Non è che ti fai l’appello per verificare di essere presente a te stesso

Si è visto, sentito, letto delle imprese di quello che, alla chiamata in Senato per votare, è arrivato in ritardo tal da obbligare a controllare anche il VAR per delle verifiche.

Non voglio parlare di ciò ma di quelle volte che ci si è trovati assenti quando si doveva rispondere invece Presente.

Tipico era, ricordo ai tempi dell’università, durante gli esami assentarsi un attimo per andare in bagno dopo ore di attesa per il proprio turno e, proprio in quel momento, veder chiamato il proprio nome dal docente.

Una volta, invece, al liceo ero assente a una chiamata ma in modo intenzionale. Volevo saltare l’ora di chimica, così insieme ad altri due perdigiorno mi rifugiai in bagno prima dell’arrivo del professore. Lui non controllava mai il registro di classe ma faceva semplicemente l’appello dal suo registro docente. Tranne quella volta dove invece tenne una reale conta. Ci vennero a chiamare in bagno e, visto scoperto il nostro gioco, pensai bene di entrare in classe in modo teatrale, fingendo un grave malessere interiore, interno, intestino per la precisione, che mi obbligava a malincuore a non stare in classe.

Purtroppo le mie doti attoriali non vennero né riconosciute né apprezzate.

Qualche anno fa ero assente a una visita prenotata alla cupola del Reichstag. Mi presentai alla stessa ora ma del giorno dopo. All’ingresso però la guardia fu gentile a lasciarmi entrare lo stesso.

È stato un episodio più unico che raro, perché in genere quando si tratta di viaggi sono sempre preciso e puntuale. Uno dei pochi vantaggi di avere l’ansia è di godere di ottime doti organizzative.

Meno fortuna hanno avuto varie persone che conosco, che potrebbero raccontare storie di voli persi per essersi presentati alla stessa ora del giorno sbagliato. Dopo la data del volo, ovviamente.

L’importanza di farsi trovare pronti si riverbera in vari aspetti della vita.

Rammento quella volta, diversi anni fa, in cui ero in un locale di cui conoscevo di vista una delle bariste. Andai al bancone a prendere per me un bicchiere di veleno o di benzina – quando si è negli anni ’20 della propria vita non si va molto per il sottile su cosa si beve – da portare al tavolo dove ero con degli amici. La barista, quella che conoscevo, dopo avermi servito e avuto i soldi, mi fa:

– Bevi solo?
– No no mi aspettano al tavolo
dico mentre me ne sto andando
– Ah…sennò bevevo io con te…
ha fatto lei

Ma io me ne ero già andato.

Arrivato al tavolo, a tempo ormai scaduto, ho realizzato: sono tornato indietro ma era impegnata e non ho avuto più modo di riparlarci quella sera.

Meno male che non lavoro al Senato sennò quante occasioni mi perderei!

Non è che l’ISIS possa rivendicare una notizia bomba

A novembre andrò a un festival musicale in Centro-Nord Europa. Non è proprio un buon periodo storico per gli assembramenti di persone durante eventi pubblici.

In genere però non ci si pensa. Le statistiche poi offrono conforto: è più probabile che io sotto casa incontri un tizio con un cacciavite in mano che mi chiede di vuotar le tasche.

E io nella concitazione temo di sbagliare ed estrarre un fazzoletto sporco, perché i fazzoletti di carta li riutilizzo più volte per non sprecare. Prima ne utilizzo un angolo, poi un altro e così via fino ad averli esauriti. E quindi ho sempre in tasca un fazzoletto moccioso. L’uomo del cacciavite, pensando che io voglia prenderlo in giro, mi darebbe allora un’avvitata alla milza.

Un amico che ama far dello spirito ci consiglia di star molto attenti durante il festival che È un attimo eh eh bum eh eh.

Quasi quasi lo compio io un atto terroristico. Così, per coglier di sorpresa tutti. E magari evitar problemi, come lo statistico che sull’aereo porta con sé una bomba perché è improbabile trovarne due sullo stesso volo.

Ho deciso, esplodo io.
Mi faccio saltare i nervi. In uno stanzino tra me e me stesso, senza preavviso.

Prima penso che brinderò.

Brinderò alle domande non richieste e alle risposte non avute.
Ai gomiti nello stomaco nella ressa sui mezzi pubblici e a due dita nell’origine del mondo.
Alle pelle del salame che viene via e ai nervi a fiori di pelle.
Alle ricette di cui ognuno ha la propria e alle opinioni come culi.
Ai bei culi e ai calci in culo.
All’assenza di fortuna e alle occasioni costruite da soli.
Ai film che fanno dormire e ai capolavori inaspettati.
Alle sale d’aspetto, i trasferimenti, gli aerei a orari improbabili e gli autobus transtatali.
Ai regali restituiti e i ricordi non cedibili.
Alle ricerche, gli sbagli, le penitenze, le ripartenze.

E potrei continuare a lungo ma mi fermo sennò mi disinnesco.

Non è che in Austria per le camicie usino l’asse da Stiria

Il 15 marzo qui in Ungheria è festa nazionale per la Rivoluzione del 1848.


Il 15 marzo 1848 con la lettura di un proclama pubblico di 12 punti cominciò la rivoluzione che portò alla guerra di indipendenza dell’Ungheria contro l’Impero Asburgico, guerra che si concluse con la capitolazione – in un bagno di sangue – degli ungheresi, che dovranno attendere il 1867 (anno dell’Ausgleich, il compromesso) per vedere riconosciuta autonomia: in quell’anno, infatti, nacque l’Impero Austro-Ungarico, la Duplice Monarchia.


Già da oggi ho cominciato ad avvistare persone in giro con coccarde tricolore (è tradizione infatti apporne una sul petto per questa occasione) e bandierine, mentre suonatori ambulanti fuori la stazione Nyugati intonano canti patriottici.


O magari erano invece romanze neomelodiche che parlavano di tradimenti e amori impossibili e le coccarde mi han fuorviato.


Dato che le celebrazioni mi mettono sempre a disagio, me ne andrò via tre giorni. La società ha infatti deciso di far ponte il 14.


Che poi non è vero, rientrerò il 15 mattina in tempo per vedere qualunque cosa facciano gli ungheresi in questa giornata.


Se lo avessi saputo con largo anticipo mi sarei organizzato. Una prima idea sarebbe stata cercare un volo per tornare in patria, anche se comunque ho già in programma di rientrare a Pasqua.

La seconda idea sarebbe stata prendere un volo low cost per il Nord Europa. È stato sorprendente sapere quanti voli diretti ci siano da qui alla Scandinavia. Avrei potuto approfittare di quei fantastici biglietti a 30-40 euro per la Svezia.


La storia che i biglietti aerei conviene comprarli 8 settimane prima sembra essere purtroppo vera¹.


¹ Anche se, se tutti si convincono di questo modello matematico e iniziano ad acquistare biglietti 8 settimane prima, non c’è il rischio che il boom di click online intorno quel periodo faccia lievitare i prezzi?


Sento un bisogno di estremo Nord.

“Vieni, vieni, il Nord ti aspetta”

Non potendo soddisfare questo nordismo e vedere bionde pure prima che si estinguano,


Il biondismo sembra infatti destinato a scomparire.


Anche se in realtà poco mi interessa: sono per il nero scuro. Temo purtroppo però che i miei geni non siano total black: ogni tanto nella barba mi spunta un pelo chiaro o rossiccio.


ho deciso di prendere un treno per l’Austria, direzione Graz (preg!), capolouogo della Stiria, regione verde.


Ma esistono regioni non verdi in Austria?


Oltre a quello specifico di Nord, sento un generale bisogno di viaggiare spesso.
Non compro dischi e vivo di YouTube e Spotify, risparmio su altri intrattenimenti, ma a un viaggio, se posso e le mie possibilità manducatorie mensili me lo permettono, non riesco a rinunciare.

Ho il bisogno di vedere e di conoscere, anche perché non so se un giorno dovrò smettere o limitarmi.

Conosco anche molte persone sparse in giro, il che può essere rassicurante perché è piacevole pensare che se rimani a piedi con l’auto in un punto puoi ricordarti di qualcuno che potrebbe dare una mano lì nei dintorni.


Ammesso che si ricordi di me: sono così schivo nei rapporti umani che non li approfondisco, non li coltivo. A volte mi faccio proprio schivo da solo. Non è che non mi piacciano le persone: al contrario, più ne incontro e più trovo rassicurante sapere che ci sia vita nel mondo. Eppure di queste vite non riesco a spingermi a farne parte in misura più ampia. A volte penso sia inabilità sociale, a volte credo che quella della inabilità sia solo una giustificazione di comodo.

Quanti Fatti sentire ho ricevuto.
Oppure quanti Potevi avvisarmi che eri lì.


¹ Ma l’uso della giustificazione di comodo non è esso stesso una prova di una inabilità sociale?


Dopo tanti viaggi in treno, ancora mi affascina che dall’esterno sembri un proiettile ma quando ci sei dentro invece il paesaggio sembri scorrere più lento. Che è un po’ il contrario che accade quando si è pensierosi: la tua mente vaga a pensare mille cose in poco tempo, chi ti guarda invece pensa che tu ti sia pietrificato.

Provai a raccontare a lei, una volta, di questi miei momenti di raccoglimento. Della malinconia che mi prendeva quando dovevo specchiarmi nel finestrino perché non c’era nessuno a potermi dire che mi ero rasato male.


Uno dei motivi per cui alla fine ho lasciato crescere la barba è stata la mia presa di coscienza di essere incapace a farmi un pizzetto dritto o regolare.


Ma non mi espressi bene. Urtai la sua sensibilità. Non poteva viaggiare e lo prese come un tentativo di colpevolizzarla per il fatto di lasciarmi da solo.

Io come mio solito reagii alterandomi, perché la diplomazia per me è solo una sorella di un genitore con un titolo di studio.

Tanta voglia di vedere il resto del mondo da non riuscire poi a scorgere oltre il mio naso chi mi è più vicino.

Un giorno vorrei andare nello Spazio e, come il Doctor Who, tenderti la mano dicendo Vieni con me.

Andiamo a fare una passeggiata sul lungoMarte.

Non è che il comandante non soffra il freddo perché ha i gradi giusti

La vita è bella perché ci sono sempre prime volte.

Oggi è stata la prima volta che ho preso un volo con uno scalo non brevissimo: 7 ore trascorse in quel di Fiumiciattolo.

Mi piacciono gli aeroporti.
Sembrano formicai.
È tutto un continuo movimento, sia in superficie che dietro le quinte dove si opera per mantenere in moto costante e uniforme la macchina dell’aviazione civile.

7 ore trascorse dentro me lo han fatto però piacere un po’ meno.


Ovvio, c’è di peggio, tipo rimanere bloccati in aeroporto per una tormenta, la nebbia, le cavallette, una ex fidanzata, oppure attendere per uno scalo di 15 ore. Se e quando mi capiterà, scriverò un resoconto peggiore, infatti.


A questo va aggiunta una sveglia alle 5 del mattino e l’essere andati a letto alle 3 perché la sera precedente ho incontrato più persone di quante ne incontro in genere in un anno intero. Ma non posso atteggiarmi a PR, comunque, la mia misantropia mi rende più adatto a un PRR onomatopeico.

In ogni caso, sono partito da Napoli carico di buone intenzioni deciso a scrivere una lista delle cose da fare per trascorrere il tempo in aeroporto.

Purtroppo, dopo un’ora avevo già esaurito tutto: leggere, controllare le notizie su internet, guardare una serie tv.

I negozi sono per la maggior parte inutili e costosi. A parte per un’occhiata alla vetrina di Intimissimi immaginando a quale ex fiamma starebbe meglio un determinato completo, non solleticano il mio interesse.

A un certo punto ho avvertito i sintomi della carenza di sonno. I rumori di fondo hanno preso a darmi fastidio e rendermi insofferente. Ho iniziato a girovagare in modalità dissociamento sociale: cappuccio calato in testa, sguardo spento ma pronto a replicare torvo alle occhiate altrui.

No, il tale che ho incrociato non gli somigliava, a ripensarci.

Poi sono partite le allucinazioni: mi è sembrato di vedere un tale somigliante a Pharrell Williams, che neanche so bene che faccia abbia ma so che è caratterizzato dagli occhi da orientale e quindi quando ho incrociato un afroamericano con gli occhi sottili mi è venuto in mente. E in testa ho cominciato a sentire Pharrell Williams (quello vero) che mi urlava nelle orecchie “Freedom! Freedom!” sempre più stridulo e angosciante.

Stanco, mi sono quindi abbandonato e assopito su un sedile di ferro, con la testa reclinata all’indietro poggiata sul bordo. Mi sono svegliato con l’intero corpo che formicolava perché probabilmente avevo interrotto il midollo spinale dietro al collo.

Nel giro di una singola mezz’ora un aeroporto cambia: le facce che erano presenti intorno a me prima che mi addormentassi erano state sostituite da altre.

Mi piace immaginare chi siano, cosa facciano, da dove provengano.

Mi fanno sorridere le giovani coppie under 30.
Sembrano appena lavati col Perlana da capo a piedi. Sono morbidi e luminosi e anche smaglianti come in uno spot Mentadent.

Più in là poi vedo in una famigliola quello che potrebbe essere il futuro di qualcuna di queste coppie: il padre che trascina il figlio sbuffando, la madre che ne ha un altro in braccio e rimprovera il marito per la sua incapacità.

Una di queste famiglie mi ha colpito. La moglie ha imprecato contro il marito, troppo lento e impacciato nel farsi largo tra la folla verso il gate, dicendogli: “E muoviti, Cristo-foro Colombo, dai!”.

Avrei voluto fermarla e chiederle se usa altre espressioni, quali potrebbero essere Madonna Veronica Ciccone!, oppure Diomede, figlio di Ares!.

Oppure sono soltanto mie fantasie e il marito si chiama invece Cristoforo Colombo.

~

Negli ultimi mesi ho preso diversi aerei e ho constatato una diminuzione dell’abitudine dell’applauso all’atterraggio (su qualche aereo c’era anche al decollo); sono giunto alla conclusione che l’applauso è collegato alla presenza o meno di gruppi – anche coppie, purché si trovino per coincidenza con altre coppie con la medesima forma mentis – e comitive che affrontano il viaggio con lo spirito da gita di Pasquetta.

La teoria è stata confermata sul volo Roma – Budapest da una nutrita comitiva di frusinati, tutti parenti, che sembrava si stessero recando a una sagra di paese.

Com’è come non è, è scattato l’applauso all’atterraggio, che, a volerla dire tutta, non lo meritava neanche perché è stato dolce come un calcio nel didietro.


DIDASCALIA POLEMICA
Davanti all’applauso in aereo c’è solo, come livello di fastidio, l’applauso a un funerale.


DIDASCALIA FORTEMENTE POLEMICA
In terza posizione, ma in rapida ascesa e non dubito che possa lottare per il primato, il “mi piace” social indiscriminato. Mettiamo che io abbia condiviso un articolo su una tragedia dimenticata anche da Equitalia (ed Equitalia non perdona e non dimentica, mai). Tu, mio “amico”, metti un “mi piace”. Esattamente cos’è che ti piace, inverecondo pistolero del tasto sinistro (o destro, se, come me, siete ambidestri e usate il mouse come un mancino): la tragedia? Perché è ciò che si evince, così come l’applauso alle esequie sembra un congratularsi per la morte. Se non vuoi incorrere nell’equivoco, favella, hai il dono della scrittura, che è più recente ed evoluta dell’indice indipendente.


Applausi a parte, Budapest mi ha accolto gelidamente.
Ho conosciuto i famosi 6 gradi di separazione: sono quelli appunto che oggi pomeriggio mancavano per arrivare allo zero.


Stupido gioco di parole sulla teoria dei sei gradi di separazione. Quella vera, afferma che ogni persona è collegata a un’altra tramite una catena con al massimo 5 persone in mezzo a far da tramite. Esempio: io, questa è vera, sono in contatto con un operaio Fiat (1). L’operaio, avendo avuto anche ruoli sindacali di rilievo all’interno della fabbrica, sarà in contatto, invento, con un qualche manager dello stabilimento (2), che sarà in contatto con un altro super manager (3) che è in contatto con Marchionne (4), che è in contatto con Maurizio Arrivabene direttore Scuderia Ferrari (5), che è in contatto con Sebastian Vettel (6). Sono quindi in contatto col pilota quattro volte campione del mondo tramite 5 persone.


Volendo potrei pure dire, con un numero di passaggi inferiore, che sono in contatto con Marchionne. Ma non è che mi importi molto avere contatti con lui!


E il comandante faceva pure il simpatico, non so se volontariamente o meno: il clima è ottimo – ha detto -, la temperatura è di sei gradi sotto lo zero!


Un -6 non è niente, ci sono città italiane con la medesima temperatura, ma io sono un gatto del Sud, non un gatto delle nevi.


Non è che alle persone esaurite tu debba dar la carica #1

Il modo migliore per concludere l’anno è passare in rassegna l’elenco di persone strane che ho avuto modo di incontrare o con cui ho avuto a che fare nel corso del 2015.

Mi sono reso conto che in giro c’è molta gente esaurita. E, se Tantum mi dà Tantum – come disse la ragazza con un’infezione intima – chissà io chi debbo aspettarmi nel 2016!

10 – Lilla
Lilla non l’ho ancora introdotta, ma è una che lavora dove sto io a Budapest.


Si chiama appunto Lilla, non è un mio soprannome.


Se non ne ho scritto sinora un motivo c’è: non parla. Mai.
Ha il viso di ghiaccio. Non muove un muscolo facciale, forse non respira neanche. Una volta l’ho vista mangiare, quindi credo non sia un robot. È una giovane donna (penso non superi i 25) che ha l’aspetto e il fisico di una modella e veste sempre molto elegante e raffinata.
Non saprei che altro dire, perché in ufficio è praticamente presenza invisibile.
Però ha un’ottima resistenza alcolica. Alla cena di Natale l’ho vista buttar giù 6 bicchieri di rosso e due di palinka (la grappa locale) senza perdere un grammo di aplomb. Complimenti.


E quando dico bicchieri di grappa, intendo proprio bicchieri interi: non i cicchettini.


9 – L’ingegnera
22 dicembre, ore 21. Faccio scalo a Roma. Volo per Napoli.
Di fianco sull’aereo ho una donna che, dopo avermi chiesto l’ora e aver commentato con stupore che il mezzo avesse ben 200 posti (e a prova di ciò mi ha anche mostrato una pagina della rivista di bordo in cui erano elencate le specifiche tecniche dei velivoli della flotta: timore magari che non le credessi?!), attacca a fare conversazione.
Una persona interessante, che, come mi ha raccontato, girava il mondo per supervisionare impianti petroliferi.
Mentre le parlavo dei miei viaggi cominciò però a inquietarmi, perché mi fissava con gli occhi sbarrati e spalancati e una strana espressione di meraviglia. Tanto che non riuscivo a guardarla in faccia e non capivo il perché. Tornato a casa, ho avuto un’illuminazione. La sua espressione, che il Dio dei gatti mi fulmini se mento, era identica a questa:

Una ragazza sorpresa dallo scoprire che un aereo abbia ben 200 posti

8 – Il poeta Fiorentino
Ottobre.
Alla stazione Termini mi viene incontro un tizio sulla sessantina, tutto gioviale e sorridente. Trascinando un carrellino di quelli che le sciure utilizzano per fare la spesa al mercato, con un ampio sorriso mi si pianta davanti e fa:
– Permette? Sono un poeta fiorentino!

Io rispondo I’m sorry, I don’t speak italian.

7 – L’Affarista Fiorentino
Giugno.
Metto in vendita un lettore mp3 su Subito.it. Mi scrive un tizio dicendosi interessato chiedendomi il prezzo senza spedizione (non era prevista alcuna spedizione, comunque!). Poi mi chiama.
– Tu sei a Roma, giusto? (chiedo)
– No, sono a Firenze
– Scusami, come fai col ritiro? Perché mi hai poi chiesto il prezzo senza spedizione
– No tranquillo poi vedo di organizzarmi
(che vuol dire?)
– In che sei laureato? (prosegue)
– Scienze Politiche (ma che ti frega?)
– E com’è questa politi’a? Un gran ‘asino, eh?
– Penso che in Italia sia difficile governare e far politica perché ci sono molte linee di frattura e particolarismi
– E ‘he ne pensi del mio ‘oncittadino, eh?
– Il superamento dei particolarismi rende difficile la pratica di governo, quindi a prescindere dal personaggio l’Italia è un Paese difficile


Una cosa che ho imparato è che la gente non ti ascolta, quindi basta fingere di dire qualcosa con tono saccente e autorevole, come già ho ampiamente dimostrato in passato e come ho intenzione di continuare a fare in futuro.


– Eh ma sai quale è la verità? La gente s’è rotta i ‘oglioni, scusa la parola, ma perché vedi in tempi di crisi non poi mi’a fa’ chiacchiere, prendi pure la ‘osa degli immigrati, se non c’ho soldi mi dici te ‘ome si fa a mantenerli? Qua non c’è lavoro per gli italiani, ma fi’urati te per gli immigrati
– Purtroppo sono processi lunghi che necessitano di valutazioni che al momento il dibattito politico anche a livello europeo sembra non concedere
– Eh se parliamo dell’Europa ti mando giù la batteria del cellulare. Va bene, ‘scolta ti fo’ sapere domani o al più tardi tra due giorni, va bene?
– Va bene
– Allora a presto, tante ‘are ‘ose e buon tutto
– Grazie, anche a te.

Una delle invenzioni più utili dopo il deodorante.

6 – Lo Studente
Per qualche tempo ho dato ripetizioni a un ragazzo del liceo. Uno che temo che da adulto si darà all’alcolismo. Oppure sposerà una donna che lo tiranneggerà.
Sua madre, infatti, lo tratta come un perfetto incapace.
Ricordo dopo la prima lezione, quando ci accordammo per la seconda:
– Quindi lei quando è libero?
– Io fino a domenica son qui.
– Allora potremmo fare venerdì. Oppure sabato, che dici, T. (rivolta al ragazzo)?
– … (il ragazzo fissa il vuoto)
– Allora va benissimo, facciamo venerdì. Ma lei è libero anche di mattina?
– Venerdì sì.
– Allora potremmo fare venerdì mattina che è festa a scuola. Va bene, vero, T.?
– …(il ragazzo fissa di nuovo il vuoto ma non si sa se è lo stesso di prima o ha trovato un altro vuoto da contemplare)
– Va bene, allora venerdì alle 10:30. Poi ci penso io a svegliarlo e farlo stare in piedi.

Il povero T. all’università vuole studiare lingue, ma in famiglia non sono convinti.
Interpellato sull’argomento, io risposi che con le lingue si può lavorare in vari ambiti, certo è importante sapersi vendere. Madre Sua disse:
– Eh, appunto…(facendo davanti a lui con la mano un gesto come a dire “purtroppo lui è quel che è”).

Se copia il compito e si fa sgamare, la madre lo rimprovera due volte: per aver copiato e perché è così fesso da essersi fatto scoprire.

5 – Il Seduttore
Ottobre, Roma.
A via dei Fori richiama la mia attenzione un ragazzo ben vestito, con i capelli da Goku e oro che spuntava un po’ dovunque, chiedendomi aiuto per una foto con i Mercati di Traiano sullo sfondo. Ce ne sono volute una decina, perché o erano troppo scure o troppo luminose o passava qualcuno.

Durante i tentativi scambia qualche parola con me e mi racconta di lui. Poi fa:
– Ieri sono stato con un’asiatica, da urlo, amico. Però io voglio divertirmi e fare esperienze: oggi voglio proprio cosare un coso. Sai dove posso andare stasera per cosare un coso?
– Non ho idea perché non sono mai andato in cerca di cosi da cosare
– Dovresti provare
– No amico (ridendo), preferisco le donne
– Certo, anche io. Ma poi ho scoperto che provando cambia tutto. Un uomo sa meglio di una donna cosa piace a un altro uomo (abbassa gli occhi verso la mia cintura)
– Sarà anche così, ma…
– Non vorresti provare? (mi interrompe)…Sai, io ho proprio tanta voglia di cosare un coso (abbassa di nuovo gli occhi)
– Mi dispiace, senti ho l’autobus che mi parte.

“Ha un ritardo ma non è in gravidanza, cos’è? Un autobus di Roma”

4 – L’Enigmista
Lo citai in questo post.
Novembre.
Sull’autobus sale un tale che sembra Edward Nygma 10 anni più vecchio. Ha anche gli stessi occhiali. Si siede davanti a me. Ha degli atteggiamenti ansiogeni: si tiene le mani nervosamente, guarda fuori con aria preoccupata.
A un certo punto, con accento barese, mi chiede:
– Scusi, sa…se questo autobus ferma in qualche posto…
– Come?
– Se si ferma in un qualche posto…un deposito…cioè un posto…
– Al capolinea?
– Sì! Al capolinea!
– Certo, arriva sino alla Stazione San Pietro
– Ok, grazie.
– Però non è un deposito di autobus – preciso – cioè è uno spiazzale e basta, eh
– Sì sì, sta comunque fermo 2-3 minuti e poi dopo riparte, vero?
– Sì, certo
– Grazie (appare tranquillizzato).
– Sa, io sono a Roma a cercare lavoro e casa (aggiunge)
– Ah (non te l’ho chiesto. E li cerchi ai capolinea?)
– Ma non è facile, sa
– Eh, lo so.

Appuntamento tra 24 ore per il fantastico podio!