Non è che avremo problemi di gas perché mangiamo male

Come abbiamo saputo tutti e come era preventivato da mesi, sembra che da questo autunno potremmo avere problemi con le forniture di gas naturale.

Visto che ci verranno tagliati i rifornimenti, sono allo studio soluzioni e piani di intervento: io ho intercettato qualche proposta che è al vaglio delle istituzioni.

– Bonus presepe: via a incentivi al riscaldamento a motore animale, sistema combinato bue&asinello. Ecologico e di compagnia! Alternativa possibile: gregge di pecorelle (con pastore) che rifornisce anche di latte e lana.

– Tanta attività sportiva e anche sessuale per scaldarsi nelle gelide giornate invernali. Saremo tutti più in forma e felici.

– Per i pigri c’è invece la possibilità di cominciare a mangiare tanto prima dell’arrivo del freddo, accumulare grasso e andare in letargo aspettando di nuovo il caldo l’anno venturo.

– Passare dagli incendi estivi di boschi e campagne agli incendi invernali così almeno scaldiamo il Paese.

– Ordinare dal Comune di Roma una partita di autobus che prendono fuoco da utilizzare per il riscaldamento domestico.

– Metterci tutti ad alitare, contemporaneamente, così scaldiamo l’aria.

– Risparmiare acqua calda evitando di lavarsi. Qualcuno, che si vede la sapeva lunga, già lo fa da anni!

– Costruire delle centrali a mucche, che, si sa, producono metano nella digestione (qualcuno sul serio ci ha pensato…)

– Trasferirci tutti nei centri termali: staremo strettini ma caldi e con una pelle invidiabile.

– Non cuocere la pasta. Un’idea croccantina per stuzzicanti cene con amici.

– Sfregare penne sui maglioni per produrre elettricità per alimentare stufe elettriche.

Queste e altre proposte per restare al caldo!

Non è che ti serva una scarpa per la tua impronta ecologica

Ho comprato degli spazzolini di bamboo. Voglio cercare di dare un contributo alla diminuzione della mia impronta ecologica.

Poi magari per produrre un singolo spazzolino – proprio quello che ho in mano io – hanno versato nell’atmosfera la CO2 per produrre un SUV, chi lo sa.

Il discorso riguarda il sentirsi in grado di poter fare la propria parte partendo dalle piccole cose, quelle che oggi qualsiasi sito o giornale consigliano: e non lasciate il caricabatterie nella presa, e spegnete il pallino rosso del televisore (molti apparecchi, oggi, non hanno più i pallini rossi), fate pipì mentre fate la doccia.


L’ultimo punto realmente viene consigliato, per salvare un tiro di sciacquone.
Anche fare la doccia in due fa salvare acqua.
Fare la doccia in due e pisciare in due insieme attiva un sensore a forma di smile sulla mappa mondiale che ha Greta Thunberg in cameretta.


La questione del proprio contributo personale viene messa a dura prova ovviamente da tutto un insieme di cose che vanno in direzione contraria.

Per dire, ricordo che in un supermercato di una grande catena molto diffusa a Milano ho visto in vendita fettine di mela tagliate, in una bella confezione di plastica.

Ora, io comprendo che a Milano sono tutti di fretta, lavorano sempre – e via di altri luoghi comuni – ma che il milanese ora non abbia neanche il tempo di tagliarsi una mela o mangiarla a morsi mi sembra un po’ eccessivo.


Poi magari la mela a fettine la vendono anche a Crotone, per carità, sta di fatto che, per ora, l’ho vista solo a Milano.


Quindi ciò mi porta a pormi la domanda se realmente fare la propria parte serva a qualcosa.

Anche se tutta la città in cui vivo si servisse di spazzolini di bamboo, riuscirebbe a compensare quel che fa la grande fabbrica che abbiamo in questa stessa città?

La risposta probabilmente è Ni.

Ma in realtà la domanda non è proprio da porsi.

Se spegniamo il pallino rosso o se pisciamo nella doccia alla fine è per avere un’illusione di controllo. È come quando si dice di no una sera alla frittura perché ci illudiamo di poterci allungare la vita. Poi magari nel nostro DNA c’è scritto che a 60 anni il diabete ci farà secchi, a prescindere dalle fritture cui rinunciamo.

Ovviamente non sto dicendo che l’attenzione agli alimenti, a una vita sana, sia una cosa inutile: chiariamo che non è assolutamente in discussione questo. Dico solo che noi abbiamo necessità di vivere con l’illusione di avere controllo, a prescindere che serva o meno a qualcosa.

Poi ci sono quelli cui non importa niente di niente. Ma più che persone che vivono libere dall’idea del controllo, credo sia solo gente che vive facendo del disimpegno e dello sbattersene per il pene una ragione di vita. Chi mi viene a dire Tanto è tutto inutile che compriamo spazzolini di bamboo se poi la Cina inquina per me sta semplicemente cercando una scusa per non fare un cazzo, perché è molto più semplice e immediato.

C’è un vero motivo per cui fare una riflessione sugli spazzoli di bamboo: in bocca mi danno la stessa sensazione dell’abbassalingua del medico, una delle cose più brutte che io abbia provato in vita mia da bambino.

Il medico che mi ficca quella stecchetta legnosa in gola che mi causa conati di vomito è uno degli incubi che ancora mi perseguita.

Al che io vorrei dire: ce la metto tutta per avere una coscienza ecologica, ma è possibile che si debba lottare contro la Cina, i SUV, le fettine di mela tagliate nel supermercato e financo pure con la sensazione di legnetto in gola?

Allora ditelo, eh.

Non è che Verdone si vestisse in fretta e Furio

Avevo raccontato de IL FISSATO che frequenta la piscina. Coi figli si comporta come Furio:

– Marco hai preso lo shampoo?
– Matteo hai preso la chiavetta?
– Marco ti sei insaponato?
– Matteo, hai finito?
– Marco, è possibile che ti stai ancora lavando?*


* Notare che la doccia ha una durata prestabilita, circa 2 minuti di getto, quindi non è che Marco si trattenga a lavarsi, utilizza semplicemente i 2 minuti che ha a disposizione (che sono anche pochi)!


Marco e Matteo non proferiscono mai verbo e mi danno l’idea di sbattersene.

L’altra sera nello spogliatoio un tale, vedendo “Furio” già vestito da capo a piedi, fa:

– Il papà fa sempre per primo

e lui

– I ragazzi devono imparare a muoversi.

I ragazzi devono imparare a muoversi.

Va detto che i bambini/ragazzini, in generale, hanno la tendenza a intalliarsi (perder tempo), come diciamo a Napoli. Ed è pur vero che a casa sua ognuno li educa come gli pare.

Questa cosa del Bisogna imparare a muoversi mi dà però da pensare. Perché bisogna imparare a muoversi? Quand’è che è iniziata la tirannia del tempo? Quand’è che è diventato obbligatorio gestirlo con furia e superficialità, considerando un grave peccato l’essersi posati un attimo?

A volte osservo le persone e mi chiedo cosa mai abbiano da dover andare così di fretta.

Poi guardo me e mi accorgo di essere spesso anche io schiavo del dovermi muovere, del dover fare presto a volte senza ragione alcuna.

Mettiamo che io sia in coda nel traffico e si avanzi lentamente. Non appena si apre uno spiraglio, com’è malcostume di molti, mi infilo per sopravanzare giusto quel paio di auto per tornare poi a restare fermo. Cos’è che mi spinge a questo sorpasso che non mi farà guadagnare nulla, in termini pratici? È giusto la frustrazione dovuta allo stare fermo sentendomi impotente mentre il tempo scorre?

Ho dovuto imparare a mangiare più lentamente perché mi faceva male. Quando mi chiedevano perché mai facessi sparire il cibo così veloce come un prestigiatore non sapevo mai bene cosa rispondere. In effetti, non c’era motivo di andar di fretta.

Ho la mania dell’anticipo e anche quando cerco di tardare riesco ad arrivare sempre puntuale nell’anticiparmi.

Viviamo nel terrore di doverci fermare e non capisco se sia più per lo stigma sociale nel mostrarci pigri o per l’ansia di ritrovarci a disagio nello stare con le mani in mano senza sapere cosa fare.

Poi però andiamo alla ricerca di posti “dove il tempo si è fermato”. Secondo me è una bella cazzata. Il tempo scorre, sempre e comunque. Siamo noi che ci fermiamo o che rallentiamo il nostro tempo, ma anche quando viviamo un momento di relax forse non siamo capaci di ammetterlo.

Mettiamo che poi ci piaccia e non vogliamo più correre?

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casa abbandonata dove mi sono fermato per vedere se il tempo si fosse fermato

Non è che metti la camicia di forza a un burattino perché è un pu-pazzo da legare

Le grandi domande vengono sempre in momenti in cui la mente è libera di vagare. Mi succede mentre lavo i piatti, mentre mi trovo sotto la doccia, mentre guido in auto verso casa lungo la strada che avrò percorso migliaia di volte.

Oggi durante una lunga minzione, stanco di fissare le piastrelle e ancor più di contemplare l’organo deputato all’atto – già contemplato forse troppo durante l’adolescenza costandomi qualche diottria – mi sono come assentato e lì mi è venuta questa curiosità: ma il pupazzo Uan, che fine avrà fatto?

Avevo già sentito parlare del suo destino ma non ricordavo la storia. Facendo qualche ricerca, ho scoperto che Uan, insieme ai suoi colleghi Four (un orso col naso rosso che io chiamavo sempre Ciao invece, visto che era presente nella trasmissione Ciao-Ciao) e Five (un drago giallo di cui invece non ho memoria), è sparito più di 10 anni or sono.

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I fatti. Giunta l’ora di andare in pensione, a inizio anni 2000 i tre pupazzi sono finiti ospiti della Scuola di Teatro di Milano Paolo Grassi. Me li immagino lì a raccontare ad annoiati studenti dei loro trascorsi televisivi e di quando hanno incontrato questo o quel personaggio famoso.

Finché una notte del 2005 il fattaccio: qualcuno irrompe nella scuola e se li porta via.

La storia, però, secondo me non finisce qui: io sono convinto che i tre abbiano semplicemente inscenato il proprio rapimento per uscire di scena e andarsi a godere una vecchiaia tranquilla su qualche isola della Grecia dove non li avrebbero trovati. In fondo sapete quante cazzo di isolacce deve averci questa merda di una Grecia? (cit.).

Chi può dar loro torto? Pensate a essere costretti a lavorare con Paolo Bonolis. E con qualcuno che ti infila una mano su per il sedere tutto il tempo, non potendo denunciare per il rischio di perdere il posto di lavoro. Facile dire: Perché non hanno detto nulla?. Sapete quanto è difficile per un pupazzo peloso rifarsi una vita?

A proposito del subire atti molesti, sabato un’amica mi ha raccontato di alcuni episodi che le son accaduti.

Ha deciso a 35 anni di prendere la patente e, ricevuto il foglio rosa, ha iniziato a far le guide con l’istruttore, un placido signore – così sembrava – over 60.

In auto costui si è rivelato abbastanza monotematico: i suoi discorsi finivano sempre su un solo argomento. Un esempio: Eh i giovani d’oggi non sanno che farci con una donna, magari vedono una bella ragazza e subito è tutto finito, non hanno l’esperienza di un adulto…

Per non parlare di quando commentava qualche passante donna per strada.

Pazienza, la mia amica non ci bada molto a queste cose. A 35 anni di persone che credono di esser simpatiche se ne sono già viste.

Ha iniziato ad accorgersi però di una sua progressiva “invasione fisica” nel corso delle guide: per darle indicazioni ha iniziato a mettere la mano sulla spalla o sul braccio. Va be’, pazienza.

Poi un paio di volte per dirle di guardare bene lo specchietto le ha girato il mento con la mano. Va be’, pazienza.

Poi per dirle di fare attenzione ha iniziato a metterle una mano sulla coscia. Va be’, pazienza.

Poi per aiutarla a sterzare ha steso il braccio sfiorando la tetta.

Al secondo sfioramento mammellare “involontario” la mia amica gli ha allontanato la mano dicendo che la distraeva.

Io ad ascoltare il racconto ho detto che per me queste son molestie.

Lei concordava con me, ha detto che il giorno dopo quest’ultimo episodio si è sentita malissimo, sia per non aver realizzato subito dei suoi atteggiamenti sia per non aver reagito prima. Le ho chiesto come mai non l’avesse fatto e ha detto che lì per lì era troppo agitata per la guida e magari poi si trattava solo di una sua impressione.

Io penso che se il giorno dopo uno ci sta male non può essere stata soltanto un’impressione. Così come un atteggiamento molesto non deve per forza implicare qualcosa di palese e violento. Molesta è qualunque intromissione – non autorizzata – nella propria sfera personale, mentale e/o fisica.

Ho consigliato alla mia amica, la prossima volta, di rompere con un pugno le “sfere personali” dell’istruttore, nel caso si ripetesse la storia.

 

Non è che l’auto elettrica se perde il controllo faccia un Teslacoda

48 vasche, boccheggio.
L’istruttore: Ancora troppo poco, non ci siamo
Io: Questo è il massimo che posso.
Che ti devo dire, ti auguro di migliorare, aggiunge lui con un velo di rassegnazione. Sì in effetti non ci siamo, non ho efficienza idrodinamica e per fare più strada acqua devo spendere il triplo di energie con uno spreco enorme. Come una vecchia lampadina a incandescenza che per illuminare un ripostiglio consumava i MegaWatt di un’odierna auto Tesla.

A pensarci è ciò che mi succede anche nella vita. Brucio tanta energia per un risultato minimo.

Quando cammino lungo strade che non conosco mi capita sempre di finire a fare il tragitto più lungo verso il posto dove devo andare. Quando me ne accorgo allora comincio a tagliare seguendo svolte e controsvolte che credo non facciano altro che allungare ancora il percorso.

Se ho un appuntamento, di qualsiasi tipo esso sia, comincio a prepararmi da un’ora a due ore prima a seconda dell’importanza dell’occasione. Per fortuna che non sono una ragazza: non devo truccarmi, depilarmi, fare le sopracciglia, scegliere cosa si abbina con i lacci delle scarpe e l’elastico delle mutande. Mi basta una doccia e al massimo una spazzolata alla barba per togliere qualche rondine che c’ha fatto il nido. Potrebbe sembrare che così io mi prenda le cose con tanta calma, in realtà è solo una fonte di stress ulteriore. Più è ampia la finestra di tempo del pre-appuntamento più mi stanco. Mi rendono felice le persone che mi dicono “Tra 10 minuti scendi”. Non mi danno il tempo di mettermi in moto e sprecare energie.

Faccio tabelle su Word se devo fare comparazioni. Case, viaggi, acquisti. In realtà è una pratica vantaggiosa per aver sott’occhio la situazione, ma delle volte basterebbe anche solo seguir l’istinto senza perdere due ore a raccogliere i dati utili e metterli in colonna.

All’università trovai un metodo di studio a me congeniale quando iniziai ad approfondire gli argomenti di un libro. Facevo ricerche, mi stampavo altre cose a casa, mettevo note e digressioni ai capitoli. In pratica, per studiare un libro ne dovevo imparare un altro.

Cucinare mi brucia tantissime calorie (se non altro è una cucina dietetica!). Mi servono 2 pentole, 3 fornelli, un mestolo, un piatto fondo, un piatto piano, un cucchiaio, una cucchiara, tre piani di appoggio e un’ora…per una frittata.

Facciamo che almeno per stasera scaldo in forno dei bastoncini Findus, va’.

Non è che ti serva un rossetto grande per delle grandi labbra

– Senti, debbo domandarti una cosa
– Cosa?
– Allontaniamoci dalle persone
– Perché?
– Poi ti spiego

– Allora?
– Ecco…Io lì sotto sono normale?
– Eh?
– Sì…lì sotto…
– Beh direi di sì, sembra tutto nella norma, nessuna serpeggiante sorpresa virile né Demogorgoni che sbucano all’improvviso da varchi bui e umidi
– Non fare lo scemo. Mi sono guardata in bagno prima e ho come l’impressione…che se ne sia un po’ scesa
– Prego?
– Sì, come se fosse più flaccida…secondo te è possibile che se ne scenda giù?
– Ma cos’è che dovrebbe scendere?…Cioè intendi la parte esterna o quella interna?
– Cioè?
– Ok, sorvoliamo sul mio disagio a parlare di anatomia femminile a una donna. Partiamo dall’ABC. Saprai che lì l’apparato si compone di due parti più esterne e due parti piccole interne…
– Sì, io dico quelle ultime lì: è possibile che se ne escano fuori? Io non voglio, che schifo
– Beh alcune donne ce le hanno più sporgenti, di natura. Altre invece più piccole e ripiegate – che è il tuo caso -, insomma è genetica. Poi che si facciano più sporgenti con l’avanzare dell’età, non so, può accadere, non mi sono mai posto io il problema direttamente!
– No dai che schifo. E come fanno?
– Come fanno cosa?
– Come fanno a far sesso quelle che ce le hanno più fuori? Io mi vergognerei…
– Beh fanno lo stesso…direi

Questa conversazione avvenne realmente. Scoprii che così come esiste un mondo fatto di uomini e complessi fallici, esiste un mondo fatto di donne e complessi vulvari da me sottovalutato a causa della mia scarsa sensibilità.

Sono qui per correggere un errore del passato e analizzare più a fondo la questione.

Gli uomini possano trarre le loro considerazioni dal confronto reciproco e nelle docce e negli orinatoi affiancati, la donna, mi domando, ha modo di trarre conforto (o sconforto) allo stesso modo?

Detto in soldoni: sotto la doccia le donne fanno a gara a chi ha le labbra più corte? Io non credo. Inoltre, i bagni femminili sono sempre singoli e separati, il che pone un’altra questione: perché mai la donna non può usufruire di orinatoi affiancati dove poter, durante la minzione, gettar l’occhio sulla mercanzia della vicina e metter in mostra la propria?

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Donne felici di poter mingere affiancate

Terza questione: i libri di testo. Io ricordo che sul libro di educazione fisica delle scuole medie, nel capitolo riguardante l’educazione sessuale, la vulva era abbozzata poco più che come un taglietto nel pube. Sembrava un POS dove si striscia il bancomat.

Immaginate una ragazzina che si trova a far un confronto tra la propria vulva e quel taglietto disegnato: si sentirà mortificata come se avesse qualcosa di non conforme alla norma.

Ahimè, anzi, ahivoi, io mi faccio allora portavoce dei dubbi intimi altrui e così come esiste un mondo che giustamente si prende gioco di peni flaccidi e tozzi e ricurvi rendendoli, paradossalmente, sdoganati e normali, affermo che debba esistere un mondo dove si parli di vulve di tutti i tipi e ci si burli di loro. Perché il peccato originale sta nell’aver reso la fica come un qualcosa di eccelso e divino e aver innescato una corsa alla perfezione vulvare.

È ora invece di farla scendere dal piedistallo, perché essa – qui lo dico e non lo nego – è brutta.

Ma ci si consoli: la verità è che è brutta per tutte quante.

Questo avrei voluto dire a quella ragazza a quell’epoca e questo le sto dicendo in questo momento riscrivendo il passato e facendola di sicuro sentire meglio grazie alla mia nuova sensibilità.

Non è che devi essere un fisico per renderti conto della gravità di una situazione

La piscina dove sto andando è un posto da strozzini. Doccia e phon sono a gettone. Magari è una cosa comune nelle palestre e in altre strutture, ma io saranno 15 anni che non frequento luoghi dove si praticano attività sportive e non ricordavo fossero così.

I campi di calcetto che ho calcato non contano: sono stato in posti dove per lavarsi c’era il tubo della fontana che innaffia il prato. Però era acqua (di pozzo) a volontà.

Il nuoto comunque devo dire che procede bene: avanzo a stile Gintoki. Non spiego nel dettaglio di che si tratta perché essendo una tecnica fondata su improvvisazione e scoordinamento potrebbe essere pericolosa per gente non pratica e non voglio assumermi responsabilità derivanti da un incauto utilizzo.

L’attività natatoria mi ha anche fornito due illuminazioni. La prima è che lo slogan di una nota marca di caramelle balsamiche, Sale nel naso scende nella gola, deve essere stato coniato da uno non pratico in acqua come me. Infatti ciò che fa l’acqua è esattamente salirti lungo le narici e scenderti nella gola.

La seconda illuminazione che ho avuto è che il mio approccio al nuoto è lo stesso che impiego nella vita. Si può sintetizzare nel concetto della “Fisica della Warner Bros”.

Nei cartoni, infatti, il protagonista precipita nel vuoto solo nel momento in cui guarda di sotto e si accorge di non avere nulla sotto i piedi.

Allo stesso modo, io sto a galla fintanto che non penso di stare a galla su tre metri d’acqua.


Tre metri è un po’ buttato lì, non conosco l’effettiva profondità. So solo che lì un maniaco non ci va perché sa che…non si tocca.


La mia vita funziona allo stesso modo. Mi mantengo in equilibrio nelle situazioni finché non guardo di sotto. In fondo Basta che funzioni, diceva Boris Yellnikoff.

Se guardo di sotto invece cado. Precipito. Mi sfracello.

Delle volte va anche bene non guardare lo strapiombo. Delle altre, a meno di non voler vivere come degli ignari/ignavi, un po’ meno.

Come diceva un noto aforisma di un subacqueo, Se guardi troppo a lungo nell’abisso poi l’abisso ti dirà Che cazzo hai da guardare?.

Non è che se si è sudati non si può esser mistici solo perché poi puzza l’asceta

Non so come siano le mamme moderne, posso dire che la vita da bambino venti anni fa non era semplice.

Un giorno scoprii che fare la doccia pur avendo mangiato distrattamente un biscotto poco prima non causava la morte: non so se ero più sorpreso della rivelazione o infastidito per essermi reso conto di aver vissuto nella menzogna per anni.

Perché il “Non fare il bagno dopo mangiato” era esteso a qualsiasi tipo di lavaggio che andasse oltre mani e viso. Le ascelle pure andavano bene, bastava prestare attenzione a non bagnare petto e torace. E il divieto valeva anche per aver ingoiato solo un’oliva snocciolata.

Un altro problema era lo shampoo. I capelli andavano asciugati sempre correttamente. Che significava renderli secchi e aridi eliminando qualsiasi goccia di umido dal cuoio capelluto.

Poi ho scoperto che è una cosa tipica italiana: all’estero si danno una passata di asciugamano, scuotono la testa come farebbero dei cani e poi via verso nuove affascinanti avventure.


Va anche detto che all’estero sono sozzi quindi non fanno testo.


Forse anche considerare gli altri dei sozzi è una cosa tipicamente italiana.


Correre era un’attività pericolosa.
Ho passato la vita a sentirmi dire di non correre. A piedi, poi con la bicicletta, poi con l’auto. Perfino col treno. Una volta Madre mi accompagnò alla stazione: mentre scendevo dall’auto mi disse Non correre. Io replicai che non andavo a fare il macchinista.

Correre qualche volta era ammesso. Seppur con sibilline limitazioni: Corri piano.

L’altro problema tipico dell’infanzia era il sudore:

– Non si deve sudare, innanzitutto.
– Non si beve acqua quando si è sudati.
– Non ci si fa la doccia subito appena sudati.
– Non si suda quando si è sudati.

La cosa deve essere talmente radicata nel dna matrilineare della famiglia che ricordo un episodio illuminante di pochi anni fa: mia nonna mi vide rientrare dopo che ero andato a correre ed esclamò, allarmata, Staje tutt suràt! (Sei completamente sudato).

Come se fosse possibile muoversi senza sudare: probabilmente è vista come una malattia. Hai il sudore! Corri a curarti!.
Però piano, mi raccomando.


m3mango mi ha fatto richiamare alla mente ricordi che avevo rimosso. Il sudore, come dicevo, era una cosa terribile alla quale si doveva porre rimedio al più presto. Quindi c’erano sempre a portata di mano salviette umidificate per provvedere a nettàre la mia delicata epidermide; poi dopo compariva lui, un orrido piumino tipo quelli da cipria, che doveva esser stato ricavato da un anatroccolo sventrato, col quale mi cospargevano completamente di borotalco. Dopo ero pronto per esser gettato in padella e fritto nell’olio.


 

Non è che per spiegare una tovaglia serva un professore

Conversazione su Skype:

– Figlio, perché non ti vedo dalla videocamera?
– Madre, per l’ennesima volta, lo sai che sul mio portatile a volte si accende e altre dieci no
– Ma se io clicco sulla telecamera dovrebbe partire
– No, Madre, anche se clicchi non si accende da quest’altro lato
– Ma io mi vedo
– Perché è la tua “telecamera”, la mia non si accende. Dobbiamo stare qua a provare tutta la sera?
– Ma io non capisco perché se premo sulla telecamera non si veda
– Madre, ti ricordi quando tu aprivi l’acqua calda in cucina mentre stavo facendo la doccia e mi sentivi imprecare in sumero perché a me restava l’acqua fredda?
– Sì ma che c’entra?
– Ecco, qui non funziona così. Adesso puoi aprire tutte le volte che vuoi il rubinetto, da quest’altra parte non succederà un bel niente
– Ah, mò sì.

Disse una volta il filosofo del ‘600 Carlo Bucolico, conosciuto anche come Enrico Cinasco:
Il genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice.

Io spesso non mi so spiegare, se non con irriverente saccenza. E, per di più, mi spazientisco quando non capiscono ciò che intendo dire. Fortunatamente spesso mi giungono in soccorso gli esempi.

L’esempio è una cosa vitale. Anche la similitudine più banale e astrusa può essere fonte di insegnamento e può aiutare a chiudere una conversazione che si sta trascinando per le lunghe.

Purtroppo, non sempre funziona.

Una volta all’università per un esame lessi anche un libro che il professore aveva inserito come facoltativo per i corsisti.


Ho sempre avuto un deficit di concentrazione sul particolare tale da rendermi dispersivo l’apprendimento. Ho la necessità di saperne il più possibile su un determinato argomento per poter avere il quadro completo. Come diceva un proverbio cinese: Non insegnare a un uomo a pescare, prima insegnagli tutti i tipi di pesce che ci sono nell’oceano.


Qualche giorno dopo mi telefonò un collega che si stava preparando per lo stesso esame:

– Ma tu ti sei fatto anche il libro che non si doveva fare?
– Me lo son giusto letto
– Ma secondo te va studiato?
– No, io me lo son letto per approfondire, ma se ne può fare tranquillamente a meno
– Come l’hai letto, te lo sei studiato?
– No, l’ho semplicemente letto una volta, velocemente
– Ma le cose che ci stanno scritte te le ricordi?
– Beh sì, una volta letto, qualcosa ti rimane impresso
– Quindi te lo sei studiato?
– No no, l’ho letto e basta
– Ma come l’hai letto?
– Una parola dietro l’altra, come dovrei leggerlo?
– Ma le cose poi te le ricordi?
–  Sì, come ti dicevo, se leggi ti rimane impresso qualcosa
– Ma l’hai sottolineato?
– No, ho letto, l-e-t-t-o, hai presente quando leggi sulla Gazzetta i voti del Fantacalcio e poi ti ricordi che Vigiani della Reggina ha preso 6,5 + assist? L’hai imparato a memoria? L’hai sottolineato? Ti sei fatto lo schemino? No.
– Ah ho capito
– Assafamarònn*
– Ma dici che dovrei farmelo ‘sto libro allora o no
– …
– Va be’ ià non me lo faccio
– Bravo
– Ma io non ho capito come te lo sei letto
Clic.


* Trad.: E quindi uscimmo a riveder le stelle!


Non è che con lo Svelto sian piatti chiari e amicizia lunga

Oggi pomeriggio CR dopo la pausa pranzo è tornata portandomi una brioche ripiena.

L’interno era composto di marmellata alla fragola e quella crema bianca sconosciuta in cui mi sono già imbattuto una volta.


Ho scoperto che, scaldando la brioche nel microonde, la strana crema assume un aspetto vagamente migliore e dalla consistenza della Philadelphia passa a quella besciamella. Inoltre, la marmellata di fragole ne ha mitigato il sapore (che per me resta ancora indefinibile). Ah, quanto c’ha mitigato: botte da orbi!


Quando ho preso in mano il dolcetto ho avuto un flashback.

Mi succede, a volte. Toccando, mangiando, annusando, ascoltando qualcosa, mi viene in mente, vivido, un ricordo del passato, magari anche non direttamente inerente al qualcosa in questione.

Università.
L’avevo accompagnata a registrare un esame.
Nell’attesa dell’arrivo del docente, al bar all’interno della facoltà lei comprò un cornetto.
Tornammo in aula.
Restammo in piedi, non ricordo bene il perché. Lei col suo cornetto in mano, io che forse seguivo una mosca che volava a mezz’aria, preda dei miei ordinari deficit di attenzione.
“Ne vuoi un pezzo?” mi fece.
Ricordo che mi voltai e vidi che lo zucchero a velo le aveva imbiancato i jeans neri.
Non se ne era accorta.

Ne vuoi un pezzo?.
Ho risentito la sua voce che mi rimbalzava tra l’osso frontale e quello temporale (difatti aveva l’eco di un tuono) del cranio.
Mi fa male in petto e non capisco il perché.
Provo malessere per episodi normali accadutimi.
Lo zucchero al velo sui jeans mi fa male in petto come un osso di pollo di traverso e non capisco il perché. Eppure lo zucchero vien via con una spazzolata, non è una tragedia!

Non ricordo più quanto tempo è passato.

Sono tornato a casa carico di negatività.

CC mi ha accolto sorridente come al solito. Mi chiede come sia stata la mia giornata, sempre accogliente come una hostess di un volo intercontinentale.

Ti prego.
Smettila.

Oggi sentivo di trovarla irritante.

Vorrei infatti che la smettesse di ripetere che sono un ragazzo gentile, soltanto perché le lascio sempre fare la doccia per prima.
Vorrei che la smettesse di dire che sono un ragazzo ben educato, soltanto perché lavo i piatti subito dopo mangiato.
Vorrei che la smettesse di parlare di una cosa (me) che non conosce affatto.

Non è che perché io lavi i piatti allora debba essere una bella persona.


È come dire che Hitler aveva un animo gentile perché amava la pittura.


Per un piatto che pulisco ci sono tante altre cose che non amo.
Lavare i pavimenti è una di queste. È noioso.
Uso sempre troppa acqua e creo allagamenti. Oppure, finisco per rinchiudermi in un angolo senza accorgermene e debbo aspettare che il tutto sia asciutto.

In linea generale, non amo le persone che mi danno del gentile o del tranquillo.

Il mese scorso sono uscito con la Tutor, alla fine.
Il giorno prima di lasciare definitivamente aaa Capitale.


Sempre in linea con il codice di condotta che mi vieta di approcciare donne con cui condivido ambienti a meno che la condivisione non sia terminata.


Fu una piacevole serata.
Pensai di aver trovato una bella amica, o almeno avrei potuto. Poi io sono partito, mentre lei a gennaio andrà in Uganda per un anno per un progetto con una ong, quindi chissà quando ci rincontreremo.

Come si è intuito, lei mi intrigava anche. E credo lo sapesse. Come diceva Cimabue, le donne lo sanno.
Ma nel corso della serata notai una certa chiusura fisica da parte sua.


Mi sto specializzando in comunicazione non verbale, quantomeno quella che riguarda i segnali negativi. Per quelli positivi ancora non ho passato l’esame di abilitazione. Devo ancora dare “Analisi della semiotica antropologica del devosventolartelainfaccia? II”


A un certo punto mi colpì una sua osservazione.
Io le stavo raccontando proprio ciò di cui sto scrivendo ora e, mentre stavo dicendo che “…La gente mi crede tranquillo…” lei mi interruppe, socchiudendo gli occhi come a mettere a fuoco un dettaglio:
– Tu non sei affatto tranquillo. Sei controllato, è diverso.

Il quel momento da parte mia il contatore geiger dell’eros registrò un picco improvviso e fugace. L’arguzia esercita su di me un fascino perverso.

Succede che si accorgano della mia natura.
Non è una bella cosa che ti mettano a nudo, ma finisco alla fine con l’esserne compiaciuto. È una sorta di piacere feticistico, che risiede nella “vergogna” di essere scoperti ma nel godimento che ciò avvenga.

Le dissi che odiavo questo mio sdoppiamento, tra apparenza di serenità e tumulti interni che a volte vengon fuori.
Replicò che, secondo lei, io devo soltanto riprendere il contatto con me stesso. E che, quando questo avverrà, potrò finalmente apprezzare e conciliare i diversi aspetti del mio carattere.

Non so quando questo possa avvenire.
E quanti problemi potrei io ancora causare agli altri.

Soprattutto quanti ne ho causati a chi mi offrì un cornetto.

Essere ingegnoso non fa di te un ingegnere, esser Regina non fa di te un rotolone, ma essere Jon Snow fa di te un ignorante

È possibile che esistano persone che nascano sapendo le cose. Conoscendo già quel che devono fare.

Per esempio, prendiamo una mia ex compagna di classe: terminato il liceo, se ne è immediatamente andata a Milano, ha frequentato la Bocconi, subito dopo si è trasferita a Londra dove lavora in banca. Da queste parti non ci è tornata più (come darle torto), tranne solo per sposarsi la settimana scorsa in un ristorante in collina sul mare (no non è un refuso, è la collina che guarda sul mare, o il mare che guarda dentro la collina, in ogni caso si guardano) con un ragazzo conosciuto nel Regno e che somiglia, per aspetto e portamento, al Principe William. O a Harry, dimentico sempre tra i due chi è il padre di famiglia e chi il puttaniere. Mi auguro abbia sposato il padre di famiglia anche se brutto, forse è meglio un puttaniere bello, comunque diciamo lui somiglia a quello che dovrebbe essere Re, anche se non ho capito alla morte della Regina dai cappelli improbabili chi sarà il Re, se Charles, William o l’ultimo arrivato di cui non ricordo il nome.


INTERMEZZO
Sulla famiglia reale inglese ho un aneddoto riguardante Madre. Un giorno, dopo che un servizio del Tg2 aveva parlato delle vacanze dei reali nel Castello di Windsor, Madre esclamò: “Guarda i nobili possono tutto, hanno messo il loro nome a un castello medioevale”.
Feci presente che era il contrario e che furono loro ad assumere il nome del castello, in quanto in piena guerra mondiale non era carino ostentare un casato di origine tedesca…

Mentre, invece, non ricordo chi sollevò la questione sul perché i reali inglesi avessero nomi italiani…


Io, invece, sono come Giovanni Neve: non so niente. Ma non lo so molto bene e da prima che diventasse di moda.

b92

Vivo seguendo le ispirazioni del momento, a volte anche le aspirazioni.
Come quando a 18 anni mi iscrissi a ingegneria perché mi dissero “sei proprio ingegnere!” una sera d’estate fuori a un bar, quando trovai il modo di continuare a bere una granita nonostante il bicchiere perdesse.

Non ci sono più ricascato, in seguito. Nonostante mi dicano sempre che sono molto diplomatico, non ho mai tentato questa strada. Essenzialmente perché non mi piace. E, in secondo luogo, perché non sono affatto diplomatico. O meglio, so esserlo su questioni che per me non hanno interesse alcuno. Quando invece a essere toccato è un mio interesse personale, sono molto collerico ed emotivo.

Fossi un diplomatico, potrei far scoppiare un conflitto per una telefonata in un momento inopportuno, ad esempio quando sto per farmi una doccia.

Considerando, però, il mio disinteresse congenito per ciò che non m’appartiene, forse sarei stato un buon uomo da relazioni internazionali.


DIDASCALIA LETTERARIA
Come scrisse Honorè de Balzac in “Illusioni perdute”:
Diplomazia, scienza di coloro che non ne hanno nessuna e la cui profondità consiste nel loro vuoto; scienza del resto molto comoda, nel senso che si esplicita con l’esercizio stesso dei suoi alti impieghi; che, esigendo uomini discreti, permette agli ignoranti di non dire nulla, di trincerarsi dietro a misteriose scrollate di capo; che, insomma, ha come vero campione chi nuota tenendo la testa fuori dal fiume degli avvenimenti e sembra così dirigerlo, il che diventa una questione di leggerezza specifica.
P. 52, ed. Oscar Mondadori.


Che dire, sarebbe il mio ritratto se non fosse che non sono capace di tenere la testa fuori dal fiume, in quanto non so nuotare.

Il cuoco asiatico prese a spogliarsi e la gente gridava “Noodles! Noodles!”

Alcune considerazioni cui sono giunto nell’ultima settimana dopo distratte riflessioni (se fossero state attente avrei considerato meglio).

  • Mi sono arreso al fatto che a 30anni non sono ancora in grado di aprire le buste al supermercato. Le stropiccio, le sbatto, le tiro con le unghie, provo a umiliarle verbalmente e sessualmente: i due lembi non si separano in alcun modo. Intanto mentre sono intento a litigare con la busta la cassiera continua a lanciare i prodotti, che si accumulano sempre più sino a rasentare la soglia del game over, come in un videogioco anni ’80.

    Il furioso cassiere che lancia la spesa verso il povero cliente, mentre una donna che non sa scendere da uno scaffale richiama invano attenzione

    Ma io ho risolto: vado al supermercato con la sporta.
    Non uscite mai di casa senza la sporta: non si sa mai quel che può accadere!

  • Dormire nudi regala sonni migliori. In genere lo si fa per uno scopo, ma se non c’è scopo chi dice non si possa farlo comunque? Una sera dopo essere uscito dalla doccia già quasi in fase R.E.M. (tant’è che canticchiavo Imitation of Life) non avevo voglia di rivestirmi e mi sono infilato sotto le coperte così come stavo. Ho dormito una favola e da allora non riesco a smettere.
  • Gli all you can eat giapponesi dovrebbero essere aboliti o quantomeno regolamentati. Tanto per cominciare, per la qualità. Perché mi chiedo come sia possibile mangiare con 20 euro il quantitativo che in un vero ristorante giapponese costerebbe 100. A tavola si ingurgitano con ingordigia nigiri e maki senza riuscire a fermarsi, come i genitori di Chihiro ne La città Incantata che dinanzi al buffet cominciano a rimpinzarsi fino a trasformarsi in maiali. Ho cominciato a temere ci saremmo trasformati in pesci giganti e ci avrebbero messo in un acquario in attesa di essere serviti a tranci di sashimi.
    Il risultato di tale stolta frenesia manducatoria è che, come al solito, si ordinano piatti in continuazione e si finisce alla fine col dover nascondere gli avanzi nelle borsette o con lo sparpagliare il riso un po’ ovunque (anche nelle lattine) per non essere costretti a pagarli, perché lo stomaco non ce la fa più.
    Proverbio: Il riso abbonda sulla bocca degli stolti e poi li gonfia (e se non lo finiscono tutto devono pagare la differenza).
  • Vivere in una grande città rispetto a un Comune di provincia offre maggiori possibilità di incontrare personaggi stravaganti. Come quando l’altro giorno ho visto un punkabbestia che andava in giro con una cornacchia (viva) sul cappello. Giustamente, qualcuno ha posto dei vincoli sulla scelta dell’animale cui accompagnarsi? Chi ha deciso che la bestia del punk dovesse essere per forza un cane? Credo comunque che l’individuo in questione se la tirasse un po’ troppo dandosi arie da decadente come se in testa avesse un corvo nero. Ma, ripeto, era una cornacchia grigia.
  • Le operazioni di statistica mi creano sempre delle difficoltà e, per quanto mi ci applichi, per me resta quella materia in base alla quale, secondo Trilussa, se metà della popolazione mangia due polli e l’altra metà nessuno, a tutti tocca un pollo a testa.L’altra sera ho verificato questo enunciato. Ho scongelato delle fettine di pollo, pensando che fossero due perché erano tutte unite e impossibili da individuare singolarmente. Ho scoperto che invece erano quattro: avendole ormai scongelate, le ho cucinate e mangiate tutte. E ho pensato che se in quel momento ci fosse stato qualcuno a caso che non mangiava fettine di pollo, per la statistica risultava che io e lui ne mangiavamo due a testa. E quindi mi sono chiesto chi fosse questo tizio che godeva statisticamente a sbafo delle mie fettine.
    “Nella vita reale non c’è alcun uomo medio” (Aldous Huxley)