Non è che mandi un’auto malandata a farle dare un’occhiata da un sovrano per ottenere una re-visione

Dalla settimana scorsa ho anche un’auto aziendale. Che però non uso in quanto l’ufficio non ha il posto auto. Consumare il mio (magro) stipendio in strisce blu non è tra i miei obiettivi.

I parcheggiatori abusivi sono già tutti appaltati. Ho visto gente fare delle aste con questi figuri per garantirsi un parcheggio. E guai se provi ad avvicinarti al parcheggiatore di qualcuno: ho visto direttori di banca più gelosi di loro che della propria moglie.

La situazione alle 9 del mattino

Inoltre non è che quest’auto mi dia molte garanzie.

I mezzi che dalla sede centrale mandano qui per essere utilizzati sono in pratica quelli in avanzato stadio terminale. Invece di spedirli a rottamare li destinano a morire qui come fosse un cimitero degli elefanti. Quando son stato su e nel parco macchine mi han indicato quella che poi ci avrebbero spedito, son quasi certo di aver sentito dei sospiri di sollievo da parte delle altre auto: “Fiuu, vuol dire che non sono ancora da rottamare!”.

Un altro motivo per cui non prendo l’auto è perché non potrei mai rinunciare al contatto umano che mi garantisce il mezzo pubblico. Quel sapore – anzi soprattutto odore – di umanità al mattino presto mi ricorda di essere vivo. Anche se delle volte ti fa desiderare di non esserlo.

Oggi lo zaino di una valchiria mi ha bloccato la respirazione del polmone sinistro. Capita, quando costei, come fan tanti altri marsupiali urbani, sale sul treno e invece tirar giù lo zaino continua a tenerlo in spalla per giunta oscillando col corpo e usandolo a mo’ di mazzafrusto.

A ogni fermata c’è la consueta scena de “Andate più dentro”, con quelli di fuori che spingono per entrare causando un movimento oscillatorio orizzontale a catena tra gli altri passeggeri nel vagone. Un signore, novello Zidane, stava per darmi una testata.

– Mi scusi, è l’inerzia!
– E dica a Inerzia di smetterla!
– Come?
– Niente…

Il contatto umano mi serve anche per ricordarmi che faccio brutte battute. In macchina invece mi rido da solo.

Non è che serva l’Aulin per i dolori del giovane Werther

Avverto una certa stanchezza nello scrivere sul blog.
Più che altro non so cosa scrivere. Non ho ben chiaro di cosa io possa parlare, ammesso che ci sia qualcosa di cui io sia in grado di parlare.

Non è un mistero che io sia abbastanza chiuso e, pur raccontando a volte cose personali – che, tra l’altro, sono una parte molto piccola di tutte le mie cose personali -, non ne trasmetto alcuna componente emotiva.

Ma io non so affatto come si parli delle proprie emozioni.
Non mi è mai stato chiaro come si comunichino e a scuola nessuno me lo ha insegnato.

I temi in classe dal contenuto emotivo venivano da me costantemente evasi. Ho già citato quella volta in cui, in risposta alla traccia Racconta di come è stato chiedere l’aiuto di qualcuno io ho risposto Non ho mai chiesto l’aiuto di nessuno e se l’ho chiesto non me lo ricordo.

Per non parlare di quando la traccia chiedeva di raccontare del rapporto con il proprio padre e io ho narrato di quando mi ha riparato la mia console Atari 2600. Avendo cura, però, di sottolineare che fu fatto con tanto amore.

Come si parla di emozioni?

Prendiamo una ragazza. Una che vi interessa. Se siete donne, fingete di essere amiche di Saffo.

Cosa dovrei dire al riguardo? Come è bello riuscire a captare almeno di sfuggita il profumo dei suoi capelli? Non stiamo parlando dei capelli appena lavati, perché quello è il profumo dello shampoo: è un po’ ridicolo instaurare una corrispondenza di amorosi sensi col Pantene.

Io parlo dei capelli uno-due giorni dopo lo shampoo, che non sono sporchi né sanno di Federica Pellegrini a una sfilata: ovviamente non si tratta di una ragazza che ha appena fatto la maratona di New York, sennò i capelli al massimo ricorderanno l’olio di semi di girasole.

Ecco, chiamatemi feticista, ma il capello uno-due giorni dopo ha un odore particolare. Quello mi piace molto.

E la bocca?
Senza rossetto, perché quello è una maschera. Il labbro non deve essere coperto: voglio coglierne i movimenti al naturale. Prima sottile, poi gonfio, poi teso, poi stretto, poi largo.

Sì, certo: noi maschi siamo più interessati alle grandi labbra, meglio dire le cose come stanno e non essere ipocriti.
Ma i movimenti della bocca non ci sfuggono, comunque.

Il seno è un caso a parte. Ci sono diverse scuole di pensiero che non ho mai frequentato perché sono autodidatta. Negli ultimi anni mi sono soffermato ad analizzare la forma del reggiseno, perché rivela molte cose sulla persona che lo indossa. C’è quello che spinge, quello che costringe, quello che riempie, quello che dà una forma.
Amo la donna che ha bisogno di una forma. Cerca una identità, forse insicura di quella che è in possesso e io, che ho il complesso musicale del supereroe, vorrei tanto infondere sicurezza.

Mi accorgo di essere già sceso in basso.
In tutti i sensi. Purtroppo le distrazioni capitano, anche quando si è intenti a contemplare il viso.

Finisco sempre per dimenticare quanti muscoli facciali abbiamo. Cerco di ricordarmene ogni volta che osservo le espressioni sul volto di una ragazza, anche quelle involontarie. Mi son sentito dire che “faccio paura”, per la mia perspicacia nel cogliere gli stati d’animo.
No no, non voglio millantare doti che non ho. Non ho perspicacia. Ti guardo e colgo le cose perché ti voglio, forse non è ben chiaro.

Fino a qui stiamo parlando di dettagli estetici e si potrebbe andare avanti ancora a lungo.

Non ho parlato del culo, ad esempio.
Il culo non è mai da sottovalutare: è come un’opinione, ognuno ha la propria. E, come disse Voltaire, morirei affinché ognuno abbia il proprio culo.

Purtroppo io solo di dettagli estetici posso parlare. Non sono in grado di essere profondo.

Come si fa a descrivere la gelosia quando lei parla, ride, scherza, tocca qualcun altro e nel frattempo voi state pensando Ehi, parla, ridi, scherza, tocca me! e la cosa vi rode come un criceto?

Come si racconta la sofferenza che si prova quando vi dice Ieri sono uscita con Piercarolambo, e voi rimanete zitti, mica potete rispondere Ma che membro virile ci vai a fare con un Piercarolambo?. Magari si offende pure di fronte al vostro taciturnismo, perché si aspettava diceste Ah, sono contento che hai un Piercarolambo, mica si trovano tutti i giorni.

Come descrivere quella sensazione nel petto che si verifica quando ci si sente dire qualcosa che colpisce?
Forse, per dare l’idea, potremmo paragonarla all’effetto che si prova quando si ingerisce del peperoncino. Ma di quello piccante per davvero, non le schifezze da supermercato.

Io, per esempio, sono sensibile a certe cose.

A me una che mi dice che scrive poesie mi fa l’effetto del peperoncino nell’esofago e zone limitrofe. È un cliché? Certo. Il peperoncino è come le poesie: ormai è mainstream. Provate il wasabi, e poi mi direte. Quello vi prende in testa, non nel petto.

Io una volta mi son sentito dire che le donne le prendo di testa.
E certo. Mi chiamano Zidane.

Non è tanto bello. Insomma, non sono mica John Dorian*: ho pure un corpo. Non vorrei sembrare volgare, infatti non è mia intenzione esserlo, ma ci sono tante altre parti con cui prendere una donna.


* Mi riferisco al “Dottor Testa Volante”.


Insomma, come si parla di emozioni?

Fortuna che non ho più temi in classe da scrivere e nessuno me lo chiederà.

I miei elenchi sono solo chiacchiere e distinzioni, direbbe De Niro / Conversano (Bari) è una città molto chiacchierata

Conversare con le persone a volte è un’attività faticosa. È difficile trovare qualcuno con cui parlare che sia sulla nostra stesse lunghezza d’onda e che, soprattutto, non ti innervosisca.

A me, ad esempio, danno molto fastidio quelli che quando ti parlano ti toccano. Ne esistono due categorie: quelli che ti tengono per il braccio e che sembra ti stiano minacciando e che io chiamo gli Estorsori, perché hanno lo stesso atteggiamento intimidatorio di uno che ti sta chiedendo il pizzo. Esercitano una pressione tale sul braccio da lasciarti i lividi. Poi esistono i Pugili, quelli che ti danno dei colpetti un po’ dovunque e sembra vogliano prenderti per sfinimento fisico.

Fin qui siamo a un livello base di conversazione e costoro sono dei principianti: le vere persone minacciose non hanno bisogno di toccarti. Ricordo più di una conversazione con soggetti Zidane, quelli che mentre ti parlano dondolano la testa avanti e sembra che siano lì per lì per volerti dare una capocciata. Ma la loro abilità sta nel non colpirti mai, ma nell’intimorirti al pensiero che possa accadere.

Ma quelli che temo di più sono i Wind of change: il loro alito può cambiarti la giornata. In negativo, ovviamente. E sembra che la mefiticità del loro alito sia inversamente proporzionale alla distanza con cui sentono il bisogno di parlarti.


Cioè legge di Murphy: più ha l’alito cattivo, più ti parlerà vicino.


E con questa seconda carrellata ho esaurito anche la fascia intermedia della classifica delle persone con cui evitare di chiacchierare: come si evince, costoro non sono il top della conversazione, in quanto le loro abilità fastidiose puntano tutte sull’area delle sensazioni fisiche e non si concentrano sul fondamento stesso della chiacchiera: la parola.

In questa categoria che definirei dei pesi massimi inserirei Le valanghe. Le valanghe sono inarrestabili: l’unico metodo per salvarsi è evitare di percorrere un sentiero pericoloso. Se avvistate un soggetto simile a distanza, cambiate rotta o vi investirà con una valanga di chiacchiere.

Il soggetto valanga ha un bisogno compulsivo di tenere le corde vocali a pieno regime. Se è costretto a stare zitto a lungo – ad esempio al cinema – soffrirà in maniera tremenda. Alla prima occasione riprenderà a parlare come fosse stato in silenzio per vent’anni invece che per un paio d’ore. I soggetti più abili, se interrotti, sono in grado di riprendere dal punto esatto in cui si erano fermati anche se è passata un’ora.

Esistono poi le valanghe che ti pigliano per i fondelli. Sono quelli che non solo non ti fanno dire neanche una parola perché sono così sovrabbondanti, verbosi e prolissi da riempire interamente la conversazione, non solo sprecano il tuo tempo, ma che poi alla fine ti dicono anche “Senti non dirmi niente ma sono di fretta, scusami, devo andare” come se fossi stato tu a far perdere loro il tempo.

Più o meno è questa la pacata reazione che mi viene in mente in queste occasioni.

All’estremo opposto c’è il soggetto Gioia di vivere. Qualsiasi cosa tu possa dirgli non lo smuoverà affatto, resterà impassibile e con lo sguardo spento dando l’impressione che non stia affatto ascoltando. Ogni tanto dà segni di vita con commenti elaborati quali ‘mh’, ‘ah’, ‘sì’. Se ha energie sufficienti potrà dire ‘capisco’, oppure ‘ho capito’ (anche se è più probabile si limiti a un ‘capito’ perché due parole in fila sono troppe per lui).

Se l’Universo tendesse alla perfezione, valanghe e gioiosi dovrebbero sempre accoppiarsi. Tanto i primi non hanno alcun bisogno che qualcuno partecipi al discorso. Se potessero, parlerebbero anche con una sagoma di cartone.

Ma i migliori sono gli Egocentrici. Quelli che mentre tu gli stai raccontando una cosa personale, interrompono dicendo “Eh sai pensa a me è successo questo…” e cominciano a parlare di cose che non c’entrano nulla con quel che tu gli stavi dicendo ma che servono all’egocentrico a riprendersi la scena che per un attimo sentivano sottratta dal tuo racconto personale.

Bisogna compatire costoro. Agli egocentrici è stata asportata la capacità di ascoltare. Cosicché non sono in grado di stare in silenzio a lungo mentre qualcuno parla.

C’è poi l’Egocentrico Esibizionista: costui non si sovrappone ai discorsi altrui, ma interviene in modo più subdolo quando meno te lo aspetti, come un attacco di colite. È l’individuo che vanta sempre competenze e capacità acquisite nel corso della propria lunga e produttiva vita. Tu sei lì che stai parlando di giroscopi a pedali e del loro funzionamento e lui esordisce con affermazioni del tipo “Eh io lo so, son stato in Chissandostan, patria dei giroscopi a pedali”. Magari poi in Chissandostan c’è stato giusto per fare scalo all’aeroporto, ma questo non lo menziona.

E poi mi si rimprovera perché sono asociale! Guardate che gente che c’è in giro, come si fa ad avere una conversazione normale?!

Come una rock band satanica, ho registrato un demo-ne

Sono giorni che si ripropone un vecchio pensiero, una riflessione che giace lì – dimenticata – come un animale in letargo prima di risvegliarsi e tornare alla vita: l’origine dell’insoddisfazione. A volte vi penso in maniera scherzosa e mi perdo in considerazioni che divertono soltanto me. Altre mi ci soffermo in maniera più seria.

È lì, quando mi sento più serio, che mi sento anche l’essere meno stabile del mondo, o così direi se avessi una qualche misura di questo universo conosciuto che mi possa dare termini di paragone. Lì percepisco un demone che pianta idee destinate a germogliare.

Noi gatti abbiamo contegno e dignità, ma anche egonismi (egoismi+edonismi).

Se apri la porta, non la attraverseremo: ci compiace l’idea in sé della porta, poi la utilizzeremo quando pare a noi.

Un demone che indica porte: un usciere, anzi, un entriere.

Quale è l’origine dell’insoddisfazione? Quale quella della tentazione? Sono tentato di non cercar risposta e restare insoddisfatto.

Da un frammento di conversazione:
– Quindi è normale che una che conosci appena ti mandi una sua foto a mezzanotte di domenica?
– Ma era una foto in cui faceva la cogliona: si reggeva la testa mentre accanto aveva tre bottiglie di vino. Mica faceva vedere le tette.
– Non c’entra nulla. Cerca di fare la simpatica, è un modo più subdolo per arrivare a qualcuno.
– Eh sì, è rimasta folgorata da me e mi ha puntato.
– Avrà pensato che tu le stia dietro e cerca di attirare l’attenzione.
– Io non vado in giro a fare il simpatico.
– E come si fa a sapere che tu non faccia il cretino con tutte?
– …Eggià, io son pieno di spasimanti, appena arrivo io tutte si girano a guardare me e io mi metto a flirtare…
– No, non è così, non sei quel tipo d’uomo. Non sei uno che attira l’attenzione allo sguardo.
– Ah, grazie mille. Poi mi vieni a dire che debbo rafforzare l’autostima. Bell’aiuto.
– Ma è diverso! Ed è una cosa positiva: tu le donne le prendi di testa.
– Certo, infatti mi chiamano Zidane. Finiamola.
– Idiota.