Non è che il puritano sia scandalizzato dalla nuda roccia

Era da un po’ che non facevo qualcosa per conto mio, così sabato ho preso l’auto, verso il mare. Volendo evitare (riuscendoci in parte, perché è impossibile scansarlo del tutto) i disagi del turismo d’assalto del weekend, ho scelto una spiaggia selvaggia e scomoda, fatta solo di rocce enormi. Meglio gli scoglioni che lo scoglionamento, insomma.

Preoccupato dalla ripida e tortuosa pendenza della strada (stando a dei commenti su Tripadvisor che parlavano di frizioni bruciate), per preservare l’auto, al grido di Vado a piedi!, l’ho lasciata su nel paesello per far 2-3 km. Mi piace camminare.

Al ritorno in salita mi è piaciuto un po’ meno, confesso di aver vacillato. Tra l’altro, il percorso non era così improbabile da fare con l’automobile.

I commentatori di Tripadvisor sono dei grossi scogli senza la s.


Dovevo capirlo quando ho letto di una che diceva di essere andata in piena emergenza Covid e di aver trovato troppa gente. Le do ragione, potevano bene starsene a casa per lasciare spazio a lei. Un altro denunciava di aver trovato un gabbiano morto – anche qui, solidarietà al turista: il volatile non poteva andare a morire da un’altra parte? – mentre, infine, uno lamentava la scomodità delle rocce: in effetti, quand’è che attrezzeranno le spiagge libere con dei bei divani degli artigiani della qualità? Ci sono promozioni ogni weekend, sarebbe da approfittarne.


Amenità a parte, la vista che dalla Cala si poteva godere di Capri e dei suoi Faraoni è meravigliosa.


I Faraoni di Capri sono stati una dinastia minore fondata da una famiglia di esiliati dall’Antico Egitto che, dopo aver vagato nel Mediterraneo, arrivò all’isola di Capri. A loro si deve lo sviluppo di alcune invenzioni, come l’insalata caprese, la torta caprese e i Capri espiatori, degli animali cui addossare delle colpe, del tipo:

– Cos’è questa puzza?
– È stato il capro.

o anche

– Hettunonnephaiunagiusta: Hai sporcato tu il pavimento appena lavato?!
– No, Mamma Tepioaschiaph-oni, sarà stato il capro

Scogli che scoglieggiano.


La cosa che mi ha colpito è che su uno scoglio, bello piatto e largo, c’erano un paio di mutande abbandonate. Quel che mi chiedo, come fa uno a scordarsele lì sopra, in bella vista? Cioè, dico, uno arriva, mutandato e poi se ne va smutandato e non se ne accorge?

Poi ho pensato: in tempi di contingentamento anche gli accessi alle spiagge libere vanno prenotati, come in questo caso dove bisognava scrivere a un tizio per essere certi di aver posto.

E se la mutanda fosse una forma di prenotazione? Nessuno si sognerebbe di andare a toccare e rimuovere un paio di mutande usate, che resterebbero quindi lì. Metter mutanda potrebbe essere come piantar la bandiera, reclamare accesso e usufrutto del posto e dello scoglio.

Oppure, più banalmente, qualcuno era troppo scandalizzato dalla nuda roccia e, novello Daniele da Volterra o Braghettone, ha provveduto a fornirla di mutande.

Non è che il motto dell’autista sia “Che Dio tassista”

Leggendo il bel post di Zeus in cui racconta della sua trasferta in terra siciliana, mi è rimasto impresso quanto lui sia rimasto colpito dall’uso non convenzionale del clacson che si fa al Sud.

In effetti mi stupisco io di quanto gli altri si stupiscano. Poi realizzo che, in effetti, dal Centro in su fino al Circolo Polare Artico, non sanno.

Il clacson, nel Meridione, non è un semplice segnalatore acustico. È uno strumento polifunzionale. Non so se siamo stati noi a introdurre questa feature nelle nostre automobili o sono state le case automobilistiche a pensare a questa innovazione solo per noi, magari come test prima di estenderla a tutti.

1) È un mezzo di comunicazione.
Con il clacson si può salutare un conoscente, un amico in strada.

Si può anche comunicare con un altro automobilista:

– Bee beep!
– Beep bee!
– Blet-blet (un terzo che si intromette)

Attenzione, non mi riferisco alla clacsonata rabbiosa in risposta a una manovra scorretta: quello che ho citato è un vero e proprio scambio di battute amichevole. Ho visto fare lunghe conversazioni a colpi di linguaggio morse-clacsonico.

2) Serve a mettere in moto i veicoli
Fermi al semaforo, un colpo di clacson prima che scatti il verde farà avviare il veicolo che vi precede. Il clacson infatti, tramite un sistema “remote control” – che non è né infrarossi né bluetooth ma una tecnologia segreta – che si attiva solo ai semafori con le auto ferme, è in grado di collegarsi al motore dell’auto davanti e stimolarne la ripartenza.

3) Permette di superare gli incroci in sicurezza
Al Sud non è necessario rallentare agli incroci. Questo permette di tagliare i tempi morti delle frenate.
Avvicinandosi a un incrocio, l’automobilista potrà superarlo mantenendo la propria velocità semplicemente dando due colpi di clacson.

4) Funge da campanello
Un colpo di clacson sotto casa della persona con la quale si ha appuntamento la farà accorrere al balcone o alla finestra, evitando di scendere dall’auto. Molto pratico quando non si trova parcheggio e/o quando il citofono non funziona.

5) Strumento di corteggiamento
Il giuovine gaudente motorizzato, tramite segnalazione acustica può richiamare l’attenzione di una fanciulla per la quale prova interesse e farle pervenire, in codice sonoro – i dolci e romantici versi di poesia che ella gli ispira.
Questa funzionalità è purtroppo utilizzata a sproposito e in malo modo, rovinandone il romanticismo.

Dopo aver illustrato le funzionalità del clacson del Meridione, debbo però fare una doverosa precisazione: fino a che tale innovazione non verrà estesa a tutte le automobili in circolazione, non è prudente tentare di utilizzarla al di fuori del Sud Italia. 

Blet-blet.

L’insostenibile leggerezza dell’ebete

“Osservate con quanta insolenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di idiozia”
(Era asmatico a Rotterdam – Elogio dell’idiozia)

L’ebete è ovunque. Ti coglie di sorpresa. Come un tiro all’incrocio dei pali dalla distanza di 30 metri, come una volante con l’autovelox appostata lungo una statale, come le mestruazioni durante l’atto.

La caratteristica fondamentale di un ebete è la superficialità con la quale affronta le cose e anche la tranquillità con la quale commette minchiate. Ciò lo rende un individuo molto pericoloso.

L’ebete è quello che ti si incolla al posteriore della macchina e, pur avendo tu messo la freccia per segnalare l’intenzione di parcheggiare, resta appiccicato al tuo didietro come un cane che annusa un altro cane, impedendoti la manovra.

L’automobile è luogo deputato a ospitare ebeti. L’ebete d’autostrada è quello che ti vede da lontano sulla corsia di sorpasso ma non rallenta, anzi, accelera, segnalando con gli abbaglianti di continuo facendo lo stesso effetto delle luci di una discoteca. Se potesse, azionerebbe un pulsante per farti sparire all’istante. Fa nulla che a destra ci siano altre auto(si chiama corsia di sorpasso, quindi servirà per sorpassare le auto sulla corsia di destra, evidentemente), devi sparire prima che lui ti entri nel già citato culo della macchina.

L’ebete parcheggia in modo da impedire alla tua auto di uscire. E poi sparisce, abbandona il mezzo al suo destino, va in banca, a fare la spesa, al matrimonio di George Clooney, a scattarsi un selfie con un dromedario, il tutto nella più imperturbabile strafottenza. Tanto l’auto lì non darà fastidio a nessuno. Qui subentra la Legge di Muprhy, che vuole che sia proprio la vostra auto quella che verrà bloccata.

Ma l’ebete può anche muoversi su due ruote o essere un pedone. L’ebete a passeggio cammina sulla carreggiata, pur essendoci il marciapiede. Magari con un bambino, ovviamente tenendolo sul lato di passaggio delle auto.

All’ebete non dovrebbero essere affidati cani e bambini. Partendo dal presupposto che non esistono cattivi cani e cattivi bambini ma solo cattivi loro accompagnatori, cani e bambini in mano a un ebete saranno inevitabilmente classificabili nella categoria “scassaminchia”, grazie al degno esempio che hanno davanti.

L’ebete frequenta i vostri stessi luoghi. Lavora, consuma come noi. L’ebete da ufficio è quello che pone domande da ebete, per l’appunto. Esempio:
Tizia A: “Perché quel contratto non è ancora validato?”
Tizio B: “Chiamo il cliente per la telefonata di controllo, suona ma non risponde”
Tizia A: “E perché non risponde?”
No comment.

L’ebete colonizza social network diffondendo spore di idiozia, che possono poi attecchire e germinare in altre teste e formare nuovi ebeti che diffonderanno altre spore e così via. Nel momento in cui clicchi “condividi” sei già stato infettato.

L’ebete è il consumatore ideale. Una qualsiasi minchiata sarà ai suoi occhi così appetibile da farlo bramare il poterla avere al più presto. Il desiderio si spegnerà giusto in tempo per l’arrivo di una nuova minchiata da consumare.

Studio culturale sul popolo delle 30enni

Ti rendi conto che dentro di te sia scattato il passaggio a un’età successiva quando guardi le under 23 e ti sembrano delle ragazzine. Così cominci a guardare quelle intorno ai 30. Nella mia testa una 30enne doveva essere una donna con equilibrio e stabilità mentale. Me povero ingenuo. Nulla di più falso. L’esempio lampante è dato da queste 5 tipologie che ho selezionato.

Premessa paracula: i miei potrebbero sembrare giudizi cattivi ma è tutto all’insegna della massima simpatia, cortesia e ampio parcheggio!

La 30enne sportiva – La 30enne sportiva si nutre di cereali, seitan e aria (ma non troppa perché gonfia), calcola a livello atomico le quantità di cibo da ingerire e se sgarra per una fetta di torta si infligge sedute aggiuntive di corsa/nuoto che bruciano l’equivalente di cibo ingerito in una settimana. Condivide sui social i suoi progressi atletici riuscendo nell’impresa di essere meno interessante persino del tipo che scrive anche quando va al bagno (e ce l’hanno tutti uno così su fb).
Consiglio: non tentate di stuzzicarla con azioni provocatorie, tipo mangiare davanti a lei una fiorentina da 1 kg al suon di “non sai che ti perdi”. Non funziona e vi attaccherà un pippone sull’alimentazione, le carni rosse, le malattie, che vi farà passare l’appetito.

La 30enne disadattata – La 30enne disadattata frequenta corsi di yoga trascendentale, legge Pasolini, non frequenta bar ma caffè letterari, non dice “noia” ma “tedio”. Altera e sofisticata durante il giorno, alla sera termina inevitabilmente le sue giornate devastandosi di alcool, per poi raccontare ubriaca agli altri di quanto la sua vita faccia schifo, di quanto certi uomini abbiano il cervello più piccolo del pene, di quanto siano copiose le sue mestruazioni.
Consiglio: datele un uomo. Possibilmente molto brutto, abbastanza affinché non sia lui a lasciare lei.

La 30enne disagiata – Da non confondere con la disadattata, la disagiata è una laureata in Studi blablaologici antichistici che fa un lavoro sottopagato per 6 giorni su 7 la settimana e che ovviamente non corrisponde ai suoi studi. Aspetta sempre l’occasione di svolta, almeno fino a che non suona la sveglia. A chi la incontra parla di lavoro, bollette, amiche che si sposano e fanno figli, sospirando. Precisando che poi in realtà non ha alcuna intenzione né di sposarsi né di fare figli, anzi lei odia i bambini. Costretta dalle necessità economiche o dalla stanchezza lavorativa a ridurre le sue uscite serali, comincerà a vivere in una perenne rievocazione di Friends o di qualche altra sit-com americana, trascorrendo le serate tra pizze e divani.
Consiglio: toglietele la tv.

La 30enne fancazzista – La 30enne fancazzista fa cose e vede gente. È iscritta probabilmente a Scienze Politiche, possibilmente a Belle Arti, verosimilmente a Lettere. Magari a tutte e 3 perché deve trovare la sua strada. Ha vissuto a Londra, ha convissuto a Parigi, ha condiviso a Barcellona. Balla reggae, fuma joint, va ai concerti di quel che resta dei Diaframma che ascoltava quand’era piccola. È impegnata politicamente ma solo a targhe alterne, ha l’hobby della fotografia ma solo perché le permette di spacciarsi per artista.
Consiglio: nascondete sigarette, portafogli, automobile, perché tenterà sicuramente di scroccarvi qualcosa.

La 30enne complicata – Sottocategoria trasversale in cui si ritrovano vari generi di donna, la 30enne complicata (definizione che si dà lei da sola) si ciba di Coelho e astrologia, di riviste di psicologia e manuali per la dieta, usando poi le conoscenze acquisite per dispensare consigli e pillole di saggezza ad altre trentenni disperate in occasioni di uscite che si trasformano in sedute di auto-aiuto. Ha un pessimo rapporto col padre, ha spesso litigato con la madre, avrà fatto a botte col fratello: in virtù di ciò ritiene che non potrà mai essere capita da qualunque altro essere umano.
Consiglio: quando la incrociate, cambiate strada.

Ultimo consiglio. Non seguite i miei consigli. Le 30enni tutto sommato sono fighe (seconda paraculata di oggi).

Il mondo di Dalí – L’eclissi (2)

La prima parte è presente qui. I racconti del Capitolo I sono pubblicati qui.
seconda parte

Le verità che mi furono rivelate mi disorientarono. Il mio desiderio di sapere era insaziabile ma la conversazione fu al tempo stesso fonte di rinnovata speranza e foriera di nuovi terrificanti eventi. Ebbi risposta al mio principale dubbio. Io non appartenevo a questa dimensione, ero a tutti gli effetti un normale essere umano vittima di uno scambio tra i due universi. È facile comprendere chi ne fosse l’autore. L’avevo osservato per un attimo nello specchio mentre si aggirava nel mio appartamento. Un essere diverso dagli altri e dotato della necessaria intelligenza e consapevolezza per perpetrare l’inganno. Sotto le mie sembianze, che ne celavano la natura diabolica, è probabile che vivesse la vita che una volta era stata mia. Conscio di tutto questo adesso avrei potuto ristabilire l’ordine naturale delle cose, anche se in ogni caso avevo poco margine per lasciarmi cullare dall’ottimismo. Se esisteva una qualche speranza di tornare nel mondo che mi apparteneva, il tempo concessomi era limitato.
___L’Orologiaio aveva preannunciato la minaccia rappresentata da un’eclissi. Sulla Terra tali fenomeni sono vissuti come un evento spettacolare e nulla in più. L’epoca in cui l’oscuramento del Sole era considerato presagio di sfortuna e sciagure è parte di una storia lontana in cui la superstizione aveva la meglio sulla ragione. Vorrei poter raccontare che anche qui sia lo stesso ma non è così. In questo mondo surreale un’eclissi rappresenta una calamità.
___Ho avuto modo di accennare alla singolare esperienza dell’alternanza tra notte e giorno. Qui non esistono astri luminosi ma zone in uno stato perenne di luce o di buio rischiarato soltanto da un pallido chiarore. Spostandosi è possibile passare dall’una all’altra mentre le aree di contatto presentano livelli graduali di luminosità paragonabili alle nostre alba e tramonto.
___Qualunque ne fosse l’origine e la natura, quella luce era soggetta a occasionali periodi di oscurità. Le Eclissi. Il verificarsi di questi eventi era paragonabile a una catastrofe biblica, avendo come esito finale l’estinzione totale delle forme di vita presenti in quel mondo. Ogni volta le creature – delle quali avevo conosciuto un variegato assortimento -, investite dalle tenebre profonde, sparivano del tutto. Il surreale universo rimaneva spopolato per un breve periodo, fino al momento in cui comparivano altri nuovi e stravaganti esseri destinati a vivere il medesimo ciclo di vita e morte.
___Immuni a tutto questo erano soltanto le entità come l’Orologiaio. Esseri senzienti privi di reali forme e corpi, esistenti in uno stato che per me era quello di una semplice illusione ottica. Una razza superiore evolutasi in uno stadio intermedio tra la materialità e l’incorporeità che svolgeva il ruolo di Guardiana del Tempo e dello Spazio, rappresentando l’elemento di continuità in un mondo dove non vi era una coerenza. Seppur disciplinati da un Ordine e uno Scopo, la loro specie non era scevra di schegge libere o eresiarchi, come mi era stato accennato.
__Questo è ciò che mi fa concesso di apprendere. Quel che fu chiaro dal primo momento è che non essendo io dello stesso rango di tali semi-divinità, sarei stato cancellato dall’Eclissi come una qualsiasi altra creatura inferiore.

Enigma senza fine (1938)

___Al più presto sarei dovuto tornare nel mio universo. Sollecitato dalla mia richiesta di maggiori delucidazioni, il mio interlocutore si rivelò alquanto enigmatico.
“Quanto mi resta prima dell’Eclissi?” chiesi.
“Potrebbe essere già troppo tardi – rispose con il consueto tono flemmatico – o rivelarsi ancora presto. Il tessuto dimensionale è increspato, anche se tu potresti non osservarlo come tale. Considera il mondo dal quale provieni. È sferico ma a un suo abitante appare piatto”
“Non riesco a comprenderti. Dimmi cosa dovrei fare per tornare indietro”
“Non seguire la simmetria, I25-8. Recupera i due specchi che si guardano l’un l’altro. Elimina il tuo doppio”
___Non rammento se mi fosse stato detto altro o se la conversazione si fosse interrotta così. I miei ricordi sfumano in quel punto come evaporati. Ero finito preda di un sonno profondo e vischioso, dal quale mi risvegliai a fatica sentendomi come menomato delle mie capacità percettive. Qualcuno mi osservava ma non riuscivo a mettere a fuoco l’immagine. La presenza si fece sempre più incombente. Non si trattava dell’Orologiaio. Sentivo uno sguardo penetrante su di me. Un volto bianco emergeva dal nulla deformando l’aria intorno a sé.

Apparizione di volto e fruttiera (1938)

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Parcheggio, Area H7
Una porta a vetri elettrica si apre. Ne esce un uomo di quarantacinque anni al massimo. Capelli e baffi argentei gli donano un’aria distinta. Indossa un completo antracite e regge con la mano sinistra una borsa in pelle color cuoio.  Attraversa il piazzale illuminato da fari alogeni e si dirige spedito verso un’automobile, una berlina tedesca blu cobalto. A un tocco sul telecomando la vettura risponde con una breve segnalazione acustica.
___Un uomo, accanto un’altra vettura, si volta attirato da quel suono. È giovane, all’incirca sulla trentina. Indossa anch’egli un completo grigio, ma di una tonalità più chiara. La fattura appare meno curata, l’abito non è realizzato su misura.
“Quest’oggi non c’eravamo ancora incontrati” esclama rivolto verso l’uomo antracite.
“Problemi al livello D” risponde mentre apre lo sportello e sistema la borsa dietro al sedile del guidatore “sono stato impegnato tutto il giorno”.
“Il tuo amico?” replica il giovane, marcando l’ultima parola con un tono differente.
“No, lui va bene. Mi ha anche rivolto la parola di sua spontanea volontà”
“Cosa ti ha detto?”
“Solo di poter aver del materiale da disegno. Sostiene di avere un quadro da completare” detto questo l’uomo antracite sale in auto e si congeda dal collega “A lunedì” esclama accompagnando il saluto con un cenno del capo.
“A lunedì” risponde il giovane.

fine seconda parte