Non è che ti serva una bilancia per soppesare le parole

Ci sono delle cose che, a mio avviso, quando ci si conosce poco/appena andrebbero riservate a una conoscenza più approfondita per essere dette.

Questo perché quando le persone si incontrano devono prima sintonizzarsi a vicenda. Se ancora non abbiamo allineato i piatti della bilancia, le nostre parole potrebbero avere pesi specifici non stimati con accuratezza.

In parole povere, non avendo ancora compreso appieno chi ho di fronte – e viceversa, non essendo ancora stato capito in un quadro più ampio – una mia frase che non è ancora inquadrata nel contesto della mia persona potrebbe essere giudicata in modo differente da come verrebbe considerata con una conoscenza più approfondita.

Facciamo un esempio: un paio di settimane fa mi ha aggiunto su facebook la tizia con cui dovrò lavorare. Senza due righe di presentazione o altro e prima ancora che mi comunicassero che lavorerò con lei. In genere sono contrario a includere persone del contesto professionale su un simile social network, a meno che in sede lavorativa durante il periodo di lavoro non si sia creata una conoscenza e una certa confidenza. Qui c’erano state giusto due chiacchiere in un colloquio.

Ho accettato la richiesta, non avendo niente da nascondere e per non dar l’idea, rifiutando, di avercelo. Poi ho pensato che, comunque, non conoscendomi, qualcosa che ho scritto avrebbe potuto venir frainteso. Magari un porcoddue di troppo potrebbe dar fastidio, decontestualizzato dalla mia persona. Diverso è se, conoscendoci, hai capito che mi diverte Zerocalcare e il mio diventa un semplice intercalare fumettistico cui non fai magari caso.

Tutta questa premessa è per fare un altro esempio.

Una volta, un mio amico era con una ragazza con cui stava uscendo da pochi giorni. In una fase post, quando ci si scambia qualche commento su quel che c’è stato prima, lei ha affermato

«Mi sento abbastanza inesperta…»

Ah.

Ora, visto che si era ancora agli inizi della conoscenza (a parte quella nel senso biblico del termine), qualsiasi cosa avrebbe potuto replicare il mio amico aveva il potenziale rischio di generare fraintendimenti non sapendo ancora bene che tipo di persona si ha di fronte e quali possono essere le sue reazioni.

Per la cronaca quel che disse fu proprio “Ah”, che non voleva essere negativo, come se venissero a dirti «Sai, mentre parcheggiavo ti ho fatto tutta la fiancata dell’auto» e tu rispondi «Ah. Mò so’ cazzi tuoi». Era più un «Ah. Ma che dici, non mi sembra affatto!», solo che avendo detto solo “Ah” e sentendo che era già passato troppo tempo da quando aveva detto “Ah” e c’era Mike Bongiorno che si era tolto gli occhiali e diceva «Ahiahiahi sta scadendo il tempo, allora, eh? Allora, eh?» non trovò di meglio da fare che indicare un piccione che si era posato sulla semi-anta della porta-finestra, fingendo di essere ornitofobico, per uscire dall’impasse.

Lei scacciò l’animale e si fece una risata. Lui rispose
«Ecco. Tu mi hai confessato una cosa, io te ne ho confessato un’altra».

E vissero felici e contenti.


Per un paio di settimane. Poi si stufarono l’uno dell’altra ma questa è un’altra storia.


Questo aneddoto insegna che l’uomo non deve ragionare con l’uccello, come spesso fa.

Però usarlo come scusa, male non fa.

Non è che un gatto in mezzo ai libri vada a caccia del topo di biblioteca

Sono giorni che mi sento un po’ sfasato.

Per dire, venerdì sera ho bevuto due birre. Una prima del concerto dei Julie’s Haircut, una alla fine del concerto (circa due ore dopo). Mi è venuto mal di testa durante il sonno. È una cosa che non mi era mai accaduta. Dubito e mi vergogno di me stesso.

Saranno un po’ i pensieri e le preoccupazioni. Ci si mette anche il PDCC (padrone di casa-coinquilino) il quale, nonostante gli avessi detto che la stanza mi serviva fino al 29 febbraio, ha iniziato a cercare qualcuno già dal 1° di febbraio. Poi mi dice Ma no stai tranquillo, non ti faccio alcuna pressione intanto poi mi ritrovo gente che viene a vedere la stanza e lui che mi chiede Quindi finisci di lavorare il 7 febbraio? No perché questo ragazzo vorrebbe dall’8. Più chiaro di così manca che cambi la serratura della porta.

La paranoia dell’amicone di cui sopra è che dal 7 al 29, non lavorando, io stia in giro per casa tutto il dì e questo lo farebbe sentire privo della sua libertà. Non me l’ha detta così direttamente ma ha lasciato intendere più volte, con discorsi del tipo Poi mi dispiace dare fastidio durante il giorno perché magari ascolto musica…. A me per quanto mi riguarda poco importa della sua libertà, è libero anche di girare per il corridoio nudo sospeso a mezz’aria facendo l’elicottero, frega poco.

Dato che il mio sfasamento, dicevo, e con anche un concorso da preparare, di sabato sono andato a cercare concentrazione facendo una cosa che non facevo dal 2009: studiare in biblioteca. Un ambiente in cui ogni volta entri cercando di renderti il più invisibile possibile, leggero come un ninja cui fanno male le scarpe. Varchi silenzioso la porta, poggi la punta della scarpa dentro e, la stessa calzatura che non aveva mai dato segni di vita, si esibisce in un gneeeek sul pavimento, facendo alzare la testa a tutti i presenti che ti fissano con sguardo omicida come se avessi scritto su facebook che i cagnolini sono brutti e antipatici.


Su fb si può inneggiare all’Olocausto ma non offendere i cagnolini.

 


Quando alzo la testa del libro per sgranchire gli occhi mi piace osservare gli altri, sbirciare cosa leggono, capire dall’espressione a chi stanno fumando le meningi su quegli appunti e chi invece ha l’aria del relax della rassegnazione di chi Massì tanto è tutto inutile ma chi me l’ha fatto fare.

Una tizia a un certo punto si alza e si avvia verso l’uscita. I suoi tacchi fanno il rumore di un cavallo al galoppo.

Le ho lanciato un fulmine con lo sguardo.

Santi numi! Mezza mattinata qui e sono diventato come gli altri!

Non è che a corto di idee chiami l’Enel per avere l’illuminazione

Will Smith ha compiuto 50 anni. Di per sé non dovrebbe essere una cosa che fa notizia: come dice il noto adagio giornalistico, non fa notizia un cane che morde un cinquantenne ma un vegano che morde un cane cinquantenne.

Per quelli della mia generazione è come se Will Smith ci fosse sempre stato e fosse sempre stato un eterno ragazzone.

Invece gli anni passano. Come li ho trascorsi io durante i 50 anni di Will Smith? Ho mai fatto qualcosa degno di nota? Non ho mai neanche dato un morso a un cane per finire sui giornali.

A volte non ci rendiamo nemmeno conto delle occasioni che ci sfuggono. Ad esempio qualche mese fa ho avuto un’epifania riguardo un episodio avvenuto 5 anni prima. Avete presente quelle ovvietà che non avevate mai colto e che vi si rivelano mentre passate il filo interdentale segandovi le gengive, del tipo “Ah ma ne Il tempo di morire Battisti dice Motocicletta, 10 hp e non Motocicletta, riesci a capi’?? Non me ne ero mai reso conto!”.

Il mio episodio mi vede in un locale di cui conoscevo di vista la barista – di buon carattere e molto bella – e che salutavo sempre anche se non ne ricordavo il nome per quella solita situazione che nel momento in cui ti presenti a qualcuno per la prima volta ne dimentichi il nome un attimo dopo e passi il resto della vita con la vergogna di chiedere Scusa ma tu come ti chiami?.

La ragazza era nota per la torta all’hashi…all’Hashirama (una antica ricetta giapponese) che preparava con le sue manine e che verso l’una-le due prima di chiudere faceva girare per il locale offrendola ai presenti rimasti. Per stordirli e mandarli via più facilmente, probabilmente.

Una sera vado al bancone, le chiedo un cicchetto. Lei me lo serve e poi mi fa, socchiudendo gli occhi e sorridendo

– Bevi da solo?
– No lo porto fuori al tavolo
– Ah…perché sennò me lo facevo con te.

E sorride di nuovo e mi guarda negli occhi. Io rispondo:

– Ah. Quant’è?

Pago e vado via.

Orbene, qualche mese fa in una sera d’inizio estate mentre mi sturavo un orecchio col mignolo dopo una nuotata ho avuto un’illuminazione: “Ma non è che quella volta del 2013 quella tizia ci stava a prova’?!?”. E mi sono dato uno schiaffo in faccia. Per finire di sturarmi l’orecchio.

Quella sera stessa l’ho cercata su facebook. Non ne ricordavo il nome ovviamente ma rammentavo quello della sorella con cui avevo frequentato uno pseudocorso di cinema (a cui mi ero iscritto per fare un favore a chi lo gestiva e con la speranza di poter vedere film gratis, speranza presto disillusa). Cercando tra i suoi amici avrei trovato anche lei, molto probabilmente.

Può sembrare una cosa da maniaci, ma era più che altro la curiosità come quando in preda all’insonnia alle 3 di notte cerchi su YouTube un tutorial che spiega cosa succede dando fuoco a un composto di zucchero e bicarbonato.

E inoltre speravo di scoprire che, oltre a perdere il fascino che aveva all’epoca, fosse diventata antipatica e facesse cose orribili come mettere Mi piace a pagine come lo Sgargabonzi.

Orbene, l’ho trovata e ho scoperto che è diventata un’artista. Cioè, si scatta foto in bianco e nero con una Reflex.


Io sono un giornalista perché scrivo su WordPress.

 


Si scatta foto in bianco e nero in lingerie e baby doll di pizzo con una Reflex.

E Will Smith ha 50 anni!

Non è che al dark piacciano i fagioli con le gotiche

Ho una sorta di ipocondria cinematografico-letteraria. Tendo a ritrovarmi in personaggi non dico negativi ma alquanto disfunzionali.

Ad esempio, ieri mattina in una inutile domenica mattina – inutile come soltanto una domenica mattina può essere – ho ingannato il tempo riguardando Bianca di Nanni Moretti.

Il personaggio di Michele Apicella, il protagonista, è un individuo disturbato. Disturbato da sé stesso. Ha dei problemi relazionali. È un uomo non abituato a essere felice che, quando lo è, ne è tanto terrorizzato da doverne fuggire rovinando tutto prima che qualcosa rovini tutto.

E, soprattutto, è una persona che deve incasellare le persone sulla base di indicazioni ricavate dal modo in cui si presentano vestiti (in particolare il tipo di scarpe).

Non sono maniacale a tali livelli ma, giusto di recente, mi è capitato di cadere in errori di valutazione su basi del tutto futili.

Il contesto: mi sono tatuato.

Sono andato in uno studio un po’ lontano da dove abito, dopo aver svolto alcune ricerche. Avevo scartato ben 3 studi nel raggio di un paio di km da casa mia che, a giudicare dalle foto dei loro lavori, sembravano più adatti a sbozzare il marmo che a far disegni sulla pelle altrui.

Dopo aver individuato lo studio che mi sembrava adatto e preso contatto, sono andato a parlarci di persona esponendo in dettaglio il progetto di tatuaggio che avevo già anticipato alla titolare.

Mi è stata presentata quella che sarebbe stata la mia tatuatrice, una ragazza che avevo già visto su facebook quando ho esaminato i tatuatori che lavorano in quello studio.

Dorme semisepolta nel terreno, in abito da sposa. Almeno così si presenta online.

Di persona era ancora più netta la sua goticità. Bianca come il rumore bianco e vestita di nero dalla testa ai piedi. Collare da dobermann al collo compreso.

Qualcuno dirà: Gintoki, non ti si faceva così superficiale. Hai trovato sgradevole questa persona solo per come si presenta?

Al contrario.
Io la trovavo adorabile.
Stavo già pensando ai nostri figli vestiti da Jack e Sally ad Halloween.


Non troverei mai qualcuno sgradevole per come si veste. A meno che non indossi la maglia della Juventus, ma quel caso è giustificabile.


Il fatto è che pensavo che a una persona fortemente autocaratterizzatasi come lei un tipo tutto sommato ordinario come me avrebbe causato disprezzo. Magari pensava Guarda un po’ se devo sprecare la mia arte per un simile parvenu. Magari essendo abituata a disegnare madonne che piangono squarciandosi il petto nudo – un quadro suo – avrebbe odiato me che mi son presentato con un gatto come soggetto. Magari le stavo semplicemente antipatico perché esistevo.

Parlandoci, invece, si è rivelata una persona veramente amabile, molto timida e gentile e capace di metterti immediatamente a tuo agio. Inoltre era entusiasta di disegnare un gatto essendo una gattara. Insomma alla fine le ho dato più che rilassato la mia pelle. Per fini artistici, intendo.

Sono stato vittima dei miei schemi mentali: proprio come quella volta che fui vittima dei miei schemi mentali, ma questa è una storia che narrerò al prossimo film che mi ricorderà degli schemi mentali.

Non è che se produci fazzoletti tutti mettono il naso nei tuoi affari

facebook nel 2018 cambia algoritmi – ammesso che sia vero ma tanto basta dire algoritmo per aver detto tutto, un po’ come dire lupus se sei Doctor House -: nella bacheca degli iscritti meno notizie e più post degli amici. Il Signor Z. ha detto che Una ricerca dimostra che il rafforzamento delle nostre relazioni migliora il nostro benessere e la nostra felicità.

Come faccio a dire al Sig. Z. che sono le mie relazioni a rendermi infelice? Chi gliel’ha detto che preferisco vedere più citazioni di Coelho da parte dei miei contatti e meno approfondimenti di Focus sul perché ci mettiamo le dita nel naso e ci compiaciamo di ciò?

Oggi in treno il tizio seduto di fronte a me ha deciso di cercar le proprie radici nelle sue narici. Di solito una persona sarebbe abbastanza nauseata da questa scena e io lo ero, ma grazie ai miei approfondimenti sapevo anche che il tizio era compiaciuto della propria azione.

Un amico vi avrebbe mai erudito in merito?

Parlando di nasi, quello stesso treno dove avevo di fronte il simpatico minatore di turbinati puzzava di provola affumicata.

I treni della Circumvesuviana, che, ricordo, insegue da anni lo scudetto di peggior linea d’Italia appannaggio purtroppo sempre della Roma-Lido ma secondo me è colpa degli arbitri, hanno sempre puzze particolari.

I treni in sé, intendo, le loro parti meccaniche. Non mi riferisco all’odore di umanità che vi viaggia dentro.

Oltre alla provola affumicata, ho viaggiato spesso su treni che puzzavano di caffè troppo tostato. Un’altra fragranza particolare è quella di bistecca di manzo bruciacchiata. Ne ho distinto due varietà diverse, credo dipenda dal tipo di animale: chianina o fassona.

Un amico vi avrebbe detto tutto ciò?

Però a me uno, parlando di richiami di odori alimentari in cose e oggetti, ha detto

– Forse dovresti preoccuparti di ciò che mangi.

Capite perché sono infelice?

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“Binari?! Dove stiamo andando non c’è bisogno di binari!”

Non è che uno specchio sia stupido se non riflette bene

Non parlo quasi mai di politica qui, anche perché, a prescindere di come la pensano gli altri, a prescindere non mi piace sapere come la pensano gli altri.

Ci sono però delle volte alcune cose che mi offrono spunti di riflessione.

Un politico italiano, ad esempio, ha scritto questo su facebook:

La cosa mi ha fatto parecchio riflettere. E ho riflettuto su tutte le cose che mi fanno parecchio riflettere e così le ho messe in una lista perché non si sa mai se qualcun altro potrebbe parecchio riflettere sulle mie riflessioni.

10. Bruxelles/Strasburgo: nelle stesse città il Parlamento Europeo e politici italiani che ricevono lo stipendio pur non presenziando mai. La cosa fa parecchio riflettere.

9. Norvegia: nello stesso Paese il primato nella produzione di salmone d’allevamento e il killer di Oslo. La cosa fa parecchio riflettere.

8. Groenlandia: nello stesso Paese gli inuit e un alto tasso di suicidi. La cosa fa parecchio riflettere.

7. Toscana: nella stessa Regione i natali di Dante Alighieri e del Mostro di Firenze. La cosa fa parecchio riflettere.

6. Perugia: nella stessa città l’Eurochocolate e Amanda Knox&Raffaele Sollecito. La cosa fa parecchio riflettere.

5. 1985: nello stesso anno sono nato io e una clamorosa ondata di gelo ha travolto l’Italia. La cosa fa parecchio riflettere.

4. USA: nello stesso Paese Scarlett Johansson e l’incontrollata diffusione di armi. La cosa fa parecchio riflettere.

3. Estremo Oriente: nella stessa area geografica il sushi e un tizio con un taglio di capelli orribile che gioca con razzi di cartapesta. La cosa fa parecchio riflettere.

2. Uretra maschile: nello stesso condotto il passaggio dell’urina e dei cromosomi trasmessi ai figli. La cosa fa parecchio riflettere.

1. Internet: nella stessa rete la presenza di vastissime fonti di informazione e la presenza di tanti minchioni. La cosa fa parecchio riflettere.

Potrebbe andare avanti a piacimento ripartendo da capo, ma mi fermo qui. La cosa fa parecchio riflettere.

Il Vocaboletano – #3 – Intalliarsi

Terzo appuntamento del corso di napoletano facile tenuto da me e crisalide. Da oggi sarà presente anche in edicola: e se il vostro edicolante non ce l’ha, rimproveratelo in modo aspro denunciando un complotto dei poteri forti.


La parola di oggi è: intalliarsi. Detto anche intallearsi o ‘ntalliare, non ha niente a che fare con la tecnica artistica dell’intaglio. Con questo termine si indica invece l’indugiare, il perder tempo, il ciondolare in modo pretestuoso senza far ciò che si deve.

Non si tratta di un mero ozio né è equiparabile con l’abbandonarsi su un divano a poltrire. Questo ultimo, infatti, è un semplice atto passivo.

Intalliarsi richiede invece un’azione concreta e attiva da parte dell’individuo, tal dal distoglierlo dalle attività da compiere.

Immaginate di avere un appuntamento a un orario preciso. Voi arrivate di corsa in anticipo, mentre c’è sempre quello che si presenta con comodo, perché ci mette un’ora per essere pronto:

  • mette i vestiti sul letto
  • accende la radio
  • si fa la doccia
  • dopo la doccia resta a guardarsi allo specchio grattandosi come una scimmia
  • va in cucina a farsi uno spuntino
  • torna in bagno: se è maschio decide di cagare, se è femmina si mette con la pinzetta a togliersi dei peletti invisibili e isolati sparsi sul corpo che nota soltanto lei
  • mette i pantaloni
  • cambia musica
  • cambia pantaloni
  • si mette a ballare
  • torna in bagno per cagare di nuovo o per strappare altri peli
  • termina di vestirsi
  • prima di uscire telefona a qualcuno e resta mezz’ora al telefono

Questa è una tipica sequenza di intalliamiento. E se vi capita spesso di fare cose del genere, siete degli intalliatori. Compiacetevene, perché in fondo è una vera filosofia di vita.

I gatti sono capaci di intalliarsi per ore

I gatti sono capaci di intalliarsi per ore

Intalliarsi è un atto di ribellione verso l’ordine costituito: spesso eludere un’attività può comportare un dispendio di tempo ed energie superiore a quello richiesto dal compito da svolgere. Ma a chi si intallea non importa, fondamentale è scansare momentaneamente qualcosa perché “Lo faccio quando decido io, non quando mi viene imposto”.

Intalliarsi non ha solo l’accezione negativa di scansare le fatiche.
Vuol dire anche prendere la vita in modo rilassato. Probabilmente è una cosa tipicamente meridionale, anzi, mediterranea: significa non vivere lo stress delle scadenze e non considerare il tempo solo ed esclusivamente come denaro.

A me non è mai capitato di intalliarmi quando ho un appuntamento, anzi, ho la malattia dell’anticipo. Purtroppo.


“La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate” (Stefano Benni).


In compenso, mi intalleo quando ho delle scadenze per le cose da fare. Mi riduco sempre all’ultimo, perché nel mentre intraprendo altre attività e non sento alcuna pressione per il tempo che scorre.

Avere a che fare con chi si intallea può avere risvolti positivi: penso alla scena classica di una ragazza che giocherella con le chiavi prima di scendere dall’auto. Si sta intalliando perché magari ha piacere a restare con voi. Buon segno!

Se invece ha le chiavi in mano prima di salire sull’auto e si getta dal finestrino a motore ancora acceso…beh, di sicuro non si intallea e dovreste chiedervi il perché.

Etimologia
Le origini sono sconosciute. Qualcuno lo fa risalire al greco antico, al verbo θάλλω (tallo), ipotesi non assurda in quanto nel dialetto non è raro trovare influenze del greco. θάλλω vuol dire fiorire, il che farebbe riferimento in modo figurato all’atto di chi si si pianta in un posto e non si smuove, anzi, mette radici e frutti.

Un salto logico forse azzardato.

Una seconda ipotesi vorrebbe che fosse un composto latino in+talos (talloni): star sui talloni, nel senso di esser statici. Oppure, potrebbe indicare l’atteggiamento di chi ciondola e gioca stando in equilibrio sui talloni e poi sulle punte e poi di nuovo sui talloni. Interpretazione più compatibile con un comportamento attivo e perditempo.

Qualunque sia l’origine, mi sto intalleando invece di congedarmi da questo post.

Non è che il barista per lo stupore esclami “Apperol!”

A. mi ha detto che lascia il lavoro.
Lascia la società a Bruxelles per volare a Madrid dal novio (il fidanzato).

Un po’ mi dispiace non lavorare più con lei, seppur a distanza. Dall’altro lato, sono sempre felice di sentire di persone che intraprendono dei cambiamenti.

Credo che il cambiamento sia sempre positivo. Fa bene al cervello, perché ne riceve nuovi stimoli. E più riceviamo input, più siamo in grado di comprendere, di avere una visione del mondo che non sia ristretta alla parete della nostra pagina facebook.

Anche io ho affrontato dei cambiamenti nella mia vita.

Come quando intorno ai 3-4 anni ho smesso di far pipì nel bidet.
A dire il vero non fu un passo totalmente spontaneo e voluto. La spinta venne da qualche sonoro scappellotto genitoriale.

Un’altra svolta importante in giuovine età fu passare dalle mutande ai boxer. Non avere più qualcosa che quando l’elastico si slarga lascia sfuggire il meglio di uomo (cit.)  costringendo a vari contorsionismi per ritrovare l’assetto perduto, migliora in modo sensibile le proprie giornate.

A proposito di Gillette, cambiare rasoio da un comune trilama ai pentalama fusion power rangers dragon ball smise di trasformarmi in Freddy Krueger a ogni rasatura.

A far da contraltare ci fu poi la decisione successiva di far crescere la barba, avendo la forza di volontà di superare la fase iniziale in cui sembra che tu abbia fatto naufragio su un’isola deserta e stia or ora tornando alla civiltà.

Ovviamente non tutte le strade nuove portano a risultati positivi. Ma è l’esperienza quella che conta, perché a suo modo è sempre formativa.

Come quando mi sono trovato in uno chalet in montagna lontano 20 km dalla civiltà e col prosecco per lo spritz che era terminato. Non c’era neanche il wifi. Roba da far imbufalire un Salveo Mattini.

Salveo Mattini con il caratteristico maglione verde infuriato perché gli italiani non hanno come farsi lo Spritz

Salveo Mattini con il caratteristico maglione verde infuriato perché gli italiani non hanno come farsi lo Spritz

A quel punto abbiamo tirato fuori dalla valigia il nostro Veneto – inteso come abitante del – da viaggio (occorre sempre averne uno dietro quando si tratta di alcool, a maggior ragione di spritz) che ha avuto l’idea di prepararne uno con quel che c’era in casa:

– Aperol (almeno la base)
– Birra rossa (…)
– Amaro del Capo (!)
– Acqua (serve come moderatore della miscela, come nei reattori nucleari per evitare che la reazione vada fuori controllo)

Il risultato non è esploso e non ci ha uccisi. Già questo  fu un buon risultato. Non credo però che lo ripeterò mai a casa ma resterò fedele alla ricetta classica.

Come dicevo sopra, è l’esperienza quella che conta.

Non è che racconti di quando ti piaceva uscire a bere iniziando con “C’era una vodka…”

Uno dei grandi limiti della democrazia è che tutti si sentono legittimati a far sentire con forza la propria opinione, anche chi democratico non è ma ritiene comunque di poter usufruire dei diritti della democrazia perché, altrimenti, Che democrazia è allora? Quindi fa bene uno a non credere nella democrazia, se questa si rivela una farsa!.

C’è sempre poi chi è lesto nel citare Voltaire, il quale, se fosse tra noi, citerebbe a sua volta volentieri per danni chi lo nomina a vanvera, visto che non ha mai enunciato l’aforisma sulla libertà di opinione che gli si attribuisce.

Facevo queste considerazioni mentre leggevo la notizia del licenziamento di un’insegnante che si era espressa in termini “un po’ accesi” (il gioco di parole non è involontario) contro gli immigrati. In parole povere, secondo lei dovrebbero svolgere un utile servizio come diavolina accendifuoco. Pare che l’ex insegnante voglia ora ricorrere al TAR, non mi è chiaro se per riavere il posto o per far gettare immigrati nei caminetti.

Questo è un caso di opinioni incompatibili con l’esercizio della propria professione. Si può berciare quanto si vuole appellandosi alla libertà di opinione e al diritto di esercitarla nel proprio privato: nel privato, per l’appunto. Se una cosa viene resa nota anche solo a un’altra persona, non è più privata.

Sapendo cosa costei pensa e dice pubblicamente, le fareste educare i vostri figli?


O comprereste un’auto da lei (cit.)?


Metti che poi tornano a casa e cominciano a chiedervi benzina e accendino per un progetto scolastico.

Sul rapporto tra espressioni private e immagine pubblica mi torna in mente un aneddoto di quando, qualche anno fa, ho frequentato un corso in risorse umane. O disumane, visti i partecipanti.

Il docente, un giorno, spiegava che, nel mondo di oggi, bisogna stare attenti a cosa si pubblica online. Se si sta cercando lavoro, non è bene avere come immagine del profilo pubblica su facebook una foto in cui state tra le gambe di un/a modello/a a suggere vodka pura fatta scorrere sul suo torace. Un selezionatore HR che cercherà informazioni su di voi online potrebbe rimanere colpito in modo negativo.


O riconoscersi nel modello.


Udendo ciò, si alzò nella classe una grande mente (o gran demente) e chiese: Ma io non capisco, saranno fatti miei se il sabato sera mi voglio sfondare di vodka?!.

Sì. Ma sarebbe bene non farlo sapere in giro.

Lei non si convinse.

Voi andreste ancora dal vostro commercialista se lo vedeste mentre si accende sigari col denaro (magari quello della vostra parcella) e sniffa coca dallo sfintere di una escort?


Di 3 ore di film di Scorsese ricordo solo:
– DiCaprio e il sorriso al contrario
– DiCaprio che si carica come Braccio di Ferro ma con la coca
– DiCaprio che sniffa dall’ano della escort.
E poi ci si chiede perché quel film non abbia vinto l’Oscar!


È bene quindi che delle cose non vengano mai fuori.

Ad esempio il mio vicino di casa in Terra Stantia pensa che io sia una persona sgradevole, probabilmente. O un imbecille. Comunque, quando mi vede si volta dall’altra parte a volte con torsioni del collo che neanche nell’Esorcista.

Io a mia volta penso che il mio vicino di casa sia una persona sgradevole e un imbecille. Quando lo vedo non mi volto, mi basta tenerlo fuori dal campo visivo guardando fisso un punto lontano.

Non ci siamo mai detti quanto ci troviamo sgradevoli.

Questa è la vera democrazia!

Non è che al fruttivendolo costipato tu possa chiedere “cachi”

Oggi in ufficio si è tenuta la tradizionale riunione, pardon, meeting, pardon, rottura di maroni, per raccontarci come stanno andando le cose.

Come ho già descritto in questo blog, è un’operazione di una inutilità disarmante. Abbiamo un software gestionale interno dove sono presenti i progetti in corso, quelli chiusi, quelli vinti, il budget, gli annessi e mazzi vari.

Ma il nuovo corso di questa società è meeting! meeting! meeting!. Quindi ci si siede in sala riunioni, con il Tacchino (il capo o presunto tale) e la Castora (la capa dell’ufficio finanza) e io e CR riferiamo le stesse cose che sono presenti nel software gestionale. Il Tacchino ascolta con gli occhi sbarrati come un gallinaceo alla vigilia del Giorno del Ringraziamento, la Castora segue china sul proprio notebook come un nerd che gioca a un MMORPG.

Quest’oggi, prima della riunione, stavo sbirciando facebook. E mi caduto l’occhio su questa vignetta (copyright di Labadessa):

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Questa parte soprattutto ha iniziato a farmi sbellicare:

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È infantile. È puerile. È bambinesco. E andrei avanti se ricordassi altri sinonimi.

Eppure, sentivo una incipiente risata che non riuscivo a controllare. Mi stava scoppiando una vena in testa.

Poi CR ha detto una cosa divertente e ho pensato di potermi sfogare liberamente, ma la portata ridanciana della sua battuta non era tale da giustificare una risata sguaiata da parte mia.

A non aiutarmi ci ha pensato la Trallallà, cui avevo scritto confessando il mio disagio di fronte alla vignetta, inondandomi prontamente di sms, mail e messaggi messenger con su scritto “mo mi caco”.


Ne ho accennato in passato su questo blog in modo vago perché su certe cose sono riservato. Da un po’ di tempo a questa parte ho una Trallallà nella vita.


Così, poco prima della riunione, sono scappato in bagno a ridere in silenzio.

È una cosa più difficile da fare di ciò che sembra.

Sono entrato in sala riunioni rosso in viso e sudato.

– Gin che hai, tutto a posto?
– Sì sì…no è che sai che le lenti a contatto a volte mi bruciano e fanno un male cane…
– Ma tu oggi hai gli occhiali
– Eh sì appunto ho provato a mettere le lentine ma ho visto che non andavano bene…beh, iniziamo la riunione o no?

Pensavo di essermi sfogato abbastanza in precedenza, ma non era così.
Ogni tanto mi riaffiorava in mente la vignetta.

Ho provato a pensare alle cose più tristi di questo mondo.

  • Bambini poveri.
  • Bambini poveri che mangiano biscotti al glutine, glutammato e olio di palma.
  • Massimo Gramellini che scrive un editoriale sui bambini poveri che mangiano biscotti al glutine, glutammato e olio di palma, chiudendo con “Ma in che mondo viviamo? Che umanità è questa se nel 2016 si mangiano ancora biscotti al glutine, glutammato e olio di palma?”.
  • Selvaggia Lucarelli che insulta Massimo Gramellini.

Mentre ero intento in questi pensieri tristi, il Tacchino a un certo punto mi ha chiesto:

– Gintoki, tu vuoi aggiungere qualcosa?
– Ehr..no (mo mi caco)…sono d’accordo (mo mi caco) con quello che ha detto CR (momicacomomicacomomicacomomicaco)
– Ok

Qualunque cosa avesse affermato.
Per quanto mi riguarda, lei potrebbe pure aver detto I’m going to shit myself.

Non è che il gattaro pensi solo ai gatti propri

Tra gli incontri che trovo più sgradevoli, più di quelli con una volante o con dei predicatori religiosi, c’è quello con gli inquisitori. E non mi riferisco a membri del clero dediti al contrasto all’eresia con metodi ‘discutibili’.

Penso a persone che ti mettono all’angolo ponendo domande e che non vengono placati dalle risposte ricevute. Sono mossi da un bisogno compulsivo di venire a conoscenza dei fatti altrui.

Sono anni che conosco un individuo del genere. Quando gli salta l’uzzolo seguita a incalzare l’interlocutore, lo scruta stringendo un occhio e inclinando il capo di lato. “Confessa! Confessa!” sembra dire il suo sguardo. Il tutto gli conferisce un aspetto vagamente gufesco.


Qualcuno non sarà d’accordo e replicherà che i gufi sono animali simpatici. Sono d’accordo, ma se un gufo mi tempestasse di domande non lo troverei più simpatico per il solo fatto di esser un gufo, passerebbe in secondo piano rispetto al suo esser rompicoglioni.


Ricordo una volta, vari anni fa, in cui mi fece

– Ma la tua ragazza dov’è?
– Eh no ci siam lasciati…
– Come mai?
– Eh le cose non andavano più bene
– Cioè?
– Beh si arriva a un certo punto in cui tendono a ripetersi delle dinamiche e non c’è più una crescita
– Perché?
– Perché quando non si ricevono più stimoli in entrambi i sensi non c’è più uno scambio, il rapporto di coppia si inaridisce
– E quindi?

A quel punto intervenne un terzo
– Non te lo vuole dire, basta

Che mi salvò dal dirgli Hai rotto il cazzo.

Quando mi capita di incrociarlo per strada mi attengo sul formale e il generale, in ogni modo non credo di rientrare più tra i suoi interessi. Mi chiede a volte di terzi in comune. Io glisso sempre con un Non so niente.

Oggi mi ha scritto all’improvviso

– Lo sai ho incontrato Tizio. Te lo ricordi?
– Sì, a volte lo incrocio per strada
– L’ho visto strano. Gli ho chiesto Tutto bene? e lui mi sembrava nervoso ma ha detto Sì tutto bene
È sempre stato un po’ schivo [E tu gli facevi schivo mi sa]
– Ma sta lavorando?
– Non lo so [Perché non l’hai chiesto a lui?]
– Ma sta sempre col cellulare in mano, ma una donna ce l’ha?
– Non lo so [Magari scrive a una donna, che ne sai. Dubito rincorra i Pokémon a quarant’anni]
– Anche dalle sue foto, zero. Capirai, comunque, parla poco e niente come se poi a noi interessasse qualcosa
– [Infatti, uno che gli va a spulciare pure le foto su facebook è un tipo discreto] Ma sai, è schivo…
– Secondo me ha qualcosa da nascondere e non lo vuole far sapere
– Scusa devo andare a dare le pillole al gatto


NOTA STORICO-ANTROPOLOGICA
Un individuo del genere da queste parti si può qualificare come capéra. In origine, nell’Ottocento, la capera era la parrucchiera a domicilio, che sistemava le teste (le cape) delle donne. È noto che tale mestiere porta a entrar in confidenza con i propri clienti, ancor oggi è così. La capera veniva così a conoscenza di tutti i fatti altrui e, per avere argomenti di conversazione, riportava confidenze e pettegolezzi da una cliente alle altre, creando un giro di gossip di quartiere. Oggigiorno essere una capera equival a esser quindi pettegoli e ficcanaso.


Non è che il pittore sia scarso a poker perché ha sempre e solo quadri

Ieri una persona che è presente tra i miei contatti Facebook ha scritto:
Tizia sta guardando dei quadri al Noto museo d’arte di Nota città dove girano serie tv e catastrofi varie.

“Guardando dei quadri”.

Ho continuato a tornarci sopra col pensiero di tanto in tanto, chiedendomi cosa ci fosse che per me non andasse in quell’enunciato.

Da un punto di vista logico è ineccepibile: in un museo d’arte cosa si fa, se non guardare dei quadri?


Io ci vado anche perché sono silenziosi. Quando non ci sono visite guidate.


Perché infatti non si potrebbe dire che in un museo guardi dei quadri? Chi non è presente non lo sa che tu guardi i quadri. Eppure una persona non esclama mai “Oh figa, andiamo a guardare dei quadri in un museo”, allo stesso modo in cui dice “Andiamo a mangiare una pizza”.

Non sto paragonando i quadri a una pizza, per quanto qualche opera mi annoi e io la ritenga una pizza, ma non lo dico perché non ne capisco di arte.


L’arte per me si suddivide infatti in “bella arte” e “arte che per mie limitate conoscenze non comprendo”, in questo modo non urto la sensibilità di nessuno se dico che qualcosa non suscita il mio entusiasmo.


Quindi l’enunciato della mia conoscente è corretto, seppur poco utilizzato dalla gente comune.

È come dire: guardo dei libri in una biblioteca. Guardo delle case diroccate a Pompei. Guardo una torre di ferro a Parigi. Guardo una enorme basilica a Roma. E potrei andare avanti per ore ma stasera ho da fare delle cose.

Allora in un mondo che si rinchiude sempre più nel particolarismo e alza barriere ed esce dall’Europa  e sbaglia i calci di rigore in maniera originale, io dico ben venga un barlume di generalismo a riportarci in una dimensione più distaccata.

Guardate dei quadri, gente! Guardate dei quadri dipinti, dei quadri elettrici, dei quadri svedesi. E delle camicie a quadri, ovviamente.

Della gente che guarda dei quadri. E a me piace guardare della gente che guarda dei quadri.