L’insostenibile leggerezza dell’ebete

“Osservate con quanta insolenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di idiozia”
(Era asmatico a Rotterdam – Elogio dell’idiozia)

L’ebete è ovunque. Ti coglie di sorpresa. Come un tiro all’incrocio dei pali dalla distanza di 30 metri, come una volante con l’autovelox appostata lungo una statale, come le mestruazioni durante l’atto.

La caratteristica fondamentale di un ebete è la superficialità con la quale affronta le cose e anche la tranquillità con la quale commette minchiate. Ciò lo rende un individuo molto pericoloso.

L’ebete è quello che ti si incolla al posteriore della macchina e, pur avendo tu messo la freccia per segnalare l’intenzione di parcheggiare, resta appiccicato al tuo didietro come un cane che annusa un altro cane, impedendoti la manovra.

L’automobile è luogo deputato a ospitare ebeti. L’ebete d’autostrada è quello che ti vede da lontano sulla corsia di sorpasso ma non rallenta, anzi, accelera, segnalando con gli abbaglianti di continuo facendo lo stesso effetto delle luci di una discoteca. Se potesse, azionerebbe un pulsante per farti sparire all’istante. Fa nulla che a destra ci siano altre auto(si chiama corsia di sorpasso, quindi servirà per sorpassare le auto sulla corsia di destra, evidentemente), devi sparire prima che lui ti entri nel già citato culo della macchina.

L’ebete parcheggia in modo da impedire alla tua auto di uscire. E poi sparisce, abbandona il mezzo al suo destino, va in banca, a fare la spesa, al matrimonio di George Clooney, a scattarsi un selfie con un dromedario, il tutto nella più imperturbabile strafottenza. Tanto l’auto lì non darà fastidio a nessuno. Qui subentra la Legge di Muprhy, che vuole che sia proprio la vostra auto quella che verrà bloccata.

Ma l’ebete può anche muoversi su due ruote o essere un pedone. L’ebete a passeggio cammina sulla carreggiata, pur essendoci il marciapiede. Magari con un bambino, ovviamente tenendolo sul lato di passaggio delle auto.

All’ebete non dovrebbero essere affidati cani e bambini. Partendo dal presupposto che non esistono cattivi cani e cattivi bambini ma solo cattivi loro accompagnatori, cani e bambini in mano a un ebete saranno inevitabilmente classificabili nella categoria “scassaminchia”, grazie al degno esempio che hanno davanti.

L’ebete frequenta i vostri stessi luoghi. Lavora, consuma come noi. L’ebete da ufficio è quello che pone domande da ebete, per l’appunto. Esempio:
Tizia A: “Perché quel contratto non è ancora validato?”
Tizio B: “Chiamo il cliente per la telefonata di controllo, suona ma non risponde”
Tizia A: “E perché non risponde?”
No comment.

L’ebete colonizza social network diffondendo spore di idiozia, che possono poi attecchire e germinare in altre teste e formare nuovi ebeti che diffonderanno altre spore e così via. Nel momento in cui clicchi “condividi” sei già stato infettato.

L’ebete è il consumatore ideale. Una qualsiasi minchiata sarà ai suoi occhi così appetibile da farlo bramare il poterla avere al più presto. Il desiderio si spegnerà giusto in tempo per l’arrivo di una nuova minchiata da consumare.

Gatti non foste a viver come bruti

Agosto è per me il mese peggiore che esista. È il mese in cui penso a cento cose da fare da settembre in poi, cose che puntualmente o non farò o se ne farò una sola sarà già tanto. La gente fa buoni propositi a gennaio, per me invece l’anno comincia adesso.

Una delle idee che mi frulla nella mia pelosa testa felina in questo periodo, tra le tante, è quella di cercarmi un altro lavoro a partire dal mese prossimo.

Tanto il 24 dicembre, come regalo di Natale, comunque scado. Ormai mi sono assuefatto a questa immagine, quella di essere uno yogurt ambulante a bassa conservazione. Certo, in azienda potrebbero anche fare il grande sforzo di confermarmi, se mai me lo sarò meritato. Il fatto che in ufficio ci siano molti “vecchi” lascia ben sperare che non ci sia un riciclo continuo di risorse.

La domanda è: voglio continuare a fare ciò che faccio?
La mia risposta è no. Per me questo posto non rappresenta un punto di arrivo. Continuare giorno per giorno facendo le stesse cose sempre uguali come una macchina non riesce a stimolarmi.

Al colloquio a tal proposito mentii.
La prima regola di un colloquio di lavoro è quella di essere sinceri.
La seconda, è quella di saper mentire.

Mi chiesero se per me fosse importante la crescita. Io risposi di sì, allora provarono a mettermi all’angolo chiedendomi:
“E se non ci fossero prospettive di crescita lei non avrebbe stimoli?”
Io allora risposi che, in ogni caso, per me lo stimolo più importante è fare esperienza, imparare e bla bla perché anche quella è crescita, anche se a livello formativo e non gerarchico. Musica per le orecchie di un datore di lavoro, perché la terza regola di un colloquio è quella di non parlare mai di voler guadagnare denaro, poco importa che non è perché vorresti tuffartici dentro come un pesce baleno e scavarci gallerie come una talpa (cit. Paperon de’ Paperoni) ma semplicemente perché vuoi poterti mantenere. I soldi sono una cosa brutta, si lavora per la gloria. L’hanno imparato bene tutti quelli che vorrebbero pagarti in visibilità per scrivere articoli e racconti. Dove si conserva la visibilità? Entra nel portafoglio? Che unità di misura ha? È divisibile? Cioè, a una cassiera al supermercato posso dare 3 scampoli di visibilità e un quarto? A una ragazza posso dire “Vieni a casa mia ad ammirare la mia grande visibilità” senza suonare osceno e/o sfacciato?

“Vieni con me e ti mostrerò come sono visibile”

Comunque, dopo questo discorsetto che feci ai due selezionatori (una dei due era quella che ha youporn nella cronologia del notebook), per mettermi in difficoltà mi dissero:
“Ah, quindi lei una volta fatta esperienza o imparato ciò che c’era da imparare, non sente più obiettivi o stimoli?”

Io, col carisma di un venditore di materassi e il tono suadente di George Clooney che dice “Immagina. Puoi” non mi sono scomposto e ho replicato:
“Per me non c’è stimolo più importante di un lavoro ben fatto. È ciò che mi motiva ogni giorno, sapere che c’è un compito da svolgere e un obiettivo da portare a termine”.

Queste è una delle rare occasioni in cui mi riesce di sfoderare una faccia di bronzo di Riace. Roba che son stato lì lì per ricevere un Oscar ma poi ho detto no perché DiCaprio si sarebbe veramente suicidato alla notizia.

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Fatto sta che invece ho mentito. Per me è importante invece che ci sia sempre qualcosa di nuovo da fare, di dinamico, di stimolante, per l’appunto. La noia è mia nemica, quando mi tedio comincio a dire e fare cose strane. Nel precedente lavoro son diventato famoso come quello che girava con Dostoevskij nella borsa come una bibbia e che ai clienti citava Schopenahauer. In quest’altra esperienza, pur essendomi ripromesso di adottare un basso profilo, già mi son fatto notare per alcune piccole stravaganze.

Certo, coi tempi che corrono un’azienda che decida di tenerti (ammesso e non concesso che lo faccia, sto ragionando sull’ipotetico) sarebbe una benedizione. Ma la mia conclusione è che se mai troverò qualcosa di meglio (pffff! mi vien da ridere mentre lo scrivo) non ci penserò su tanto per andarmene. E, nella peggiore delle ipotesi cioè che a gennaio mi ritroverò a spasso, almeno mi sarò approntato un paracadute d’emergenza. Altrimenti, pazienza, resterò dove sono.

Eppure non vorrei arrendermi a stare in due dimensioni su un foglio di carta, come il quadrato di Flatlandia. Vorrei esplorarne di nuove.
A chi va via o è in procinto di, dico sempre Fuggi! Tu che puoi. Con buona pace per la fuga di cervelli. Eh sì è una bella piaga, ma sono una piaga pure le teste di cazzo che restano qui (citazione liberamente reinventata).

Spero che la mia testa di cazzo non mi porti a schiantarmi contro il Purgatorio, un giorno.

Riassumendo i precetti d’oro per il lavoro:
1) sincerità
2) bugie
3) non parlar di denaro.

Togliete il “non” alla terza regola e funziona anche con le donne (oh ciuelo! Come sono simpatico. Promemoria: diventare più simpatico a settembre).

NESSUN LEONARDO DICAPRIO È STATO MALTRATTATO PER LA STESURA DI QUESTO POST