Se vai sempre dove si tocca si diventa ciechi?

Non amo l’acqua.

No, così è equivoco.

Mi piace l’acqua, da bere e per l’igiene personale.

Non mi piace molto fare il bagno, al mare o in piscina.

Anche perché non so nuotare, nonostante da bambino sia stato iscritto controvoglia in piscina. E dire che qualcosina l’avevo imparata: lo stile semi-libero (il movimento era un po’ macchinoso come se le braccia fossero legate a una catena), il dorso (di mulo, perché ero un po’ ingobbito e affondavo) e anche il delfino curioso (perché era proprio curioso il modo in cui mi muovevo!). Non parliamo dei tuffi, dopo essermi specializzato nella spanciata frontale avevo imparato il tuffo a candela consumata, perché non stavo dritto e mi afflosciavo.

Nonostante tutta questa “esperienza” ho poi dimenticato come si nuota. Non è vero che per certe cose è come andare in bicicletta, anche perché andare in bicicletta sott’acqua è un po’ faticoso, mentre per andarci sopra l’acqua bisognerebbe chiedere a un signore di Nazareth.

Conscio delle mie inabilità acquatiche, preferisco optare per andare dove si tocca adattandomi a stili del tutto personali.

Invece di fare il morto, ad esempio, si può fare lo zombie: in piedi in acqua, ginocchia flesse e schiena un po’ curva in avanti, braccia larghe e stese sul pelo dell’acqua (rilassate, non in tensione) e si sta lì lasciandosi cullare dalla corrente. Se qualcuno vi si avvicina e rompe le balle, prendetelo a morsi.

Per muovermi, adotto il Dr Zoidberg:  ci si sposta lateralmente tenendo le gambe a parentesi, con le mani che escono dall’acqua rivolte verso l’alto. Col mento immerso in acqua sino alla bocca e soffiando aria si può riprodurre il caratteristico blblblblblb del Dr Zoidberg.

Da settembre mi iscrivo in piscina, ho deciso.

Non per imparare, per diffondere il Zoidberg.

Lo zen o l’arte della manutenzione degli autobus

I mezzi pubblici, gli autobus in particolare, sono un microcosmo. E non solo per il coacervo di batteri, funghi e altre specie ancora non scoperte dalla scienza che essi ospitano.

C’è una varietà umana (e disumana) al suo interno che impressiona.

A cominciare dai conducenti.

Il conducente è incazzato per natura. E mi sono accorto che il conducente romano è incazzato ancor più degli altri, come se fosse un saiyan di secondo livello degli autisti.

Un conducente in un momento di relax

Ho pensato che potesse essere colpa dello snervante traffico romano, delle strade con le buche, dei sanpietrini tutti sfalsati gli uni con gli altri che sotto al deretano hanno lo stesso effetto di una raffica di calcetti alle chiappe. Mi rendo conto che passare una giornata in questo modo non ti renda aperto e bendisposto col mondo. Poi, dopo aver visto dei conducenti al capolinea cominciare il turno già incazzati neri, mi son reso conto che sono avvelenati per costituzione.

Su un autobus italiano pieno di gente il biglietto in genere ce l’hanno giusto un paio di persone, di cui una non l’ha obliterato. Legge di Murphy vuole, inoltre, che la macchinetta vicino la porta dove sei salito non funzioni e tu debba dirigerti verso quella opposta, sgomitando per farti largo tra gli altri passeggeri che aumentano esponenzialmente via via che si riduce la distanza tra te e l’obliteratrice. Uno studio di meccanica quantistica dice che esiste un punto di massimo sforzo oltre il quale non riuscirai più a procedere e dovrai allora allungare il biglietto alla persona più prossima alla macchinetta, che lo oblitererà per te con un misto di fastidio per l’incombenza e compatimento verso di te, come a dire “Guarda ‘sto fesso si fa pure il biglietto”.

Gli autobus sono un mondo di lotta senza quartiere. E a volte pure senza isolato, strada, condominio. Si comincia con la guerra per riuscire a entrare, al suon di “andate più dentro”. Si prosegue, una volta saliti, con la lotta alla fermata successiva, dove chi è fuori spinge al suon di “andate più dentro” e tu ti chiedi ma dentro dove, visto che lo spazio è ormai terminato. Poi arriva quello che ti si appoggia dietro le chiappe e che ha evidentemente frainteso il concetto di andare più dentro.

Un autobus poco affollato all’ora di punta in Italia

Le nonnette sprint sono una categoria a parte. Premesso che il posto agli anziani si cede sempre e comunque e non si fa quindi a gara con loro nell’accaparrarsi un sediolino, la nonnetta sprint appena un posto si libera si esibisce in uno scatto che nella finale dei 100 metri varrebbe la squalifica per partenza anticipata.

La nonnetta sprint sa come far male: per salire e per scendere non esita a darti colpi che non sarebbero ammessi in un incontro di muay thai.

Sugli autobus non manca mai quello che, obbedendo sicuramente a rigidi principi religiosi o morali e scegliendo una vita di privazioni come un asceta, abbandonando quindi la cura del corpo, non ha molta familiarità con l’igiene personale. E così l’asceta gli puzza assai. Ovviamente si posizionerà vicino a te.

Elemento decorativo tipico di questo mezzo pubblico è il turista americano con l’aria da boccalone che va in giro con la Reflex a tracolla bene in vista, il marsupio in vita e il portafogli che sporge dalle tasche, in pratica una scritta “rapinatemi” vivente.

Attendere un autobus è un’altra sfida con le Leggi di Murphy. Arrivi alla fermata quando ormai è già passato (stranamente proprio quella volta era puntuale), attenderai invano per quelli che ti sembreranno secoli, vedendo scorrere davanti a te tutti quelli che non vanno dove ti serve, di cui ne arriveranno anche più di uno, a volte sino a tre di fila con lo stesso numero!