Per la rubrica “Una cosa divertente che non farò mai più”, sono andato allo stadio in trasferta.
A dire il vero non ci sono andato di proposito – di proposito partendo da casa mia, intendo – l’ho deciso perché mi sarei trovato già in quelle zone per altri motivi. La città inoltre è tranquilla, il pubblico di casa piuttosto amichevole con noialtri e lo stadio piccolo ma ordinato. Il tutto quindi mi invogliava.
Essendo al completo il settore ospiti mi ero procurato un biglietto tra il pubblico di casa, dove comunque ci sarebbero stati anche tifosi miei conterranei vista la vasta affluenza.
In tribuna avevo di fianco un signore col figlio, un bambino di 8 anni al massimo.
Il fanciullo sembrava molto incuriosito dalla curva del settore ospiti. Molto festaiola e vivace ma pacifica, in effetti attirava l’attenzione.
La curva mentre sta preparando una grigliata per il dopo partita perché si era fatta una certa e lo stomaco chiamava
Il padre a un certo punto lo riprende invitandolo a prestare attenzione all’incontro o quantomeno ad ammirare la curva opposta, i loro, invece di guardare gli altri.
Passano 10 minuti e il bambino è di nuovo intento a guardare incuriosito e un po’ ammirato la curva avversaria. Il padre, con freddezza e una spruzzata di agrumi lo richiama di nuovo, spazientito. Cosa lo ha portato a fare allo stadio se poi lui si incanta a guardare gli altri?
Il bambino china la testa, si fa rosso in viso e piange. Il padre accortosi di averla fatta fuori dal vaso lo rincuora.
Secondo tempo. L’arbitro fischia un calcio di punizione contestato, contro i padroni di casa. Dagli spalti si leva quasi unanime un Idiota! Idiota! all’indirizzo del direttore di gara. Anche il padre di famiglia partecipa.
Poi, si volta verso il figlio e lo incita Dai, su! Anche tu, digli Idiota! Idiota!.
Avrei voluto anche io avere un figlio. Per dirgli, al termine dell’incontro:
Figliolo, ricordi il signore che avevamo di fianco? Ecco, quello è un coglione.
Poi ho pensato che in realtà non vorrei mai che mio figlio crescesse nella consapevolezza, inculcatagli da me, che sia semplice e doveroso dar del coglione o dell’idiota a qualcuno. O, ancora, demonizzare l’avversario.
Ma ho anche pensato che mio figlio avrebbe il diritto di riconoscere un coglione quando ne vede uno.
Per uscire da questo dilemma, prima che sia troppo tardi, ho deciso di sottopormi a una vasectomia e riprendere l’operazione per proiettarla nel corso di un vernissage artistico in cui presenterò il mio concetto di Arte Infeconda.
Biglietti in prima fila a breve in prevendita su tickettuan.
In basso, degli omini del calciobalilla (riconoscibili dalla divisa e dall’assenza di braccia) a bordocampo esclusi dal gioco per aver rullato. Delle canne.
Chef Ogni volta che vado in un ristorante un pelo più sofisticato del livello “trattoria di Giggino l’untuoso” rimango perplesso da un’abitudine che hanno gli chef: quella di fare ghirigori o cumshot di salsine intorno alla pietanza. La quantità è così esigua che è inutile per condire e io mi chiedo sempre: posso farci la scarpetta o meno? È solo decorativa? E perché mai avrei bisogno di cibo decorato? Se l’occhio vuole la sua parte, perché non mettere nel piatto un calendario di Playboy, allora?
Gatti
Il suono più rilassante dell’universo: >>>click<<< (si consiglia di alzare il volume).
Si ringrazia l’adolescente Camilla (anni 16 e mezzo) per essersi prestata alla registrazione.
Camilla a 15 anni e mezzo. Come tutti gli adolescenti, non vuol fare niente e poltrisce
Intelligenza
Nelle principali stazioni italiane da qualche tempo Trenitalia ha iniziato a subordinare l’accesso ai binari al controllo del biglietto per i passeggeri. A Roma alla Stazione Termini sono state costruite delle barriere tipo curva da stadio. Tutto giusto, peccato che entrando in uno qualsiasi dei negozi lungo il lato ovest della stazione sia possibile accedere ai binari senza passare per i varchi.
Jeans Quelli a vita alta sono uno dei capi che trovo più sensuali in una donna.
La donna coi jeans a vita alta, il cappello da Tom Waits e gli occhiali che negli anni ’80 sarebbero valsi l’esclusione coatta da ogni forma di vita sociale mi creano dei problemi. Ma non per gli occhiali in sé o per Tom Waits o per i cappelli, ma per l’insieme modaiuolo. Questo conflitto di gusti mi manda in crisi e non so come uscirne.
Keywords
Un po’ di parole chiave che conducono a questo blog:
Per chi ancora non lo sapesse, dalla bacheca del vostro blog se andate su Statistiche -> Mostra tutti -> Riassunti, scoprirete come i viandanti del cyberspazio hanno raggiunto il vostro spazio virtuale di scrittura altresì noto come blog.
non porto i vestiti in lavanderia per paura che non li lavino:Pensa che io non porto vestiti addosso per paura che si sporchino! hipsteria nell’uomo:È una sindrome grave che colpisce molti maschi tra i 25 e i 35 anni. I sintomi più evidenti sono comparsa di camicie a quadri, crescita pilifera sul viso incontrollata, comparsa di Dr Martens ai piedi. donna esaurita:Cambiare le batterie. quando buttare i bollettini finanziari: Quando cominciano a puzzare. che rischi si corrono senza mutande:Tanti. Innanzitutto c’è il raffreddore, cui sono più esposte le donne perché lì è tutto all’aperto quindi sai gli spifferi; ai maschi rischia invece di cascar giù tutto (il famoso modo di dire “far cadere le p+++e” nasce da un fatto vero). capacità recitative asia argento:Il CERN di Ginevra dopo aver trovato il bosone di Higgs si sta concentrando nel rintracciarle. e il tempo si ambigua:E lì son volatili amari. una fica:A pois, l’ha portata un maharaja. perche quando guardo il signore degli anelli mi viene da piangere:Perché stanno portando gli hobbit a Isengard.
ma quante cazzate dicono su wikihow:Non ne ho idea: hai provato a leggere la guida “Quante cazzate dicono su wikihow, wikihow”? percoca rossa con lentiggini:La famosa pesca calzelunghe. figa e lasagna:E il gusto ci guadagna.
L’autunno In questo periodo di transizione dalla stagione calda a quella fredda in cui ancora si può uscire di casa senza giacconi e cappotti, appaiono ragazze particolari: quelle con la felpa tirata fino all’altezza del palmo della mano.
È risaputo che in molte donne la circolazione sanguigna sia limitata al tronco e alla testa, mentre gli arti superiori e inferiori sono appendici clinicamente morte caratterizzate da una temperatura da cella frigorifera. Alcune ragazze tentano allora di ovviare alla dispersione di calore corporeo stirando le maniche fin giù alle mani. La cosa curiosa è trovare in uno stesso ambiente una ragazza dalle maniche stirate e una ragazza dalle maniche tirate (fin su all’omero) o assenti del tutto; il dubbio è
1) una sente freddo e l’altra no;
2) sentono ambedue freddo ma la seconda preferisce congelare piuttosto che apparire sciatta o poco figa.
Per la cronaca non trovo affatto sciatta o poco figa una ragazza con la felpa stirata fin giù alle mani – anzi mi ispira tenerezza – ma ora che ci penso non ho sentito nessuno accusare di sciatteria una ragazza con la felpa stirata fin giù alle mani quindi a questo punto dichiaro chiusa la polemica tra me e me stesso.
Paure
Sono terrorizzato dalle apparizioni di bambini dai 0 ai 24 mesi in luoghi chiusi: prima o poi quelle creature piangeranno. E quando un bambino inizia a piangere, non smette più.
Non c’è alcuna via di scampo: la fortuna è soltanto quella che l’esplosione di lacrime e urla avvenga il più tardi possibile. A nulla valgono i tentativi dei genitori di ammansire il pargolo con coccole e giochi: i bambini sono più intelligenti degli adulti e non si lasciano fuorviare da distrazioni e blandizie varie; il risultato di tali azioni sarà quello di irritarli ancor di più e farli piangere più forte.
Mi chiedo perché qualcuno non abbia pensato di sfruttare l’energia potenziale insita nel pianto dei bambini. Basterebbe porre sulla bocca dell’infante un imbuto, all’interno del quale sarà presente una sottile membrana di materiale estremamente elastico e resistente. Il pianto farà vibrare la membrana, la cui oscillazione si trasmetterà a un coso (non ho ancora deciso come sarà composto il coso) che poi per un procedimento fisico causerà uno spostamento di elettroni che caricheranno una batteria, immagazzinando energia da sfruttare come più aggrada.
Subito
Sto cercando di disfarmi di un manga su Subito.it ma l’impresa non è facile. Prima mi ha contattato un tizio, prendiamo accordi, tutto a posto, convintissimo. Poi la sera prima della vendita mi contatta – dopo che un paio d’ore prima mi aveva confermato l’appuntamento – per dirmi che non se ne faceva nulla. Passano una decina di giorni, mi contatta un altro tizio, mi dice di venire da Grande Inverno (per tutelare l’anonimato userò nomi di località di Game of Thrones), io dico perfetto, possiamo vederci all’uscita della strada che viene da Grande Inverno.
Lui: non la conosco.
Io: non è possibile, ci sono solo due strade da Grande Inverno.
Lui: conosco la Strada del Re.
Io: ma quella è la strada che viene da Approdo del Re, come è possibile.
Poi dal suo modo di scrivere mi rendo conto che era lo stesso tizio che mi aveva dato buca in precedenza e che mi aveva detto di essere di Roccia del Drago. A quel punto smetto di rispondergli.
Passa una settimana, mi scrive un altro tizio. Gli dico possiamo vederci di sabato perché in settimana sto a Roma. Lui convintissimo, tutto a posto. Gli scrivo venerdì sera per chiedere conferma, non mi risponde. Gli scrivo sabato, lui mi chiede dove possiamo vederci. Gli chiedo informazioni logistiche, sparisce. Gli riscrivo, mi risponde oggi per dirmi che dopo avermi scritto è crollato sul letto in preda alla febbre. E poi mi fa: dove ci vediamo?
Non ho più risposto. E sospetto sia sempre lo stesso tizio.
Telefoni
I cellulari hanno introdotto un pericoloso concetto nella mente delle persone: quello di telefonia mobile. In virtù del fatto di essere mobile si è diffusa l’idea che il telefono sia ormai parte integrante del corpo di una persona che, quindi, non se ne separerà mai. Se il telefono è spento o se la persona non risponde, è colpevole di non voler essere reperibile.
Ho provato a spiegare a Madre, ad esempio, che se non rispondo al telefono o se non sono raggiungibile non è perché sono morto o perché mi ha rapito l’ISIS. Anzi, le ho fatto presente che nel caso morissi, dato che sarebbe quasi certamente di morte violenta (sono in buona salute), qualcuno darebbe notizie.
A meno che l’evento tragico non avvenga in presenza della mia coinquilina cinese: in quel caso penso che il mio corpo sparirebbe incastrato a forza nella pattumiera, occultato da un pacco di tortellini.
Madre ha replicato: potremmo essere noi morti e volerti allora avvertire.
Avrei voluto replicare chiedendo “Come?” ma ho ritenuto opportuno non farlo.
Però mi chiedo: quando non c’erano i cellulari, come si faceva? Sì, certo, si può dire anche quando non c’erano gli antibiotici che si faceva? Si moriva. Ma non credo che la gente morisse per non aver risposto al telefono!
Vocalizzi
Ciò che con la porta chiusa riesco a udire dalla mia stanza quando Astro Nascente si esercita: >>>click<<<.
Il mio obiettivo di questa settimana era sopravvivere da martedì a venerdì con 10 euro in tasca. Traguardo ampiamente alla mia portata perché a volte sono riuscito anche a tirare avanti con soli 5 euro. Il segreto è non spenderli.
Il mio programma è andato a farsi benedire quando lo stesso martedì la caldaia si è spenta per non riaccendersi più (ne danno il triste annuncio gli utilizzatori dell’acqua calda, Me Medesimo e Coinquilino) e il tecnico il giorno dopo ha presentato un conto di 210 euro. Tale conto andava diviso a metà, come avevo concordato sin dall’inizio con Coinquilino che mercoledì sera mi ha poi fatto trovare sul tavolo della cucina:
– i pezzi sostituiti dal tecnico
– la fattura
– un lunghissimo biglietto in cui mi spiegava il tutto e specificava l’esborso maledicendolo come un “balzello della malìa” o qualcosa di simile* *Non so se ho letto bene, comunque non ho mai sentito un’espressione simile. Se qualcuno ne è a conoscenza, si faccia vivo e mi illumini.
Quindi dopo aver prelevato 150 (i piccoli tagli negli ATM vanno sempre via), ho lasciato sul tavolo 110 euro, tenendo in tasca 50 che non immaginavo mi avrebbero impedito questa sera di prendere la metro.
Avevo appuntamento a casa di questo bel gattone
dimenticando, da furbone qual io sono, che le macchinette per fare il biglietto non accettano carte o bancomat e che il resto massimo che possono dare è pari al costo di una caramella Goleador.
I negozi intorno erano tutti chiusi, ammesso e non concesso che qualcuno avrebbe accettato di cambiare 50 euro. Mi è già successo in passato che qualcuno mi dicesse di non avere contante da cambiare* e comprendo anche il motivo: con i tempi che corrono**, non è semplice fidarsi del prossimo. E capisco anche che forse il mio aspetto barbuto-casual non ispiri fiducia. * Una farmacia e un minimarket che non hanno contante, mah! ** Ma poi dove corrono questi tempi?
E pensare che quando Coinquilino mi ha ringraziato per i soldi e mi ha detto “Devo darti 5 euro di resto, perdonami ma al momento non ho spiccioli” io ho anche risposto, con sicumera, “Figurati, fa’ con comodo”, tronfio del mio bigliettone da 50 che avevo in tasca che mi permetteva di assumere pose da ricco.
E poi accade che sei ricco e non puoi prendere la metro!* ** * Con gli autobus – sottolineo il plurale perché avrei dovuto prenderne più di uno per raggiungere la meta – ci avrei impiegato un paio d’ore, probabilmente. ** Sì, mi è anche passata per la testa l’idea di scavalcare i tornelli.
NOTA
Il gatto di cui ho pubblicato le foto senza fargli cliccare l’accettazione dei cookie (sembra che sia diventata una necessità, anche il mio barbiere l’altro giorno prima di tagliarmi i capelli mi ha chiesto l’autorizzazione a procedere) è della coinquilina di una collega, a casa della quale dovevamo recarci per un lavoro da portare a termine entro domani. L’assenza non mi esonera dal fare la mia parte, purtroppo.
E ora, visto che è stato citato – e lui citato dovrebbe esserlo anche per tutta un’altra serie di ragioni – un po’ di trash anni ’80
I mezzi pubblici, gli autobus in particolare, sono un microcosmo. E non solo per il coacervo di batteri, funghi e altre specie ancora non scoperte dalla scienza che essi ospitano.
C’è una varietà umana (e disumana) al suo interno che impressiona.
A cominciare dai conducenti.
Il conducente è incazzato per natura. E mi sono accorto che il conducente romano è incazzato ancor più degli altri, come se fosse un saiyan di secondo livello degli autisti.
Un conducente in un momento di relax
Ho pensato che potesse essere colpa dello snervante traffico romano, delle strade con le buche, dei sanpietrini tutti sfalsati gli uni con gli altri che sotto al deretano hanno lo stesso effetto di una raffica di calcetti alle chiappe. Mi rendo conto che passare una giornata in questo modo non ti renda aperto e bendisposto col mondo. Poi, dopo aver visto dei conducenti al capolinea cominciare il turno già incazzati neri, mi son reso conto che sono avvelenati per costituzione.
Su un autobus italiano pieno di gente il biglietto in genere ce l’hanno giusto un paio di persone, di cui una non l’ha obliterato. Legge di Murphy vuole, inoltre, che la macchinetta vicino la porta dove sei salito non funzioni e tu debba dirigerti verso quella opposta, sgomitando per farti largo tra gli altri passeggeri che aumentano esponenzialmente via via che si riduce la distanza tra te e l’obliteratrice. Uno studio di meccanica quantistica dice che esiste un punto di massimo sforzo oltre il quale non riuscirai più a procedere e dovrai allora allungare il biglietto alla persona più prossima alla macchinetta, che lo oblitererà per te con un misto di fastidio per l’incombenza e compatimento verso di te, come a dire “Guarda ‘sto fesso si fa pure il biglietto”.
Gli autobus sono un mondo di lotta senza quartiere. E a volte pure senza isolato, strada, condominio. Si comincia con la guerra per riuscire a entrare, al suon di “andate più dentro”. Si prosegue, una volta saliti, con la lotta alla fermata successiva, dove chi è fuori spinge al suon di “andate più dentro” e tu ti chiedi ma dentro dove, visto che lo spazio è ormai terminato. Poi arriva quello che ti si appoggia dietro le chiappe e che ha evidentemente frainteso il concetto di andare più dentro.
Un autobus poco affollato all’ora di punta in Italia
Le nonnette sprint sono una categoria a parte. Premesso che il posto agli anziani si cede sempre e comunque e non si fa quindi a gara con loro nell’accaparrarsi un sediolino, la nonnetta sprint appena un posto si libera si esibisce in uno scatto che nella finale dei 100 metri varrebbe la squalifica per partenza anticipata.
La nonnetta sprint sa come far male: per salire e per scendere non esita a darti colpi che non sarebbero ammessi in un incontro di muay thai.
Sugli autobus non manca mai quello che, obbedendo sicuramente a rigidi principi religiosi o morali e scegliendo una vita di privazioni come un asceta, abbandonando quindi la cura del corpo, non ha molta familiarità con l’igiene personale. E così l’asceta gli puzza assai. Ovviamente si posizionerà vicino a te.
Elemento decorativo tipico di questo mezzo pubblico è il turista americano con l’aria da boccalone che va in giro con la Reflex a tracolla bene in vista, il marsupio in vita e il portafogli che sporge dalle tasche, in pratica una scritta “rapinatemi” vivente.
Attendere un autobus è un’altra sfida con le Leggi di Murphy. Arrivi alla fermata quando ormai è già passato (stranamente proprio quella volta era puntuale), attenderai invano per quelli che ti sembreranno secoli, vedendo scorrere davanti a te tutti quelli che non vanno dove ti serve, di cui ne arriveranno anche più di uno, a volte sino a tre di fila con lo stesso numero!
Dopo aver commentato un post del poliedrico ysingrinus ho fatto delle riflessioni.
Mi sono ricordato che al liceo ho scoperto che la y io la scrivo al contrario, cioè col braccio corto a destra. Era una cosa che mi veniva naturale, non ci ho mai fatto caso. L’insegnante di matematica quando mi chiamava a svolgere esercizi alla lavagna a volte me le cancellava e le riscriveva giuste. Qualche compagno non capiva che lettera fosse o fingeva di non capirlo. Io mi infastidivo: perché perdere tempo su questo particolare?
In realtà è tutta la vita che io stesso perdo tempo sui particolari.
Nelle ultime settimane, per esempio, sono latitante per Almalaurea. Per un paio di mesi mi hanno inondato di mail con la richiesta di rispondere al loro sondaggio post laurea. Dopo il primo messaggio ho pensato che, appena libero per 10 minuti di tempo, mi ci sarei applicato. Quando poi sono arrivate mail insistenti, perentorie come dei solleciti di pagamento, mi sono girate e ho deciso di non partecipare più. Da una settimana sono cominciate le telefonate, anche il sabato, mattina e sera. Ho messo il blocco in entrata ai loro numeri.
Ecco, questo è uno dei casi in cui mi concentro sul particolare (il mio odio per l’insistenza), perdendo di vista il generale (permettere invece a delle persone di fare il proprio lavoro e partecipare a migliorare un servizio…forse).
Il mondo per me esiste solo in relazione ai particolari. Per dire, fatico in genere a rammentare una strada per andare dal punto A al punto B, a meno che non ci sia qualche cosa da ricordare lungo il tragitto: l’insegna di una trattoria, una casa diroccata, un cartello stradale arrugginito. Può anche trattarsi di qualche segno non definitivo: magari una volta lungo quel percorso ho visto un bambino che giocava in un cortile (io, vagabondo che son io…) e mi è rimasto per sempre impresso.
I miei ricordi funzionano allo stesso modo. Ho la testa suddivisa in tante bacheche dove ci sono appese delle istantanee, di cose a volte completamente insignificanti ma per me divenute particolari.
Un banco scheggiato alle elementari, col truciolato che emergeva fuori che una volta doveva essere chiaro ma col tempo era diventato nero. Un cartello bianco su un rudere con una scritta rossa BOXE, tel xxxxx (no, il numero non lo ricordo. Non sono Rain Man). Una figurina dell’album sulla F1 dei primi anni 90′ volata per terra sul marciapiede. Una tazza a righe arancio e nere. Una bambina orientale che piange sul lungomare di Salerno, mentre la madre si era allontanata a guardare la merce su una bancarella. Una decorazione luminosa raffigurante il profilo di un Babbo Natale, dimenticata appesa su un muro da chissà quanti anni. Un tizio alla stazione che davanti alla biglietteria automatica mi chiede se il treno per Lanciano per il quale stava acquistando il biglietto sarebbe arrivato alle 21 dello stesso giorno, in tempo per la partita (nota: erano le 14 di sabato. La partita era alle 15 del giorno dopo). E ancora, il vento che si alza mentre pioviggina con una goccia d’acqua che mi finisce nell’occhio mentre attraversavo via Duomo, i baffi di un signore sulla 50ina che un giorno notai seguiva una lezione universitaria nella mia stessa aula, la voce di un operatore telefonico del WWF che mi ricordava la scadenza dell’abbonamento, un buco a forma di stellina su una maglia.
E potrei andare avanti e avanti.
Il gatto nero è stato uno dei simboli del sindacalismo anarchico. Potevo forse non citarlo?
Ho invece un problema col generale, col tenere sotto controllo il quadro d’insieme, ricordare ciò che conta. E ho anche un problema coi generali. Ho infatti difficoltà a relazionarmi con l’autorità. In fondo mi ritengo un anarchico, anche se ci vado cauto col dirlo. In primo luogo perché è una concezione più filosofica che politica, in secondo luogo perché la gente ha uno strano rapporto con l’anarchia; le persone immaginano sempre un tipo vestito da Black Bloc che non entra al McDonald’s perché cioè noi dobbiamo combattere il sistema perché cioè il capitalismo, la globalizzazione…cioè, capisci?
A essere sincero io realmente non vado al McDonald’s, ma semplicemente perché un pasto lì è l’equivalente delle calorie che consumo in una settimana.
Questa è una cosa particolare o generale?
Comunque a me una y invertita sembra di vederla anche tra le pieghe della mano.
Giochiamo a “Trova la y invertita che Gintoki crede di vedere” (temo comunque che in foto non si veda)
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.