Non è che nel Medioevo ci si rilassasse con le parole Crociate

Una delle cose che mi spaventa della vita, a parte il provare dolore e le raccomandate dall’Agenzia delle Entrate, è che una relazione si trasformi in una situazione in cui la sessualità è relegata giusto a una timbrata di cartellino per raggiungere il monte ore minuti necessario per portare a casa la mensilità e stare tranquilli.

È una cosa maturata verso l’età adulta. Da adolescente diciamo che non me ne preoccupavo affatto, ma a quell’epoca ero devoto soltanto al Dio Onan quindi diciamo le priorità potevano essere altre, quelle di base. A quel tempo pensavo che la mia vita futura sarebbe stata soltanto una breve divagazione da tale culto.


(Ho sempre avuto un problema nel disegnare per me stesso scenari poco ottimistici, che vanno in una scala da umiliazione e pubblico ludibrio a olocausto nucleare).


Poi diciamo ci si rende conto che Onan è un dio ingannevole: offre sempre e comunque dei momenti di raccoglimento spirituale gradevoli, diciamocelo, ma diciamo anche che la vita è troppo bella e breve per sprecarla nel monoteismo.

Nel momento in cui si scopre e si viene a contatto con un’altra divinità, quella che esiste a livello metafisico (risiede infatti a metà fisico, tra addome e gambe) succedono due cose: la prima è che, come un Cavaliere Crociato, ci si immolerebbe per lei.


E qualcuno infatti ci resta anche: da qui l’espressione di morto di.


La seconda è che ne si è sempre alla ricerca di un segno, una rivelazione da parte sua.

Tutto questo preambolo per dire che io e il mio lavoro nel nostro rapporto pensavo non avessimo più nulla di nuovo da scoprire, per cui entusiasmarci, sorprenderci.

Poi capita che questa settimana io sia stato in malattia. Dando una scorsa alle mail di questi giorni ho visto una serie di “Questo lo lascerei a Gintoki”, “Gintoki ti giro questa la fai lunedì”, eccetera.

Il che in un certo senso è logico, son cose mie quindi è naturale le segua io.
D’altro canto, se mi vengono piazzate scaricate una serie di cose di una settimana tutte insieme, tutte considerate prioritarie, tutte fissate per lo stesso giorno, la sensazione che ne ricavo è un po’ così così.

Diciamo quindi che quando pensavo che in questa relazione nulla più mi avrebbe sorpreso, ecco che mi sento invece come se, per variare, me l’avessero messo nel sedere.

No, devo dire non mi è piaciuto.

Non è che serva essere allenati per fare sforzi di immaginazione

Sono stato un bambino dotato di molta fantasia.

Diciamo anche che non avendo fratelli e sorelle, abitando in una strada dove non c’erano famiglie con altri bambini della mia età, passavo molto tempo da solo. Giocavo sì con amici e compagni di scuola, ma non tutti i giorni. Per forza di cosa nei miei giochi lavoravo molto di immaginazione.

Col passaggio all’adolescenza e alla scoperta di ansie e seghe mentali la fantasia ha iniziato a esplorare le immense potenzialità del mandarsi in paranoia da solo col potere dell’immaginazione.

Ancora oggi, di fronte a una situazione nuova e/o una sfida (o sfiga) da affrontare, tendo a figurarmi gli eventi in una scala che va da figuraccia da imbarazzo totale – tipo uscire di casa senza pantaloni – a olocausto nucleare.

La chiamo la scala Merdalli. Fornisce la misura di quanto possa andare in merda una situazione.

Le mie fantasie non sono tutte negative o ansiogene, beninteso. Ne ho molte di positive. Troppe, forse. Tendo però a evitare di considerarle un rifugio onirico, una bella realtà alternativa in cui tuffarmi per ricavarne qualche dose di serotonina.

Sono uscito da una relazione in cui immaginare il futuro mi sembrava diventato un esercizio fine a sé stesso. Una via di fuga dal reale per confortarsi che, un giorno, “sarà diverso”.

Non ho mai cercato l’immaginazione a tutti i costi: per me si può anche vivere il qui e ora, ma, nel momento in cui si immagina, devo capire dove si sta andando. Se si sta andando.


Qua non sappiamo più quando stiamo andanto su questa Terra, qua non sappiamo più quando stiamo facento su questa Terra. (cit)


A un certo punto mi era sembrato di trovarmi in una situazione in cui era richiesto uno sforzo fideistico. Un po’ come credere al Paradiso: stai tranquillo, un giorno ci sarà. Purtroppo, da questo punto di vista mi sento molto un uomo di scienza – talvolta pure di coscienza talvolta di incoscienza – e non riesco a credere senza un qualcosa di visibile e concreto tra le mani.

Ma questo post, poi, l’avrò scritto realmente o soltanto immaginato?