Non è che al taciturno alcolista piaccia il silenzio-assenzio

Mi trovavo seduto a tavola a cena con altre tre persone. Si chiacchierava. La discussione ha preso in breve tempo una piega abbastanza impegnativa, sul tema della delocalizzazione dei processi produttivi e la standardizzazione dei prodotti offerti ai consumatori. In pratica ciò che a inizio anni 2000 scoprimmo si chiamava globalizzazione e dovevamo combattere. Non è riuscita benissimo.

Uno dei presenti sosteneva che questo modello prima o poi imploderà, perché la gente vorrà riscoprire il contatto umano diretto – invece di un paio di click su Amazon – e l’originalità dei prodotti invece di avere la stessa camicia a quadri di altri migliaia di persone. L’altro sosteneva il contrario. I due son finiti ad avere uno scambio di opinioni piuttosto acceso.

Io dopo aver detto la mia, non ritenendo poi opportuno ripetere le stesse cose – ho avversione per i discorsi che diventano circolari e tornano indietro al punto di partenza – mi sono silenziato e messo a bere.

Ogni tanto emettevo un Gurumpftztzs per schiarirmi la voce ed esprimere un generalizzato dissenso.

La quarta persona presente voleva a tutti i costi intervenire, riuscendoci con scarsi risultati. Anzi, dopo aver ripreso uno dei contendenti invitandolo a non baccagliare in tal guisa causando l’esclusione degli altri presenti, si è sentita ribattere: “Non mi sembra che tu abbia offerto contributi significativi al discorso”.

Non è una cosa carina da dire, anche se, in effetti, le osservazioni che aveva fatto erano sembrate anche a me realmente banali e fuori contesto.

C’è una cosa da ammettere: non tutti sono in grado di offrire un contributo a una discussione, vuoi per mancanza di argomenti, vuoi per l’insipidezza delle considerazioni.

Esistono però secondo me alcuni “grimaldelli”, cioè interventi validi a prescindere da tempi e luoghi, utili per inserirsi in qualsiasi conversazione e trarsi d’impaccio quando si è poco ferrati in materia. Semplici scorciatoie di pensiero.

Ad esempio, se l’argomento è il cinema, analizzando un film, si può fare sempre un vago e saccente accenno alla fotografia. Che nessuno sa in realtà cosa sia la fotografia in un film, ma poco importa.


Una volta – giuro che purtroppo è vera – mi son sentito dire che credevano che ci fosse uno che di mestiere scattasse le foto al set.


Se parliamo di un film d’autore si può cogliere l’occasione per un apprezzamento al piano sequenza. Tanto se è un film impegnato ce ne è sempre uno, pure se buttato lì alla carlona magari per mostrare senza stacchi quando il protagonista si prepara la pajata come la faceva la nonna. Vuol dire che il regista è bravo a cogliere le emozioni.

Di un gruppo musicale era sempre meglio il primo disco, ma se il gruppo è sulla scena da tempo si può azzardare un Devo riascoltarlo meglio, è un lavoro più maturo.

In discussioni a tema politico, invocare la necessità di riforme in Italia è un evergreen. Anche qui non è bene chiaro di cosa stiamo parlando e cosa mai andrebbe riformato: ma se non c’è un oggetto concreto chi potrà allora mai controbattere che non esista qualcosa da riformare?

Sulla stessa scia, anche se qui si vira sul polemico, è utile incolpare i poteri forti. Un potere forte lo si trova sempre.

Quando assaporate del vino dite che è fruttato.


Non va fatto se a tavola c’è il Tavernello e nemmeno se c’è il vino dello zio Giovanni che lo fa così denso e carico che lo si può utilizzare per verniciare le inferriate. In ambedue i casi verreste messi alla berlina dai presenti.


Virando sulle relazioni, ci sta sempre bene un secco I rapporti tra uomini e donne sono cambiati, oppure Gli uomini e le donne non sono più quelli di una volta. Chi oserebbe opporsi a una tale verità? È dai tempi degli Australopithecus afarensis – quelli di Lucy per intenderci – che maschi e femmine cambiano!

Spero che questi piccoli suggerimenti o “tips” (anche buttare nel discorso qualche termine in inglese, senza abusarne, può attirare l’attenzione degli astanti) possano aiutare a essere dei perfetti ignoranti atti a ogni conversazione.

Non è che il vegano romano imprechi dicendo ‘tacci soia

Supermercato.
Arrivo alla cassa contemporaneamente a una ragazza che sopraggiunge da un’altra direzione. Le faccio segno di passare avanti, mi guarda interdetta e non si muove. Debbo insistere. Lei si adegua, ancora interdetta.

Comprendo che qui non siano avvezzi alla cortesia, ma che non mi guardassero come un alieno perché già mi capita di sentirmi strano di mio.


Oppure forse il gesto che ho fatto qui è fraintendibile.
Una amichevole mano aperta col palmo all’insù che si allontana da me e indica la cassa probabilmente qui significherà “Che ne direbbe di sdraiarci insieme così le mostro che è allungabile da qui sino a lì?”.


Non è l’unica cosa nei supermercati che mi ha dato da pensare di recente.

La frutta e la verdura, ad esempio.
In alcuni punti vendita è necessario pesarla ed etichettarla, in altri no, seppur facciano parte della stessa catena. Non comprendo il principio della differente scelta. Se capita di frequentare indifferentemente uno o l’altro supermercato, può capitare di presentarsi alla cassa senza il prodotto etichettato perché per la fretta ci si è confusi. La cassiera allora ti redarguirà e getterà il sacchetto in un angolo con vibrante disprezzo.

Ovviamente non rifarai la fila per 3 pomodori che volevi mettere in un’insalata e questo è fonte di frustrazione per uno che di suo già si ciba di un numero limitato di ortaggi e che si vedrà privato del giornaliero apporto di nutrienti.

Ci sono cassiere che invece si prendono la briga di andare a etichettare il sacchetto oppure chiedono a qualcuno di farlo o ancora chiedono il prezzo a una collega e lo digitano alla cassa. Ma non sono mai capitate quando ero io ad aver dimenticato l’etichetta oppure erano alla cassa di fianco la mia.


Che un po’ legge di Murphy come il principio de “La fila di fianco è sempre più veloce”: studi scientifici dicono che sia un inganno della mente, perché il cervello enfatizza la lentezza della nostra fila e sottostima quella della fila accanto, che, in realtà, non procede affatto più veloce.
Io non condivido tali studi e infatti ogni volta punto un cliente della fila di fianco che parte al mio stesso livello e, puntualmente, debbo constatare che se ne va mentre io sono ancora in coda perché davanti capita qualcuno che non ha etichettato il sacchetto oppure che deve digitare di nuovo il pin del bancomat oppure che paga in cambiali della banca della Cappadocia.


La disposizione della merce è un’altra cosa che mi crea ancora qualche difficoltà.

È risaputo che alcune cose di prima necessità (sale, latte, uova) sono dislocate in modo strategico lontane le une dalle altre per aumentare il tempo di permanenza del cliente tra gli scaffali. È un vecchio trucco del marketing della GDO.

Qui a Budapest questo concetto è esteso alle estreme conseguenze.
Nei vari supermercati che ho visto ho notato che la merce non segue alcuna logica nella propria disposizione.

Perché il cibo per animali è nello stesso scaffale della maionese e del ketchup? Perché gnocchi e tortelloni sono nel banco con i dolci?


Perché è l’unico banco frigo disponibile? No! È un punto vendita enorme pieno di banchi frigo, eppure l’associazione mentale è gnocchi+tiramisù, forse perché entrambi prodotti non tipici e quindi quello deve essere il banco prodotti esotici.


E poi perché mai il latte vegetale è disposto sopra al banco della carne? Non di fianco, non separato: in bella mostra proprio sopra un macinato fresco di maiale.


Un messaggio subliminale aggressivo, vegano infame per te solo salame?


Almeno credo che fosse maiale perché ho ancora qualche problema a ricordare come si chiama cosa e google translate spesso non trova le parole che cerco.


Una volta, invece, sconsolato dopo aver girato a vuoto inutilmente perché non trovavo l’olio, ho posato tutto ciò che avevo e sono uscito a mani vuote. Come atto di protesta.


Tutti i consumatori dovrebbero fare come me.


L’olio non era più dove avrebbe dovuto essere. Ne avevano cambiato posizione. Ogni tanto cambiano di posto alle cose, oppure altre volte le tolgono dalla vendita.

Una volta avevo trovato degli hamburger gradevoli e che non contenevano dieci altre cose sconosciute aromatizzanti miscelate dentro.


Perché mai all’estero capita a volte che con la carne debbano impastarci tante altre cose dentro tanto che alla fine di carne non c’è più il sapore non mi è chiaro.


Dopo averli acquistati una volta sono poi scomparsi.

Le fette biscottate: quelle del Mulino Bianco costano troppo, quelle dello SPAR sembrano fatte di segatura impastata.


Almeno fosse segatura di legno di cedro, invece sembra provenire da una scarpiera IKEA.


Avevo trovato una marca buona olandese che produceva quelle doppie e pastose. Sono riuscito ad acquistarle 3 volte, poi sono scomparse.

In genere quando i supermercati non si riforniscono di un prodotto è perché non vende.
Ciò mi fa sorgere dei dubbi: o è possibile che io abbia dei gusti così fuori dalla norma oppure che io sia una specie di tester al contrario. Se una cosa mi piace vuol dire che non sarà di successo.