Non è che un agente segreto prenda i medicinali alla farma-CIA

Alcune considerazioni sparse.


Sulla seconda pagina della mia agenda ho scritto Al lavoro: ricordarsi sempre di tacere. Non ricordo perché la scrissi, ma è una cosa che funziona. Non è un invito a starsene silenziosi e remissivi come un ficus benjamin che in un angolo non si decide a seccare definitivamente, è uno schema di salvaguardia: di sé stessi, intendo. Bisogna stare attenti a quel che si dice, perché poi qualcun* (e c’è sempre) apparirà all’improvviso, sorprendendovi come un mal di pancia appena avete fatto il vostro ingresso in un luogo che non potete abbandonare immediatamente, dicendovi che quella volta avete detto che….Quindi, tacete.

Ho un caro amico che non ne può più dell’azienda dove lavora. Diciamo che è un rapporto che, dopo l’entusiasmo iniziale, non si è mai impostato benissimo per una serie di ragioni professionali. Cui va aggiunto il fatto che il mio amico non riesce proprio a farsene una ragione – ed è lì ormai da 3 anni – che i colleghi parlino in dialetto e bestemmino ogni tre per due. Per la cronaca: il mio amico sta in Veneto. Vorrei dirgli forse che si è trasferito nella regione meno adatta.

Ho un altro caro amico, del quale forse ho già parlato, che ha l’ansia per conto terzi. Quando lui non ha l’ansia per sé stesso – e ne ha solo che non lo ammette e non lo ammetterà mai -, ce l’ha nei confronti degli altri. Gli racconti che non si trovano librerie da IKEA perché sono esaurite in magazzino e tu ne stavi cercando due-tre per sistemare casa? Lui: «Ah e questo è un bel problema, e ora come fate? Come le trovate delle librerie?» Gli racconti che devi partire e prendere il treno? Lui: «Ah ma vedi bene se poi trovi traffico arrivi tardi perde il treno ma non ti conviene partire il giorno prima bla bla», e via così. Se uno non lo conoscesse penserebbe che voglia portare sfiga, in realtà è semplicemente naturale: a lui in automatico parte il pensiero che le cose andranno male o che un imprevisto possibile diventerà altamente reale. La mia filosofia di vita è lasciare che le persone, se non arrecano danno a sé stessi e/o al prossimo, si sentano libere di essere come siano, se si trovano bene a essere così. Quindi quando lui parte con i messaggi ANSIA faccio spallucce e dico «In qualche modo si risolverà». Anche se, delle volte, mi incazzo perché penso ma davvero ci si trova bene a stare così? Ma forse anche a me viene l’ansia ingiustificata.

Rimango sempre colpito quando in farmacia fanno lo sconto. È una cosa cui non mi ci abituo mai né che mi lascia contento: sarà che non è che in farmacia uno ci va come se entrasse in una pasticceria. Forse sono un ingrato.

La settimana scorsa invece ho pagato l’assicurazione dell’auto. Dopo una strisciata di POS che mi ha alleggerito di un bel po’ di denaro, me ne sono andato dall’agenzia salutando e ringraziando. Appena uscito in strada mi sono chiesto cosa mai avessi io da ringraziare visto il salasso subìto.

Venerdì ho la seduta di laurea. Sarà una bella liberazione. Intanto però dovrò cominciare a pensare in quale nuova attività io debba cimentarmi in futuro.

Non è che il calciatore possa trovarsi nell’ultimo stadio di sviluppo

Negli ultimi, mi sono trovato per quella volta che vado in ufficio interrompendo il telelavoro, a muovermi sempre il giorno in cui allo stadio c’è una partita in programma.

La strada che termina nel parcheggio della sede dove lavoro ha un tratto in comune col percorso che utilizzano i pullman delle squadre e i furgoni delle tv per arrivare allo stadio. Viene bloccata dal mattino dalle Forze dell’Ordine quando c’è un incontro di calcio.

Uno schema esplicativo perché mi piace esplicare

 

Un mattino di pioggia torrenziale mi sono trovato davanti le transenne con il varco chiuso. Non essendoci nessuno a sorvegliarle, perché, giustamente, saranno andati a ripararsi al calduccio e all’asciutto in auto, per poter passare sono sceso io a spostarle con delle bestemmie ben assestate.

Un’altra volta stavo invece uscendo dal parcheggio e uno della Municipale, vedendomi, viene verso di me e con ampi e frenetici gesti mi indica dove devo andare. Cioè dritto, come stavo facendo perché è l’unica via. Meno male che è intervenuto lui: senza le sue preziose indicazioni mi sarei di certo schiantato contro un albero o un muretto.

L’altro giorno, invece, avvicinandomi alle transenne, un altro esponente della Municipale mi segnala di tornare indietro. Io faccio No col dito e, avanzando, abbasso il finestrino e gli dico Guardi io lavoro laggiù. E lui, un po’ stizzito, “Eh se ce lo dice noi la facciamo passare”. Infatti te lo sto dicendo!

Quello della Municipale è un mestiere particolare, è evidente. Solo gli elementi più forti e preparati possono svolgerlo. Individui pronti ad affrontare situazioni ad alto rischio.

Ieri, nella mia città, ho assistito a questa scena. C’era un gruppo di adolescenti, una decina, in piazza. Tutti insieme ravvicinati, alcuni con la mascherina abbassata, altri che condividevano bicchieri.

Passa una Panda della Municipale. L’agente al volante nota l’assembramento, rallenta, dà un colpetto di clacson per richiamare l’attenzione dei ragazzi, dice loro qualcosa senza scendere dall’auto, poi se ne va. I ragazzi fanno spallucce e proseguono le loro attività.

Lo sprezzo del pericolo dell’agente nell’esercitare la pressione sullo strumento di segnalazione acustica è palese. Ho sudato freddo mentre assistevo alla scena. Io non riuscirei a fare questo.

E tu? Saresti pronto per essere della Municipale?

Non è che l’albero di Natale sia scocciato solo perché gli son cadute le palle

È difficile parlare di quanto sia stato un anno particolare e complicato a livello personale quando c’è già una situazione comune che è particolare e complicata. Ho sempre preferito – se abbia senso utilizzare questa espressione su certi argomenti, diciamo è come il quesito di cosa scegli di buttare giù dalla torre* – i problemi personali a quelli pubblici, se non altro perché i primi li puoi nascondere, minimizzare, mistificare.


*Che poi sulla torre io mi limito a guardare il panorama, poi faccio “Guardate là!” e me ne scappo giù dicendo sbrogliatevela tra di voi su chi deve buttarsi.


Ho avuto due lutti importanti in famiglia, quest’anno.

Ho pesantemente ferito una persona. Per cercare di evitare di arrecare altro danno al danno mi sono allontanato cercando nel tempo una forma di cura. Mi ha poi bloccato da qualsiasi strumento di comunicazione. Va bene così se può servire come catarsi. Mi prendo le probabili bestemmie, l’odio.

La proprietaria della nuova stanza che a inizio anno avevo appena preso a Milano di punto in bianco mi aveva mandato via perché non le piacevo. La cosa mi ha scatenato un attacco di panico. Durato tre giorni. Mi sono chiuso in una stanza di albergo, uscendo solo per fumare erba.

Non so perché e per come sia successo, non credo neanche fosse realmente a causa di quella mentecatta della proprietaria che allineava le sedie al muro col righello. Fatto sta che per 48 ore filate non ho mai dormito, in preda a pensieri tremendi.


La cosa del righello è una mia invenzione narrativa. Fatto sta che le sedie, girate dando sempre lo schienale al muro (quindi di lato rispetto al tavolo), erano allineate sempre alla stessa distanza e dal muro e dal tavolo.


Dato che il lavoro era pure terminato, scelsi di tornare giù a casa a prendere fiato e anche aiutare Madre che dopo la morte di nonno stava prendendo ansiolitici. Non volevo abbandonare definitivamente Milano, avevo anche sostenuto due colloqui in quei giorni (uno il lunedì mattina dopo il mio weekend di follia, era il 17 febbraio). Tre giorni dopo la mia partenza – avvenuta il 18 febbraio – scoprirono poi il focolaio di Codogno. Non son più tornato in Lombardia, ovviamente.

Il mio attacco di panico probabilmente mi ha salvato. Se mi fossi trovato a Milano durante l’inizio della pandemia non so come sarebbe stato trovarsi lì senza casa, senza lavoro e senza soldi. Non sarei tornato giù, per ragioni di sicurezza. Ma non critico chi invece in quei giorni prima della chiusura l’ha fatto. Anzi, devo dire che mi sono anche abbastanza rotto le palle di sentire persone che puntano il dito contro altre senza sapere, senza conoscere, senza avere alcuna cognizione di causa.

Gente che si vanta che da 10 anni non va a trovare i genitori anche se vivono a 10 km di distanza. Bravo coglione.

Ne ho le palle piene.

Letteralmente. Mi devo far togliere un varicocele, ho scoperto di recente.

È un anno strano. Ma mi ha anche portato cose belle. Inaspettate. È stato un punto di rottura che ha segnato un prima e un dopo. Al punto che sento in me un ottimismo che per i miei standard suona anche un po’ inusitato.

Anche in questo caso, trovo difficile parlare di ottimismo personale, in un quadro di pessimismo generale.

Ma forse, il segreto, è fare una cosa che oggigiorno fanno veramente in pochi.

Tacere.

Taccio. Dunque, sono.