Non è che sei un estorsore se al negozio di intimo chiedi il pizzo

Oggi stavo facendo una riflessione su quanto a volte impegno, sforzi e costi non ricevano una proporzionale attenzione o il giusto riconoscimento.

La constatazione mi è venuta pensando a un capo voluttuoso e provocante come la lingerie, che noi gentiluomini non esterofili definiamo lingerina.

Nell’intimità di un’alcòva, la lingerina è suadente preambolo dell’amplesso amoroso. Ma, essendo l’incontro appunto votato al coito, la lingerina, indossata a volte con sfoggio di abilità contorsionistiche per infilare, far combaciare, legare, e pizzi e nastri e lacci e reti, dopo la sua apparizione finisce in presto in secondo piano. A volte anche al secondo piano, se la si lancia con troppa foga verso la finestra aperta.

Con un amico ricordo una conversazione sul cinema d’autore; il film ricercato, in quanto fotografia in movimento, quindi arte, non può essere relegato a una visione fugace e distratta che alla fine ti fa esclamare Bello! Divertente!. Il cinema d’autore è una cosa che concentra la tua attenzione, ti resta dentro, come quando davanti a un quadro opera d’arte non ci si limita a passargli davanti esclamando Bella pittura! ma ci si sofferma, si analizza, si scruta per carpirne i segreti.

Anche la lingerina meriterebbe un’attenzione artistica, seppur mi rendo conto che quando ce la si ritrova di fonte non è che si può star lì come se si stesse ammirando un film di Tarkovskij o un quadro di Pollock; me lo immagino un gaudente amante che invece di passare a fare altro resta concentrato a cercar di cogliere la profondità del tulle o il gioco di luci delle trasparenze.

Il destino della lingerina è dunque quello di ricever un riconoscimento limitato, per poi farsi da parte e svelar altro di bello su cui non mi soffermo perché si è capito cos’è. D’altronde, in questo effimero ci rivedo l’opera di impacchettamento di Christo, capace di donare un nuovo valore estetico alle cose che avvolge, trasformandole però per un tempo limitato.

Alla lingerina artistica!

Non è che l’imbianchino abbia la sindrome del color irritabile

Mi sono ricominciati gli spasmi allo stomaco. È da una settimana che vanno avanti.

Cause: Poco sonno. Fumo. Preparare un test e un discorso in inglese. Ansia. Quella per il colloquio inoltre era una premura inutile, perché, come ho raccontato, ha parlato per tutto il tempo la Dott.ssa Comesfromthesea. Ora l’attesa di un responso per ciò che concerne l’esito non mi aiuta a rilassarmi.

Non saprei che direzione prendere se fosse andato male. Le alternative che ho non sono a una portata logistica accettabile. Ho il terrore di aver imboccato un percorso di vita non percorribile. Ora non potrei permettermi di andare 6 mesi in Perù per un progetto sulla foresta amazzonica e abbandonare qui la famiglia.

Ogni volta che, mentre sono a Roma, sento Madre al telefono, sembra che a casa stia andando tutto a rotoli. Poi torno giù e sembra tutto a posto. Stanno tutti meglio di me che invece ho perso altri due kg e ora ballo sui 70.


Forse sto facendo una dieta troppo povera. Pezzente, direi.


In verità non va proprio tutto bene: Padre è un mese che ha dei problemi articolari seri, ci sono giorni che si sveglia – ammesso che il dolore lo faccia dormire – e non può alzarsi dal letto perché non riesce. Un infortunio calcistico di trent’anni fa non curato come si deve oggi lo ha praticamente portato ad avere le cartilagini di ginocchio e bacino distrutte. Si riempie di antidolorifici come Dr. House. Padre ha sempre un rapporto un po’ insano coi medicinali: li assume come caramelle. Se l’eroina fosse legale penso utilizzerebbe anche quella.

In virtù di ciò Madre si alza alle 6 di mattina, prepara il pranzo, deve badare ai gatti, va al lavoro, torna e deve badare a gatti, genitori anziani, Padre e a volte pure una zia cui ogni tanto viene la sindrome dell’abbandono – abita a 10 metri da casa – e quindi rompe. A ciò aggiungiamo che lei ha dolori cronici alla schiena.

Come si fa a pensare in queste condizioni di abbandonare tutto sulle spalle degli altri?

Poi succede che torno a casa, devo aiutarli a fare la spesa e Padre arzillo e scattante viene con me, si mette anche alla guida e nel supermercato debbo essere più lesto di lui a sottrargli le casse dell’acqua prima che le raccolga.


Salvo poi la sera stessa lamentarsi perché dolorante.


Secondo Tutor non dovrei farmi tutti questi problemi: devo vivere la mia vita, gli altri hanno la loro. Forse ha ragione. O forse no.

Vorrei discuterne meglio con lei, avendo i miei stessi problemi, e non farlo solo in quelle brevi pause che mi prendo per nascondermi nel suo ufficio. Penso alla fine di essermi convinto a chiederle di uscire. O almeno credo. Non ho ancora capito se in questo periodo ho voglia realmente di uscire con qualcuna oppure ho voglia di starmene completamente da solo a macerare immerso nei miei pensieri. Oppure a Macerata immerso nei miei pensieri.

L’altro ieri, in una sera di sconforto e stordimento psicotropo, ho cercato su Google il nickname che la mia ex ex (ex al quadrato) utilizzava anni fa su un forum. Ho scoperto che lo utilizza ancora o almeno lo ha utilizzato di recente e che è sparsa in vari posti: ha un blog fotografico su tublrm, tumlrb, trublm, brumtl, insomma quella cosa hipster; poi recensisce trucchi, pubblica ricette. Mi sembra così diversa. In realtà è sempre la stessa con più o meno gli stessi interessi, ma mi sembra di non conoscerla più. In effetti, tre anni sono tanti. Si può cambiare.

Anche io, del resto, sono cambiato.

Sono diventato completamente intollerante al latte, ad esempio. Anche quello ad alta digeribilità ora mi dà fastidio. Sono passato a quelli vegetali, ma non ne sono molto soddisfatto. Quelli di riso e avena li trovo stucchevoli, mentre quello di soia, dopo alcuni mesi di tolleranza, oggi lo trovo nauseante. Sa di fagiolino (che scoperta: la soia è un legume) e puzza. Anche il frigorifero puzza di fagiolino una volta aperta la confezione, pure i rigurgiti esofagei sanno di fagiolino e io non ce la faccio più: mortacci soia e dei fagiolini.

Non digerisco più, inoltre, la gente che parla di politica con quell’irritante qualunquismo traboccante della saccenza di chi ha una cultura fatta di Wikipedia e Le Iene e che non vede l’ora di lamentarsi con te, come se un essere umano non avesse altro da fare che stare lì ad ascoltare i loro comizi. Pur potendo anche concordare con alcune considerazioni, ciò che fatico ad accettare è il sentir parlare dei politici come se fossero un popolo di alieni che un giorno all’improvviso è apparso e ci ha invaso, rovinando un Paese onesto, lavoratore e incorruttibile (!).


Immagino il film: Election Day, con il Will Smith italiano, Carlo Conti, che dopo il televoto del pubblico a casa verrà inviato in missione sull’astronave-madre dei Politici.


Anche se osservando alcuni esemplari Buonanno fatico a credere facciano parte della specie umana.


Ci riflettevo giusto l’altro giorno in treno, quando accanto a me un giuovine dall’aria Ibiza-sole-figa e sei in pole position!* raccontava a un suo anziano collega come aveva fregato dei perfidi inglesi. Diceva che, mentre era in vacanza a Londra, una sera in un locale un cameriere distratto gli aveva versato addosso un cocktail rovinandogli una camicia. Lui prontamente aveva scattato una foto a testimonianza del fattaccio, e, il giorno dopo, aveva scritto una mail ai gestori del locale. Nel testo diceva che era un loro affezionatissimo cliente (falso) e che la goffaggine di un loro cameriere gli aveva rovinato un capo di alta sartoria italiana (una camicia OVS…), del valore di 400 euro (90), cui era anche legato affettivamente (falso anche questo, come si vantava di precisare al collega).

I proprietari gli avevano immediatamente risposto, scusandosi e chiedendogli gli estremi per fargli avere un rimborso. Dopo tre giorni sul conto lui si era trovato 200 sterline.

Ecco, costui riflette bene la mentalità arraffona, volgarotta, ignorante e imbrogliona dell’italiano da dito medio. Ma forse sono stati i politici venuti dall’iperspazio ad averci dato cattivi esempi.


Perché in questo blog non si guardano solo Tarkovskij o Truffaut: ci sono altri grandi riferimenti cinematografici:


Per concludere il riassunto di questa settimana, vorrei citare infine un episodio accaduto ieri mattina.

Mentre ero a Termini, in attesa che un ritardo partorisse un treno, osservandomi i pollici per capire se la ricrescita della pelle intorno le unghie fosse sufficiente per ricominciare a mangiarla, mi viene incontro un tizio. 60 anni circa, trascinando un carrellino di quelli che le sciure utilizzano per fare la spesa al mercato, con un sorriso inquietante mi si pianta davanti e fa: Permette? Sono un poeta fiorentino!

Io, senza una smorfia che tradisse la menzogna, rispondo: I’m sorry, I don’t speak italian. E lui si scusa e se ne va.

Dopo mi è dispiaciuto, perché chissà cosa avrebbe potuto raccontarmi un poeta fiorentino e chissà cosa mi sono perso. Ma ho deciso che di fare conversazione con persone strane mi sento un po’ saturo.

Già debbo guardare me stesso ogni giorno allo specchio, al mattino.

La Trenta dei Guerr’anni

Per questo post dovrei aspettare qualche mese, ma mi è venuto in mente ora e quindi nasce prematuro (ma sano e in forma).

Hai 30anni ma a calcetto riesci a reggere lo scatto di un 18enne e stargli dietro.

Hai 30anni e indossi magliette che avresti voluto a 15anni ma non avevi. Grazie internet.
Per la curiosità: la marca è Akumu Ink, non si riesce a leggere la targhetta (dlin dlon: sponsor time).
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Hai trent’anni e, ok, ammettiamolo che ora preferisci i concerti dove ci si può sedere. Però pogare non ti ha ancora stancato.

Hai 30anni e reggi l’alcool ancora bene, anzi molto meglio.
Forse non è una cosa positiva.

Hai 30anni e una barba vera e non peli sparsi arruffati.
Peccato solo sulle guance siano ancora come le zolle di un campo da calcio di periferia

Hai 30anni e ti senti più attraente di quando eri adolescente. Non era difficile, bastava togliere gli occhiali e usare meglio il sapone.
Scherzo.
Stai bene pure con gli occhiali.

Hai 30anni e letto molti più libri.

Hai 30anni e visto posti che non avevi visto e non pensavi l’avresti fatto.

Hai 30anni e continui a essere ansioso, ma ora lo gestisci meglio.

Hai 30anni e assaggiato un sacco di cucine (e anche qualche lavatrice e dei complementi d’arredo, ah ah…ah. Ok) e mangiato cibi che da adolescente non ti piacevano.

Hai 30anni ma te ne danno qualcuno di meno, mentre a 17 invece te ne davano di più.

Hai 30anni e sei fuori dal tunnel del divertimento: non ti devi giustificare se ti senti stanco o se non ti va di fare qualcosa, puoi sempre dire che hai bisogno di meditare e di riflettere, magari restando a casa con un tè e un film di Tarkovskij (fa’ niente che poi sia Playstation e Dragon Ball, è il principio!).

Hai 30anni e una minore esigenza di dormire più ore di seguito. In compenso di giorno ti addormenti in treno, sulla metro, in aereo, in auto (quando guidano gli altri). Questa si chiama ottimizzazione del sonno, è una scienza (ecco, penzate, la scienza…).

Hai 30anni e tutti dicevano che il tuo metabolismo sarebbe rallentato e avresti cominciato a ingrassare. Invece sei ancora magro come a 18.

Hai 30anni e, tutto sommato, lavori o hai lavorato. Meglio rispetto ai tempi in cui, come un piccolo scrivano fiorentino, su una piccola scrivania illuminata dalla fioca luce di una lampada a risparmio energetico comprata al Bricocenter (dlin dlon: sponsor time) rimanevi chinato fino alle 2:00 sulle 1050 pagine del libro per l’esame di Storia della blablaologia dall’Età dei Lumi all’era delle luminarie.

Hai 30anni e non ti fai prendere più in giro da una farmacista (si veda post precedente), ma magari esclami “Ehi, che dici, li andiamo a provare insieme (alzando e abbassando le sopracciglia in preda a un tic isterico)?”.
Ah. No. Questa era solo una fantasia erotica.

Oh, tutto sommato non mi sento poi così malaccio. Metterò questo post nei preferiti per rileggerlo nei momenti di sconforto.

Di recente una persona, mentre le parlavo degli esaurimenti nervosi dei miei coetanei, ha detto “No, non voglio arrivare a trent’anni così, io spero si guarisca”.
Io dico arrivaci, invece. Ci si diverte 😀