Non è che i Fantastici 4 non fossero artefici del proprio Destino

Conservo ancora da qualche parte, forse lasciato in casa dei miei, un taccuino in cui annotavo frasi estrapolate da libri che avevo letto (ma non solo: anche film visti o dichiarazioni di qualche intellettuale) e che mi avevano colpito.

Evitavo quelle citazioni note e che son sulla bocca di tutti, a volte anche attribuite in modo errato o utilizzate a sproposito (ad esempio Voltaire non ha mai detto che avrebbe gradito morire per una cazzata detta dal suo prossimo).

Ripensavo in questi giorni a una di queste citazioni arcinote e da me non inserite nel taccuino: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», Galileo per bocca di Brecht (o Brecht per bocca di Galileo).

Ci riflettevo notando come nella stretta quotidianità siamo in qualche modo invasi da presunti eroi della vita normale: collaboratori scolastici che fanno 1000km al giorno, laureati in anticipo col massimo dei voti e con già con un percorso lavorativo avviato grazie alla privazione di sonno, giovani contenti di lavori sottopagati in nome del mito della gavetta.


Non mi soffermo sulla veridicità di tali, commoventi, storie.


Tali realtà di coraggio ed eroismo hanno tutte un denominatore comune: il mondo del lavoro.

Il lavoro, da fondamento dello Stato e diritto del cittadino viene trasformato in un’impresa, un ardimento, un cimento che premia l’individuo disposto al sacrificio, alla fatica, alla rinuncia di qualsiasi altro aspetto della propria vita in nome del nobile sudore della fronte.

Come viene premiato l’individuo? Che domande! Ma con il lavoro in sé! Qual riconoscimento migliore del sudore per il sudore?

La retorica della performance si unisce a un altro incitamento morale per l’individuo funzionale anche questo al mondo del lavoro: il dover essere a tutti i costi positivi e felici.

Beninteso, siamo d’accordo che un certo livello di ottimismo e buonumore eviti di spappolarsi il fegato – ben lo sa chi come me somatizza tutto (o sodomizza sé stesso con le proprie paturnie mentali) soffrendo gastriti e coliti – ma vivere nell’epoca della dittatura del pensare positivo non credo comunque apporti benefici alla salute.

A parte che negarsi il diritto ad avere i maglioni girati non è altro che reprimersi, trovo che stia venendo fuori una società di persone frustrate, insoddisfatte e ansiose, preda del lato oscuro del “Essere artefici del proprio destino” il cui sottinteso è “Se le cose ti vanno male è colpa tua perché non ti impegni, non produci abbastanza, non sorridi nonostante tutto quando le cose vanno male”.

Ecco allora che, per riequilibrare l’universo, vorrei che invece di martellarci con le storie degli eroi positivi ci raccontassero storie di altre persone, antieroi – per gli standard attuali – da premiare perché:

– Hanno chiesto a un colloquio quale fosse la retribuzione perché si ritengono in diritto di venire a conoscenza delle condizioni del lavoro che gli si sta proponendo, invece di aderire alla retorica del “Non pensate allo stipendio”.


Beato quel paese che non ha bisogno di pensare allo stipendio, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


– Hanno mandato a quel paese una persona che gli diceva “Sorridi e la vita ti sorriderà”.


Beato quel paese che non ha bisogno di sorridere a tutti i costi, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


– Hanno compreso che prendersi un’ora per una tisana e Netflix sul divano di sabato pomeriggio non vuol dire affatto prendersi cura di sé stessi se poi il resto della settimana pensano solo a correre a destra e a manca ed esaurirsi per soddisfare qualcosa/qualcuno perché ti fanno credere che rallentare vuol dire non performare.


Beato quel paese che non ha bisogno di performare, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


– Hanno chiesto del pistacchio ma non di Bronte.


Beato quel paese che non ha bisogno dei pistacchi di Bronte, avrebbe detto Brecht (o Galileo).


 

Non è che fai fare il dottorato alla vigna per farla diventare DOC

Mi ricordo quando nel 2019 ci fu la protesta degli allevatori sardi una delle conseguenze nell’immediato, a parte il cittadino medio che realizzò che Ohibò, quindi agricoltori e allevatori all’origine guadagnano pochi spicci? Incredibile signora mia, fu una crisi nella produzione di Pecorino Romano. Alcune persone si sollevarono scandalizzate: ma come, il pecorino, non quello qualsiasi ma proprio il romano, non si fa con latte romano?


Della lupa, immagino.


Il problema è che spesso si confondono origine e produzione/distribuzione.

Chissà come ci rimarrebbero male nello scoprire che a Mazara non ci sono gamberi o che a Tropea cittadina non si coltivano cipolle.

Queste curiosità me ne fanno venire in mente una personale.

Padre mi ha ringraziato per ben due volte, prima tramite messaggio e poi di persona (un fatto raro, dato il suo esser parsimonioso con le esternazioni) per una bottiglia di Lacryma Christi che gli abbiamo portato.

In verità, noi non ricordiamo proprio di questa bottiglia. Non escludo potremmo averla portata diverso tempo fa, ma non sono del tutto convinto.

Però io e M. ricordiamo che la sera del 24 dicembre abbiamo portato una bottiglia di Müller-Thurgau. Non l’abbiamo poi aperta perché Padre aveva esposto sullo scrittoio tutta una serie di bianchi e alla fine abbiamo scelto di accompagnare la cena con un altro vino.

Il dubbio che mi viene è che, con tutta la serie di bottiglie che ha in cantina, abbia forse fatto confusione e questo Lacryma Christi sia stato da lui comprato tempo e non si ricorda.

Ora il dubbio è: chiarire l’equivoco sull’origine del vino? E se sì, a che scopo?

Ma soprattutto: avrà poi bevuto il Müller-Thurgau? Sarà vero che lo producono nella città di Müller-Thurgau, come il pomodoro Pachino e il pistacchio di Bronte?


Ovviamente sto scherzando. Sul vino.