Non è che ti serva la colla per applicarti

In quanto figlio degli anni ’80 ho vissuto un’infanzia in cui supereroi e videogiochi erano qualcosa da sfigati. Raccontare di considerarli come propri hobby equivaleva a un’ammissione di scarsa vita sociale. Se dicevi di preferire startene a casa ti guardavano in modo strano. Oggi a vedere i film Marvel ci va chiunque e un qualsiasi ragazzino ti considererà uno sfigato se non sai cosa siano Fortnite, Minecraft o CoD.

Qualche settimana fa parlavo con un amico che organizza da quasi vent’anni una rassegna di cinema d’autore. Affermava che secondo lui il cinema sta andando verso la morte. Ha sempre la tendenza a parlare con toni apocalittici di qualunque cosa e credo l’ultima volta che abbia guardato alla vita con ottimismo sarà stato all’ultimo scudetto del Napoli.

Però questa volta mi sa che ragione ne ha. La pandemia ha accelerato un declino. Le sale non si riempiono più. Leggevo un commento, a caso, sotto un articolo sulla crisi dei cinema, di un tizio che diceva “Preferisco stare a casa sul divano”.

Ecco. Vent’anni fa “preferisco stare a casa sul divano”, come accennavo, era un atto coraggioso che andava incontro al giudizio altrui. Oggi, invece, è la normalità.

Certo, a casa ti puoi alzare quando vuoi, ti stendi, parli.

Due delle azioni che ho elencato sono a mio avviso sindromi di un deficit di attenzione. Non è più concepibile nell’homo applicans (cioè l’essere umano che si dedica a fare un sacco di cose, tutte male) l’idea di stare fermi e dedicarsi a una singola attività per un tempo prolungato. Magari anche in silenzio. Mi vengono in mente quelli che dicono «Non riesco a leggere». Apri il libro e mettitelo davanti agli occhi: è un buon inizio.

Anche io, già distratto di mio di natura, vivo saltando da una cosa all’altra. Con tutte le conseguenze del caso: per dire, ormai sono oltre l’entrare in una stanza e dimenticarmi il perché di averlo fatto. Mi dimentico proprio di entrare nella stanza.

Voglio provare a fermarmi. A tornare a ragionare di più sulle singole azioni. A fare esercizio di consapevolezza. E se magari il cinema non muore, pure sarei contento.

Non è serva un palcoscenico per far esibire il pass

Mangiar fuori è una delle poche attività rimaste disponibili in questo periodo storico. In verità si può far di tutto, attualmente, se forniti di Pass Super Saiyan 3° livello: ma, sinceramente, nonostante questo di star ad esempio chiusi in una sala di un cinema non è che si abbia molta voglia.

Già poi io son di gusti cinematografici particolari, del livello Pastore moldavo fissa un montone per 2 ore e l’animale ricambia lo sguardo anche se in realtà sta riflettendo sull’angoscia della vita e quindi è difficile che qualcosa nella usuale programmazione commerciale mi interessi. Oggi come oggi mi andrebbe però bene tutto pur di far qualcosa, ma torno all’obiezione di cui sopra sul ritrovarmi al chiuso con tante persone, gomito a gomito.


Oh in realtà magari il cinema è molto meglio di tanti altri posti avendo un ricambio d’aria continuo, cosa di cui non si può dir lo stesso per altri luoghi.


Lo stesso discorso vale per i concerti, io che fino a un paio di anni fa scandivo i giorni in base agli eventi musicali in programma. Che poi, anche qui: non è che l’offerta di questi giorni vada molto incontro i miei gusti; i musicisti che mi interessano e che suonavano in locali con 10 persone ora penso abbiano cambiato mestiere.
Fortuna che in estate qualcosa all’aperto è venuta fuori.

Veder gli amici anche si fa complicato. Li inviti a casa ma fai i conti di quanti cominciano a esser troppi. È vero che non è che ci siano restrizioni. Ma sei tu stesso a preoccuparti: 4 van bene, 6 siam forse troppi in base ai metri quadrati e i litri d’aria disponibili e la capacità di smaltimento dell’anidride carbonica emessa? E se sono 8 quelli che sarebbero interessati a star insieme, cosa fai, in base a che parametri li tieni fuori?

Fortuna poi – fortuna da intendersi in senso ironico – alcuni amici si autoescludono dagli inviti perché non se la sentono di star in gruppo al chiuso. E questo allora fa sentire te, quello che propone della socialità, uno che sta vivendo oltre il margine di rischio.


Mi fa anche abbastanza strano esser io quello che propone di essere sociale. Effetti collaterali delle vaccinazioni?


La tua vita nel quotidiano oscilla appunto tra la sensazione di violare delle regole – non più quelle stabilite dai DPCM ma quelle inconsce di buon senso e autoregolamentazione sanitaria – perché cerchi di incontrare delle persone e la paura in altri frangenti di sembrar una persona scostante quando arriva quello che ti vuol salutare e tu gli porgi un pugno chiuso, con aria rilassata e sorridente come a voler dire Guarda non sto insinuando che tu sia un untore o che non ti lavi le mani, è solo per non lasciar niente di intentato e adeguarci a questa sovrastruttura sociale per il tempo necessario fino a quando non sarà finita. Intanto l’altro, il cui braccio aveva ormai preso l’abbrivo, arriva a mano aperta verso la tua estremità e, non fermando il proprio moto inerziale, ti stringe forte il pugno richiudendo la propria mano sulla tua, come a voler dire Fottesega.

Quindi tornando alla mia affermazione di esordio, il danaro che risparmi da altre attività finisce che da mesi lo spendi in cibo. Con razionalità: preferisco non andare tre volte di seguito da Giggino l’untuoso ma spendere la stessa cifra una sola volta in un posto un po’ di qualità.

Il mio ragionamento si basa su un paio di considerazioni:

– Se devo cibarmi di ciò che posso far a casa mia e anche meglio – tipo aprire un barattolo e saltarne il contenuto con la pasta – lo faccio allora a casa mia;
– Se consideriamo il costo delle materie prime, che è sempre in aumento, e il dover mantenere uno staff non in condizioni di schiavismo, lavoro nero o prestazione coatta varia (una realtà diffusa su cui si chiudono troppo spesso gli occhi), a meno che un posto non abbia una fattoria annessa a conduzione familiare (che pur ha dei costi e non escludo casi di schiavitù anche in quei casi), dubito sia possibile avere una proposta di menù molto economica senza far parsimonia proprio sulle materie prime e le condizioni lavorative (e quindi a maggior ragione me ne sto a casa);
– Se poi magari c’è anche un minimo di cortesia del servizio – mi basta che non mi lancino i piatti sul tavolo (storia vera) – gradisco.

Ecco, detto tutto questo penso forse il 1° gennaio abbiamo esagerato. Non parlo dei prezzi del posto dove siamo stati io e M., ma proprio per quella ricerca del servizio cui accennavo sopra: in questo ristorante, il cameriere ogni volta che spezzavo il pane veniva a togliermi le briciole dal tavolo. Dopo le prime due volte ho iniziato a raccoglierle io e nasconderle sotto il tovagliolo perché mi sentivo in difficoltà, sia nel fargli fare questa cosa sia perché pensavo di essere un rozzo bifolco incapace di spezzare del pane senza far cadere briciole.


Poi magari quel cameriere in realtà è schiavizzato, si ciba di briciole che raccoglie dai tavoli perché è la sua unica fonte di cibo visto che lo tengono in cattività e denutrizione. Oppure ha un uccellino sul retro cui dà da mangiare, suo unico amico, che ne so.


Comunque non vorrei che davvero non ci resteran più manco le briciole.

Non è che tratti le ragazze responsabili come telefilm perché le consideri serie

È settembre, ripartono le serie tv, altre nuove ne vengono annunciate e noi tutti siamo in trepida attesa davanti ai nostri schermi.

Purtroppo sapete cosa manca a queste grandi produzioni che ormai rivaleggiano e superano il cinema? Un po’ di italianità, un po’ di quella fantasia nazional popolare che tanto ci è cara. Ed è per questo che sono intervenuto io e, nelle vesti di sceneggiatore, ho provato a riscrivere la trama di qualche serie famosa.

F4: BASITO!


La casa de Spoleto
In questa serie in innumerevoli stagioni, un geniale individuo noto come “Il Professore” escogita piani arzigogolati per fregare lo Stato e fare un sacco di soldi, con l’aiuto dei suoi soci, chiamati in codice: Assisi, Torgiano, Gualdo Tadino e la bella Acquasparta. I Carabinieri brancolano nel buio e non riescono a incastrarlo, finché non arriva Don Matteo che, raccontando al Professore del Buon Ladrone crocifisso accanto a Gesù che, pentito, si raccomanda a lui per la salvezza dell’anima, lo costringe a redimersi. E il Professore inspiegabilmente si redime. Arriva a quel punto la bella Marescialla (interpretata da Nino Frassica) di cui il Professore è innamorato e finisce tutto in sorrisi e tarallucci.

Il racconto dell’amica geniale/The brilliant friend’s tale
In un futuro distopico gli Stati Uniti, trasformatisi in una dittatura, hanno deciso di vivere come se fossero un rione di Napoli degli anni ’50. Tutte le donne sono quindi costrette a vestirsi quotidianamente come in uno spot di Dolce&Gabbana nostalgico e sessista.

La regina dei Cesaroni
La storia racconta di una bambina prodigio degli scacchi che, rimasta orfana, viene adottata dalla famiglia allargata dei Cesaroni. La bambina insegue il sogno di diventare Maestra di scacchi finché Claudio Amendola non la convince che gli scacchi sono roba da borghesi Pariolini ed è meglio andare a tifare Roma allo stadio.

Il Trono di Gomorra
Johnny Snowastano è l’erede di una potentissima famiglia che dominava il Continente Occidentale di Westerondigliano, finché non hanno fatto fuori il padre pazzo in un agguato. Siccome è un po’ un babbeo e non sa niente, viene spedito a farsi un po’ le ossa lontano da casa. Quando torna non sa comunque niente, però c’ha una bella cicatrice perché mi ha detto mio cugino che una volta è morto. Incomincia a trombarsi sua zia perché così la piazza di spaccio di Approdo del Boss – che la zia si vuole pigliare – resta in famiglia, solo che poi si sa come vanno queste cose nella malavita, finisce che le deve sparare in un regolamento di conti.

Provaci ancora Dexter!
La Professoressa Camilla Dexter (interpretata da Veronica Pivetti) si trova a gestire una doppia vita: di giorno appunto quella di insegnante, l’altra, segreta ai più, di torturatrice e killer di studenti ignoranti e indisciplinati. Una serie che, con ironia e leggerezza, ci racconta dello stress quotidiano vissuto da un docente e di come ripulire in modo efficiente i pavimenti sporchi di materia cerebrale.

Un mad man in famiglia
Un occhio puntato sulla famiglia di Don Draper, stimato pubblicitario della periferia di Roma, alle prese con divertenti ed eccentriche avventure che coinvolgono i figli, la moglie, il nonno, l’alcool, le prostitute, la droga, insomma la vita di un qualsiasi italiano medio.

House al Sole
Intrighi, tradimenti, morti sospette, voltafaccia, traffico impazzito, sole e mare e pizza: tutto questo è House al Sole, la fiction che narra le vicende di Franchino Sottobosco, portiere di condominio di Napoli che sogna di diventare Presidente degli Stati Uniti. Purtroppo appunto è di Napoli e quindi al massimo può ambire a diventare amministratore di condominio.


Sono sicuro che queste proposte faranno il picco di audience!

Non è che per il fan di Agatha Christie le restrizioni prevedano la zona giallo

Gli scorsi giorni ci si è svegliati con la nebbia, evento inusuale da queste parti.

Mi ha riportato con la mente indietro di giusto un anno fa, quando partivo da Milano. Lo stesso grigiore color piccione esausto morente. Mi è salita un po’ di inquietudine.

Un anno fa non si pensava nulla di ciò che sarebbe successo. Un anno fa non pensavo nulla di come la mia vita avrebbe affrontato dei cambiamenti.

Ora comincio ad avvertire timore del cambiamento del cambiamento.

È come se la pandemia avesse creato una zona comfort. Mi sono abituato, ad esempio, a stare lontano dalla folla. Già di mio, in tempi normali, quando mi trovavo ingabbiato, in mezzo a un esercito di pedoni lenti e ondeggianti come pinguini, sognavo di appallottolarmi tipo Sonic e cominciare a roteare facendo strike delle persone.

Mi mancano però i concerti, quelli sì. E Il cinema, la piscina, le serate.

La prima cosa che farò, quando sarà possibile, è comprare il biglietto di un concerto. Uno qualsiasi – nell’ambito di quello che per me è uno standard di decenza, del tutto personale e soggettivo beninteso ma, senza offendere nessuno, c’è della roba che non andrei a vedere neanche se mi pagassero. A meno che non mi paghino tanto!

Delle volte poi mi chiedo se ritornare alle vecchie abitudini significhi rompere dei nuovi equilibri.

La cosa che più mi spaventa è di arrivare a sviluppare una sindrome di Stoccolma nei confronti del contesto di privazioni.

Oh dea madre delle fasce colorate, proteggici affinché nulla cambi.

Signora del contenimento, so di essere un miscredente e di non credere neanche a me stesso, ma se avrà cura del bisogno di intima condivisione in quarantena sono pronto ad accendere un C’ero (distanziato).

Signora, le ho mentito, comunque. A me stesso credo. Anche troppo.

Credo a una parte di me che fatico delle volte ad accettare.

Credo alla parte di me che vuole essere impeccabile per le persone cui tiene.

Credo a una parte di me che si innervosisce delle volte facilmente e vorrebbe dare un calcio a un oggetto qualsiasi per spedirlo in orbita solo per dimostrare a negazionisti della Terra tonda, della gravità e dello sbarco sulla Luna che sono dei coglioni.

Credo a quella parte di me che ha paura di perdere ciò che gli è caro.

Credo a una parte di me che vorrebbe che tutti intorno a lui stiano bene e tranquilli perché così può sentirsi bene e tranquillo.

Credo a una parte di me che non vuole mostrare tutto ciò al prossimo.

Credo a una parte di me che si sente un gatto di strada che guarda con sospetto gli esseri umani.

E proprio perché credo che queste parti esistano vorrei tenerle confinate in una quarantena perenne sperando che prima o poi si estinguano.

 

Non è che sei un estorsore se al negozio di intimo chiedi il pizzo

Oggi stavo facendo una riflessione su quanto a volte impegno, sforzi e costi non ricevano una proporzionale attenzione o il giusto riconoscimento.

La constatazione mi è venuta pensando a un capo voluttuoso e provocante come la lingerie, che noi gentiluomini non esterofili definiamo lingerina.

Nell’intimità di un’alcòva, la lingerina è suadente preambolo dell’amplesso amoroso. Ma, essendo l’incontro appunto votato al coito, la lingerina, indossata a volte con sfoggio di abilità contorsionistiche per infilare, far combaciare, legare, e pizzi e nastri e lacci e reti, dopo la sua apparizione finisce in presto in secondo piano. A volte anche al secondo piano, se la si lancia con troppa foga verso la finestra aperta.

Con un amico ricordo una conversazione sul cinema d’autore; il film ricercato, in quanto fotografia in movimento, quindi arte, non può essere relegato a una visione fugace e distratta che alla fine ti fa esclamare Bello! Divertente!. Il cinema d’autore è una cosa che concentra la tua attenzione, ti resta dentro, come quando davanti a un quadro opera d’arte non ci si limita a passargli davanti esclamando Bella pittura! ma ci si sofferma, si analizza, si scruta per carpirne i segreti.

Anche la lingerina meriterebbe un’attenzione artistica, seppur mi rendo conto che quando ce la si ritrova di fonte non è che si può star lì come se si stesse ammirando un film di Tarkovskij o un quadro di Pollock; me lo immagino un gaudente amante che invece di passare a fare altro resta concentrato a cercar di cogliere la profondità del tulle o il gioco di luci delle trasparenze.

Il destino della lingerina è dunque quello di ricever un riconoscimento limitato, per poi farsi da parte e svelar altro di bello su cui non mi soffermo perché si è capito cos’è. D’altronde, in questo effimero ci rivedo l’opera di impacchettamento di Christo, capace di donare un nuovo valore estetico alle cose che avvolge, trasformandole però per un tempo limitato.

Alla lingerina artistica!

Non è che per ridurre i rischi di contagio serva pure prendere le distanze da un discorso

Come ci organizzeremo nel futuro prossimo? Come verranno praticate attività che erano normali prima della pandemia quando finalmente arriveremo alla fase…2? 3? 4…Quel che sarà?

Munito di un cacciavite cercafase ho scandagliato le fasi e ho ipotizzato quali potrebbero essere soluzioni utili per un distanziamento sociale compatibile con ciò che oggi è sospeso/proibito.

CALCIO
Ad alcuni non frega proprio niente, per altri potrebbero anche abolirlo, fatto sta che c’è chi si interroga su quando e come si potrà riprendere il campionato.

La soluzione per riprendere l’attività in tutta sicurezza è quella di legare i calciatori a delle sbarre, manovrate a bordocampo dagli allenatori. L’arbitro lancia la palla nel mezzo e poi vinca il migliore: un calcio balilla gigante che garantisce l’assoluta assenza di contatti!

ANDARE IN SPIAGGIA
Da un paio di giorni circolano in giro dei rendering che mostrano lidi attrezzati con box di plexiglass che recintano le postazioni ombrellone/sdraio. Sì, ma in acqua poi come si fa? La soluzione a mio avviso consiste in un upgrade di questi box: riempirli d’acqua!

CORRERE AL PARCO
Ci si scagliona all’ingresso, uno parte e quello che viene dopo gli dà un vantaggio di 200 metri e così via, cercando tutti di mantenere la stessa distanza. Dei cecchini abbattono quelli che si fanno raggiungere.

CINEMA
Si buttano giù le pareti delle sale, lasciando in piedi solo quella dello schermo e si rimuovono sediolini e gradoni, per trasformare tutti i cinema in dei Drive in, fruibili dallo spettatore al chiuso della propria auto.

BIRRERIE
Gli avventori potranno accedere al locale indossando speciali caschi integrali isolanti dotati di un tubo di gomma che fuoriesce da altezza bocca che il gestore del locale collegherà direttamente allo spillatore.

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Studio d’epoca per uno scafandro isolante da bevitore. Notare il doppio tubo, per il cliente che nella stessa serata vuol bere bevande diverse senza mischiare i sapori. La piccozza è per comunicare incidendo sul legno del bancone o sul tavolo

TINDER & ALTRE APP INCONTRI
Va cambiato il metodo di approccio: se piace un profilo, mettendo like l’app gli invia a casa un tampone. Se l’altra persona accetta, invierà un tampone a sua volta a chi gli ha messo like. Quando le analisi saranno pronte e avranno avuto esito negativo il sito metterà poi in contatto le due persone. Che potranno fare sesso ma solo se avvolti entrambi integralmente nel cellophan.

CONCERTI
Come si potrà andare ai concerti? La soluzione è il concerto dilatato: il pubblico entra a scaglioni e la band si esibisce ogni volta per un gruppetto diverso. A seconda dell’affluenza ci potranno quindi essere concerti che durano consecutivamente da più giorni. Altrimenti, se gli artisti non sono d’accordo a ripetere per ore la stessa esibizione, si può sempre tenere il sistema degli ingressi scaglionati ma ogni gruppetto che entra ascolta solo una canzone e poi viene mandato via per far entrare gli altri.

I concerti all’aperto invece possono svolgersi normalmente, ma le persone potranno assistere solo se inserite all’interno di un pallone gonfiabile. È utile anche per pogare senza farsi male. Si consiglia di evitare i festival su terreni non perfettamente pianeggianti.

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Una scienziata del mio team Ricerca&Sviluppo che testa la sfera per l’estate 2020

Non è che il ciclista piromane bruci le tappe

C’era quella sera la gara olimpica di ciclismo su strada. Vincenzo Nibali era in fuga ma a una decina di km dall’arrivo cadde e si ruppe la clavicola. Il ciclismo è lo sport più infame di tutti. La beffa ti può cogliere in qualunque momento. Qualcuno può dire che è così in tutti gli sport; può accadere lo stesso con un tiro da 3 punti sulla sirena o con un rigore al 90°. Non è proprio la stessa cosa. Il ciclismo non è altro che un lento tormento, senza sosta. Se a questo aggiungi la beffa finale, comprendi quanto sia una disciplina proprio infame. C’è un aneddoto, molto noto, su Marco Pantani. Un giorno Gianni Mura gli chiese perché andasse così forte in salita. Lui rispose: «Per abbreviare la mia agonia».

Stavo seguendo la gara di ciclismo sul telefono, prima di andare al cinema. Era un’estate molto calda. Mi ricordo che anche il movimento del respiro mi faceva sudare. Il cinema era all’aperto, in un parco, in altura. All’afa però tutto ciò sembrava non importare e ti si adagiava addosso lo stesso come quando tagli un pezzo di scotch sul bordo di un tavolo, col risultato che si piega e attacca di sotto e non lo stacchi più.

In quell’estate intera non si respirava per niente. C’era afa una domenica pomeriggio a Bologna. E io avevo una t-shirt con una camicia a maniche corte sopra. Stretta. Praticamente mi stavo causando la morte per auto-soffocamento.

Faceva caldo poi a Ferrara, dove ero in piazza Castello per un concerto. Avevo trovato una postazione laterale con ottima visuale, comoda anche per appoggiarmi perché c’era una nicchia in un muro. Accanto però c’era un bidone dell’immondizia che, nel corso dello spettacolo, fu riempito fino a traboccare. Dovevo scegliere tra la comodità della nicchia (e l’essere sommerso dai rifiuti o peggio, essere scambiato anche io per un’immondizia) e il trovarmi un’altra sistemazione. Scelsi la prima, per pigrizia.

Sono sempre stato abbastanza pigro. Mi lancio nelle cose, volo di qua, atterro di là, corro di su, precipito di giù, mi infilo in situazioni scomode, ma poi cerco sempre di trovare una nicchia per riposarmi. Nel ciclismo sarei quello che va in fuga ma poi “succhia la ruota”. Succhiare la ruota nel gergo vuol dire mettersi dietro agli altri, per faticare di meno. Stare alla ruota di qualcuno, infatti, riduce la resistenza dell’aria e la fatica.

Di quell’estate ricordo che ero tornato la prima volta dall’Ungheria. Pensavo che, professionalmente, sarei stato apprezzato per i miei trascorsi. Invece ritornai poi a Budapest perché qui non trovavo niente.

Ora sto pensando di tornare per la terza volta in Ungheria, se non vanno in porto, anzi al traguardo, delle cose.

La vita è fatta di scatti e controscatti, di fughe e arresti.

Proprio come una gara di ciclismo.

Non è che uno sceneggiatore si consulti con un sarto su come imbastire una trama

Il mio stomaco non vuole saperne di rimettersi in sesto. E neanche in settimo.

La chiave è: inibitori di pompa protonica.
Io conoscevo lo zaino protonico dei Ghostbusters. E sapevo che non andavano mai incrociati i flussi.

Inibitore di pompa protonica.
Sembra il nome di un’attrezzatura da fantascienza. Trama: i nostri eroi devono fermare un pericoloso criminale dotato anche di superpoteri. L’arma per batterlo è costruire un fucile speciale che lancia raggi che bloccano i poteri del cattivo. Però serve trovare un oggetto particolare, senza il quale il fucile non funziona: l’inibitore di pompa protonica…

Le sceneggiature, fateci caso, sono fatte di standard e di cliché. Lo schema tipico di un film, in genere, è il seguente:

– Viene presentata una situazione iniziale. Vediamo dei personaggi, uno scenario, eccetera
– Tra i 10 e i 20 minuti dall’inizio c’è un colpo di scena (es. il protagonista scopre di avere un figlio e deve improvvisamente prendersene cura; i buoni incontrano il cattivo per la prima volta; muore qualcuno di inutile; la protagonista mentre si rade il perineo si taglia un’emorroide*…)


* Accade nel film Wetlands


– A quel punto tutto il film non è altro che una rincorsa della trama verso una nuova situazione di equilibrio, come se esistesse una entropia universale da rispettare. Ci saranno lungo la strada tutti gli ostacoli del caso (la mappa era sbagliata; le azioni in borsa sono in caduta libera; manca l’inibitore di pompa protonica…)
– A 15-10 minuti dalla fine c’è un contro-colpo di scena risolutivo (riappare un personaggio che si credeva morto; un membro del gruppo si rivela un impostore/nemico; un oggetto apparso all’inizio del film e di cui non si capiva la funzione si scopre necessario…)
– Fine

Vale per tutti i film. Per lo meno quelli della grande distribuzione. Pur cambiando genere, attori, regia, sono fatti tutti con la medesima ricetta preconfezionata. È quello che il pubblico vuole vedere. Tutto ciò è rassicurante: ci piace il prodotto, perché sappiamo cosa aspettarci. Abbiamo bisogno di sapere che tutto andrà secondo quello che sarebbe secondo noi l’ordine naturale delle cose.

Da quando mi sono reso conto che il cinema non fa altro che servire dei polpettoni triti e ritriti*, non riesco più a seguirlo come una volta.


Una di quelle grandi illuminazioni che ti colgono mentre ti togli il lattughino dai denti, del tipo “Ehi, ma nel logo del Carrefour c’è una C nascosta!”


D’altro canto, lungi da sembrare uno snobbone di quelli che “Sotto le 4 ore e a colori non è vero cinema”, dico che mi capita anche di annoiarmi con il cinema d’arte, che ha eppure il vantaggio e il merito di uscire dagli standard di scrittura descritti sopra.

Mi trovo così in un limbo in cui passo serate a chiedermi cosa minchia guardare e alla fine si fa troppo tardi e finisco per non guardare niente, perché non mi vanno i polpettoni triti e ritriti e non mi va neanche un cinghiale seduto sullo stomaco (rappresentato da un film estone in camera fissa con due dialoghi).

Le serie tv sono una buona via di fuga: un episodio dura meno di un film, tengono sempre alta la tensione narrativa (chi più chi meno). Ma anche su quelle negli ultimi tempi fatico a trovare qualcosa di valido.

E poi dicono che mi viene la gastrite!

Non è che il solitario invidi il cambio della bici perché ha un sacco di rapporti

A volte provo un senso di colpa per il non aver mai coltivato relazioni con i parenti.

Non ho mai saputo da che parte iniziare. Non ho idea di come si costruisca un rapporto con loro.

Il fatto è che la famiglia te la ritrovi lì. Nessuno te li introduce. Nessuno te li fa scegliere.  Magari nulla ti dà qualcosa in comune. Niente ti spiega come devi rapportartici.

Con quel che non scelgo io ho difficoltà: quando seleziono una persona io so invece come comportarmi perché sono già tarato su di essa ancor prima di conoscerla.

Una volta una persona mi disse che le mie relazioni hanno valore perché io le persone me le scelgo; non so se sia vero o se fosse una presa per il mulo. Fatto sta però che il lato negativo di ciò è che si va a deprimere qualsiasi altro tipo di rapporto su cui non si è fatto investimento.

È proprio un comportamento del gatto.

La gente pensa che i gatti siano antipatici e anaffettivi. Il che è vero. Tranne che con la persona che loro hanno selezionato. Perché il gatto non te lo scegli tu: è lui che ti elegge a suo riferimento.


Riferimento paritario: il felino domestico non concepisce la logica padrone/animale.

 


Ci sono vari livelli di relazione col gatto: non è scontato che sia possibile scalarli. Uno stadio può rimanere lo stesso per sempre, per dire.

Lv I: Il gatto vi vede, soffia e poi scappa in un altro Stato – stadio “Mi fai schifo al gatto”;
Lv II: Il gatto vi vede, se rimanete a distanza non va via. Se gli lasciate il cibo, lui verrà a prenderlo ma solo quando vi sarete allontanati – stadio “Levati dal gatto”;
Lv III: Gli lasciate il cibo, lui si avvicina a mangiare in vostra presenza. Se però proverete a toccarlo scapperà – stadio “Non mi stare sul gatto”;
Lv IV: Il gatto si fa accarezzare, gioca con voi, vi si struscia addosso però manterrà sempre una certa indipendenza fissando dei paletti relazionali – stadio “Fatti comunque i gatti tuoi”;
Lv V: Senza che ve ne accorgiate il gatto ha preso possesso di casa vostra, del divano, vi si piazzerà sul computer quando dovete lavorare, vi farà noie sulle scatolette spingendovi a comprare quelle che più gradisce, etc. – stadio “E ora son gatti tuoi!”.

Ora che avete ben chiari i livelli, buon divertimento.

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Lettura consigliata

Non è che devi essere un rapinatore per fare colpo

È arrivato di nuovo quel periodo dell’anno. E io l’ho celebrato come al solito.

È uscito il nuovo film di Star Wars e sono andato a vederlo. Non mi dilungherò in recensioni, sarò anzi breve come Pipino detto il: questo film è merda. Anzi, è merda che caga merda. Merda seduta sul gabinetto che ne produce altra.

Pare che invece a tanta gente sia piaciuto tanto. Può voler dir tutto e niente il giudizio popolare, chiariamo. Rihanna ha venduto più dischi di Bob Dylan, figuriamoci.

Oppure la mia delusione sarà dovuta soltanto alla frustrazione nell’aspettarsi qualcosa che non si ripeterà mai più. Non ci sarà mai più un Impero che colpisce ancora. Il futuro non è altro che un tentativo di rileggere il passato. Il nostalgico cerca una realtà aderente a quella che ormai è solo una idea astratta.

Ho riflettuto sulle idee astratte in questi giorni in seguito a un episodio.

Due settimane fa durante una festa ho conosciuto una persona. Mio malgrado. A dirla tutta credo mi abbia teso un agguato. A inizio serata mi ha fatto:

– Ciao, tu sei?
– Gintoki. E tu saresti?
– Sono Clistera. Sono la sorella della festeggiata. Non mi hai vista ieri pomeriggio?
– No
– C’ero anche io
– Ah. No.

Sono simpatico come un sanpietrino.

Trascorsa un’ora o forse sessanta minuti in cui ho parlato a caso con persone a caso, Clistera, che avevo perso di vista, mi si è parata davanti, visibilmente alticcia:

– Senti però te la posso dire una cosa? Questa cosa della barba ha un po’ scocciato, insomma tutta questa moda e le camicie a quadri…cioè insomma dai…

Figurarsi se io possa aver voglia di conoscere qualcuno che esordisce in questo modo.

Figurarsi se io possa aver voglia di conoscere qualcuno in generale, in questo periodo. Mi trovo in una fase di pessimismo comico – non è un refuso, si tratta di una negatività tutta da ridere – in cui penso Ma tanto alla fine tutto ciò a che serve? Ah ah ah.

Clistera però mi ha trascinato in conversazione per svariate buone altre decine di minuti. Si rivelava una persona tutto sommato interessante e arguta. Poi ci siam salutati e pensavo di non rivederla più dato che ha residenza molto ben oltre la Linea Gotica.

Gli amici nei giorni successivi hanno cominciato a punzecchiarmi sostenendo che, in base a dei segnali che avevano colto, avevo fatto colpo. Io ero dubbioso. Non sono mai stato avvezzo a pensar a me stesso come uno che fa colpo. Mi ritengo certo mediamente nella media degli uomini medi come gradevolezza media, ma se mi dicono che faccio colpo rispondo con Chi, io? No forse ti sbagli, non ero io e poi si trattava solo di cene eleganti.

Ho comunque iniziato a riflettere su questa cosa e pensare che tutto sommato se fosse ricapitata mai l’occasione di interagire con costei avrei cercato di capirne un po’ di più.

Quando rifletto tendo sempre a configurarmi diversi scenari – con tanto di trama ed effetti speciali inclusi – in una scala di opzioni che va da Olocausto Nucleare a “Io sono Iron Man”.

Ieri sera ho rivisto Clistera. Scoprendo che da sobria è una persona non affatto così simpatica e piacevole – e a tratti anche noiosa – come da alticcia (e come nei miei scenari). E ha anche detto Io sono astemia. Bevo solo alle feste*.


* Pensavo fosse una presa in giro ma la sorella mi ha confermato che è astemia. A parte le feste, ovviamente.


È come dire Sono vegano, mangio carne solo alle grigliate. Sono juventino, tifo Napoli solo allo stadio. Non mi piace la figa, ci scopo perché c’è.


Quest’ultimo paragone forse è un po’ inesatto e inappropriato e me ne scuso se ho urtato la sensibilità di qualcuno. In realtà, contrariamente a ciò che si crede, agli uomini la figa non piace. Piace solo perché c’è, ma se non esistesse riuscirebbero a immaginarla? E la immaginerebbero a forma di figa come attualmente è? Io non credo. I giapponesi, che non sono stupidi, pixellano infatti le parti intime nei porno proprio per permettere allo spettatore di immaginare come meglio crede e proiettare su quei pixel la propria personale visione e liberarlo dalla schiavitù della figa.


Infatti il Giappone è il paese dove si fa meno sesso al mondo.


Il punto del mio disappunto è però un altro: in base a cosa questa persona potevo ritenere valesse la pena parlarci? Non la conoscevo affatto. L’immagine che ne avevo era una proiezione di una idea astratta che mi ero fatto nei giorni successivi il primo incontro.

Come mi succede con Star Wars. Al cinema io in realtà non vado a vedere Star Wars. Vado a cercare l’idea di quei tre episodi storici (IV, V e VI), che non rivedrò mai più e che a dirla tutta non erano neanche così perfetti.

Ne Il ritorno dello Jedi c’erano gli Ewok. Palle di pelo pulciose che ridicolizzano dei soldati imperiali. Non ci si rende conto appieno di quanto sia ridicola questa cosa perché si vede solo ciò che si vuol vedere.

Allora forse anche i miei ricordi del passato, di un’estate, di un inverno e di un’estate ancora fa con altre persone non sono altro che un vedere solo ciò che si vuol vedere.

Quindi ho deciso che non vedrò mai più Star Wars.

Tranne quando uscirà un nuovo film o quando in tv lo ritrasmetteranno o quando qualcuno mi inviterà a una maratona casalinga di film di Star Wars.

Non è che il cinefilo ami la Domopak perché produce buone pellicole

Non vado molto al cinema, inteso come multisala. Soprattutto da quando ho maturato la convinzione che molte cose in circolazione non valgano il denaro speso.


Fatta eccezione per i nuovi film di Star Wars.


Che, detto per inciso, sono una mossa per cavar denaro.


Preferisco le piccole sale e le proiezioni riservate a pochi appassionati.

Ho così dimenticato, fino a ieri, come sia trovarsi al cinema in una grande sala piena di ragazzini. Che siano tanti o pochi inoltre fa poca differenza: 3 ragazzini o 50 producono la medesima quantità di rumore e lo stesso livello di fastidio negli altri spettatori.

Mi sono reso conto che l’irritazione in questi frangenti è una cosa abbastanza comune e che quella dei ragazzini al cinema sia una vera e propria piaga sociale sottovalutata dai media e dalla politica. Anzi, i poteri forti ci raccontano una realtà distorta: parlano da anni di bassa natalità nel nostro Paese, allora com’è che dovunque mi giri io trovi ragazzini?

Ho pensato quindi a una lista di soluzioni per ovviare al problema del fastidio prodotti dai ragazzini al cinema.

1) Dedicarsi a generi alternativi che – inspiegabilmente – non incontrano il favore del pubblico dei giovanissimi e quindi azzerano il rischio di aver a che fare con loro. Ad esempio, andare a vedere solo produzioni di nicchia di registi uzbeki che con un piano sequenza di 3 ore raccontano la malinconia delle notti nel deserto del Kyzyl Kum mentre un passero giace stecchito sotto l’ombra che una roccia proietta alla luce lunare e il protagonista un umile coltivatore di capre e allevatore di cavoli si suicida per non assistere più al dolore della figlia con le adenoidi.

2) Creare nei cinema sale apposite per under 18 dove poterli confinare coi loro simili.

3) Istituire la “Tessera dello spettatore”: chi viene sorpreso a dar fastidio verrà squalificato e gli verrà proibito di andare al cinema per un determinato periodo di tempo.

4) Aggiungere sedativi alla bibite servite ai ragazzini al bar del cinema. Potenti sedativi.

5) Distribuire occhialini 3D che oscurano la visuale quando chi li indossa disturba.

6) Installare poltrone intelligenti che al primo segnale di intemperanza infilino un calzino sudato – di quelli di spugna che si impregnano bene e fanno da terreno di coltura di batteri – nella bocca del disturbatore.

Nella prossima occasione parlerò dei rimedi contro quelli che, siano giovani o adulti, tirano fuori il cellulare durante la proiezione. +++SPOILER: un cecchino appostato in sala che fredda il telefono appena si illumina! Quello che succede è incredibile!+++