Non è che il ventilatore ti annoi perché è un giramento di pale

Per la rubrica “Confessioni surreali che non avevo richiesto”, oggi mi trovo a raccontare di alcune situazioni verificatesi dove lavoro.

La guardia alla reception del turno pomeridiano è il tipo di persona che se ti ingaggia ti investe di chiacchiere.

Pensavo che, non conoscendoci, sarebbe andato per gradi con me. Invece no. La nostra prima conversazione si è svolta così:

– ‘Sera.
(dico io, uscendo)
– Buonasera, buonasera.
(replica lui, cordiale. Poi si alza e mi segue)
– Mammamia, che caldo.
(esclama, mettendo il naso fuori mentre io esco)
– Eh sì.
(faccio io)
– Però non è che si può stare sempre con l’aria condizionata. Io poi la soffro tantissimo, mi basta un colpo di freddo e devo correre in bagno.
– Eh troppo bassa magari non bisogna tenerla.
– Però poi la notte non si dorme. Solo che se la tengo accesa pam! diarrea. Ma pure col ventilatore. Se tengo il ventilatore acceso durante la notte, il giorno dopo: diarrea! Pure se lo tengo puntato sui piedi, poi sto male di pancia.
– Eh magari è ipersensibile al freddo.
(io, tra il perplesso e il disagio)
– Ma pure se mi mangio qualcosa, ieri mi son preso un polaretto dal frigo e son dovuto correre in bagno.
– Eh deve fare attenzione
(nel frattempo ormai ero uscito dall’edificio ed ero sceso giù alle scale, sperando mi lasciasse andare, come poi è stato)

E niente, questa è stata la nostra prima conversazione.

Anche la mia collega ha iniziato a raccontarmi di un po’ di fatti suoi.

Ad esempio la storia delle fatine bucchine. Che è il modo carino con cui definisce la ex moglie e le due figlie del suo compagno.

Il succo della storia è che questo tipo si fa spennar denaro per qualsiasi vizio da parte delle fatine.

Ovviamente questa è la versione della mia collega.

Prima delle ferie mi ha raccontato l’aneddoto in cui la ex moglie ha scritto a lui per chiedere un centinaio di euro per la figlia minore, che aveva bisogno di un set di bagnoschiuma per il suo viaggio a Londra.

Alle rimostranze del tipo sulla necessità di 100 euro per farsi uno shampoo, la ex moglie ha replicato “Però per QUELLA li spendi i soldi”.

Al che la mia collega, che era presente mentre lui riceveva questi messaggi, gli ha sottratto il telefono dalla mano per registrare questo vocale:

– Senti bella, io la mia roba me la compro da sola. Ma se hai bisogno, te lo vado a comprare io il bagnoschiuma, pezzente.

E niente, immagino che il Natale sia sempre un bel momento.

In tutto questo mi chiedevo: ok, ma perché devo conoscere io queste cose?

Un altro aneddoto curioso è quando mi ha raccontato di una sua amica con cui è impossibile andare in vacanza perché, essendo fanatica dell’igiene, passa un sacco di tempo in bagno a lavarsi, come mezz’ora per un bidet.

– Alessà’, quello un buco è, che tieni da lavare?!
Le ha urlato una volta.

Al che, per elevare la discussione, ho detto che non avrà più difese, distruggendosi la flora batterica a forza di lavaggi continui.

– Infatti si becca sempre la candida. Ci credo, sta un’ora a lavarsi la fessa.

Cioè diciamo che pure io che do corda alle conversazioni poi me la vado a cercare.

Non è che devi essere un sovrano per fare esperienze Reali

Ho condiviso esperienze, per di più lavorative, con diverse persone nella mia vita. Ho spesso constatato un forte spirito di attaccamento in quei frangenti, il cosiddetto fare gruppo che motivatori pagati un metalmeccanico l’ora mirano a costruire con le loro consulenze, proiettando slide e organizzando giochini aperitivi degni di un animatore Alpitour degli anni ’90.


Quando invece ho avuto esperienze con motivatori ho ricevuto l’effetto contrario desiderando di fare come Jack Frusciante.


Abbiamo riso – spesso anche pasta in qualche pranzo – ci siamo abbracciati, toccati, scambiati fluidi.


L’ultima cosa forse è avvenuta solo in qualche strano sogno erotico che ho fatto.


Quando l’avventura termina ci si lascia con rammarico. Non sparire, Restiamo in contatto.

Dopo un po’, qualche messaggio di meno, una conversazione che si fa silente, argomenti che scarseggiano perché esaurito il campo de Ti ricordi quella volta?, i contatti si fanno sempre più sporadici e brevi senza altro da dire.

Perché in realtà non abbiamo mai detto nulla. Abbiamo sempre tenuto le rispettive vite private al di fuori di qualsiasi spazio di condivisione. Esauriti i discorsi con al centro il lavoro o i docenti, non abbiamo altro da dirci perché altro non conosciamo gli uni degli altri.

Spesso mi interrogo sulla concretezza di queste esperienze. Mi chiedo se siano reali o meno. Se lo sono, com’è che si volatilizzano velocemente come 10€ nel mio portafogli? Se non lo sono, perché sono sempre così intense?

Ma soprattutto: chi motiva i motivatori?

Non è che una canzone senza il cantato sia utilizzata per secondi fini perché è strumentale

Ho un po’ di avversione verso coloro che nei mezzi pubblici parlano al telefono a voce alta e devono far sentire a tutti i fatti loro.

Ho anche però la tendenza a farmi i fatti altrui come fossi la peggiore comare di paese. Quindi ogni tanto l’orecchio si tende a captare frammenti di conversazione.

L’altro giorno per due ore di viaggio ho ascoltato le vicende di una donna che ha aggiornato tutti noialtri passeggeri sulla propria vita. Io avevo le cuffie e ascoltavo del “rallegrante” post rock strumentale ma mi arrivava comunque la sua voce da dietro.

Ciò che le era successo e che ho ricostruito è che lei aveva lasciato l’auto dal meccanico, che l’ha poi consegnata – all’insaputa di lei – a qualcuno, forse il marito o ex tale. E la cosa che le premeva era che dentro l’auto lei avesse tutti i propri vestiti. La cosa più grave è che a quanto pare – non ho capito se fosse vero o meno – l’auto era stata ritirata per farla rottamare. Con tutte le cose sue dentro.

Al telefono parlava di ciò con il fratello del (forse) marito o ex tale.

Il colpo di scena – a un certo punto la cosa si era fatta inquietante come un thriller – è che lei ha cominciato a pensare che dietro la macchinazione ci fosse una certa R. Dato il linguaggio colorito con cui l’ha citata, opterò per riportare una versione più forbita:

«Sai cos’è? Dev’essere stata quella proterva meretrix di R; avrà praticato una fellatio a tuo fratello, si sarà fatta aspergere da lui la cavità orale e si è fatta consegnare la macchina».

Confesso mi sono chiesto questa R. quali arti amatorie potesse vantare tali da riuscire ad avere un’auto in cambio di un favore carnale.

Poi ha cominciato ad avanzare l’ipotesi che dietro la macchinazione potesse esserci la madre di loro. «Se è così – ha minacciato – le do fuoco alle finestre».

Perché mai le finestre, mi domandavo io?

«Così non può uscire».

O cacchio. Leggeva anche nel pensiero.

Poi sono sceso e non ho saputo com’è andata a finire. Può sembrare la vicenda mi abbia fatto sorridere, in effetti le gesta della summenzionata R. lo hanno fatto, in realtà mi ha lasciato con un senso di inquietudine e angoscia. La gente che si minaccia azioni e ritorsioni mi spaventa, anche se nel 99% dei casi si tratta solo di sfoghi dettati da ira e frustrazione – anche comprensibili, se ti rottamano o ti fanno credere di rottamare il tuo guardaroba.

Forse dovrei cominciare ad ascoltare musica meno disagiante per non farmi condizionare.


Cosa ascoltavo in viaggio:

 

Non è che nell’800 piangessero spesso perché si andava in giro con la cipolla

Ho fatto un incontro sgradevole, per strada.

Ho incontrato un conoscente, uno di quelli che ti trattiene a parlare con discorsi pedanti e pesanti. In particolare il suo tema preferito è la “questione Meridionale”: il mio conoscente è esponente di un movimento borbonico.

Già temevo, avendolo avvistato, qualche comizio da parte sua. Se non che, si è concentrato sulla mia barba:

– Ti vuoi tagliare ‘sta barba?
– No.
– Ti vedo filosofo.
– Ah.
– Marxista.
– Ah.
– E juventino.
– Eh?
– Sì, facci caso, tutti gli juventini tengono ‘sta barba.

Juventino a me, mai.
Tralascio tutto il resto dell’incontro, volevo soffermarmi sull’offesa ricevuta, una macchia sull’onore che un tempo si sarebbe lavata con un duello.

E ho riflettuto su come appunto, nell’età dei gentiluomini, certe cose fossero molto più semplici. Almeno stando al quadro della società e dei rapporti personali dipinto da romanzi coevi a quell’epoca.

1) Le offese, come dicevo, venivano risolte con un duello. Con regole certe e convenute dai duellanti, un appuntamento preciso, testimoni e medico al seguito. Non era necessario che l’incontro si concludesse con la morte di uno dei contendenti: molto spesso bastavano un paio di tiri di spada sulla coscia o un buco in più nel panciotto per porre termine alla questione e dopo magari amici più di prima. Un sistema regolativo delle divergenze efficace e discreto: i duellanti si incontravano in un luogo isolato, senza coinvolgere terzi (salvo i ‘secondi’ e il medico che assistevano) nello scontro.

2) Le relazioni sentimentali erano più semplici e immediate: il gentiluomo notava una fanciulla interessante a una festa, le chiedeva un ballo, dal giorno dopo cominciava a frequentare, con visite di cortesia, casa sua. Alla quarta-quinta visita i familiari si aspettavano una proposta ufficiale perché non è che uno può venire a casa a rompere le palle pretendendo di far conversazione e scroccando colazioni, tè, cene, ad libitum.

3) Sempre a proposito di relazioni, il marito stanco e annoiato di adempiere ai propri doveri coniugali poteva ben accettare la presenza di un accompagnatore per la propria consorte per le occasioni sociali. Spesso trasformato in vero e proprio amante, il cicisbeo in questa veste era accettato purché l’adulterio non si compiesse sotto gli occhi del coniuge.

4) Se una conversazione si faceva troppo accesa, se un argomento finiva per coinvolgere troppo personalmente, se la discussione cominciava a farsi scomoda, il gentiluomo o la gentildonna potevano farsi cogliere da uno svenimento, che il giorno dopo evolveva in febbre cerebrale impedendo di ricevere visite di postulanti e seccatori – gli stessi che erano causa dello svenimento – per giorni.

5) Per inviare delle comunicazioni si utilizzavano dei bigliettini. Che si potevano ignorare senza l’ansia di far venire a conoscenza al mittente di aver visualizzato e non risposto.

6) Le questioni importanti, in molti casi quelle di cuore, si comunicavano con lunghe, prolisse e verbose lettere, alcune della lunghezza di un romanzo. Si potevano utilizzare vaghi e vari giri di parole senza arrivare mai al punto, tanto il destinatario poteva ben dedicarsi alla lettura non avendo altro da fare né esistendo tv, cinema, computer,internet e altri intrattenimenti/distrazioni. La corrispondenza, anzi, era un modo di impiegare e trascorrere il tempo.

7) Fino al 1897 non esistevano juventini.

Mi sembrano tutte valide ragioni per trasferirsi nell’800!

Non è che ti serva un disegnatore per tracciare il profilo di un candidato

È sempre interessante sostenere un colloquio di lavoro.

Tralasciando la dose di ansia pre-incontro che mi affligge in queste situazioni, che mi porta a immaginare uno scenario di eventi catastrofici in una scala che va da “Morte improvvisa” (la cosa per me migliore) a “Mi cederanno i pantaloni e resterò nudo davanti agli esaminatori e mi denunceranno per atti osceni e spargeranno la voce e la mia vita professionale sarà rovinata”.

Ieri ho passato, tra andata e ritorno per raggiungere la sede dell’incontro, 8 ore in treno. Sono uscito di casa alle 7:30 per ritornarvi alle 22.

Il tutto per 20 minuti di conversazione. E 100 € di biglietto, acquistato per forza di cose due giorni prima appena saputo. Una escort forse sarebbe stata più economica.

Non saprei dire se la durata sia stata poca o no: ormai è impossibile tracciare uno standard colloquiale. Una volta in un’azienda mi tennero un’intera giornata per 3 sessioni di colloquio in cui nell’ultimo mi chiesero Com’è il rapporto coi suoi genitori? e poi mi dissero Arrivederci e grazie. Forse non risposi bene a quell’ultima domanda.

Forse dovevo replicare “Sono Bruce Wayne. E comprerò questa baracca per sbatterti fuori”.

Per il precedente lavoro invece ebbi un colloquio al telefono che durò un’ora ma in cui quello che sarebbe diventato il mio Responsabile non mi parlò di altro che dei suoi personali esami clinici. Pensai che forse si era trattato di un test di empatia, ma anche durante la mia esperienza lavorativa ci ha tenuto a darmi ragguagli medici tra cui lo stato della sua prostata.

C’era una particolarità nell’ufficio dove ho sostenuto ieri il colloquio. Una scrivania di vetro. Secondo me è una roba da psicopatici o pervertiti.

Perché mai uno dovrebbe guardare gambe e piedi della persona seduta di fronte? Senza contare la scomodità di non vedere il bordo, rischiando di sbattervici contro oppure, a ogni accavallamento di gambe, di darvi una ginocchiata sotto.

Nonostante sul mio CV fosse scritto dove vivo (prima riga del riquadro del profilo) e dove lavoro (prima riga del riquadro esperienze), una delle due tizie che mi ha esaminato mi ha fatto una brillante domanda: Tu vivi a Napoli?. Avrei voluto replicare: No, vivo a Baden-Baden (Germania-Germania), faccio il pendolare.

La stessa tizia aveva un evidente raffreddore ultimo stadio. Ha passato tutto il tempo a strusciarsi sul naso e rigirare tra le dita un fazzoletto sbrindellato. E poi mi ha porto la mano alla fine. Mi sono disinfettato con l’accendino appena girato l’angolo.

Quando ho chiesto “Com’è l’ambiente qui?”, che è una domanda che faccio alla fine per generare qualche chiacchiera informale che può tornare a mio vantaggio, mi hanno risposto, guardandosi con un ilare imbarazzo – come a fare “Che gli diciamo?” –  Siamo tutte donne.

Noi vorremmo incrementare la quota – hanno aggiunto – ma non riusciamo….

A quel punto avrei voluto chiedere perché non riescono, ma mi sembrava eccessivo. E ho pensato che però un colloquio realmente onesto dovrebbe contemplare la possibilità che il candidato alla fine possa fare domande tendenziose e fastidiose, del tipo (esempi ispirati da tutte le mie esperienze passate):

Perché non fate riparare il citofono?
Questo posto lo avete arredato per scommessa o avete solo pessimo gusto?
Immagino che il vostro settore ricerca biologica sia molto avanzato, a giudicare dalla muffa sulle pareti, giusto?
La persona che prima ricopriva la posizione per cui sono qui perché è andata via? Scelta professionale o esaurimento nervoso?
Lei il mio CV lo ha letto o ne ha fatto un aeroplanino?
Vista la sua età dovrei chiederle come si vede tra 10 anni?
– Ma lei trova intelligente tenere sogni nel cassetto?

Seriamente: perché una scrivania di vetro?

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dal webbe

Non è che serva il soccorso alpino per una valanga di chiacchiere

Salve, sono Gintoki. Forse vi ricorderete di me per esperienze come Non è che l’albergatore abbia un fucile di precisione per fare il checkin, in cui raccontavo di come mi cimentavo nel gestire un B&b per un’amica in vacanza.

Questo fine settimana le sto dando di nuovo una mano in sua assenza. Oggi mi sono presentato al B&b e dentro vi ho trovato la madre del proprietario – che era lì per aspettare il tecnico della lavatrice – che parlava con un ospite già presente.

“Parlava” non rende l’idea. Diciamo che subiva una valanga di chiacchiere da questo ragazzo. Appena sono arrivato io lei ne ha approfittato per andare al bar dicendo “Sto via solo 2 minuti”.

È tornata dopo mezz’ora.

Mezz’ora in cui il tizio mi ha fatto fumare le orecchie fino a che non sono arrivati gli ospiti che attendevo. Se durante il suo flusso logorroico io lo interrompevo per rispondere al telefono, lui poi riprendeva dallo stesso punto esatto in cui l’avevo lasciato. Forse da piccolo ha ingoiato un registratore e quindi ora riesce a stoppare a comando e riprendere da quel punto.

Invidio un po’ le persone così. Esauriscono gli altri ma loro non se ne curano affatto. Probabilmente è perché non concepiscono l’idea di fare una normale conversazione: loro recitano dei monologhi. L’interlocutore serve solo come spalla.

Il logorroico non so come nasca. Se è stato un trauma infantile a renderli così o meno: forse hanno taciuto o sono stati costretti a farlo per tutta l’infanzia e l’adolescenza e oggi hanno un surplus di parole da spendere.

Oppure sono stati morsi da un politico radioattivo e ora vivono in un comizio costante. Non ho idea.

In tanti anni di vita non ho ancora trovato il modo di spegnerli. Il modo civile, intendo.

Credo che una botta in testa sia passibile di reato.

Non è che per Don Chisciotte il resto fosse Mancia

Quella volta mi scrisse “Non vedo l’utilità di essere “amici”, “conoscenti””. Virgolette comprese intorno ad amici e conoscenti. E lì fu la pietra tombale sulla conversazione.

L’utilità.

Qual diamine persona gretta parla di utilità riferendosi agli altri individui? Non è una tariffa telefonica, non stai mica valutando cosa ti sia più utile tra 1000 minuti o 30 gb.

– Salve buongiorno, è il Sig. Gintoki? Sono Gonorrea della Voltafogne, la contatto per questa nuova offerta che le dà un conoscente in più al mese per sempre
– No grazie non ne vedo l’utilità

Non ho mai ragionato in questi termini e forse ho sbagliato. Mi sarò precluso tante occasioni nel valutare l’utile in questo o quel rapporto.

Ci ritorno su riflettendoci mentre mi allontano dalla cena per andare in bagno. Chiudo come sempre la porta tenendola tra la punta di due dita perché penso a tutta la gente che la tocca senza essersi lavata le mani.

La minzione sembra interminabile e io continuo nelle mie riflessioni. È molto bello eleggere a pensatoio un cesso delle dimensioni di un metro per un metro di una trattoria alla buona .

Torno e cominciano ad arrivare i piatti. Io volevo solo un primo: 120 grammi di ziti al ragù napoletano. Alle 23 è meglio star leggerini. Però mi attiravano anche le polpette, sempre al ragù. Ma non ce l’avrei fatta a finirle insieme al primo piatto. La mia vicina di posto pensando probabilmente la stessa cosa allora mi aveva guardato facendomi: “Ce le dividiamo?”. Così le avevamo ordinate.

Non posso dire sia una mia amica. Non mi invita manco ai suoi compleanni. Direi quindi che sia più una conoscente.

E, improvvisamente, col piatto davanti da poter dividere permettendomi di gustare le polpette nella giusta quantità, ne ho vista l’aura di utilità nell’averla come conoscente.

Forse allora è proprio vero. Le persone sono utili. Almeno quando si tratta di cibo.

Non è che il tennista lavori in un pub per fare il servizio

Non ho più memoria della prima volta che ho messo piede in quel che da anni è il posto di ritrovo post serale solito nella mia città.

Si è così consolidato in una piccola piega del tessuto urbano-sociale da avere assunto connotati da cliché. Basterebbe guardare il contenitore portadolci accanto la cassa per rendersene conto: pasticcini impastati dalle mani della moglie del proprietario, che stazionano lì per anni come semplici oggetti ornamentali, stile Luisona di Benni.

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Lo spezzatino avanzato dal ragù della domenica può essere infilato in un panino. Foglia di alloro compresa. Uno dei tanti esempi culinari del ritrovo tipico.

Ricordi inoltre non ho di quando abbiamo cominciato ad avere un rapporto complicato con le cameriere. Complicato forse è un po’ troppo, diciamo che ci sentiamo sempre guardati un po’ male quando osiamo alzare il dito per chiedere, accolti con un grugno che sembra dire Se cercate guai li avete trovati.

La vita da cameriera in un pub è un inferno. Avanti e indietro, ordini che arrivano, ordini che non arrivano, clienti da tenere a bada.

Capisco che spesso ci sia poco da esser gioviali.

D’altro canto – e non lo dico perché sono la parte in causa – credo di appartenere alla schiera di clienti meno complicati del mondo. Sono anni che io e il mio compare ci accomodiamo chiedendo la stessa identica cosa: due Bass Scotch medie. Al massimo, un posacenere di contorno. Non sporchiamo, non strepitiamo, non chiediamo variazioni strane dei menù come panini alla segale cornuta ma senza la cornuta e senza il panino.

Non pretendiamo il posto a sedere: se non c’è beviamo in piedi fuori.

Ci scansiamo come Neo quando le vediamo passare cariche di piatti di trigliceridi esausti.

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Se è porno, cavoli vostri.

Il problema forse risiede proprio nella nostra discrezione e invisibilità: non abbiamo mai creato un rapporto umano con loro. Siamo forse gli avventori anomali, rispetto ad altri che ho visto scambiar qualche battuta con le cameriere e, addirittura, averle fatte sorridere.

Non che io non ci abbia provato a porre le basi di un minimo di contatto civile. Ammetto però tutta la mia incapacità per riuscire a portar a casa un successo.

Ricordo un’estate di due anni fa, in cui – in maniera improvvisa e inspiegabile – il pub divenne fino alle 22-23 di sera meta preferita di famigliole con bambini al seguito che correvano tra i tavoli, si lanciavano cibo, correvano tra il cibo e si lanciavano tavoli.

Sconcertato da tutto ciò, mentre la cameriera puliva il nostro tavolo decorato dai bambini da spruzzi di maionese e ketchup che ricreavano motivi di Pollock, per esser simpatico esclamai

– Certo però che questo una volta era un posto per adulti
– Eh.

Fine della nostra conversazione.

Lo riconosco, la socialità non è arte mia. Un piccolo aiuto dall’altra parte però sarebbe richiesto.

Ieri sera, evento eccezionale, una cameriera mentre riordinava i tavoli fuori in vista della chiusura ci ha rivolto la parola.

Poverina, è nuova: non ha capito o forse non le hanno spiegato che siamo dei paria.

Ci ha chiesto aiuto su come dovesse fare per bloccare scheda e cellulare, visto che nel pomeriggio aveva subito una rapina.

È simpatica. Sarà ancor più doloroso il momento in cui comincerà a lanciarci occhiate di rancoroso disprezzo come le altre sue colleghe.

Non è che l’idraulico sia un buon nuotatore perché sa fare un sacco di vasche

Sono sulla banchina in attesa che un ritardo abbia un treno. Noto che la ragazza di fianco a me ha i miei stessi jeans. Cosa non inusuale essendo un capo diffuso, ma il mio modello non lo avevo ancora visto in giro. Ha una colorazione particolare: io ci vedo del mare increspato su fondo roccioso. Ma io ci vedo male quindi questa opinione non conta.

Un tipo che vorrebbe essere brillante l’avrebbe avvicinata dicendo:
– Hey, abbiamo gli stessi jeans. Ma a te stanno meglio…(notare l’occhio languido).

Un tipo che vorrebbe essere simpatico l’avrebbe avvicinata dicendo:
– Hey, abbiamo gli stessi jeans. Ma a me stanno meglio, ha ha (notare l’occhio nero che lei gli farà).

Un tipo come me giudica invece se una tal coincidenza possa avere effetto o meno sulla propria giornata.

Non sono superstizioso né credo ai segnali dell’universo (a meno che non siano segnali provenienti da Quasar e/o Pulsar e/o eventuali civiltà aliene), ma, come molte persone, al mattino presto valuto singoli episodi come una indicazione sul prosieguo di quel giorno.

Trovare un semaforo verde, l’auto che va in moto subito senza sputacchiare le candele dal tubo di scappamento, la fetta biscottata che non ti si rompe in mano spalmandoti la marmellata nel palmo eccetera.

Quando è arrivato il treno lei si è accaparrata prima di me il posto cui ambisco di solito, cioè quello lungo la parete, dove potersi appoggiare ed evitare di essere compresso e/o spintonato dagli altri. L’unico rimasto libero. Quindi ho deciso che non sarebbe stata una gran giornata.

Ho avuto infatti una lunga conversazione telefonica (45 minuti) con una persona che trovo sgradevole e con cui purtroppo devo relazionarmi per lavoro e che per il buon esito dello stesso devo tener buona.

Non amo le persone che si lamentano a lungo degli altri con te. Anche perché, se tanto mi dà tanto, nulla toglie che facciano lo stesso nei tuoi confronti con gli altri.

Non amo le persone che si mettono sulla difensiva e pongono le mani avanti senza motivo. Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Non amo le persone che lanciano frecciate.

Questa persona racchiude, in formato matrioska, tali odiosi comportamenti in una singola conversazione.

Sono andato a nuotare in serata e ho dimenticato tutto ciò.

Purtroppo da qualche giorno avverto una infiammazione alla spalla. E non me la sono nemmeno diagnosticata su Google! Ho timore ad andare dal medico perché temo mi dica di star a riposo dalla vasca. Cosa che non vorrei fare. Non denoto buon senso, ne son conscio.

Ho trovato nell’andare in acqua un momento in cui posso far riposare la mente. In quei 45 minuti riesco a mettere a tacere il rumore di fondo che ho sempre nella testa: è un po’ fastidioso avere un perenne monologo interno attivo. È come se ci fosse un call center di vari Don Abbondio che su turni soliloquiano.


Ho anche tentato di delocalizzare ma non ha funzionato.


Quando racconto di questa sensazione mi sento guardato – me l’han anche detto – con l’aria tipo Eh sì ne hai bisogno [di scaricare la testa]. Io sono un tipo permaloso e non mi piace tale atteggiamento.

Allora invece dico che vado in piscina per guardare le nuotatrici e mi fanno un sorriso e una occhiata di complicità e compiacimento.


L’idea di andarci per fare sport non è contemplata: conosco tutte persone che al massimo come attività fisica sollevano obiezioni e lanciano Madonne.


Rammstein – Feuer und Wasser

È bello quando lei nuota a rana
allora io posso vedere nel suo centro
Non che il seno non sia bello
Nuoto semplicemente dietro di lei
Polvere di scintille fluisce fuori dal centro
un fuoco d’artificio zampilla dalla sua inforcatura

Non è che se riordini il blog metti ogni cosa al suo post

Il custode della piscina ogni volta che mi incrocia mi fa Tutto a posto? con aria tra il serio e l’allarmato e io ogni volta rispondo di  sorridente ma un po’ stupito perché non capisco perché me lo chieda anche se a volte mi dà l’impressione di sfottere e basta. Ho forse l’aria di chi non è a posto?

Un sacco di cose invero non mi sono sembrate a posto tutto quest’oggi.

La signora che mi parcheggia di fianco in doppia fila impedendomi di uscire pur vedendo che io stavo salendo in macchina non è a posto o quantomeno di posto poteva trovarsene un altro.

La signora in treno stamattina che si lamentava di qualunque cosa cercando di istigare qualcuno ma non riuscendoci non è a posto. Secondo lei i giovani dovrebbero protestare per avere treni migliori. Io vorrei protestare per avere un’utenza migliore e che sia a posto.

La collega che durante l’intera giornata ha parlato di mentis formis, formas in mentis, formis mentis e solo per caso al quarto episodio l’ha finalmente detta giusta secondo me non è a posto.

Il logorroico le cui telefonate partono da 10 minuti in su perché al di sotto di tal minutaggio non è vera conversazione non è a posto.

Chi mi invita a richiamare domani ma domani è sempre domani perché non è oggi non è a posto.

La collega che scende da Roma per starmi appollaiata sulle spalle senza farmi star tranquillo e ogni due per tre deve dire No perché io ho fatto…, Perché io sono…, Io…, non è a posto.

La gatta non è a posto ma temo l’età si faccia sentire. L’età non è una cosa tanto a posto.

I cantieri in città non sono mica a posto e il problema è che anche quando saranno terminati, un giorno, nel frattempo ne saranno sorti altri e temo che non vedrò mai quindi le cose a posto.

La mia età pensionabile ho pensato che non sarà a posto e forse non avrò mai tempo per guardare i cantieri.

Tutte queste riflessioni negative in una sola giornata mi lasciano pensare che davvero forse io non sia a posto.

Non è che al taciturno alcolista piaccia il silenzio-assenzio

Mi trovavo seduto a tavola a cena con altre tre persone. Si chiacchierava. La discussione ha preso in breve tempo una piega abbastanza impegnativa, sul tema della delocalizzazione dei processi produttivi e la standardizzazione dei prodotti offerti ai consumatori. In pratica ciò che a inizio anni 2000 scoprimmo si chiamava globalizzazione e dovevamo combattere. Non è riuscita benissimo.

Uno dei presenti sosteneva che questo modello prima o poi imploderà, perché la gente vorrà riscoprire il contatto umano diretto – invece di un paio di click su Amazon – e l’originalità dei prodotti invece di avere la stessa camicia a quadri di altri migliaia di persone. L’altro sosteneva il contrario. I due son finiti ad avere uno scambio di opinioni piuttosto acceso.

Io dopo aver detto la mia, non ritenendo poi opportuno ripetere le stesse cose – ho avversione per i discorsi che diventano circolari e tornano indietro al punto di partenza – mi sono silenziato e messo a bere.

Ogni tanto emettevo un Gurumpftztzs per schiarirmi la voce ed esprimere un generalizzato dissenso.

La quarta persona presente voleva a tutti i costi intervenire, riuscendoci con scarsi risultati. Anzi, dopo aver ripreso uno dei contendenti invitandolo a non baccagliare in tal guisa causando l’esclusione degli altri presenti, si è sentita ribattere: “Non mi sembra che tu abbia offerto contributi significativi al discorso”.

Non è una cosa carina da dire, anche se, in effetti, le osservazioni che aveva fatto erano sembrate anche a me realmente banali e fuori contesto.

C’è una cosa da ammettere: non tutti sono in grado di offrire un contributo a una discussione, vuoi per mancanza di argomenti, vuoi per l’insipidezza delle considerazioni.

Esistono però secondo me alcuni “grimaldelli”, cioè interventi validi a prescindere da tempi e luoghi, utili per inserirsi in qualsiasi conversazione e trarsi d’impaccio quando si è poco ferrati in materia. Semplici scorciatoie di pensiero.

Ad esempio, se l’argomento è il cinema, analizzando un film, si può fare sempre un vago e saccente accenno alla fotografia. Che nessuno sa in realtà cosa sia la fotografia in un film, ma poco importa.


Una volta – giuro che purtroppo è vera – mi son sentito dire che credevano che ci fosse uno che di mestiere scattasse le foto al set.


Se parliamo di un film d’autore si può cogliere l’occasione per un apprezzamento al piano sequenza. Tanto se è un film impegnato ce ne è sempre uno, pure se buttato lì alla carlona magari per mostrare senza stacchi quando il protagonista si prepara la pajata come la faceva la nonna. Vuol dire che il regista è bravo a cogliere le emozioni.

Di un gruppo musicale era sempre meglio il primo disco, ma se il gruppo è sulla scena da tempo si può azzardare un Devo riascoltarlo meglio, è un lavoro più maturo.

In discussioni a tema politico, invocare la necessità di riforme in Italia è un evergreen. Anche qui non è bene chiaro di cosa stiamo parlando e cosa mai andrebbe riformato: ma se non c’è un oggetto concreto chi potrà allora mai controbattere che non esista qualcosa da riformare?

Sulla stessa scia, anche se qui si vira sul polemico, è utile incolpare i poteri forti. Un potere forte lo si trova sempre.

Quando assaporate del vino dite che è fruttato.


Non va fatto se a tavola c’è il Tavernello e nemmeno se c’è il vino dello zio Giovanni che lo fa così denso e carico che lo si può utilizzare per verniciare le inferriate. In ambedue i casi verreste messi alla berlina dai presenti.


Virando sulle relazioni, ci sta sempre bene un secco I rapporti tra uomini e donne sono cambiati, oppure Gli uomini e le donne non sono più quelli di una volta. Chi oserebbe opporsi a una tale verità? È dai tempi degli Australopithecus afarensis – quelli di Lucy per intenderci – che maschi e femmine cambiano!

Spero che questi piccoli suggerimenti o “tips” (anche buttare nel discorso qualche termine in inglese, senza abusarne, può attirare l’attenzione degli astanti) possano aiutare a essere dei perfetti ignoranti atti a ogni conversazione.