Non è che cambi allenatore per far pareggiare le gambe a un tavolo

Facendo ordine in casa dei nonni – è strano, ora ci vivo io ma la sento sempre casa dei nonni – si notano tanti particolari che raccontano chi erano delle persone.

Per dire, ogni ripiano di ogni mobile della cucina è foderato di cartone. Proveniente da scatole di pacchi di panettone e spumante. Ho trovato un cartone Motta che sarà storico.

Il rivestimento serviva a non far consumare il mobile. Perché le cose in casa devono durare.

In casa c’è una poltrona, di quelle in stile reggia del ‘700. Da che ho memoria, non l’ho mai vista “nuda”, senza qualcosa che la coprisse.

L’altro imperativo in casa era quello di non gettare mai nulla.

Ho trovato in un cassetto un sacco di cartoncini rettangolari, di varie misure, ritagliati da scatole varie. Mi sono ricordato a cosa servivano: metti c’era da pareggiare una gamba non allineata alle altre.

Barattoli, di qualunque tipo.

Una vecchia confezione della Citrosodina come contenitore per chiodi.

Tappi di sughero. Tanti tappi di sughero.

Un metro estensibile marca Blue Point, azienda statunitense di utensili, risalente almeno agli anni ’70 con ancora la sua custodia originale di pelle.

Spiedini di ferro. Tanti. Sparsi ovunque in diversi cassetti. Il bello è che io non ricordo a casa i nonni cucinassero spiedini di carne.

Rocchetti di spago. Correggo: rocchetti con spaghi diversi, riciclati, arrotolati.

I vassoi di cartone dei pasticcini.

E potrei andare avanti. Se fossimo tutti dei nonni probabilmente avremmo risolto buona parte dei problemi ecologici del pianeta.

Meno male che per qualcuno sono la parte non produttiva del Paese. È vero: siamo noialtri che produciamo tanta monnezza.

Non è che per ristrutturare casa chiami Ivan Zaytsev perché come alza i muri lui nessuno

L’assistente dell’osteopata mi osserva mentre faccio gli esercizi di allungamento.

Per fare conversazione, mi chiede dei miei tatuaggi. Le parlo del Viandante che ho sull’avambraccio sinistro, che non conosce. Poi mi fa: «Ma tu hai fatto architettura, quindi?».

Ora, perché la passione per il quadro di Friedrich debba essere correlata agli studi in architettura, mi sfugge. Capisco che il primo anno in quella facoltà facciano storia dell’arte, ma non è proprio il primo collegamento che mi verrebbe in mente parlando di un quadro.

L’architetto è un soggetto particolare. Secondo me quello bravo unisce il senso pratico dell’ingegnere con la morbosità di un erotomane. Tu vedi una parete, lui la vede nuda e poi vestita in mille modi come piace solo a lui.

Dare carta bianca a un architetto è pericoloso: ci disegnerà sopra qualcosa che lo eccita.

Io starei cercando di modificare un po’ casa. Mi sono trasferito nell’appartamento che era dei nonni, inizialmente pensavo in via transitoria, poi i colori a zona e il lavoro da casa mi fanno pensare di restare qui.

La cosa più complicata è stata prendere le misure delle pareti con un metro pieghevole che ha ormai le giunture di un ottantenne. Infatti mi ritrovo dei centimetri che ballano tra una stanza e l’altra, e ogni centimetro balla poi una melodia diversa.

Stavo impazzendo quando tra cucina e soggiorno mi trovavo che la parete in comune da un lato era più corta di mezzo metro rispetto all’altra.

Poi ho scoperto che, anche se dall’esterno sono perfettamente in linea, all’interno una stanza è più corta dell’altra. L’ho comunque misurata un altro paio di volte in giorni diversi perché cominciavo a temere la casa fosse viva e mi stesse prendendo in giro.


A tal proposito, se volete un libro che vi farà venire l’inquietudine dello stare chiusi in casa, consiglio Casa di foglie, romanzo di Mark Z. Danielewski.


Prima di pensare di sistemare la casa attuale mi stavo un po’ guardando in giro. Ho visionato annunci e contattato agenzie.

Ci sono due tipi di agenzie immobiliari, mi sembra di aver capito:

– Quelle che contatti e sembra che tu stia dando loro fastidio, al che vorresti chiedere «Ma volete darla via questa casa o vi piace tenervela?»

– Quelle che contatti una volta e ti inizieranno a mandare proposte di continuo, molte delle quali fuori budget ma loro ci provano.

Poi ci sono gli annunci, alcuni dei quali sembrano avere senso dell’umorismo:

  • Centralissimo: un concetto molto vago. Da un punto di vista teorico, ogni punto in sé può essere un centro, basta tracciarvi intorno una circonferenza. Fa niente che all’interno di questa circonferenza ci siano solo terra e sterpaglie, un centro geometrico è un centro!

 

  • Solo persone referenziate: di certo prima di affittare una baracca in rovina uno vuole esser certo di darla a una persona affidabile.

 

  • A pochi passi da…: chi scrive così lo capisco, io ad esempio non ho problemi a spostarmi a piedi, ma ci sono persone per le quali fare 500mt a piedi è una cosa scocciante e ti romperanno le scatole dicendoti «Ma quanta strada mi fai fare?»; il concetto di pochi passi ha un valore molto relativo e varia da individuo a individuo. Però direi poniamoci un limite: sopra il chilometro, non sono affatto pochi passi.

 

Chissà che penserebbe il Viandante, se solo avesse studiato architettura!

Non è che ti fai impartire lezioni da una strada maestra

Cercando spunti da notizie d’attualità oltre gli argomenti pandemici, oggi ho deciso di intervistare una maestra d’asilo. Non quella che è stata vittima delle azioni di omuncoli vari e persone da poco, ma un’altra che ha deciso di condividere alcune opinioni col sottoscritto.

Per tutelare l’identità dell’intervistata, le sue dichiarazioni saranno doppiate dalla voce del Pupazzo Uan.


G: Togliamoci subito l’elefante dalla stanza. E non sto facendo allusioni alle proboscidi. Parliamo del sesso. Lei ne è stata esposta?
M: Sì, ammetto che ho fatto del sesso. Più volte. E mi è anche piaciuto.
G: Scusi, mi sta dicendo che lei, donna e maestra d’asilo, prova piacere nel fare certe cose?
M: Sì. Ho anche raggiunto più volte l’orgasmo.
G: Scusi se la blocco, ma qui parole come “orgasmo”, “godere”, “gender” e “fare il bagno dopo mangiato” non si possono utilizzare. Sa, ci leggono delle mamme.
M: Mi dispiace, mi perdoni. Comunque ho dei rapporti, col mio partner.
G: Immagino un partner stabile, col quale questi rapporti sono finalizzati a un concepimento?
M: Veramente ci frequentiamo da una settimana. Prima uscivo con un altro. E comunque usiamo contraccettivi.
G: Scusi, sono stato superficiale io. Neanche “contraccettivi” si può utilizzare in questa sede. Senta, mi sta quindi dicendo che lei cambia partner da una settimana all’altra? È conscia di essere una maestra, ha un ruolo pubblico nella società nel crescere i futuri manager di domani e non è mica una cocotte di Parigi dell’800?
M: Lo so, me ne vergogno assai. È che mi sono fatta influenzare da cattive compagnie e letture devianti. Dicono che le donne facciano sesso come e quando vogliono, che addirittura provino piacere…ho voluto provare anche io. E ora non riesco a smettere.
G: E quando al mattino va al lavoro e mette le mani su quegli innocenti pargoli con quelle stesse dita che hanno volgarmente e lascivamente tastato un corpo svestito, non prova alcuna vergogna?
M: Un po’ sì. Ne parlavo ieri con la commessa del supermercato qui vicino, anche lei ha un po’ di rimorsi.
G: Una cassiera del Despar? Quale? Anche quella fa sesso?
M: Tutte le cassiere del Despar lo fanno.
G: Devo cambiare posto dove faccio la spesa. Non riesco a tollerare che il mio cibo passi davanti a corpi che chissà quali volgarità hanno compiuto. Non oso immaginare quali pensieri osceni si affaccino nelle loro menti quando vedono scorrere sul nastro cetrioli e zucchine. Mi dovrò sfogare parlandone con la mia analista.
M: La dott.ssa XYZ? Ci vado anche io. Parliamo spesso di sesso, mi ha dato dei consigli.
G: Anche la dottoressa fa sesso? E dispensa addirittura consigli per diffondere questo morbo tra le femmine? Ma questa è una epidemia! Altro che Covid19 che guarda caso è una malattia e la malattia chi la curano? I dottori! E pensare che alla dottoressa ho anche parlato delle mie abitudini sessuali. Chissà che pensieri libidinosi avrà fatto mentre mi ascoltava…
M: Temo che siamo in tante, purtroppo, a essere cadute in questa storia del sesso. Ma lei, scusi, quindi sesso ne fa? Non le crea problemi?
G: Che c’entra, io sono maschio. Mica debbo dare spiegazioni di quel che faccio, le pare?
M: Ha ragione, che stupida!

Non è che ti serva il galateo per scegliere un vino perché devi badare all’etichetta

C’è una coppia clandestina che si ferma la sera tra le 19 e le 20 sotto casa mia.

Abito in fondo a una strada chiusa e tranquilla, sempre stata meta di coppiette in cerca di privacy.

I due di adesso son convinto siano amanti clandestini sia per gli orari sia perché arrivano con due auto diverse. Lui con la sua berlina nera, nuova di pacca. Lei con una utilitaria celestina.

La prima sera che li ho visti stavo tornando a casa. Fermo l’auto, sul lato opposto dove si trovavano loro ma di fianco in linea d’aria. Probabilmente devo averli allarmati. Lei è scesa di corsa dall’auto di lui, è salita sulla propria e tutti e due son partiti sgommando.

Poi son ritornati altre sere e ora non fanno più caso a me quando rientro.

Chissà da quanto tempo va avanti la storia. Chissà quanto tempo andrà avanti. Chissà se desiderano fermare il tempo di adesso in un attimo, distillato, di felicità.

C’è una canzone di Jim Croce che si intitola Time in a bottle:

If I could save time in a bottle
The first thing that I’d like to do
Is to save every day till eternity passes away
Just to spend them with you

If I could make days last forever
If words could make wishes come true
I’d save every day like a treasure and then
Again, I would spend them with you

But there never seems to be enough time
To do the things you want to do, once you find them
I’ve looked around enough to know
That you’re the one I want to go through time with

If I had a box just for wishes
And dreams that had never come true
The box would be empty, except for the memory of how
They were answered by you

But there never seems to be enough time
To do the things you want to do, once you find them
I’ve looked around enough to know
That you’re the one I want to go through time with

Ma anche le bottiglie prima o poi finiscono, quindi cosa fai? Le tieni in cantina, in esposizione, per guardarle ogni tanto e darti delle arie con gli ospiti a casa? «Guardate, questo è un Vadàviaelcù del ’78, ottima annata». Tanto oggi ospiti non puoi averne più e per chissà per quant’altro ancora sarà vietato o da evitare. Resti solo tu e la tua etichetta sbiadita e impolverata a ricordarti qualcosa che sarà pure inacidito.

Oppure le svuoti tutte, precipiti in una sbronza di pensieri col rischio di rimanerci sotto?

Uno dei fenomeni più interessanti è l’ubriacatura di momenti mai vissuti. Un fenomeno che si verifica soprattutto, per non dire esclusivamente, con il nostalgismo politico.

Un amico una volta disse: «Il mio partito non esiste più». Quando il “suo” partito si è dissolto lui portava il ciucciotto.

Per non parlare di quelli che vanno ancor più indietro nel tempo. Capisco in vendita esista il vino del camerata, ma credo che la sbornia abbia fatto loro proprio male.

Amenità a parte, alla fine dei conti forse il tempo sta bene come e dove sta. Imbottigliarlo, renderlo prigioniero a nostro uso e consumo toglierebbe un po’ di fascino alle cose. La bellezza di un attimo sta proprio nella sua unicità.

E qualsiasi bottiglia, pur se esclusivissima e a edizione limitata, non potrà mai essere unica.

Chissà se sono astemi o bevitori i due amanti clandestini.

 

Non è che se chiedi chiarimenti a un inglese lui ti risponde “FAQ you”

Ci risiamo. Sono rispuntate le zone rosse. Si sono estese, hanno ripreso il controllo dei nostri territori.

E, ancora, una volta, c’è grande confusione – e c’è grossa crisi – su modi, tempi e regole delle prescrizioni dei decreti.

Ma io sono qui per sgombrare il campo da dubbi. O crearne di altri. Ecco quindi delle pratiche FAQ su cosa si può o non si può fare in zona rossa.

Le scuole sono aperte?
Solo fino alle prima media. Al compimento dei 12 anni si va a lavorare, ché già ci sono in giro troppe braccia rubate all’agricoltura.

Ci si può spostare per andare in chiesa/luogo di culto?
Certo, ma sull’autocertificazione vanno indicati un recapito e un contatto della propria divinità per le adeguate verifiche della veridicità della propria fede.

Posso usare l’automobile con un’altra persona?
Sì ma portatevi dei giornali per tappezzare i vetri.

Posso usare la bicicletta?
Sì, per andare al lavoro. Per fare attività fisica, invece, solo nei pressi dell’abitazione. Quindi se vai al lavoro in bici ricorda di non far assolutamente vedere che stai facendo attività fisica e/o sudando. Magari spostati solo in discesa.

Posso uscire a comprare solo alimenti o anche beni diversi?
Puoi comprare altre cose ma poi dovrai comunque mangiarle.

Posso uscire col mio animale da compagnia?
Non lo so, prova a chiederlo a lui se gli va di uscire con te.

Sono consentite le assemblee di condominio?
Sì ma bisogna picchiarsi mantenendo il metro di distanza.

Posso incontrare persone a casa mia?
Se vivete almeno in due avrete modo di incontrarvi più volte e in diversi punti della casa.

Le fiere sono vietate?
Esatto. Se siete nel mezzo del cammin di nostra vita ne potete però incontrare tre.

Non è che serva essere allenati per fare sforzi di immaginazione

Sono stato un bambino dotato di molta fantasia.

Diciamo anche che non avendo fratelli e sorelle, abitando in una strada dove non c’erano famiglie con altri bambini della mia età, passavo molto tempo da solo. Giocavo sì con amici e compagni di scuola, ma non tutti i giorni. Per forza di cosa nei miei giochi lavoravo molto di immaginazione.

Col passaggio all’adolescenza e alla scoperta di ansie e seghe mentali la fantasia ha iniziato a esplorare le immense potenzialità del mandarsi in paranoia da solo col potere dell’immaginazione.

Ancora oggi, di fronte a una situazione nuova e/o una sfida (o sfiga) da affrontare, tendo a figurarmi gli eventi in una scala che va da figuraccia da imbarazzo totale – tipo uscire di casa senza pantaloni – a olocausto nucleare.

La chiamo la scala Merdalli. Fornisce la misura di quanto possa andare in merda una situazione.

Le mie fantasie non sono tutte negative o ansiogene, beninteso. Ne ho molte di positive. Troppe, forse. Tendo però a evitare di considerarle un rifugio onirico, una bella realtà alternativa in cui tuffarmi per ricavarne qualche dose di serotonina.

Sono uscito da una relazione in cui immaginare il futuro mi sembrava diventato un esercizio fine a sé stesso. Una via di fuga dal reale per confortarsi che, un giorno, “sarà diverso”.

Non ho mai cercato l’immaginazione a tutti i costi: per me si può anche vivere il qui e ora, ma, nel momento in cui si immagina, devo capire dove si sta andando. Se si sta andando.


Qua non sappiamo più quando stiamo andanto su questa Terra, qua non sappiamo più quando stiamo facento su questa Terra. (cit)


A un certo punto mi era sembrato di trovarmi in una situazione in cui era richiesto uno sforzo fideistico. Un po’ come credere al Paradiso: stai tranquillo, un giorno ci sarà. Purtroppo, da questo punto di vista mi sento molto un uomo di scienza – talvolta pure di coscienza talvolta di incoscienza – e non riesco a credere senza un qualcosa di visibile e concreto tra le mani.

Ma questo post, poi, l’avrò scritto realmente o soltanto immaginato?

Non è che serva essere musicisti per una nota di colore

Mi sono reso conto solo oggi che è parecchio che non salgo su un mezzo pubblico. Uno dei miei sport preferiti era osservare le persone. Chiedermi chi fossero e cosa facessero sulla base di qualche particolare.

A volte mi ispiravano un colore. Vedevo persone ‘nere’ o ‘blu’ o ‘rosa’ eccetera. In genere l’attribuzione del colore era sulla base dell’umore o del modo di porsi se chiacchieravano con qualcuno.

Le persone rosa, ad esempio, mi sembravano troppo svenevoli e stucchevoli nel loro parlare.

Le persone verdi non lo erano di rabbia, ma semplicemente neutre rispetto al mondo intorno. Quelle gialle caldo, paciose e rassicuranti.

Il viaggio su un mezzo, quando non avevo un libro con me, era accompagnato da tutta una fase di soliloqui interiori. Anche i miei monologhi mentali avevano un colore. In genere era legato al clima esterno, ma non sempre. Potevo avere pensieri positivi giallo-arancio anche con un temporale in corso, talvolta.

Il resto dipendeva anche dal contesto. A prescindere dal pensiero che avevo in quel momento, quello che mi spingeva mentre salivo o scendevo mi faceva vedere rosso. Che era il sangue che desideravo fargli scorrere dal naso.

Abbinare i colori alle persone mi fa venire in mente una filastrocca di Gianni Rodari che ci insegnò la maestra di italiano alle scuole elementari.

Io so i colori dei mestieri:
sono bianchi i panettieri,
s’alzano prima degli uccelli
e han farina nei capelli;
sono neri gli spazzacamini,
di sette colori son gli imbianchini;
gli operai dell’officina
hanno una bella tuta azzurrina,
hanno le mani sporche di grasso:
i fannulloni vanno a spasso,
non si sporcano un dito
ma il loro mestiere non è pulito.

Ho sempre trovato i colori un dato oggettivo, purché non si insistesse troppo sulle sfumature. Intendiamoci, in certi casi è utile essere precisi, mentre in altri distinguere un rosso carminio da un rosso cremisi o un blu petrolio da un blu anatra (ma poi le anatre non hanno la testa verde?) è una cosa di cui non me ne cale né tanto né poco.

Però a volte anche senza andare nel dettaglio dei pantoni non ci si trova d’accordo. Per me è rosso, per te è mattone. E va bene così, perché, parafrasando il bambino di Matrix che sosteneva di dover giungere alla verità, cioè che il cucchiaio non esiste, la realtà è che i colori non esistono.

Quindi, non esiste giallo, arancio o rosso.

Però secondo me il marrone sì.

Non è che in palestra ti serva un professore di geometria per allenare il trapezio

Durante il primo periodo di lockdown – ormai mi sembra chiaro si possa parlare di primo lockdown alludendo alla presenza di un secondo – facevo molto esercizio fisico a casa. Durante un allenamento con gli obliqui mi sono beccato – forse muovendomi in fretta o a freddo – una contrattura al trapezio molto dolorosa.

Da allora ho iniziato ad avere dolori alla base del collo, che comparivano sporadicamente e se ne andavano dopo qualche giorno.

L’altro giorno sono deciso ad andare da un osteopata, dopo mesi.

È stato come quando chiami un tecnico per un problema in casa o quando porti l’auto dal meccanico e quello comincia ad alzare sempre più la posta: «No ma questo è un danno almeno di 200, 300, 400 euro, se non 5-600».

Mi ha trovato un difetto di qua, uno di là, poi un quadricipite ha un diametro inferiore all’altro, poi l’appoggio dell’alluce ha questo, d’altronde la posizione della lingua dall’altro lato, ecc.

Gli ho detto «Ok, sono da buttare, quindi?».


Se uno ti fa un quadro della situazione in cui ogni parte di te o è storta o fuoriposto o ipotonica qualche dubbio ti viene. Io poi soffro della cosiddetta sindrome dell’impostore, che si declina anche per quel che riguarda il mio corpo: praticamente sto in piedi solo perché la natura non si è accorta che sono darwinisticamente sacrificabile.


«No no, il 95% delle persone che ho visto nella mia carriera hanno problemi posturali».

E io più che pensare al fatto di rientrare in una maggioranza bulgara e sentirmi un caso molto comune, mi sono chiesto quel 5% che non ha problemi perché mai è andato da un osteopata? Non ha altro da fare?

Non è che sei un estorsore se al negozio di intimo chiedi il pizzo

Oggi stavo facendo una riflessione su quanto a volte impegno, sforzi e costi non ricevano una proporzionale attenzione o il giusto riconoscimento.

La constatazione mi è venuta pensando a un capo voluttuoso e provocante come la lingerie, che noi gentiluomini non esterofili definiamo lingerina.

Nell’intimità di un’alcòva, la lingerina è suadente preambolo dell’amplesso amoroso. Ma, essendo l’incontro appunto votato al coito, la lingerina, indossata a volte con sfoggio di abilità contorsionistiche per infilare, far combaciare, legare, e pizzi e nastri e lacci e reti, dopo la sua apparizione finisce in presto in secondo piano. A volte anche al secondo piano, se la si lancia con troppa foga verso la finestra aperta.

Con un amico ricordo una conversazione sul cinema d’autore; il film ricercato, in quanto fotografia in movimento, quindi arte, non può essere relegato a una visione fugace e distratta che alla fine ti fa esclamare Bello! Divertente!. Il cinema d’autore è una cosa che concentra la tua attenzione, ti resta dentro, come quando davanti a un quadro opera d’arte non ci si limita a passargli davanti esclamando Bella pittura! ma ci si sofferma, si analizza, si scruta per carpirne i segreti.

Anche la lingerina meriterebbe un’attenzione artistica, seppur mi rendo conto che quando ce la si ritrova di fonte non è che si può star lì come se si stesse ammirando un film di Tarkovskij o un quadro di Pollock; me lo immagino un gaudente amante che invece di passare a fare altro resta concentrato a cercar di cogliere la profondità del tulle o il gioco di luci delle trasparenze.

Il destino della lingerina è dunque quello di ricever un riconoscimento limitato, per poi farsi da parte e svelar altro di bello su cui non mi soffermo perché si è capito cos’è. D’altronde, in questo effimero ci rivedo l’opera di impacchettamento di Christo, capace di donare un nuovo valore estetico alle cose che avvolge, trasformandole però per un tempo limitato.

Alla lingerina artistica!