Non è che il pugile al mare si difenda dai pugni di sabbia

Che fantastica storia è la vita, disse Sandro Pertini quando mise il piede sulla Luna.

È proprio vero, infatti. Non cessa mai di stupirmi. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo che mi entusiasma.

Magari passerò per ingenuo e ignorante parlando di cose risapute e già note al resto del Mondo, ma io mi pongo sempre con l’atteggiamento dell’umile cercatore di verità, sapendo di non sapere, come direbbe Ciampolillo.

Così capita che sono di recente venuto a conoscenza di una tizia che mischia la sabbia ai matrimoni.

Proprio così. Lei, abbigliata un po’ come una sacerdotessa sciamanica, durante le nozze celebra il rituale della sabbia.

Un hobby? Macché. Questo è il suo lavoro ed è pagata per versare in un recipiente, da due ampolle, delle sabbie di diverso colore che rappresentano l’unione, la mescolanza nel rapporto, l’indipendenza nel tutto, la qualità, la convenienza, la cortesia e l’ampio parcheggio.

Può sembrare un rituale inusitato per noi, e in effetti sembra che appartenesse ai Nativi Americani. Fortuna che prima di sterminarli ci siamo appropriati delle loro cose che ci sembravano simpatiche, altrimenti oggi non avremmo questo rito e magari invece di dire Fare le nozze coi fichi secchi diremmo Fare le nozze senza la sabbia.

Può sembrare che nelle mie parole ci sia un qualche intento derisorio, ma chiarisco che non ne ho affatto l’intenzione. Ho profonda ammirazione, infatti, per chi riesce a essere credibile e autorevole in ciò che fa, riuscendo anche a farsi retribuire per questo.

Ed è da qui che, per la mia indole felina che mi rende credibile e autorevole e investito della venerazione come divinità da parte degli Egizi, che vorrei lanciare il mio progetto imprenditoriale per i matrimoni.

Il rito della pummarola.


trad. pomodoro.


Cosa c’è di più simbolico della passione che vive nel matrimonio del rosso vivo di una bella pummarola, che si trasforma in un sugo da far pippiare in pentola?


trad. quando il sugo, che cuoce da ore a fuoco lento, ribolle allegro e borbottante.


La pummarola che diventa sugo è la metafora della passione che si rende liquida e investe ogni aspetto della vita della coppia, abbracciando la braciola, la polpetta, lo spezzatino, la…salsiccia.

Alle vostre nozze celebrerò quindi l’unione con una pentola pippiante in cui vi emenderete e risorgerete a nuova vita, perché davanti a un ragù fumante nessuno può resistere e nessuno riesce a non insozzarsi.

Per il tuo matrimonio, scegli il rito della pummarola: lasci il passato, abbracci la passata.


So che a qualcuno pippiare fa pensare a pipppero e quindi glielo piazzo qui

Non è che ti serva prenotare per fare un viaggio a ritroso

Al lavoro abbiamo diversi portali per gestire più o meno la stessa cosa. Quindi capita di dover ricavare informazioni da una parte, inserirle nell’altra, fare una somma, fare una giravolta e aver poi compreso di aver sbagliato tutto il procedimento e ripartire da capo.

Ora si sta lavorando per far convergere la maggior parte delle cose almeno in un’unica piattaforma, già esistente. Una cosa logica che andava fatta già da tempo. Sembra che però constatarlo sia come lamentarsi del cibo con chi ha vissuto la carestia durante la Guerra.

Chi è lì da più tempo infatti ti dice che quando all’epoca lui è arrivato doveva arrangiarsi con fogli Excel che venivano compilati e scambiati a distanza.

Chi è lì da ancora più tempo dice che quando è arrivato si compilavano fogli da inserire in faldoni.

Poi il viaggio a ritroso termina perché prima ancora non esisteva la Spurghi&Clisteri Inc. per cui lavoro. Pensavo quindi di uscire in strada e chiedere in giro se ci fosse qualcuno che si ricorda prima ancora dei faldoni come fosse la vita, magari arrangiandosi con l’abaco, per mandarlo a rimproverare quello dei faldoni che si lamenta che rimprovera quello dell’Excel che si lamenta che rimprovera me che mi lamento delle multipiattaforme che un giorno rimprovererò quello che si lamenterà della monopiattaforma perché se vedi bene è tutta una grande ruota che gira vorticosamente, oltre a qualcos’altro.


Abaco. Che parola particolare. Ricordo di averne avuto uno da piccolissimo. Ricordo anche che abaco era la prima parola dell’abbecedario che avevo.


Anche abbecedario è una parola curiosa. Sembra un’affermazione di sufficienza verso la presenza di una persona di nome Dario:

– Quindi chi c’è? Marco viene?
– No
– Ah beh c’è Dario…


Manco a farlo apposta l’altroieri avevo in mente questo post e il giorno dopo è uscita la notizia che nella seduta del Consiglio della Regione Lombardia hanno portato come scherno in dono a Fontana un abaco per aiutarlo coi conti. Che stolti! Come se poi fosse certo sappia utilizzarlo!


 

Non è che ti serva una sella per il cavallo dei pantaloni

Iniziando a uscire di nuovo di casa per qualche occasione di cazzeggio dopo le zone rosse, a pois e a losanghe, si è palesato un aspetto che non avevo considerato: sarà un anno e più che non compro un capo di abbigliamento.

E anche adesso che mi trovo a essere in giro più spesso non ho alcuna intenzione di entrare in un centro commerciale. Già avevo problemi a relazionarmici prima della pandemia, figuriamoci ora.


Essenzialmente quello che provo girando in un centro commerciale, anche in assenza di virus, è che vedo la gente intorno a me e vorrei avere dei respingenti come nel flipper per farla schizzare via. In particolare quelli che coi carrelli avanzano senza guardare.


Avrei bisogno di pantaloni nuovi. Pare che infatti servano, secondo la lobby del non si può andare in giro nudi. Ne parlavo in un precedente post.

Ho trovato la soluzione. Ho iniziato a rubare quelli della mia compagna. Ho un problema con i jeans stretti da uomo, che a me piacciono molto: mi fanno male al pacco.

I suoi invece sono più morbidi ed elastici. Lei dice che è perché non sono jeans veri ma dei leggings. Io dico che che hanno l’apparenza di un jeans, il taglio di un jeans, sono quindi dei jeans.

Ho rischiato un occhio nero per tenere il punto, ma non ho mollato la mia posizione.

La realtà è che lei non considera che pur se sono nati leggings magari vogliono essere jeans.

Voglio fare un ragionamento più ampio.

Ci sono nella società correnti radicali e/o conservatrici (e anche un po’ stronze, se mi è consentito) che ritengono che le persone trans sono e restano del sesso di nascita: quindi una persona trans m to f rimarrà maschio, una persona trans f to m rimarrà femmina. Con un chi se ne frega di cosa senta e cosa provi quella persona, perché, ovviamente, bisogna sempre arrogarsi il diritto di voler imporre alle persone cosa debbano essere e cosa debbano fare col proprio corpo.

La stessa cosa accade con i pantaloni protagonisti della mia storia: sono leggings e si sentono leggings? Oppure si sentono jeans? Perché non lasciamo quindi loro essere ciò che vogliono essere?

Io quindi dico sin da ora che mi sento jeander. Un jeans gender.

Non è che ti fai l’appello per verificare di essere presente a te stesso

Si è visto, sentito, letto delle imprese di quello che, alla chiamata in Senato per votare, è arrivato in ritardo tal da obbligare a controllare anche il VAR per delle verifiche.

Non voglio parlare di ciò ma di quelle volte che ci si è trovati assenti quando si doveva rispondere invece Presente.

Tipico era, ricordo ai tempi dell’università, durante gli esami assentarsi un attimo per andare in bagno dopo ore di attesa per il proprio turno e, proprio in quel momento, veder chiamato il proprio nome dal docente.

Una volta, invece, al liceo ero assente a una chiamata ma in modo intenzionale. Volevo saltare l’ora di chimica, così insieme ad altri due perdigiorno mi rifugiai in bagno prima dell’arrivo del professore. Lui non controllava mai il registro di classe ma faceva semplicemente l’appello dal suo registro docente. Tranne quella volta dove invece tenne una reale conta. Ci vennero a chiamare in bagno e, visto scoperto il nostro gioco, pensai bene di entrare in classe in modo teatrale, fingendo un grave malessere interiore, interno, intestino per la precisione, che mi obbligava a malincuore a non stare in classe.

Purtroppo le mie doti attoriali non vennero né riconosciute né apprezzate.

Qualche anno fa ero assente a una visita prenotata alla cupola del Reichstag. Mi presentai alla stessa ora ma del giorno dopo. All’ingresso però la guardia fu gentile a lasciarmi entrare lo stesso.

È stato un episodio più unico che raro, perché in genere quando si tratta di viaggi sono sempre preciso e puntuale. Uno dei pochi vantaggi di avere l’ansia è di godere di ottime doti organizzative.

Meno fortuna hanno avuto varie persone che conosco, che potrebbero raccontare storie di voli persi per essersi presentati alla stessa ora del giorno sbagliato. Dopo la data del volo, ovviamente.

L’importanza di farsi trovare pronti si riverbera in vari aspetti della vita.

Rammento quella volta, diversi anni fa, in cui ero in un locale di cui conoscevo di vista una delle bariste. Andai al bancone a prendere per me un bicchiere di veleno o di benzina – quando si è negli anni ’20 della propria vita non si va molto per il sottile su cosa si beve – da portare al tavolo dove ero con degli amici. La barista, quella che conoscevo, dopo avermi servito e avuto i soldi, mi fa:

– Bevi solo?
– No no mi aspettano al tavolo
dico mentre me ne sto andando
– Ah…sennò bevevo io con te…
ha fatto lei

Ma io me ne ero già andato.

Arrivato al tavolo, a tempo ormai scaduto, ho realizzato: sono tornato indietro ma era impegnata e non ho avuto più modo di riparlarci quella sera.

Meno male che non lavoro al Senato sennò quante occasioni mi perderei!

Non è che imposti dei programmi di allenamento per esercitare la libertà

Mi trovavo con un automobilista a discutere di terza corsia autostradale.

Convenivamo sul fatto che ci sono individui che invece di starsene sulla destra tendono a viaggiare in terza anche quando non sono in fase di sorpasso, rallentando chi sopraggiunge.

Lui però si sentiva legittimato, per metter loro pressione, a incollarvisi al sedere a una distanza minima senza attendere che si spostino. La sua libertà di sfrecciare in terza corsia gaio e gaudente come rondone in volo non può – secondo lui – venire limitata dal rondinello impacciato davanti.

Io constatavo che se è vero che costoro sbagliano a occupare la corsia, sbaglia anche lui a non rispettare una cosa molto semplice nel Codice della strada chiamata distanza di sicurezza. Inoltre, se lui invoca la pista libera in nome della libertà, anche il tizio che occupa la corsia sta molto probabilmente esercitando la propria di libertà di fare come gli pare in barba al Codice, magari perché il suo psicoterapeuta gli ha detto di lavorare sull’autostima e mettersi in terza invece che sulla destra gli giova all’ego. Non si può pretendere libertà soltanto per sé stessi.

La libertà è un concetto che viene spesso travisato. Lo si ritiene assoluto e insindacabile. Ci si dimentica che la propria di libertà finisce dove comincia quella degli altri.

Restando in tema automobilistico, ricordo che quando venne introdotto l’obbligo di allacciare le cinture di sicurezza ci furono molti mugugni. All’epoca sentivo dire da qualche adulto “Ma sarò libero di fare come mi pare, se non le allaccio e muoio saranno magari fatti miei?”.

No, purtroppo non sono soltanto fatti tuoi. Perché se voli via dal parabrezza a causa di un tamponamento e devono portarti all’ospedale perché ti sei rotto in tanti pezzetti, sei un problema per la Sanità che si ritroverà a occupare i Pronto Soccorso con gente come te che si ritiene libera di poter volare dal parabrezza perché ritiene appunto di non dover rendere conto delle cinture di sicurezza.

È un po’ lo stesso discorso che vale per i no vax. Non possono appellarsi alla libertà di morire come gli pare quando la loro libertà di morte investe la sfera pubblica.

A me, per parlar di libertà, piacerebbe poter andare in giro col pene all’aria, senza pantaloni né boxer. Innanzitutto ne gioverebbe la salute: una delle maggiori cause di infertilità maschile è la costrizione degli organi negli indumenti, accompagnata a un’innalzamento della temperatura di quella zona. C’è un motivo se le gonadi maschili non si trovano all’interno del corpo ma all’esterno: per stare al fresco perché il calore nuoce a ciò che contengono.

E poi, a prescindere dalla salute, sarò appunto libero di vestirmi o non vestirmi come mi pare? Perché devo esser costretto a foraggiare col mio danaro la lobby del pantalone? E questa cosa delle mutande, non sarà anche un po’ sessista? Mi devo coprire perché sennò mi si vede il sesso, quindi mi state dicendo che non vedete la persona ma solo il suo sesso e perciò devo nasconderlo? Ma questa è una dittatura, non è democrazia! Dov’è la libertà?

È chiaro che il mio esercizio di libertà cozzerebbe con la libertà delle altre persone di non vedere offeso il loro senso del pudore.

Allora così non se ne esce se ognuno, egoisticamente, vuole appellarsi al fare come gli pare.

La soluzione è trovare dei compromessi.

Ad esempio, che mi sia concesso di mostrare il pene ai no vax.

Non è che il calciatore possa trovarsi nell’ultimo stadio di sviluppo

Negli ultimi, mi sono trovato per quella volta che vado in ufficio interrompendo il telelavoro, a muovermi sempre il giorno in cui allo stadio c’è una partita in programma.

La strada che termina nel parcheggio della sede dove lavoro ha un tratto in comune col percorso che utilizzano i pullman delle squadre e i furgoni delle tv per arrivare allo stadio. Viene bloccata dal mattino dalle Forze dell’Ordine quando c’è un incontro di calcio.

Uno schema esplicativo perché mi piace esplicare

 

Un mattino di pioggia torrenziale mi sono trovato davanti le transenne con il varco chiuso. Non essendoci nessuno a sorvegliarle, perché, giustamente, saranno andati a ripararsi al calduccio e all’asciutto in auto, per poter passare sono sceso io a spostarle con delle bestemmie ben assestate.

Un’altra volta stavo invece uscendo dal parcheggio e uno della Municipale, vedendomi, viene verso di me e con ampi e frenetici gesti mi indica dove devo andare. Cioè dritto, come stavo facendo perché è l’unica via. Meno male che è intervenuto lui: senza le sue preziose indicazioni mi sarei di certo schiantato contro un albero o un muretto.

L’altro giorno, invece, avvicinandomi alle transenne, un altro esponente della Municipale mi segnala di tornare indietro. Io faccio No col dito e, avanzando, abbasso il finestrino e gli dico Guardi io lavoro laggiù. E lui, un po’ stizzito, “Eh se ce lo dice noi la facciamo passare”. Infatti te lo sto dicendo!

Quello della Municipale è un mestiere particolare, è evidente. Solo gli elementi più forti e preparati possono svolgerlo. Individui pronti ad affrontare situazioni ad alto rischio.

Ieri, nella mia città, ho assistito a questa scena. C’era un gruppo di adolescenti, una decina, in piazza. Tutti insieme ravvicinati, alcuni con la mascherina abbassata, altri che condividevano bicchieri.

Passa una Panda della Municipale. L’agente al volante nota l’assembramento, rallenta, dà un colpetto di clacson per richiamare l’attenzione dei ragazzi, dice loro qualcosa senza scendere dall’auto, poi se ne va. I ragazzi fanno spallucce e proseguono le loro attività.

Lo sprezzo del pericolo dell’agente nell’esercitare la pressione sullo strumento di segnalazione acustica è palese. Ho sudato freddo mentre assistevo alla scena. Io non riuscirei a fare questo.

E tu? Saresti pronto per essere della Municipale?

Non è che l’esploratore sozzo possa fondare una colonia di batteri

Il mondo non finisce mai di stupirmi.


ATTENZIONE. Da qui in poi il post potrebbe farvi schifo.


Ho scoperto oggi l’esistenza di questa etichetta di birra: https://orderyoni.com/beer/. Il prodotto biondo ha una particolarità molto particolare. Cito testualmente dal sito “The composition is enhanced with the use of lactic acid from vaginal bacteria”.

Anche chi non mastica l’inglese avrà intuito con cosa è prodotta la birra.

In effetti, avranno pensato costoro, se lì sotto ci sono, tra i vari batteri, anche quelli responsabili della fermentazione (lactobacillus) per gli alimenti, perché non usarli per farne birra?

L’idea non è nuova. Tempo fa lessi di una matta che ha pensato di raccogliere un campione delle proprie secrezioni vaginali per produrre uno yogurt. Inutile dire che non è proprio una grande idea: perché nella vagina non c’è solo il lactobacillus ma decine di altri batteri, alcuni dei quali possono rivelarsi dannosi. Quindi andarli a scomodare a cucchiaiate e farli crescere e fermentare per ingerirli non è forse qualcosa che consiglierebbe il tuo nutrizionista.

Ma non è questa cosa a destare in me dello stupore.

Quel che mi chiedo è perché nessuno pensi ai batteri penieni.

Non sarebbero degni di farci una birra? Uno yogurt? Un formaggio a pasta filante?

Cos’è questa, una discriminazione? Il fatto di essere nati e cresciuti in un posto meno blasonato di una vagina (diciamo pure che sono nati in un posto del cazzo) priva i batteri di dignità e diritti?

Credo che le sperimentazioni enogastronomiche non possano prescindere dalle possibilità offerte dalla flora batterica del pene, se non altro per garantire una parità di trattamento.

Non è che l’amante di soap opera mantenga il Segreto

Ho visto un video del tizio vestito da sciamano/vichingo/bisonte che ieri ha assaltato il Campidoglio. Il simpatico umorista parla di un complotto segreto in basi segrete nel sottosuolo dove vengono condotti esperimenti segreti, come la clonazione umana.

La domanda mi sorge spontanea: se è tutto segreto, che ne sa lui?

Voglio però riconoscergli straordinarie capacità investigative e intellettive e accettare il fatto che sia una persona venuta a portarci la verità.

Il dubbio però quando sento parlare di complotti mi resta: ripeto, se è tutto così segreto, se ci vogliono nascondere la verità, com’è che poi si tratta sempre di informazioni accessibili anche alla mia pianta grassa sul balcone?


E la mia pianta grassa è impedita forte, eh. Cioè senza mancare di rispetto alle piante grasse, per carità.


L’altro giorno stavo seguendo una discussione in fondo a un articolo online che parlava di vaccini. C’era una tizia che parlava, come capita sempre su questi argomenti, di verità che ci vengono nascoste, di informazioni cui ci viene impedito l’accesso, della necessità di farsi una cultura altrove, eccetera. E poi ha linkato un articolo di Wikipedia di contro-informazione.

Ora, va bene tutto, ma:

  • Wikipedia non mi sembra proprio un luogo inaccessibile e celato tipo Ahch-To dove si è ritirato Luke Skywalker con i resti della cultura Jedi.

 

  • Se ci viene impedito l’accesso alla verità perché poi lo trovo su Wikipedia (vedi punto 1)?

 

  • Una cultura altrove devo farmela su Wikipedia, dove potrebbe benissimo andare a scrivere chiunque, compresi “Loro”, quelli che ci nascondono la verità?

 

Si potrebbe obiettare che il modo migliore di nascondere qualcosa è metterlo bene in vista, come ci insegnò Edgar Allan Poe.

Ma io sono giunto a un’altra conclusione.

Una verità sconvolgente.

I teorici delle teorie del complotto sono loro stessi il complotto. Un complotto segreto ordito per farci credere che esista un complotto segreto!

A che scopo? Eh se fosse facile saperlo mica sarebbe un complotto segreto, no?!

Non è che il pomodoro ti può dar buon consigli se è concentrato

Sono giorni che cerco inutilmente di recarmi all’ufficio postale a ritirare una giacenza.

Purtroppo i ticket da prenotare online non sono mai disponibili. In posta invece devi fare la fila per prendere il numero e poi fare la fila col numero. Le persone all’esterno sono sempre di più e non c’è spazio sul marciapiede per mantenere il distanziamento. Tra un po’ si farà la fila per fare la fila per fare la fila per prendere il numero.

Pensavo di aver avuto un colpo di fortuna quando il 31 sono riuscito a prenotare un ticket per sabato 2 gennaio, alle 9:30. Metto la sveglia per sicurezza alle 8:30. Mi preparo atleticamente il giorno prima per affrontare i vecchietti che mi aggrediranno all’ingresso vedendomi arrivare ed entrare subito saltando la fila della fila.

Il sabato mattina non ho bisogno della sveglia. Apro gli occhi col rumore della tempesta di grandine che sta imperversando all’esterno. Va be’ poi smetterà.

Non ha smesso.

Sono rimasto a letto rinunciando a uscire.

Alle 9:28 la tempesta cessa (cessa come verbo e come aggettivo) ed esce il sole. E io il mio turno in posta l’ho ormai perso.

Quello stesso sabato alle 22 la caldaia cessa (sempre verbo e aggettivo) di funzionare, lasciandomi senza acqua calda e termosifoni.

Domenica mattina salta la corrente. Solo da me. Un sovraccarico perché avevo le pompe di calore accese e contemporaneamente Madre ha acceso il phon nel bagno di servizio giù.


A quanto pare l’impianto del bagno di servizio è collegato al mio appartamento.


È scattato il contatore esterno. Il lucchetto del gabbiotto che lo contiene è arrugginito e non si apre più. L’ho scassinato facendo leva con martello e bestemmie. Ci ho messo mezz’ora. Non credo di aver un futuro come topo d’appartamento.

Quella stessa mattina mi è uscito uno sfogo sul labbro. Forse il nervoso.

A pranzo il ragù avevo smesso di sorvegliarlo e si è ristretto troppo. Stava per bruciare. Per salvarlo l’ho diluito aprendo un altro barattolo di passata. Alla fine è venuto buono. Quindi, per pensar positivo e trarne qualcosa di buono dal fine settimana trascorso, ho preso come insegnamento per il futuro far restringere il ragù fino a concentrarlo – magari senza farlo bruciare – e poi riallungarlo.

Aforisma: Concentratevi pure ma non fuori gli uffici postali (ché io ci devo andare)