Non è che il trappista sia quello con le scritte in faccia che canta con l’autotune

Devo andare a Bruxelles un paio di giorni per lavoro. Non sono molto avvezzo alle trasferte pagate. Invidio chi è trasfertista di professione, Business Class e taxi anche per andare ai servizi igienici, senza porsi problema. Io invece ho quel timore reverenziale nel chiedere l’hotel più vicino all’edificio dove devo andare anche se costa 10€ in più.

In compenso, dato che ho tempi stretti per il ritorno, invece del bus-navetta Centro città/Aeroporto, ho chiesto quello col servizio “Ti veniamo a prendere dove vuoi”. Costa di più, ovviamente: eh questi lussi che ci concediamo!

Il Belgio mi fa ricordare mia zia. Era una vera ultras, non perdeva occasione di dire in Belgio hanno questo, in Belgio fanno quest’altro. Mia zia aveva viaggiato molto e visto molte cose, anche se tendeva a essere un po’ monotematica e insistere su certi argomenti, come il Belgio per l’appunto, quasi volesse spingerti a tutti i costi ad accogliere la sua fede.

Credo questo modo di fare derivasse dalla sua profonda impronta cattolica.


La religione è un’ottima spiegazione per molti atteggiamenti della società, dalla sindrome di una colpa intrinseca che si porta dietro l’umanità (“Ci meritiamo l’estinzione”, come si sente dire a volte) alla sofferenza che viene spesso imposta negli ospedali alle partorienti.


Le profonde convinzioni di mia zia, tipo quella sul Belgio, erano spesso oggetto di sarcasmo da parte dei miei.
I miei non sono mai stati in Belgio.

Più passa il tempo e più sento in qualche modo di esser stato guastato dalle azioni e dal modo di pensare di Madre e Padre. In realtà guastare presupporrebbe che in origine io fossi sano, mentre invece son venuto fuori così in un processo di costruzione, quindi forse sono in realtà un prodotto finito integro che, però, sente di avere un qualcosa di strutturalmente non conforme.

Ma fino a quando e fino a quanto possiamo dare la colpa all’educazione ricevuta e al contesto in cui siamo cresciuti? Nel discorso al brindisi del mio tramemonio ho esordito con “Noi siamo la somma delle nostre esperienze”. È una frase che vado ripetendo da anni.

È una frase cui però forse, all’avvicinarmi del mio otto più trenta, sto smettendo di credere.

Perché sei tu. Non sono le cose brutte o l’educazione. Sei tu.

in italiano (io preferisco però la voce di Aaron Paul / Jesse Pinkman)

Vado a riempirmi di birre trappiste.

Non è che ti serva una scala per raggiungere un’alta uniforme

Per la rubrica “Una cosa divertente che non farò mai più (spero)”, sabato scorso per lavoro sono dovuto intervenire alla presentazione di un libro in una ridente cittadina di Terra di Lavoro/Campania Felix.

È stato un evento grottesco.

L’autore, un ex sottufficiale dell’esercito appassionato di storia, ha scritto un libro su un aviatore della Prima Guerra Mondiale, nativo della ridente cittadina.

L’età media dei partecipanti alla presentazione era 60 anni.

Visto l’argomento, in prima fila c’erano degli alti papaveri dell’esercito di una caserma locale. Più che papaveri li avrei definiti crisantemi, visto il volto sprizzante allegria funerea. Uno di essi, il più impettito, quando ha preso la parola si è messo in posa mussoliniana col braccio puntato sul fianco. Non so cosa abbia detto nel suo quarto d’ora di discorso, ho staccato le orecchie quando ha cominciato a parlare dei giovani che non si interessano alla vicende storiche di Ridente Cittadina.

C’è stato un tizio invitato a parlare, presidente di non so quale associazione di blablaologia, che si è autodefinito “Fiero suddito delle Due Sicilie”. Spero che le Due Sicilie siano allo stesso modo fiere del proprio suddito.

Ero seduto alla destra del Sindaco, che mi ha completamente ignorato tutto il tempo tranne quando, all’improvviso, si è girato verso di me porgendomi un libro sulla storia della ridente cittadina, dicendomi “Questo è per lei”. Volevo ringraziare ma si era di nuovo girato dall’altra parte.

L’autore del libro ha fatto un discorso molto verboso e prolisso. Ha tenuto a darci ragguagli sulle cifre delle sottoscrizioni per la cerimonia funebre dell’aviatore, elencandole con tanto di centesimi e virgole. Dettagli significativi.

Il moderatore ha concluso la presentazione al grido di “W Tizio (l’aviatore), W Ridente Cittadina, W l’Italia!”. Stavo per aggiungere “W la passerina!” ma non volevo esser eccessivo.

L’autore mi ha porto una copia del libro con tanto di dedica e io l’ho fatta cadere. Succede sempre così quando mi donano qualcosa: mi cade dalle mani. Aspetto sempre il giorno in cui mi doneranno una palla rimbalzante per non sentirmi più a disagio.

Sul tavolino all’ingresso c’era un vassoio di caramelline. C’è stato un tizio che è passato e ne ha prese due. Poi è ripassato e ne ha prese tre. Poi è ripassato di nuovo e ne ha prese una manciata.

Una coppia attempata voleva che io scrivessi loro una dedica su una copia del libro. Non so per qual motivo. Non avevo la penna. Ne ho chiesto una disperato alle persone intorno, che si sono dileguate scuotendo la testa. I signori hanno detto Va be’ non fa niente, delusi. Mi sono sentito una persona orribile e sono certo loro staranno ancora parlando male di me e quando vedranno il libro si ricorderanno sempre di quell’individuo che li ha delusi.

Non è che il dentista ti meravigli perché ti fa restare a bocca aperta

Otorinolaingoiatra.

Insieme a psittaciforme e parasaurolofo era una delle parole che mi piaceva ripetere da bambino perché suonavano difficili.

Non ho mai incontrato un parasaurolofo ma l’altro giorno ho avuto un incontro ravvicinato con un otorinolaringoiatra.

Le mie tonsille risultano comprensibili quanto un discorso di Manlio Sgalambro: sono alquanto criptiche. Negli ultimi tempi tendono inoltre ad accumulare placche asintomatiche. Secondo l’otorinolaringoiatra si tratta soltanto di un problema estetico, senza complicanze per la salute.

– È solo una questione estetica che si può risolvere benissimo con un intervento di chirurgia non invasiva, che si svolge in anestesia locale e che consiste in bla bla bla le cripte tonsillari bla bla bla

Avevo smesso di ascoltare con attenzione perché nella mia mente mi stavo chiedendo chi mai si sottoporrebbe a un intervento estetico alle tonsille.

Certo potrebbe dar finalmente un senso all’affermazione di esser belli dentro – giacché chiunque può vantarsi di ciò senza tema di smentita essendo cosa difficile da verificare – , col vantaggio di poter anche fornire una prova: a chi non non presterebbe fede alla mia bellezza interiore, mostrerei orgoglioso l’epiglottide decorata dalle mie formose tonsille 90-60-90.

Ammetto di averci pensato poiché chiunque di noi sogna di potersi abbellire in qualche modo. Non ci garba ciò che la natura c’ha dato. Siamo umani. Sciocchi umani attaccati alle cose superficiali.

Un animale non si rifarebbe mai le tonsille. Detesto dire che siano meglio delle persone, ma io penso che siano meglio delle persone che dicono che gli animali sono meglio delle persone.

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Mare basso. 2018, Smartphone rotto, diaframma anticoncezionale con ripresa in quattro tempi + 1 supplementare con tiro libero allo scadere

“Il gabbiano sa che la bassa marea sarà seguita da un’alta marea”. Aforisma di Jonathan Livingston.

Quanta saggezza in così poche ali.

Un’otorinolaringoiatra saprebbe esprimersi allo stesso modo?

Non è che se parli di Einstein sei superficiale perché stai facendo commenti sul fisico

Avrete visto in circolazione le foto della visita dei Trump’s al Vaticano, con il Papa che aveva l’aria allegra come uno in fila alla posta per pagare le bollette.

In realtà sembra che in altre immagini dell’incontro fosse più rilassato. Resta il fatto che le foto in cui sembra alquanto imbronciato mi hanno dato da pensare.

Sono le persone insospettabili quelle che ti sorprendono in negativo. Intendo, io non vorrei offendere nessuno di quelli che stimano Francesco, ma non mi sembra bello che una persona gentile venga a farti visita tutto allegro e sorridente – come lo era il buon DT – e nella foto ricordo che porterà con sé a casa propria dopo un così lungo viaggio per vederti tu abbia la vitalità del mio conto in banca a fine mese. Non sei una bella persona. Mi dispiace.

Un altro esempio di persona all’apparenza buona che ti sorprende in negativo ce l’ho vicino.

Tra me e le altre ragazze dell’ufficio ci si scambia commenti sulle cattive maniere (burpa, snorta, ha preso a cercare testimonianze delle sue radici nelle sue narici) del nostro Sam Tarly. Le stesse cose che riporto su questo blog, in pratica.

Aranka Mekkanica ho notato però trascende a mio avviso in malignità gratuite.

La settimana scorsa Sam ha cambiato la poltrona dell’ufficio con una normale sedia da scrivania, perché la pelle di finto vero ratto delle fogne in cui sono rivestite le nostre poltrone è alquanto poco confortevole. Con l’arrivo del caldo non è bello alzarsi e sentire il suono dello strappo della propria epidermide.

Aranka Mekkanica mi scrisse su Skype: Ma riesce a entrarci in quella sedia?.

Ieri: Sam, che è fumatore, sosteneva che il fumo ha anche i suoi vantaggi. Infatti accelera il metabolismo e brucia i grassi. Aranka Mekkanica mi ha detto di averlo guardato e pensato Ah davvero? Non mi sembra che su di te funzioni….

E, ancora, tutte le volte che ci troviamo a parlare di lui lei ne fa l’imitazione mimandone le dimensioni.

Comincio a pensare che tutto questo non sia del tutto giusto. Io di lui mi lamento, ma non faccio riferimento al suo fisico. Faccio riferimento al cattivo uso che ne fa! È una questione di criticare i modi, non l’essere.

Non si tratta di ipocrisia: è vero che tutti noi alla fine pensiamo cose negative sugli altri.

Credo che se venissimo a conoscenza dei pensieri delle persone per la civiltà umana sarebbe la fine.

Delle volte fa anche bene invece aprirsi ed esternare i propri pensieri, anche quelli che potrebbero sembrare non piacevoli.

Io ad esempio un giorno devo tenere un bel discorso di questo tipo:

Conosco la metà di voi soltanto a metà; e nutro, per meno della metà di voi, metà dell’affetto che meritate.

Un conto è l’esternazione di un pensiero, comunque, un conto è condividere una opinione direttamente offensiva e anche gratuita come quella riferita all’aspetto.

Il confine tra rivelare e non rivelare e il rivelabile e non rivelabile è molto labile, comunque, e credo che chiunque lo attraversi varie volte nella vita.

Farebbe bene guardarsi sempre intorno prima di attraversare.

Non è che il sarto parli con un filo di voce

Oggi sono stato a casa dal lavoro.

Una frase che non mi suona corretta. “dal lavoro”, come se il mio posto solito di appartenenza debba essere il lavoro e tutto il resto delle mie attività siano un’alternativa al lavoro e qualunque altra cosa io faccia sia lontana “dal lavoro”. È questo che il capitalismo e i Carlo Conti della società vogliono farci credere, insieme al fatto che la cellulite sia una malattia e che il foglio di alluminio si debba usare col lato opaco all’interno o forse era il contrario.

Oggi quindi ero a casa.

Dieci minuti dopo aver avvertito BB (non Brigitte Bardot), il Tacchino mi ha scritto un messaggio. Ciao, puoi lavorare da casa?.

Gli ho telefonato con la mia voce del moribondo. La voce del moribondo è una cosa che nasce nel petto e matura nella laringe prima di esprimersi all’esterno. È importante la fase di maturazione laringea, la voce deve invecchiarsi il giusto per dar la sensazione desiderata.

Esistono vari livelli di moribondo, a seconda del tipo di malanno che ci si vuol attribuire.

– Livello discorso di compunto cordoglio generalista politico: una lieve indisposizione;
– Livello cantante improvvisato che al karaoke si cimenta con Rino Gaetano e si risveglia il giorno dopo con la raucedine: febbre/mal di gola;
– Livello Barbara d’Urso che commenta la tragedia di una famiglia sterminata da un editoriale di Selvaggia Lucarelli: malaria/tubercolosi;
– Livello calciatore rantolante sul manto erboso che si tiene una mano sul volto e una sul ginocchio sbagliato perché quello colpito è l’altro: prossimità alla morte.

Dicevo, gli ho telefonato dicendo che ero malato avendo un gomito che mi faceva contatto col piede e un attacco di congiuntivo da cui cercavo di guarire assumendo compresse di Cremonini e che, no, non potevo lavorare da casa non avendo accesso al server, perché non server a nienter.

Essendo lui un individuo che ha l’ansia come uno che per l’ansia che si rompano i preservativi durante l’atto li rompe lui stesso prima per tranquillizzarsi, mi ha detto Bene allora manda una mail a tutti in cui spieghi i progetti in corso le cose da fare e bla bla bla.

Io ho scritto alla Castora su Skype due righe velocemente e poi ho spento tutto e mi sono rimesso sotto le coperte a giocare con lo smartphone e ad autodiagnosticarmi dell’olio di palma su Google.

Oggi, comunque, ho fatto una scoperta: la casa durante la mattinata fa dei rumori diversi.

Sono abituato ai rumori di casa mia – scricchiolii, mobili che “tlaccano” (cioè che fanno tlac) – ma sono i rumori della sera o i rumori del weekend. I rumori della mattinata non li avevo mai ascoltati o non ci avevo fatto caso mai per bene.

All’inizio al primo rumore improvviso mi ero preoccupato e stavo quasi per sparare, ma non conosco le leggi ungheresi in materia e, oltretutto, anche se fuori era nuvolo c’era comunque luce.

Anche voi avete scoperto le vostre case fare rumori diversi quando le avete sorprese in orari non abituali?

Non è che al taciturno alcolista piaccia il silenzio-assenzio

Mi trovavo seduto a tavola a cena con altre tre persone. Si chiacchierava. La discussione ha preso in breve tempo una piega abbastanza impegnativa, sul tema della delocalizzazione dei processi produttivi e la standardizzazione dei prodotti offerti ai consumatori. In pratica ciò che a inizio anni 2000 scoprimmo si chiamava globalizzazione e dovevamo combattere. Non è riuscita benissimo.

Uno dei presenti sosteneva che questo modello prima o poi imploderà, perché la gente vorrà riscoprire il contatto umano diretto – invece di un paio di click su Amazon – e l’originalità dei prodotti invece di avere la stessa camicia a quadri di altri migliaia di persone. L’altro sosteneva il contrario. I due son finiti ad avere uno scambio di opinioni piuttosto acceso.

Io dopo aver detto la mia, non ritenendo poi opportuno ripetere le stesse cose – ho avversione per i discorsi che diventano circolari e tornano indietro al punto di partenza – mi sono silenziato e messo a bere.

Ogni tanto emettevo un Gurumpftztzs per schiarirmi la voce ed esprimere un generalizzato dissenso.

La quarta persona presente voleva a tutti i costi intervenire, riuscendoci con scarsi risultati. Anzi, dopo aver ripreso uno dei contendenti invitandolo a non baccagliare in tal guisa causando l’esclusione degli altri presenti, si è sentita ribattere: “Non mi sembra che tu abbia offerto contributi significativi al discorso”.

Non è una cosa carina da dire, anche se, in effetti, le osservazioni che aveva fatto erano sembrate anche a me realmente banali e fuori contesto.

C’è una cosa da ammettere: non tutti sono in grado di offrire un contributo a una discussione, vuoi per mancanza di argomenti, vuoi per l’insipidezza delle considerazioni.

Esistono però secondo me alcuni “grimaldelli”, cioè interventi validi a prescindere da tempi e luoghi, utili per inserirsi in qualsiasi conversazione e trarsi d’impaccio quando si è poco ferrati in materia. Semplici scorciatoie di pensiero.

Ad esempio, se l’argomento è il cinema, analizzando un film, si può fare sempre un vago e saccente accenno alla fotografia. Che nessuno sa in realtà cosa sia la fotografia in un film, ma poco importa.


Una volta – giuro che purtroppo è vera – mi son sentito dire che credevano che ci fosse uno che di mestiere scattasse le foto al set.


Se parliamo di un film d’autore si può cogliere l’occasione per un apprezzamento al piano sequenza. Tanto se è un film impegnato ce ne è sempre uno, pure se buttato lì alla carlona magari per mostrare senza stacchi quando il protagonista si prepara la pajata come la faceva la nonna. Vuol dire che il regista è bravo a cogliere le emozioni.

Di un gruppo musicale era sempre meglio il primo disco, ma se il gruppo è sulla scena da tempo si può azzardare un Devo riascoltarlo meglio, è un lavoro più maturo.

In discussioni a tema politico, invocare la necessità di riforme in Italia è un evergreen. Anche qui non è bene chiaro di cosa stiamo parlando e cosa mai andrebbe riformato: ma se non c’è un oggetto concreto chi potrà allora mai controbattere che non esista qualcosa da riformare?

Sulla stessa scia, anche se qui si vira sul polemico, è utile incolpare i poteri forti. Un potere forte lo si trova sempre.

Quando assaporate del vino dite che è fruttato.


Non va fatto se a tavola c’è il Tavernello e nemmeno se c’è il vino dello zio Giovanni che lo fa così denso e carico che lo si può utilizzare per verniciare le inferriate. In ambedue i casi verreste messi alla berlina dai presenti.


Virando sulle relazioni, ci sta sempre bene un secco I rapporti tra uomini e donne sono cambiati, oppure Gli uomini e le donne non sono più quelli di una volta. Chi oserebbe opporsi a una tale verità? È dai tempi degli Australopithecus afarensis – quelli di Lucy per intenderci – che maschi e femmine cambiano!

Spero che questi piccoli suggerimenti o “tips” (anche buttare nel discorso qualche termine in inglese, senza abusarne, può attirare l’attenzione degli astanti) possano aiutare a essere dei perfetti ignoranti atti a ogni conversazione.

Non è che nella staffetta tra religiosi ci sia il passaggio del Testimone di Geova

Conosco un tale, il quale – tale e quale – è un convinto meridionalista. Di più: è un Borbonico. Di più: fa parte di un movimento che mira a riportare a galla la verità storica, ridare dignità al Sud, denunciare l’oppressione nordista e assicurare ricchi premi e cotillon per il giorno del Ritorno del Re.


Che non è Aragorn.


Questo tale diceva “Siamo tanti e il potere ci temono” prima che diventasse mainstream e appannaggio di altri movimenti.


Però non ho mai sentito il potere dire “Siamo il potere e ci caghiamo sotto”.


Questo tale da quando lo conosco non fa che parlare solo di questo argomento: la questione meridionale, per l’appunto.  Né io né altre persone che lo incontrano per strada l’hanno mai visto o ascoltato intavolare un discorso che vertesse su altri temi. A volte sembra un venditore di Bibbie.

Sono convinto anche io sia necessario rivedere l’analisi storica sul Meridione e combattere i pregiudizi su di esso. Mi sono reso conto, ad esempio, che altrove c’è a volte una visione distorta sul Sud. Alcuni secondo me pensano che viviamo tutti nel set di Gomorra.


È un’opinione difficile da contrastare. All’ultima persona che parlava così ho dovuto sparare nelle gambe per fargli cambiare idea.


Per riportare a galla la verità storica, ridare dignità al Sud eccetera, insieme ad altri movimentisti borbonici, organizza dei piccoli dibattiti – dove nel 90% dei casi l’ospite è sempre il Marco Travaglio borbonico, Pino Aprile -, va in pellegrinaggio sui luoghi dei massacri tra esercito piemontese e esercito reale, scrive a volte degli articoli su qualche giornale locale. Un giorno, a tal proposito, venne da me  – condividevamo lo stesso ambiente di lavoro, purtroppo – sventolando, trionfante, una fotocopia di un articolo di giornale. “Ho risposto a Paolo Villaggio”, disse. Il Villaggio, in quel frangente, in uno dei vari deliri arteriosclerotici della sua epoca senile aveva detto qualcosa contro il Sud. Il nostro, dovendo vendicare l’onore meridionale, aveva replicato indignato.

Chissà se Paolo Villaggio ha mai saputo di ciò.

Il tale l’ho rivisto quest’estate dopo esser tornato dall’Ungheria.


O meglio, me lo son ritrovato davanti girato l’angolo come un Testimone di Geova che ti sorprende mentre sei sovrappensiero e non hai fatto in tempo a schivarlo cambiando direzione.


– Ma te ne vai sempre girando all’estero, ma che vai facendo
– Eh sai com’è, il lavoro
– Sì ma guarda ma se vai sempre fuori poi non combinerai mai niente qua, cioè per me chi non realizza niente nel posto dove è cresciuto e se ne va fuori ha fallito. Ha fallito
– Quindi io sarei un fallito?
– No che c’entra il mio è un discorso generale, sei un guaglione intelligente, ma se vai fuori nessuno ti conosce qua
– Quelli che conosco credo mi bastino e avanzino…
– Come?
– No, dico non conosco abbastanza gente, è vero…

Il tale non crede al vecchio adagio secondo cui Nemo (il Capitano o il pesce?) propheta in patria.

Il discorso sul conoscere diventa chiaro quando ti informa che lui sta lavorando, grazie a un amico di famiglia che l’ha preso con sé. “Se non era per lui”.

Sono sicuro sia bravo nel proprio lavoro, ma mi domando quanta gente brava ci sia in giro. E lui, il tale, sarà il più bravo in quel che fa, non dico dell’universo, ma almeno di un campione rappresentativo di potenziali impiegati in quel ruolo? Non lo sapremo mai, perché il suo amico non ha fatto alcuna selezione.

Allora a volte penso che per ridare dignità al Meridione, oltre a discutere, puntuali ogni anno in occasione della strage di Bronte, su chi fosse realmente Nino Bixio – abbreviazione di Nino Biperio, secondo una leggenda metropolitana su un ignorante studente maturando – a volte sarebbe anche utile valorizzare gli individui sulla base delle loro capacità, e non sulla base dei propri rapporti amicali e/o familiari.

I canali informali per il lavoro potrebbero sembrare pratiche innocenti: non c’è nulla di male a rivolgersi a chi si conosce già o a fare un favore a qualcuno. Ma se il sistema diventa la normalità o quasi, i canali lavorativi formali si ingolfano. Inoltre, utilizzando come criterio selettivo quello della conoscenza, si apre la gara ovviamente a chi ce l’ha più forte.


Beninteso, è una pratica diffusa non solo a Sud di Roma. In realtà esiste ovunque – anche all’estero – ma diciamo che in certi luoghi esiste più che in altri.


Non è che l’andrologo sia un mestiere del…beh si è capito

Qualche tempo fa fece discutere la proposta di ridurre l’iva sugli assorbenti. La sintesi della discussione che ne scaturì fu: Ahahah.

È possibile che, delle volte, il dibattito sociale in questo Paese assuma livelli da conversazione da alunni delle scuole medie.

Senza dimenticare, inoltre, l’esistenza di fondo di un certo sessismo serpeggiante, quantunque ciò venga negato. Anche da parte delle donne, da alcune delle quali ho sentito dire Io non mi sento discriminata e poi non la voglio la parità, a me sta bene che un uomo mi apra la porta o mi offra la cena.

Non è proprio così che funziona, avrei voluto dire, e la galanteria è un conto e le discriminazioni un altro.
Ma chi sono io per far crollare le convinzioni altrui?

Anche perché, e vengo al vero oggetto del mio discorso, trovo che si parli troppo di donne!
E anche di uomini, a dire il vero, ma nel modo sbagliato.

Si parla mai delle difficoltà connesse all’essere nati con un affare tra le gambe?

Innanzitutto è un attira-colpi.
Da questo punto di vista per scomodità è secondo soltanto al dito piccolo del piede.

Tutti gli sport con la palla sono un pericolo.

Ricordo quando una volta, giocando a calcetto, volli esibirmi in uno stop volante di petto. Saltai incontro al pallone con le braccia all’indietro e il petto proteso in avanti come un piccione in amore. Ero il Nureyev del calcio a cinque.

Peccato che calcolai male la distanza o forse la velocità della palla, fatto sta che stoppai sì la palla ma con le parti basse.

Mentre mi contorcevo sul suolo, prima di svenire sentii qualcuno dire Dai gioca gioca, non si è fatto niente!. Io gli augurai di uscire dal campo con i piedi davanti e poi persi i sensi.

L’altra problematica connessa all’essere fallodotati è la pressione sociale che gli ruota intorno.

Si vive ossessionati dall’eterno ritorno del discorso sulle dimensioni, su cui spesso si bara.

L’ho fatto anche io.

Avevo 14 anni, frequentavo le chat di Napster.


Napster era un programma di file sharing, sorto nell’era del 56k. Per tirare giù una canzone ci volevano un paio di ore, spesso succedeva che il download saltasse quando il file era al 99% e lì partivano invocazioni ad Anubi.
Il logo era un gatto con le cuffie. Non poteva che attirare la mia attenzione, quindi.


Molti che si aggiravano lì esordivano pubblicizzando dimensioni equine: al che mi dissi, chi son io per esser da meno?

Quindi dicevo sempre di avere 30.
Anni.

L’uomo maturo cuccava di più dell’elefante o presunto tale. Poi però alla fine dovevo rivelare di essere un adolescente col baffo da portoricano e mi bloccavano dai messaggi privati.

L’affare maschile reca con sé, inoltre, tutta una serie di problematiche fisiologiche.

Al mattino svuotare la vescica quando ci si è appena svegliati è difficile, causa una certa riottosità da parte dell’organo a porsi in posizione di riposo.

D’altro canto, tale riottosità è compianta quando vien meno nei momenti meno indicati. E se un uomo dirà alla propria partner Non era mai successo, vorrà dire che è già successo.

C’è un altro motivo per cui è scomodo: a volte va fuori posto.
Le donne non comprendono perché gli uomini stiano sempre a sistemarsi lì, alcuni apertamente, altri facendo finta di ravanare nelle tasche in cerca di qualcosa che non c’è. Altri ancora, lo fanno i più discreti come me, si esibiscono in camminate strane, di cui ne esistono due varianti:
– il cowboy che si è fatto la pipì addosso
– il soldato in marcia durante una parata.

Il motivo è che coi pantaloni, soprattutto coi jeans che sono un tessuto meno elastico, è veramente scomodo quando il nostro amico finisce fuori posto.
Gli scozzesi avevano capito tutto col kilt.

Infine, c’è chi lo usa nel modo sbagliato durante la minzione.
Ricordo ancora durante i miei anni scolastici e quelli universitari quale era il suono all’ingresso nel bagno: ciaf ciaf ciaf. Delle volte ci voleva una zattera.

Pertanto, sì alla riduzione dell’iva sugli assorbenti, ma sì anche un dibattito sociale serio sul pene e non dibattiti sociali del pene!

Non è che siglare un contratto voglia dire metterci la musica

Mercoledì di settimana scorsa.
Il capo mi convoca per parlarmi.
Mi chiede come mi trovi lì con loro.


Passavo di qui per caso, avrei voluto rispondere.


Poi mi dice che la compagnia non è in un buon momento.


E io lo so che non è un buon momento. Mi hanno raccontato che il precedente amministratore, poi defenestrato, ha lasciato un grande vuoto. Finanziario. Capita quando approfittando di essere il capo ci si triplica lo stipendio da soli.


Da quel momento in poi tutto il resto del discorso è avvolto nel buio.

Ho un problema a seguire chi parla con tono piatto e monocorde e senza muovere le labbra. Li definisco gli ermetici, perché hanno la bocca ermeticamente chiusa. Ho un medico che parla così, lui però la bocca la apre e serra invece i denti. Mi ha costretto a imparare a decifrare la scrittura da medico per capire cosa mai mi stia indicando perché a voce non si capisce niente.


Una cosa che in genere solo un farmacista sa fare. Forse un mio avo aveva una farmacia e mi è rimasto nel dna.


So cosa si potrebbe pensare: sono uno degli ultimi sciocchi che partecipa a tenere in piedi questa farsa mondiale della medicina rivolgendosi ai medici, quando con Google e un bicchiere di acqua e limone potrei curarmi da solo, è risaputo.


La difficoltà aumenta quindi nel cercare di comprendere uno che parla così in inglese.

Aggiungiamo che ho delle mie colpe. A volte, mentre mi stanno parlando, parte in me un dialogo interiore che mi isola dalla conversazione ponendo più o meno queste domande:

– Che cosa vorrà dire?
– Che cosa dovrei dire?
– Che cosa si aspetta che io dica?
– Quale effetto avranno le mie parole?
– Avrò spento i termosifoni prima di uscire di casa?

Mi sono ripreso e sono tornato alla realtà mentre lui mi diceva più o meno “E quindi è così”. Io ho risposto “Ok”.
Non so a cosa io avessi detto ok perché mi ero perso un pezzo di discorso anche se dalla premessa poteva essere comunque intuibile.

Mi sono confidato con CR chiedendo cosa dovessi fare e lei mi ha aiutato a ricostruire quel pezzo mancante. Ne aveva in precedenza già parlato col capo: la società non può permettersi di rinnovarmi il contratto.

Ho esultato perché avevo recuperato il pezzo del puzzle della conversazione. Poi ho realizzato per cosa io stessi in effetti esultando.

Ho ormai una discreta dimestichezza con l’avere una data di scadenza a breve termine addosso. Mi ricordo anche di controllarla periodicamente prima di cominciare a puzzare. Ora ho due mesi per riflettere e capire cosa fare. Potrei restare qui e cercare altro, in tutt’altro campo, tornando a fare cose che facevo già in Italia e che ho odiato fare. Con una differenza: a uno stipendio inferiore. Vantaggi della delocalizzazione.

Oppure, cercare nel mio campo altrove, Italia o qualsiasi altro posto. Sperando di rimediare qualcosa.

Oppure chiedo un prestito e apro una caffetteria minimal-recycle-bio dove al posto delle sedie ci sono dei puff fatti di sacchi di iuta intrecciati da una cooperativa equo-solitaria di ex falsi invalidi con sede in un palazzo sottratto alla politica.

Ultimamente mi sento fumettoso.

Non è che se dichiari guerra al trasporto pubblico puoi gridare “All’Atac!”

(si intravede dietro delle alte mura una grossa cupola) Ehi, dove siamo qui?
– Questa è S. Pietro, oh.
– Dai dai scendiamo qui, su (scrollandolo per le spalle).
– Oh? (infastidito)
– Sì dai – schioccando la lingua* – qui ci sono i marocchini e io devo contrattare per una borsa.


Perché mai nei libri, quando qualcuno parla, deve sempre schioccare la lingua? Voi schioccate la lingua spesso mentre parlate? A me non succede, sono forse anormale?
La ragazza comunque non ha schioccato la lingua, l’ho scritto per capire che effetto e che tono desse al discorso ma il risultato non è stato come speravo.


Quelle riportate sono le uniche parole che sono riuscito a comprendere. Il resto del tempo loro e altri due ragazzi hanno parlato esprimendosi in pugliese stretto. È una dialetto che economizza sulle vocali: in pratica è come recitare un codice fiscale.


DIDASCALIA LINGUISTICA
Credo sia inesatto da parte mia parlare di un dialetto pugliese, viste le varianti esistenti dal Gargano al Salento: credo che quello che parlavano i 4 fosse foggiano.


Non avevo mai considerato S. Pietro come meta di pellegrinaggio del falso. Si apprendono sempre cose nuove nei momenti inaspettati, come accadutomi alle 14 di un attivo lunedì pomeriggio.

I mezzi dell’Atac non sono stati, a dire il vero, molto attivi. La metro A era interrotta mentre gli autobus procedevano come una canzone di Tullio de Piscopo: ad andamento lento. Persone che inveivano, individui rassegnati, turisti smarriti che pretendono di fare il biglietto a bordo come se stessero a casa loro. Qualcuno mi pesta il piede e mi chiede scusa, io con un cenno della mano e un sorriso do la mia assoluzione: le mie dita sono diventate come le antenne delle lumache, appena percepiscono il pericolo si rattrappiscono all’interno della scarpa piegandosi su sé stesse ed evitando il pestaggio.

L’aumento della densità interna dei mezzi quest’oggi ha portato a un incremento di personaggi interessanti come i foggiani che ho citato sopra.

Una signora cinese si reggeva in piedi aggrappandosi con una mano alla maniglia e con l’altra al pantalone del marito, ad altezza del pene o quantomeno dove avrebbe potuto trovarsi se l’uomo avesse l’abitudine di sistemarlo da quel lato. Al che mi sono chiesto: la signora cercava il pene del marito? Sapeva oppure che quella zona fosse libera e riteneva lecito aggrapparvisi? In ogni caso il signore e i suoi pantaloni non facevano una piega, io intanto ho distolto lo sguardo attirato da un folle che, sceso dal mezzo, ha tirato un calcio contro una paratia non so per quale motivo.

Sull’autobus delle 20 un anziano signore ha cominciato a parlarmi dopo che gli ho ceduto il posto. Ha esordito spiegandomi dei problemi intestinali e circolatori che lo portano a dover camminare molto durante il giorno, per poi raccontarmi – dopo che avevo dato delle indicazioni a due turiste straniere – dell’importanza di conoscere le lingue. Ha concluso infine raccomandandomi di fare attenzione a ciò che scrivono sui libri perché non sempre dicono la verità: lui tutto ciò che sa l’ha invece appreso dalla gente e dalla strada, perché a scuola c’è stato poco. Mi ha spiegato che mentre era in terza elementare il suo istituto fu bombardato durante la guerra e non ci tornò più.

Tra i due autobus ho incrociato una ragazza inglese che su un polpaccio aveva il tatuaggio del Tardis del dr Who.


Se non sapete di cosa sto parlando, correte a farvi una cultura. Meglio Tardis che mai.


Infine, su un altro autobus ancora, il primo della giornata, tra la folla in attesa sulla banchina ho inquadrato una ragazza che ho ipotizzato potesse essere napoletana. Quando l’ho sentita parlare, ho avuto conferma: era napoletana.

Ciò mi porta a stendere (con un gancio destro) un’altra teoria estetica dopo quella delle nanerottole svampite: noi napoletani siamo un gruppo etnico a sé stante e siamo riconoscibili ovunque. Mi è successo in molti luoghi, a Roma, a Bologna, a Milano, a Parigi, a Londra e anche a Nikko (Giappone): quando inquadravo qualcuno ponendo una scommessa con me stesso sul fatto che fosse napoletano, indovinavo sempre.


È una delle poche scommesse che vinco con me stesso, perché per il resto ho accumulato pesanti debiti di gioco e non so come ripagarmi.


Mi chiedo se sono riconoscibile anche io. Ricordo a proposito della riconoscibilità la maestra alle scuole elementari mi diceva “ti fai sempre riconoscere” e io non capivo cosa volesse dire perché mi conoscevano già quindi per cosa avrebbero dovuto riconoscermi? Ma questa è una storia che non riguarda l’Atac quindi non la riconosco.

Il latte alle ginocchia è da lunga conversazione

Il segreto per una conversazione inutile è: avere sempre una frase di circostanza da inserire nel discorso che permetta di poter ricevere l’apprezzamento del vostro interlocutore.

Eravamo in treno da Wien Hauptbahnhof a Bratislava Hlavnà Stanica e, mentre mi interrogavo su quale dei due nomi fosse il più difficile da pronunciare, una signora sul sedile di fianco ci ha attaccato bottone per scucirlo soltanto all’arrivo, cioè dopo un’ora.

Dopo alcune commenti generali sul fatto che le cose sembrano funzionar meglio in Austria, si è entrati nel classico discorso che fanno gli italiani all’estero: il confronto con l’Italia.

fig. 1 “La saccenza”

Avendo io etichettato la signora come una boriosa e annoiata donna-bene con al seguito una figlia adolescente annoiata dall’aver una madre annoiata che si vanta che la figlia in estate frequenta corsi di tedesco in scuole-bene, ho provato a gettarle un amo. Con lo sguardo rivolto verso l’infinito (in realtà il mio sguardo andava sul martelletto per rompere il finestrino in caso di emergenza, chiedendomi se fuggire da una conversazione noiosa potesse essere considerata emergenza) fingendo una riflessione, e il dito da Salvatore Aranzulla sentenzioso (fig. 1), ho recitato la seguente frase: “Qui sono più bravi di noi a curar le apparenze”.

La signora ha abboccato mostrando il proprio apprezzamento di circostanza con una smorfia compiaciuta sul viso e un gesto teatrale con le mani, esclamando “Bravo, hai detto proprio la cosa giusta, guarda”.

E poi ha proseguito, dicendo: “Qui hanno più senso dell’identità, non come da noi che la stiamo perdendo, non siamo più noi, accogliamo accogliamo e l’Italia poi dov’è? Accogliamo tutti e smarriamo la nostra identità”.

Dopo questa io taciuto per tutto il resto del viaggio non reputando più la signora interessante per le mie analisi antropologiche. Lei invece ha continuato a parlare. La figlia adolescente non nascondeva la propria noia appoggiando la testa al finestrino e alzando il volume nelle cuffiette.

Alla fine ho pensato che la signora avesse ragione, perché accogliendo la conversazione con lei ho finito con lo smarrire la mia identità di aspirante operatore di conversazioni inutili o quantomeno il mio interesse per le suddette.