Non è che il telelavoro sia quello che fa Pippo Baudo

Non posso lamentarmi del mio lavoro per quanto riguarda la libertà organizzativa e di orari che mi concede; non essendo vincolato a una presenza fissa in sede posso anche usufruire della possibilità di lavorare a distanza.

Se mi reco in ufficio tutti i giorni è per una sorta di auto-disciplina che mi sono dato non suicidarmi.

Lavorare da casa può essere interessante per un giorno. Due, al massimo. Poi quando ti rendi conto che passi in modo immediato dal letto al lavoro e dal lavoro al letto oppure che quando hai finito di fare ciò che devi fare stacchi per aprire Netflix (o YouPorn…) senza alzarti dalla sedia, non ti senti molto bene con te stesso.

Anzi ti senti un po’ coglione, se mi è consentito.

Stare a casa poi ti porta ad assumere alcune abitudini tipicamente casalinghe. Ad esempio quella di avere telefonate importanti in ciabatte e boxer.


Quando ti sei ricordato di indossare i boxer.


Diventa problematico, una volta avvezzi a tali comodità, rinunciarvi quanto non sei più a casa tua.

Come fai a convincere gli altri che in ufficio ti deve essere concesso ogni tot di tempo di “cercare qualcosa profondamente nelle tasche” in totale libertà per scaricare la tensione?


Si dibatte molto, tra le donne, sul perché gli uomini abbiano questa triviale abitudine di cercare cose profondamente nelle tasche, quando non si tratta di rituali apotropaici – beninteso volgari in ugual maniera ma giustificabili in qualche modo. Le ragioni posson essere diverse, come la necessità di ricollocare le truppe spostatesi fuori territorio o la ricerca di sollievo da un tessuto scomodo o dermatologicamente aggressivo; in generale comunque va detto che lo sfregamento dell’anguinaia, come di altre parti del corpo, stimola la produzione di endorfine come fosse una sorta di ricompensa dell’atto. L’abitudine, per l’essere maschile, ad avere molta confidenza con le proprie zone private sembra spinga quindi a cercare ricompensa più spesso proprio lì che da altre parti.


Per questo resto a casa solo in caso di malattia o necessità tipo visite dal medico (mie o di altri) o dal veterinario.

Coincidenza o Legge di Murphy vuole che quando sono impegnato in queste situazioni e non presente in sede, mi cerchi al telefono, puntuale come la pioggia di Pasquetta, l’intero mondo – un mondo tra l’altro che non è a conoscenza che io non son presente in sede, dato che chiamano da altre parti d’Italia – e per conversazioni ovviamente non brevi.

Dato che non riesco a ignorare un telefono che squilla, a meno che io non sia alla guida, mi sono spesso dovuto esibire in equilibrismi vari: una volta con una mano mi sono trovato a reggere il telefono, con l’altra la gabbietta del gatto, mentre con il piede aprivo la porta, con il naso accendevo la luce e non so come ma nello stesso tempo mi sono anche cercato qualcosa molto profondamente nelle tasche.

Non è che il vegano romano imprechi dicendo ‘tacci soia

Supermercato.
Arrivo alla cassa contemporaneamente a una ragazza che sopraggiunge da un’altra direzione. Le faccio segno di passare avanti, mi guarda interdetta e non si muove. Debbo insistere. Lei si adegua, ancora interdetta.

Comprendo che qui non siano avvezzi alla cortesia, ma che non mi guardassero come un alieno perché già mi capita di sentirmi strano di mio.


Oppure forse il gesto che ho fatto qui è fraintendibile.
Una amichevole mano aperta col palmo all’insù che si allontana da me e indica la cassa probabilmente qui significherà “Che ne direbbe di sdraiarci insieme così le mostro che è allungabile da qui sino a lì?”.


Non è l’unica cosa nei supermercati che mi ha dato da pensare di recente.

La frutta e la verdura, ad esempio.
In alcuni punti vendita è necessario pesarla ed etichettarla, in altri no, seppur facciano parte della stessa catena. Non comprendo il principio della differente scelta. Se capita di frequentare indifferentemente uno o l’altro supermercato, può capitare di presentarsi alla cassa senza il prodotto etichettato perché per la fretta ci si è confusi. La cassiera allora ti redarguirà e getterà il sacchetto in un angolo con vibrante disprezzo.

Ovviamente non rifarai la fila per 3 pomodori che volevi mettere in un’insalata e questo è fonte di frustrazione per uno che di suo già si ciba di un numero limitato di ortaggi e che si vedrà privato del giornaliero apporto di nutrienti.

Ci sono cassiere che invece si prendono la briga di andare a etichettare il sacchetto oppure chiedono a qualcuno di farlo o ancora chiedono il prezzo a una collega e lo digitano alla cassa. Ma non sono mai capitate quando ero io ad aver dimenticato l’etichetta oppure erano alla cassa di fianco la mia.


Che un po’ legge di Murphy come il principio de “La fila di fianco è sempre più veloce”: studi scientifici dicono che sia un inganno della mente, perché il cervello enfatizza la lentezza della nostra fila e sottostima quella della fila accanto, che, in realtà, non procede affatto più veloce.
Io non condivido tali studi e infatti ogni volta punto un cliente della fila di fianco che parte al mio stesso livello e, puntualmente, debbo constatare che se ne va mentre io sono ancora in coda perché davanti capita qualcuno che non ha etichettato il sacchetto oppure che deve digitare di nuovo il pin del bancomat oppure che paga in cambiali della banca della Cappadocia.


La disposizione della merce è un’altra cosa che mi crea ancora qualche difficoltà.

È risaputo che alcune cose di prima necessità (sale, latte, uova) sono dislocate in modo strategico lontane le une dalle altre per aumentare il tempo di permanenza del cliente tra gli scaffali. È un vecchio trucco del marketing della GDO.

Qui a Budapest questo concetto è esteso alle estreme conseguenze.
Nei vari supermercati che ho visto ho notato che la merce non segue alcuna logica nella propria disposizione.

Perché il cibo per animali è nello stesso scaffale della maionese e del ketchup? Perché gnocchi e tortelloni sono nel banco con i dolci?


Perché è l’unico banco frigo disponibile? No! È un punto vendita enorme pieno di banchi frigo, eppure l’associazione mentale è gnocchi+tiramisù, forse perché entrambi prodotti non tipici e quindi quello deve essere il banco prodotti esotici.


E poi perché mai il latte vegetale è disposto sopra al banco della carne? Non di fianco, non separato: in bella mostra proprio sopra un macinato fresco di maiale.


Un messaggio subliminale aggressivo, vegano infame per te solo salame?


Almeno credo che fosse maiale perché ho ancora qualche problema a ricordare come si chiama cosa e google translate spesso non trova le parole che cerco.


Una volta, invece, sconsolato dopo aver girato a vuoto inutilmente perché non trovavo l’olio, ho posato tutto ciò che avevo e sono uscito a mani vuote. Come atto di protesta.


Tutti i consumatori dovrebbero fare come me.


L’olio non era più dove avrebbe dovuto essere. Ne avevano cambiato posizione. Ogni tanto cambiano di posto alle cose, oppure altre volte le tolgono dalla vendita.

Una volta avevo trovato degli hamburger gradevoli e che non contenevano dieci altre cose sconosciute aromatizzanti miscelate dentro.


Perché mai all’estero capita a volte che con la carne debbano impastarci tante altre cose dentro tanto che alla fine di carne non c’è più il sapore non mi è chiaro.


Dopo averli acquistati una volta sono poi scomparsi.

Le fette biscottate: quelle del Mulino Bianco costano troppo, quelle dello SPAR sembrano fatte di segatura impastata.


Almeno fosse segatura di legno di cedro, invece sembra provenire da una scarpiera IKEA.


Avevo trovato una marca buona olandese che produceva quelle doppie e pastose. Sono riuscito ad acquistarle 3 volte, poi sono scomparse.

In genere quando i supermercati non si riforniscono di un prodotto è perché non vende.
Ciò mi fa sorgere dei dubbi: o è possibile che io abbia dei gusti così fuori dalla norma oppure che io sia una specie di tester al contrario. Se una cosa mi piace vuol dire che non sarà di successo.

I miei elenchi sono solo chiacchiere e distinzioni, direbbe De Niro / Conversano (Bari) è una città molto chiacchierata

Conversare con le persone a volte è un’attività faticosa. È difficile trovare qualcuno con cui parlare che sia sulla nostra stesse lunghezza d’onda e che, soprattutto, non ti innervosisca.

A me, ad esempio, danno molto fastidio quelli che quando ti parlano ti toccano. Ne esistono due categorie: quelli che ti tengono per il braccio e che sembra ti stiano minacciando e che io chiamo gli Estorsori, perché hanno lo stesso atteggiamento intimidatorio di uno che ti sta chiedendo il pizzo. Esercitano una pressione tale sul braccio da lasciarti i lividi. Poi esistono i Pugili, quelli che ti danno dei colpetti un po’ dovunque e sembra vogliano prenderti per sfinimento fisico.

Fin qui siamo a un livello base di conversazione e costoro sono dei principianti: le vere persone minacciose non hanno bisogno di toccarti. Ricordo più di una conversazione con soggetti Zidane, quelli che mentre ti parlano dondolano la testa avanti e sembra che siano lì per lì per volerti dare una capocciata. Ma la loro abilità sta nel non colpirti mai, ma nell’intimorirti al pensiero che possa accadere.

Ma quelli che temo di più sono i Wind of change: il loro alito può cambiarti la giornata. In negativo, ovviamente. E sembra che la mefiticità del loro alito sia inversamente proporzionale alla distanza con cui sentono il bisogno di parlarti.


Cioè legge di Murphy: più ha l’alito cattivo, più ti parlerà vicino.


E con questa seconda carrellata ho esaurito anche la fascia intermedia della classifica delle persone con cui evitare di chiacchierare: come si evince, costoro non sono il top della conversazione, in quanto le loro abilità fastidiose puntano tutte sull’area delle sensazioni fisiche e non si concentrano sul fondamento stesso della chiacchiera: la parola.

In questa categoria che definirei dei pesi massimi inserirei Le valanghe. Le valanghe sono inarrestabili: l’unico metodo per salvarsi è evitare di percorrere un sentiero pericoloso. Se avvistate un soggetto simile a distanza, cambiate rotta o vi investirà con una valanga di chiacchiere.

Il soggetto valanga ha un bisogno compulsivo di tenere le corde vocali a pieno regime. Se è costretto a stare zitto a lungo – ad esempio al cinema – soffrirà in maniera tremenda. Alla prima occasione riprenderà a parlare come fosse stato in silenzio per vent’anni invece che per un paio d’ore. I soggetti più abili, se interrotti, sono in grado di riprendere dal punto esatto in cui si erano fermati anche se è passata un’ora.

Esistono poi le valanghe che ti pigliano per i fondelli. Sono quelli che non solo non ti fanno dire neanche una parola perché sono così sovrabbondanti, verbosi e prolissi da riempire interamente la conversazione, non solo sprecano il tuo tempo, ma che poi alla fine ti dicono anche “Senti non dirmi niente ma sono di fretta, scusami, devo andare” come se fossi stato tu a far perdere loro il tempo.

Più o meno è questa la pacata reazione che mi viene in mente in queste occasioni.

All’estremo opposto c’è il soggetto Gioia di vivere. Qualsiasi cosa tu possa dirgli non lo smuoverà affatto, resterà impassibile e con lo sguardo spento dando l’impressione che non stia affatto ascoltando. Ogni tanto dà segni di vita con commenti elaborati quali ‘mh’, ‘ah’, ‘sì’. Se ha energie sufficienti potrà dire ‘capisco’, oppure ‘ho capito’ (anche se è più probabile si limiti a un ‘capito’ perché due parole in fila sono troppe per lui).

Se l’Universo tendesse alla perfezione, valanghe e gioiosi dovrebbero sempre accoppiarsi. Tanto i primi non hanno alcun bisogno che qualcuno partecipi al discorso. Se potessero, parlerebbero anche con una sagoma di cartone.

Ma i migliori sono gli Egocentrici. Quelli che mentre tu gli stai raccontando una cosa personale, interrompono dicendo “Eh sai pensa a me è successo questo…” e cominciano a parlare di cose che non c’entrano nulla con quel che tu gli stavi dicendo ma che servono all’egocentrico a riprendersi la scena che per un attimo sentivano sottratta dal tuo racconto personale.

Bisogna compatire costoro. Agli egocentrici è stata asportata la capacità di ascoltare. Cosicché non sono in grado di stare in silenzio a lungo mentre qualcuno parla.

C’è poi l’Egocentrico Esibizionista: costui non si sovrappone ai discorsi altrui, ma interviene in modo più subdolo quando meno te lo aspetti, come un attacco di colite. È l’individuo che vanta sempre competenze e capacità acquisite nel corso della propria lunga e produttiva vita. Tu sei lì che stai parlando di giroscopi a pedali e del loro funzionamento e lui esordisce con affermazioni del tipo “Eh io lo so, son stato in Chissandostan, patria dei giroscopi a pedali”. Magari poi in Chissandostan c’è stato giusto per fare scalo all’aeroporto, ma questo non lo menziona.

E poi mi si rimprovera perché sono asociale! Guardate che gente che c’è in giro, come si fa ad avere una conversazione normale?!

Lo zen o l’arte della manutenzione degli autobus

I mezzi pubblici, gli autobus in particolare, sono un microcosmo. E non solo per il coacervo di batteri, funghi e altre specie ancora non scoperte dalla scienza che essi ospitano.

C’è una varietà umana (e disumana) al suo interno che impressiona.

A cominciare dai conducenti.

Il conducente è incazzato per natura. E mi sono accorto che il conducente romano è incazzato ancor più degli altri, come se fosse un saiyan di secondo livello degli autisti.

Un conducente in un momento di relax

Ho pensato che potesse essere colpa dello snervante traffico romano, delle strade con le buche, dei sanpietrini tutti sfalsati gli uni con gli altri che sotto al deretano hanno lo stesso effetto di una raffica di calcetti alle chiappe. Mi rendo conto che passare una giornata in questo modo non ti renda aperto e bendisposto col mondo. Poi, dopo aver visto dei conducenti al capolinea cominciare il turno già incazzati neri, mi son reso conto che sono avvelenati per costituzione.

Su un autobus italiano pieno di gente il biglietto in genere ce l’hanno giusto un paio di persone, di cui una non l’ha obliterato. Legge di Murphy vuole, inoltre, che la macchinetta vicino la porta dove sei salito non funzioni e tu debba dirigerti verso quella opposta, sgomitando per farti largo tra gli altri passeggeri che aumentano esponenzialmente via via che si riduce la distanza tra te e l’obliteratrice. Uno studio di meccanica quantistica dice che esiste un punto di massimo sforzo oltre il quale non riuscirai più a procedere e dovrai allora allungare il biglietto alla persona più prossima alla macchinetta, che lo oblitererà per te con un misto di fastidio per l’incombenza e compatimento verso di te, come a dire “Guarda ‘sto fesso si fa pure il biglietto”.

Gli autobus sono un mondo di lotta senza quartiere. E a volte pure senza isolato, strada, condominio. Si comincia con la guerra per riuscire a entrare, al suon di “andate più dentro”. Si prosegue, una volta saliti, con la lotta alla fermata successiva, dove chi è fuori spinge al suon di “andate più dentro” e tu ti chiedi ma dentro dove, visto che lo spazio è ormai terminato. Poi arriva quello che ti si appoggia dietro le chiappe e che ha evidentemente frainteso il concetto di andare più dentro.

Un autobus poco affollato all’ora di punta in Italia

Le nonnette sprint sono una categoria a parte. Premesso che il posto agli anziani si cede sempre e comunque e non si fa quindi a gara con loro nell’accaparrarsi un sediolino, la nonnetta sprint appena un posto si libera si esibisce in uno scatto che nella finale dei 100 metri varrebbe la squalifica per partenza anticipata.

La nonnetta sprint sa come far male: per salire e per scendere non esita a darti colpi che non sarebbero ammessi in un incontro di muay thai.

Sugli autobus non manca mai quello che, obbedendo sicuramente a rigidi principi religiosi o morali e scegliendo una vita di privazioni come un asceta, abbandonando quindi la cura del corpo, non ha molta familiarità con l’igiene personale. E così l’asceta gli puzza assai. Ovviamente si posizionerà vicino a te.

Elemento decorativo tipico di questo mezzo pubblico è il turista americano con l’aria da boccalone che va in giro con la Reflex a tracolla bene in vista, il marsupio in vita e il portafogli che sporge dalle tasche, in pratica una scritta “rapinatemi” vivente.

Attendere un autobus è un’altra sfida con le Leggi di Murphy. Arrivi alla fermata quando ormai è già passato (stranamente proprio quella volta era puntuale), attenderai invano per quelli che ti sembreranno secoli, vedendo scorrere davanti a te tutti quelli che non vanno dove ti serve, di cui ne arriveranno anche più di uno, a volte sino a tre di fila con lo stesso numero!

L’insostenibile leggerezza dell’ebete

“Osservate con quanta insolenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di idiozia”
(Era asmatico a Rotterdam – Elogio dell’idiozia)

L’ebete è ovunque. Ti coglie di sorpresa. Come un tiro all’incrocio dei pali dalla distanza di 30 metri, come una volante con l’autovelox appostata lungo una statale, come le mestruazioni durante l’atto.

La caratteristica fondamentale di un ebete è la superficialità con la quale affronta le cose e anche la tranquillità con la quale commette minchiate. Ciò lo rende un individuo molto pericoloso.

L’ebete è quello che ti si incolla al posteriore della macchina e, pur avendo tu messo la freccia per segnalare l’intenzione di parcheggiare, resta appiccicato al tuo didietro come un cane che annusa un altro cane, impedendoti la manovra.

L’automobile è luogo deputato a ospitare ebeti. L’ebete d’autostrada è quello che ti vede da lontano sulla corsia di sorpasso ma non rallenta, anzi, accelera, segnalando con gli abbaglianti di continuo facendo lo stesso effetto delle luci di una discoteca. Se potesse, azionerebbe un pulsante per farti sparire all’istante. Fa nulla che a destra ci siano altre auto(si chiama corsia di sorpasso, quindi servirà per sorpassare le auto sulla corsia di destra, evidentemente), devi sparire prima che lui ti entri nel già citato culo della macchina.

L’ebete parcheggia in modo da impedire alla tua auto di uscire. E poi sparisce, abbandona il mezzo al suo destino, va in banca, a fare la spesa, al matrimonio di George Clooney, a scattarsi un selfie con un dromedario, il tutto nella più imperturbabile strafottenza. Tanto l’auto lì non darà fastidio a nessuno. Qui subentra la Legge di Muprhy, che vuole che sia proprio la vostra auto quella che verrà bloccata.

Ma l’ebete può anche muoversi su due ruote o essere un pedone. L’ebete a passeggio cammina sulla carreggiata, pur essendoci il marciapiede. Magari con un bambino, ovviamente tenendolo sul lato di passaggio delle auto.

All’ebete non dovrebbero essere affidati cani e bambini. Partendo dal presupposto che non esistono cattivi cani e cattivi bambini ma solo cattivi loro accompagnatori, cani e bambini in mano a un ebete saranno inevitabilmente classificabili nella categoria “scassaminchia”, grazie al degno esempio che hanno davanti.

L’ebete frequenta i vostri stessi luoghi. Lavora, consuma come noi. L’ebete da ufficio è quello che pone domande da ebete, per l’appunto. Esempio:
Tizia A: “Perché quel contratto non è ancora validato?”
Tizio B: “Chiamo il cliente per la telefonata di controllo, suona ma non risponde”
Tizia A: “E perché non risponde?”
No comment.

L’ebete colonizza social network diffondendo spore di idiozia, che possono poi attecchire e germinare in altre teste e formare nuovi ebeti che diffonderanno altre spore e così via. Nel momento in cui clicchi “condividi” sei già stato infettato.

L’ebete è il consumatore ideale. Una qualsiasi minchiata sarà ai suoi occhi così appetibile da farlo bramare il poterla avere al più presto. Il desiderio si spegnerà giusto in tempo per l’arrivo di una nuova minchiata da consumare.

Vicino a te non ci sto più

Ovvero, quelle persone che ci si ritrova come vicini di posto o durante un viaggio (in treno, autobus, aereo) o quando assistiamo a uno spettacolo e che ci allietano (più o meno) il tempo trascorso in comune. Ecco una lista degli esemplari più interessanti (e anche fastidiosi, in certi casi).

Sapore di male – Quello con l’alito pugilistico in grado di stendere perfino Mike Tyson. Anche con la bocca chiusa riesce a far avvertire alle vostre narici il flusso malefico del cavo orale. Potete avere certezza, inoltre, che aprirà bocca per chiacchierare con voi.

Profumo di male – A fare il paio con il tizio di sopra (a volte si tratta di un’unica persona) ci pensa l’individuo con una poco invidiabile flora batterica ascellare che sparge il proprio afrore nei dintorni, allenando gli altri a battere record di apnea. Con invidiabile disinvoltura alzerà di tanto in tanto le braccia sventolando la pezzatura degli abiti proprio sotto al vostro naso.

Rocchetta – Legge di Murphy vuole che la persona che sarà seduta all’interno dovrà alzarsi più e più volte per andare al bagno, costringendovi a interrompere qualsiasi cosa stiate facendo. Gli attacchi diuretici si intensificheranno appena vi sarete assopiti. Dopo, voi non riprenderete più sonno, mentre il disturbatore, espletate le formalità urinarie, si addormenterà beato.

L’autobiografico – Questa è la mia vita, come cantava Ligabue e come il nostro passeggero ci tiene a far presente. Senza che nessuno gliel’abbia chiesto inizia a raccontare la propria storia personale, con dovizia di particolari. Spesso si tratta di persone anziane e, va detto, è anche piacevole e istruttivo ascoltare i loro racconti. Ma quando incontrate un 45enne single che vuole sapere da voi perché la ragazza che frequenta da un paio di mesi gli dice che devono vedersi solo quando dice lei e lui non ne capisce il motivo, la cosa diventa alquanto imbarazzante. True story.

Il fatto quotidiano – Partendo da un qualsiasi pretesto come può essere il ritardo del treno o dei lavori in corso, comincerà a discorrere di attualità e politica in maniera critica, polemica e pungente. La vostra opinione sarà del tutto irrilevante: in effetti, i suoi discorsi somigliano più a un lungo monologo.

Ciccio di Nonna Papera – Quello che o dorme e russa pesantemente producendo il rumore di un reattore o mangia in maniera scomposta e sguaiata durante il viaggio, spargendo briciole dappertutto, ovviamente anche sui vostri vestiti.

Qui, Quo, Qua – Ovvero, l’allegra famigliola numerosa i cui bambini allieteranno il viaggio non stando mai fermi un solo minuto, urlando, saltando, schiamazzando, rovesciandovi addosso bevande e cibo e tirandovi anche qualche calcio, il tutto nell’assoluta imperturbabilità dei genitori, i quali fingeranno di volerli tenere a bada richiamandoli all’ordine ma in realtà staranno segretamente gongolando perché penseranno che una volta tanto i graziosi pargoli si sfogano rompendo i maroni a qualcun altro.

Libera uscita – Cosa c’è di peggio dei bambini descritti sopra? Un’intera scolaresca, of course. Se non siete muniti di tappi per le orecchie, preparatevi a uscirne storditi a causa dell’interminabile vociare scassatimpani.

Mary Poppins – Una qualsiasi donna di questo pianeta. Durante il viaggio la vedrete  tirar fuori l’impossibile dalla propria borsa o zainetto di dimensioni ridotte. Comincia col lettore mp3, poi prende un libro, poi la merenda, poi l’acqua, poi un altro libro, poi un cappello, poi un maglione…mentre voi starete bestemmiando perché non riuscite a rimettere a posto il pacchetto di gomme che avete preso dallo zaino. La genialità dell’ottimizzazione degli spazi.

Edward mani di frolla – La persona che è in grado di far cadere qualunque cosa che passi dalle proprie mani. E fin quando si tratta del cellulare, di una bottiglietta d’acqua e così via…ma quando dovrà prendere il trolley che è parcheggiato proprio sopra di voi, suderete freddo. Occhio inoltre a quelli che hanno in mano bevande bollenti.

Il Führer – Quello che, come Hitler, ha bisogno del suo lebensraum e tende a invadere la vostra zona. Prima comincia con l’occupare il bracciolo come la Germania fece con parte della Cecoslovacchia e voi pensate Beh, pazienza, in fondo era suo in precedenza e poi a me resta comunque l’altra parte. Mettere in atto una tollerante politica di appeasement è un madornale errore. Dal bracciolo passerà a sconfinare nella vostra zona con il gomito ossuto puntato ai vostri fianchi, mentre le gambe attaccheranno dal basso invadendo anche la zona riservata ai piedi e, in poche mosse, il blitzkrieg sarà compiuto. A quel punto, non lo farete più indietreggiare a meno di non entrare in conflitto aperto.

Il confuso – Chiede se il mezzo sia quello giusto, quali siano le fermate, quale sia la destinazione, se il biglietto che ha vada bene, cosa dovrà fare una volta arrivato e tante altre domande ancora. Vi farà compassione e, una volta che sarete scesi, vi chiederete se riuscirà a raggiungere la meta o finirà a Chi l’ha visto nell’elenco dei dispersi.

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Il commento tecnico – Come un vero opinionista sportivo, sente il bisogno di commentare in maniera inutile e superflua cose ovvie ed evidenti durante la proiezione di un film o la visione di una partita. Di ciò che dice a voi non fregherà proprio nulla, anzi, preferireste che stesse zitto e sperate che non dandogli corda e limitandovi ad annuire si plachi. Non sarà così. Hai fatto bene a sottolinearlo, Fabio (cit.).

Chiedere è lecito, rispondere costa fatica

La settimana scorsa ho inviato qualcosa come 25 mail ad altrettanti professionisti o presunti tali, chiedendo delle informazioni (e non certo l’elemosina o un rene per un trapianto).
Mi hanno risposto in 3. E due risposte valgono per una sola, perché venivano dallo stesso studio, dove evidentemente non si parlano perché mi hanno scritto due persone diverse dicendomi due cose opposte.

Mi chiedo come ci si faccia ad ammantarsi di professionalità se non si perdono neanche due minuti (perché questa è la perdita di tempo richiesta) per rispondere a una mail. È un atto di educazione e rispetto, due cose che nel mondo del lavoro credo non esistano, grullo io a illudermi.

E con questo voglio rivolgere un pensiero anche a quei due pipponi che mi hanno fatto un colloquio, rassicurando che tutti sarebbero stati avvertiti, indipendentemente dall’esito. Certo. Sto ancora aspettando due righe da parte vostra, fenomeni.
È evidente che è chiedere troppa cortesia una email che ti dica almeno “Spiacente, ritenta e sarai più fortunato”, specialmente quando la paranoia ti spinge a portare il cellulare anche al bagno perché non sia mai chiamino in quel momento (Legge di Murphy sulla telefonia mobile).

Poi dicono che uno si sveglia carico di odio e disprezzo.
Buon lunedì.

Principi di fisica dell’Universo femminile

Isolamento chimico – Recenti studi hanno messo in evidenza la capacità della donna di non restare a lungo isolata senza stabilire legami chimici con individui del sesso opposto. Tale comportamento potrebbe apparire scontato, data la naturale tendenza della molecola D di attrarre la molecola U: in realtà, la natura elettrostatica femminile è a condizione variabile e, quindi, in grado di attrarre e respingere corpi a piacimento e in qualsiasi momento.
Sembra che la donna, mantenendosi isolata a lungo, tema di entrare in uno stadio di decadimento e, quindi, si attivi per ovviare a ciò.
In un uomo tale processo è più ben marcato: una particella M priva di un legame, infatti, decadrà trasformandosi in un “Busone di Higgs”, come verrà simpaticamente etichettato dai suoi compari.

Lo spazio/tempo – Dalla premessa chimica iniziale ne discende che, oggigiorno, riuscire a stabilire un legame con una donna significa intercettare il suo moto nello spazio in quell’arco di tempo in cui non è impegnata e non ha già cominciato a vedere un altro.
Secondo gli scienziati, però, questo non è sufficiente: detto T tale arco di tempo, al suo interno consideriamo T1-1 il tempo durante il quale la donna penserà ancora al suo ex; chiamiamo T1+1 il tempo in cui invece sta già pensando al suo prossimo obiettivo. Esisterà una e una sola breve finestra temporale T1 compresa tra T1-1 e T1+1 in cui questa donna sarà realmente intercettabile. Le difficoltà nell’incrociare una donna in questa finestra derivano dal principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo il quale non siamo in grado di determinare stato e moto del pensiero femminile contemporaneamente.
Ricercatori dell’Università della Pene-sylvania hanno messo in luce le scarse probabilità che possa essere tu l’elemento M all’interno di T1+1 e che in base a una Legge di Murphy il tuo momento capiterà sempre troppo presto o troppo tardi.

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La teoria quantistica – Alcuni studiosi contestano la teoria della finestra spazio-temporale, proponendo un approccio basato sulla meccanica quantistica proprio in virtù dell’indeterminatezza sopra descritta. In base a ciò, la donna a prescindere sarebbe contemporaneamente libera/impegnata/turbata/interessata/etc e non siamo in grado di stabilirne all’esterno uno stato senza intervenire con un’osservazione diretta, con la conseguenza di modificare il sistema (paradosso del gatto di Schrödinger).

Detto in termini semplici, nel momento in cui ti ci avvicini una donna libera per te diverrà impegnata.