poco più che adolescente. Non ho capito mai se fosse un istruttore o uno che si allenava lì, comunque era il mio tutor anti-fobia. Lui sembrava mi odiasse. Facevamo però attività divertenti: ad esempio mentre nuotava a delfino io mi aggrappavo a lui tenendogli le braccia intorno al collo e respirando in sincrono. Ovviamente, molte volte inalai acqua. Il tempismo non è mai stata una delle mie abilità migliori.

Visti comunque gli scarsi risultati e i primi accenni di una colite spastica che mi ero fatto venire, dopo tre mesi i miei decisero di non rinnovarmi l’iscrizione.

Ci riprovarono qualche anno dopo, quando ero in prima media.
La struttura era un’altra. Niente sbarre e allarmi stavolta. Forse non era un bene, dato che negli spogliatoi, dove potevano accedere anche i genitori, quando lasciavi la borsa in un punto la trovavi poi gettata via in un angolo da chi veniva dopo di te.


Ed erano gli adulti a farlo.


Una volta dovetti cimentarmi in una caccia al tesoro per rimettere insieme tutto il mio corredo.

In acqua fui assegnato alla corsia incapaci/traumatizzati, che era composta da me, una signora 50enne, un ragazzino 12enne alto 1.80 che pesava 40 chili, un bambino paffutello che conosceva solo il napoletano e una coppia fratello e sorella, lui due anni più giovane di me e lei di un anno più grande, invece.

L’istruttrice era simpatica. Era una nana svampita.


Ricordo sempre la mia teoria in base alla quale le nanerottole siano delle svampite ma siano anche molto simpatiche ed estrose.


La ragazzina mi piaceva, almeno sino a quando non la vidi vestita. Non saprei come spiegarlo, ma con gli abiti era completamente diversa rispetto a quando era in costume e non mi attirava più. E i suoi capelli non mi piacevano, portando la cuffia non li avevo mai visti.

Perso qualsiasi pungolo ormonale nell’andare a nuotare, non feci molti progressi. In acqua ero sinuoso e agile come una tavola di legno massello.

In compenso mi guadagnai più di una infezione da funghi lì dentro. Avevo i piedi che erano pronti per un sugo alla boscaiola.

Alla fine anche lì, dopo 6 mesi stavolta, i miei non gettarono più il denaro ma la spugna.

Non è vero che nuotare sia come l’andare in bicicletta e non si dimentica mai: io quando oggi vado in piscina non so nemmeno più stare a galla.

“Fai il morto”, dicono tutti.
Sì, grazie.

Il problema è che mi viene sempre da impersonare il morto di mafia newyorkese, con due scarpe di cemento.

Se vai sempre dove si tocca si diventa ciechi?

Non amo l’acqua.

No, così è equivoco.

Mi piace l’acqua, da bere e per l’igiene personale.

Non mi piace molto fare il bagno, al mare o in piscina.

Anche perché non so nuotare, nonostante da bambino sia stato iscritto controvoglia in piscina. E dire che qualcosina l’avevo imparata: lo stile semi-libero (il movimento era un po’ macchinoso come se le braccia fossero legate a una catena), il dorso (di mulo, perché ero un po’ ingobbito e affondavo) e anche il delfino curioso (perché era proprio curioso il modo in cui mi muovevo!). Non parliamo dei tuffi, dopo essermi specializzato nella spanciata frontale avevo imparato il tuffo a candela consumata, perché non stavo dritto e mi afflosciavo.

Nonostante tutta questa “esperienza” ho poi dimenticato come si nuota. Non è vero che per certe cose è come andare in bicicletta, anche perché andare in bicicletta sott’acqua è un po’ faticoso, mentre per andarci sopra l’acqua bisognerebbe chiedere a un signore di Nazareth.

Conscio delle mie inabilità acquatiche, preferisco optare per andare dove si tocca adattandomi a stili del tutto personali.

Invece di fare il morto, ad esempio, si può fare lo zombie: in piedi in acqua, ginocchia flesse e schiena un po’ curva in avanti, braccia larghe e stese sul pelo dell’acqua (rilassate, non in tensione) e si sta lì lasciandosi cullare dalla corrente. Se qualcuno vi si avvicina e rompe le balle, prendetelo a morsi.

Per muovermi, adotto il Dr Zoidberg:  ci si sposta lateralmente tenendo le gambe a parentesi, con le mani che escono dall’acqua rivolte verso l’alto. Col mento immerso in acqua sino alla bocca e soffiando aria si può riprodurre il caratteristico blblblblblb del Dr Zoidberg.

Da settembre mi iscrivo in piscina, ho deciso.

Non per imparare, per diffondere il Zoidberg.