Ho quasi tre mesi di assenza dal blog da recuperare. Come faccio però a raccontare delle cose in sospeso se, nel frattempo, ce ne sono di nuove?
Ad esempio, questo 2023 è iniziato dando uno sguardo ad appartamenti in vendita. Non che abbiamo impellenza di acquistarne uno, è giusto per farsi un’idea di cosa c’è in giro. Il periodo storico comunque è il peggiore per un mutuo.
Inoltre, ci sono una serie di complessità e insidie di cui tener conto. Ne ho fatto un piccolo elenco spiegando cosa stanno a significare alcune definizioni negli annunci:
In costruzione
I lavori verranno bloccati perché manca qualche permesso o perché la ditta edile è in odore di rapporti poco trasparenti.
Da ristrutturare
Un rudere da abbattere e rifare da zero.
Buono stato
Da abbattere e rifare da zero.
Appena ristrutturato
C’è un soppalco non a norma e quindi nessuna banca concederà un mutuo.
Appena ristrutturato #2
Presenta soluzioni prive di senso tipo la cucina in uno sgabuzzino per ricavare spazio a una stanza in più, la quale suddetta stanza ha delle pareti che formano una zeta per riuscire a prendersi una finestra e non essere cieca.
Palazzo storico
Edificio che cade a pezzi e quindi dovrai sobbarcarti i costi quando decideranno di ristrutturarlo (cosa che avverrà non appena avrai acquistato un appartamento lì dentro).
Contesto signorile
Ci vivono anziani che odiano gli animali, i bambini, le piante e anche te.
Contesto silenzioso
Un quartiere-dormitorio dove alle cinque del pomeriggio non c’è più nessuno in strada.
Centralissimo
È in periferia.
Buona posizione
Estrema periferia.
Ben servito dai mezzi
Niente posto auto.
Trattativa riservata.
Costa un milione d’euro.
Grazioso
È grande quanto un trasportino per gatti.
Elegante e rifinito
C’hanno posato un parquet (che sia di qualità o meno poco importa, l’importante è mettercelo).
Sontuoso
Pacchiano come un vestito di Malgioglio.
Ottima esposizione
Caldo d’estate e freddo d’inverno.
Occasione
Cerchiamo il pollo giusto a cui rifilarlo.
Venerdì ho sostenuto una prova intercorso per un esame. La didattica a distanza mi permette di poter gestire l’impegno universitario senza muovermi da casa, nelle pause lavorative.
Da questo punto di vista, le restrizioni vantaggi indubbi ne offrono.
Gli svantaggi non sto qui a descriverli, ne siamo consci tutti. Tra i disagi che più avverto, a livello epidermico – ne ho già parlato qui, so di ripetermi – c’è una maggiore insofferenza verso il prossimo e una disabitudine alla presenza umana.
Non è la paranoia degli assembramenti o dei contagi. È proprio che le persone mi provocano più fastidio del solito. So di avere la puzza sotto il naso, come se ci fosse un cassonetto dell’organico di una pescheria a fine giornata piazzato sotto le mie narici.
D’altro canto, l’asticella di ciò che è scostumato è diventata molto facilmente scavalcabile, da parte di alcuni.
Venerdì ho pensato di andar via per un weekend con M., contro il logorio della vita moderna. Isolati, tranquilli.
Quella sera tutto nella norma. Nell’intero stabile eravamo da soli, eccezion fatta al piano di sotto per la governante dei proprietari, una sbrigativa, ermetica, asciutta e segaligna signora come solo la gente di borgo in altura può essere sbrigativa, ermetica, asciutta e segaligna. Ho apprezzato molto tali caratteristiche.
Il pomeriggio dopo nell’appartamento di fianco sono arrivati 4-5 ragazzi. Le pareti sottili che ci dividevano da loro mi hanno permesso di disprezzare a pieni timpani la musica che ascoltavano a volume alto.
Credo poi avessero dei problemi nell’utilizzo dello sciacquone: non tirandolo correttamente, l’hanno lasciato inserito a caricare e scorrere per 2-3 ore. Il tubo passava proprio nel muro confinante la nostra camera da letto. Ho disprezzato fin circa mezzanotte-l’una il rumoroso scorrere incessante. Pazienza.
Domenica eravamo a pranzo fuori. Le norme sul distanziamento dei tavoli mettono forse al riparo il naso dalle goccioline di saliva altrui ma non le orecchie dai suoni molesti.
Un tale, in particolare, alla mia destra, rappresentava un classico esempio di gentiluomo mancato. Mancato da diversi colpi educativi con un nodoso randello.
Verbalmente rumoroso e sguaiato come un ippopotamo flatulente (di cui riportiamo una testimonianza), come se non ci fossero altre persone intorno, faceva del rispetto del prossimo il proprio pezzo forte. Ha richiamato l’attenzione della cameriera al grido (ed era proprio un grido, infatti) di BELLLAAA. Al cameriere che gli ha chiesto come fosse il piatto – che aveva spazzolato a dovere -, per risultar simpatico ha risposto Poteva essere meglio. Ahr Ahr Ahr!. Non essendo le posate parte della propria religione, né il chiedere di avere il piatto, si alzava dal tavolo per andare a prendere con le mani ciò che gli serviva.
Sono perplesso.
Ho chiaramente bisogno di aiuto. Sto diventando insofferente e giudicante come un bisbetico pensionato. E il colmo è che manco la vedrò mai la pensione, probabilmente!
Neanche il tempo per me e M. di trasferirci che io ho già avuto un incontro con la Signora Non Disturbo, ovvero l’indiscreta del condominio.
Settimana scorsa vengono gli addetti di un negozio a consegnare l’asciugatrice, scendo giù e trovo la SND che sta – gentilmente, invero – tenendo la porta aperta per permettere il passaggio. La ringrazio e mi fa
– Ah voi siete il nuovo giovinotto, l’avevo pensato, loro non trovavano il nome sul citofono io ho detto che dovevate essere voi
Già era inquietante il fatto che ancora non avevamo messo piede in casa e lei sapesse che ci fosse qualcuno nuovo.
– Eh non abbiamo fatto in tempo a mettere l’etichet…
– Avete fatto bene a non mettere il nome sul citofono, manco io ce l’ho
Non bada per niente a ciò che stavo rispondendo e mi dice ciò con tono vagamente cospiratorio.
Poi ci ha tenuto a informarmi che vive al primo piano, dove ci sono anche due appartamenti occupati da due Carabinieri. Omaggi a loro, non so cosa dovrei farci dell’informazione.
La rincontriamo per le scale il giorno dopo e voleva sapere chi stesse spostando mobili alle 3 di notte proprio sopra di lei. Di certo non noi, ché ancora non avevamo dormito a casa nuova, non abbiamo l’abitudine di spostare mobili alle 3 (e neanche alle 2 o all’una) e il nostro appartamento comunque non è sopra il suo.
Non so quanto abbia badato a queste informazioni.
Caro Diario,
nel condominio c’è anche la Signora Non Disturbo 2.
Me la sono trovata davanti ieri mentre scaricavo gli ultimi scatoloni dall’auto. Dato che i guai non vengono mai da soli, davanti il portone mentre mi dirigevo verso il cancelletto ho fatto un volo sulle piastrelle rese scivolose dalla pioggia. Per la teatralità del gesto mi avrebbero dato un cartellino giallo per simulazione. Era stata troppo palese e scenografica per sembrare una caduta vera.
Invece sono veramente caduto e atterrato dritto di osso sacro e anche profano viste le bestemmie. Per il dolore sono rimasto a contorcermi a terra e la SND2 – anche lei, onesto, gentilissima – è corsa verso di me. Solo che, nell’impeto, voleva tirarmi su per il braccio per rialzarmi e io le ho intimato NON MI TOCCATE perché temevo di essermi rotto qualcosa. Anche M. le ha detto di lasciarmi stare.
Poi mi sono rialzato e quando M. si è allontanata SND2 ha tenuto a precisare che non è che mi voleva toccare per un qualche motivo, era solo per aiutare. Lei ha 50 anni, non si azzarderebbe mai a fare certe cose, con uno più giovane poi. Ha detto anche che M. dovrebbe stare più tranquilla che non è che le signore perbene che vogliono aiutare si mettono a toccare gli uomini altrui perché hanno strani pensieri.
Ho cercato inutilmente di spiegarle che se uno ha avuto un incidente non bisogna muoverlo subito, ma non mi ha dato retta di striscio neanche lei e mi ha chiesto, piuttosto, cosa io facessi nella vita. Gliel’ho detto e lei si è allarmata
– Oh…In che senso??
Mi ha detto con un’espressione tra il preoccupato e lo sconcertato.
Giuro che di mestiere non faccio nulla di strano, non sono né un collaudatore di bombe a mano né un proctologo di cormorani né ancora un donatore di smegma o qualsiasi altra cosa che possa scandalizzare la gente.
Ho provato a spiegarle di cosa mi occupo ma lei, per niente interessata, ha preso a raccontarmi del nipote che fa la guardia carceraria.
E poi anche lei mi ha detto che ci sono dei Carabinieri al primo piano.
Questi avvertimenti sulla loro presenza cominciano a essere fastidiosi. La prossima volta risponderò «Ah buono a sapersi, allora prima di spacciare sotto casa aspetterò che siano usciti».
Poi mi ha chiesto che appartamento avessimo preso e mi ha fatto
– Eh però costa, eh?
E io stavo per rispondere «Sì è vero, però la bamba rende molto bene».
Aggiornamenti: stamattina SND2 ci ha tenuti a informare che “c’è una zoccola nel condominio, state attenti a lei” (testuale). Speriamo non sia un Carabiniere!
Organizzarsi per cambiare casa può essere una cosa impegnativa.
Sì, mi trasferisco. A 500 metri in linea d’aria da dove vivo ora, ma comunque mi trasferisco.
Per semplificarsi la vita – e risparmiare un bel po’ di cocuzze – uno prende un appartamento già arredato.
Semplificare. Illuso! Anche se già arredata ci sono comunque tutta una serie di annessi e connessi da considerare che non avevi considerato!
Va detto che io ho una mentalità, forse tipica di noi del cromosoma XY, un po’ limitata: degli oggetti mi limito a considerarne la funzionalità. Citando il film di Woody Allen, Basta che funzioni. Un tavolo deve fungere da tavolo. Una lampada deve fungere da lampada. Nei negozi di design c’è una mia foto con scritto IO NON POSSO ENTRARE.
Per le donne è diverso: loro hanno una visione a 360° gradi che riesce a cogliere tutti gli aspetti che tu non avevi preso in considerazione e di cui non te ne fregava niente.
Torniamo al trasloco: ad esempio la cucina c’è. Ma le presine? Come puoi vivere senza? Vorrai mica arrangiarti con lo straccio per toccare le pentole calde o tirar fuori la roba dal forno? Sei un cavernicolo, per caso?
Allora si comprano le presine.
Quali? Facile a dirsi.
Vuoi il guanto?
La normale presina quadrata?
La presina quadrata ma dentro la quale ci puoi infilare le dita e farci pure il ventriloquo simulando una bocca?
Di stoffa?
Di gomma?
Una simile valanga di opzioni – da moltiplicare per qualsiasi accessorio che serve in una casa, dal tagliere al portaombrelli – finisce per mandare il cervello del maschio in caricamento perpetuo come un video con la connessione scarsa.
E stiamo solo parlando degli accessori indispensabili, come dicevo.
Perché poi vuoi non prendere un vattelapesca componibile da ripiano che fa un po’ di arredo? È così carino e costa soltanto due spiccioli e 99 centesimi €.
Stranamente, quindi, ti ritrovi un carrello pieno di “accessori indispensabili” per solo diverse centinaia di euro.
E la teglia dal forno continuerai a prenderla con uno straccio. Lo stesso straccio che usi per pulire la bicicletta e per il bidet, magari.
L’assistente dell’osteopata mi osserva mentre faccio gli esercizi di allungamento.
Per fare conversazione, mi chiede dei miei tatuaggi. Le parlo del Viandante che ho sull’avambraccio sinistro, che non conosce. Poi mi fa: «Ma tu hai fatto architettura, quindi?».
Ora, perché la passione per il quadro di Friedrich debba essere correlata agli studi in architettura, mi sfugge. Capisco che il primo anno in quella facoltà facciano storia dell’arte, ma non è proprio il primo collegamento che mi verrebbe in mente parlando di un quadro.
L’architetto è un soggetto particolare. Secondo me quello bravo unisce il senso pratico dell’ingegnere con la morbosità di un erotomane. Tu vedi una parete, lui la vede nuda e poi vestita in mille modi come piace solo a lui.
Dare carta bianca a un architetto è pericoloso: ci disegnerà sopra qualcosa che lo eccita.
Io starei cercando di modificare un po’ casa. Mi sono trasferito nell’appartamento che era dei nonni, inizialmente pensavo in via transitoria, poi i colori a zona e il lavoro da casa mi fanno pensare di restare qui.
La cosa più complicata è stata prendere le misure delle pareti con un metro pieghevole che ha ormai le giunture di un ottantenne. Infatti mi ritrovo dei centimetri che ballano tra una stanza e l’altra, e ogni centimetro balla poi una melodia diversa.
Stavo impazzendo quando tra cucina e soggiorno mi trovavo che la parete in comune da un lato era più corta di mezzo metro rispetto all’altra.
Poi ho scoperto che, anche se dall’esterno sono perfettamente in linea, all’interno una stanza è più corta dell’altra. L’ho comunque misurata un altro paio di volte in giorni diversi perché cominciavo a temere la casa fosse viva e mi stesse prendendo in giro.
A tal proposito, se volete un libro che vi farà venire l’inquietudine dello stare chiusi in casa, consiglio Casa di foglie, romanzo di Mark Z. Danielewski.
Prima di pensare di sistemare la casa attuale mi stavo un po’ guardando in giro. Ho visionato annunci e contattato agenzie.
Ci sono due tipi di agenzie immobiliari, mi sembra di aver capito:
– Quelle che contatti e sembra che tu stia dando loro fastidio, al che vorresti chiedere «Ma volete darla via questa casa o vi piace tenervela?»
– Quelle che contatti una volta e ti inizieranno a mandare proposte di continuo, molte delle quali fuori budget ma loro ci provano.
Poi ci sono gli annunci, alcuni dei quali sembrano avere senso dell’umorismo:
Centralissimo: un concetto molto vago. Da un punto di vista teorico, ogni punto in sé può essere un centro, basta tracciarvi intorno una circonferenza. Fa niente che all’interno di questa circonferenza ci siano solo terra e sterpaglie, un centro geometrico è un centro!
Solo persone referenziate: di certo prima di affittare una baracca in rovina uno vuole esser certo di darla a una persona affidabile.
A pochi passi da…: chi scrive così lo capisco, io ad esempio non ho problemi a spostarmi a piedi, ma ci sono persone per le quali fare 500mt a piedi è una cosa scocciante e ti romperanno le scatole dicendoti «Ma quanta strada mi fai fare?»; il concetto di pochi passi ha un valore molto relativo e varia da individuo a individuo. Però direi poniamoci un limite: sopra il chilometro, non sono affatto pochi passi.
Chissà che penserebbe il Viandante, se solo avesse studiato architettura!
Salve, sono Gintoki. Forse vi ricorderete di me per storie come l’uomo che fissava le zanzare.
Oggi, per la rubrica “Conversazioni interessanti”, ho raccolto un po’ di aneddoti del mio amico libraio riguardo il suo vicinato.
Lui non è un tipo strano o fuori dal mondo. Ma, dove vive, risulta essere lui quello fuori dal mondo perché non si uniforma a pensiero e azioni delle persone in quel contesto. In realtà, agli occhi di un osservatore esterno, sarebbero i suoi vicini quelli strani e al di fuori ecc. Ma, calato nell’interno di quel microcosmo, l’osservatore stranito sarebbe strano! Chiaro, no?
Un po’ di fatti.
Tanto per cominciare, il vicinato pensa di vivere in una sit-com americana, dove le porte non sono chiuse a chiave e la gente entra nelle case altrui senza bussare. L’appartamento del mio amico è piano terra e da un lato affaccia in questa corte condivisa con altre case. A volte capita che i vicini gli aprano la porta di casa e al grido di Buongiorno! si affaccino dentro, salutando con un ampio gesto della mano per poi congedarsi.
Al che ha preso a tenere la porta sempre chiusa a chiave ma è cambiato poco perché tanto provano sempre prima a girare la maniglia e poi bussare.
Poi ci sarebbe da raccontare quello che ha un po’ esagerato con la potatura. Il mio amico aveva piantato un rampicante che era cresciuto lungo un muro diroccato che divideva uno spazio di giardino tra lui e un altro vicino. Il rampicante si era esteso sino ad affacciarsi dall’altro lato del muro. Temendo che, col peso, potesse minacciare la tenuta dei mattoni apicali del muro, il vicino gli ha chiesto il permesso di spuntarlo. Il mio amico ha acconsentito.
Tornato a casa dal lavoro ha trovato il rampicante sradicato del tutto e, come se non bastasse, sfrondati dei rami anche un albero di limone e un’altra pianta (che stavano dal lato suo e non quello del vicino):
– Scusa ma perché hai tolto tutto il rampicante?
– Tu m’hai detto potevo farlo
– Io ti ho detto sì a una spuntata
– Sì, ho spuntato la pianta infatti
(al che si comprese che nella lingua italiana del vicino “spuntare” vuol dire sradicare)
– Sì ma gli altri alberi?
– Ah era per farti un piacere
I rami tagliati e il rampicante poi furono lasciati per terra per giorni. Il mio amico gli chiese conto di ciò:
– Va be’ mo’ li levo io, anche se sarebbero le tue piante…
Gli rispose il tale.
Poi ci sarebbe l’auto lasciata parcheggiata a bloccare la strada a un camionista, che, alle 7:30 del mattino, strombazza per cercare di far accorrere l’automobilista incivile e lasciar strada al camion. Senza successo. Si sveglia in pratica tutta la città, il clacson pluritonale lo sente anche il barista a 400 metri da lì. Arriva la Municipale (alle 8, perché prima non sono di servizio), che più di far una multa dice di non potere.
– E chiamare il carroattrezzi?
fa il mio amico, ingenuamente.
– Lo paga lei? Il Comune non lo paga.
Risponde il vigile.
Se ne deduce che quindi uno potrebbe abbandonare un’auto, un furgone, un camminatore imperiale di Star Wars per strada e la città rimarrebbe bloccata per sempre.
Finché, alle 8:30, scende di casa un vicino e, mezzo assonnato, chiede scusa per il fastidio, sale nell’auto d’ingombro e se ne va.
Ma la storia più bella è legata a quelli che dovevano svuotare dei mobili un appartamento al secondo piano.
Flashforward: un giorno il mio amico torna a casa e trova la finestra della stanza da letto in pezzi, con dei frammenti di legno sparsi ovunque.
Cos’era successo: non volendo fare le scale su e giù con dei mobili che erano peraltro da buttare, i Genialloyd della situazione hanno pensato di adottare una soluzione che avranno visto in qualche cartone animato con Topolino, Pippo e Paperino alle prese con una delle loro attività. Hanno steso un materasso matrimoniale al suolo e hanno cominciato a gettare i mobili dalla finestra, senza guardare giù se non a fine lavoro. Alla fine si sono accorti di aver così sfondato due-tre finestre degli appartamenti piano terra che si affacciavano da quel lato.
Ci sarebbero altre storie surreali, ma me le riservo per un’altra occasione!
Tra le stanze che ho visto durante la mia fase di ricerca (vedasi puntate precedenti della miniserie ‘Un gatto a Milano’) ce ne era una in un appartamento da dividere con altri due ragazzi e una ragazza.
Una cosa che mi aveva colpito in modo negativo era lo stato della cucina: l’inquilino che mi ha mostrato la casa si è giustificato dicendo che ero capitato nel giorno sbagliato: fossi passato il giorno dopo la visita della donna delle pulizie avrei trovato tutto in ordine. In pratica mi stava dicendo che non si prendevano la briga di lavare nemmeno un piatto usato perché tanto poi passava la colf.
C’è un’altra cosa che mi aveva colpito. È stato quando gli ho chiesto se avessero problemi se fosse capitato che il loro futuro inquilino concedesse ospitalità, breve, nella propria stanza, a una ragazza.
Lui mi ha risposto:
– Beh che mi parli di ragazzA già è positivo…perché sai com’è oggigiorno non si capisce più niente…come dire, sembra un fatto di moda…tutti vanno col ragazzO…Va be’, tu non sembri, ma comunque…Non è che siamo omofobi, eh, ma preferiremmo evitare…
Analizziamo un attimo il testo, partendo dalla fine.
Non è che siamo omofobi, eh.
Penso che viviamo in un mondo fantastico. Almeno stando alle continue precisazioni che si sentono: Non sono razzista eh, Non ho nulla contro. Nessuno discrimina gli altri, nessuno ha avversione per nessuno: nel mondo regnano pace&amore. Il dubbio che mi sorge è che se nessuno è razzista, com’è che mi sembra che in giro ci sia del razzismo? Non è che poi alla fine si scopre che il razzista sono io?
Ma andiamo più indietro nell’analisi del testo.
Va be’ tu non sembri.
Mi chiedo come dovrebbe essere uno che invece sembra. Magari parla agitando un po’ la mano e facendo più squillante la voce, dicendo cose tipo: Tezzzzoooro questa casa è un amore!. Non per deludere le convinzioni del mio non-futuro-coinquilino, non è che stiano sempre così le cose. Forse avrei potuto dirglielo e lasciarlo lì a meditare sulla vita di inganni che sinora avrà vissuto.
Ho lasciato per ultimo l’elefante nella stanza, l’argomento più evidente. Anche se di elefanti non ce ne erano, ma il mio non-futuro-coinquilino sembra avesse comunque un problema con le “proboscidi” (NON per omofobia, sia chiaro) nelle stanze.
Mi rendo conto sia una questione delicata, perché quando si tratta di questi argomenti alcuni replicano: uno avrà la libertà di decidere chi vuole o non vuole in casa?
Secondo me dovremmo prima chiarirci sul valore della libertà, che non è proprio da prendere sempre in senso assoluto: la libertà individuale, sacrosanta e sempre da tutelare, non può, a mio avviso, avere un’estensione tale da renderla immune dall’incrociare le libertà altrui e sfuggirne al giudizio, al controllo e, in certi casi, alla stigmatizzazione (ovviamente vale anche il viceversa per le libertà altrui verso le libertà del singolo).
In soldoni: esistono certe libertà che tu ti prendi (come quella di dire non voglio omosessuali in casa) che oltre a essere deprecabili secondo me rendono gli altri liberi di considerarti un coglione.
E non chiamateli coglionofobi: uno avrà pure la libertà di considerare gli altri dei coglioni, no?!
Tra l’altro, mi vien anche da dire che coloro che invocano la Libertà per giustificare il loro discriminare, sono gli stessi che invece con le libertà altrui – parliamo di libertà che non ledono diritti né impongono restrizioni della libertà di terzi, ovviamente – sono invece molto restrittivi, se non addirittura tali da assumere atteggiamenti censori.
Inoltre questi non pulivano la cucina per una settimana perché tanto passava la donna delle pulizie, quindi oltre a essere coglioni sono pure sozzi!
Il precedente appartamento in cui ho vissuto si trovava a Blaha Lujza. Zona centrale e ben servita dal trasporto pubblico, ma un po’ borderline per la gente che vi si aggirava nei dintorni. A cominciare da uno che, tutti i giorni, si piazzava in piazza a suonare la batteria.
D’altronde, cos’altro si può fare in piazza se non piazzarsi? Se si fosse instradato sarebbe andato in strada!
Il ritmo che suonava era sempre lo stesso: tu-tà tutun-tà tattarattattà. Forse era un messaggio in codice per contattare gli alieni.
L’appartamento era spazioso, anche troppo per due persone. La mia stanza era così grande che d’inverno si faceva un po’ freddina.
A parte questo, non ho mai avuto alcun tipo di problema durante i sei mesi che ho vissuto lì.
Adesso vivo da solo in una zona non frequentata da batteristi. L’appartamento è grazioso e accogliente e caldo.
La libreria essendo vuota viene da me utilizzata come deposito di transito dei vestiti. Notare, nello scomparto in alto a destra, come dicevo in un post precedente, i tre libri che mi basteranno sino a Natale, quando li riporterò indietro per sostituirli con altri tre.
Durante il mese e mezzo che sono qui si sono verificati vari inconvenienti.
Tre lampadine fulminatesi.
La guarnizione del tubo della lavatrice che comincia a gocciolare non si comprende da dove.
Un’interruzione della connessione internet che neanche la compagnia telefonica riusciva a capire. Il tecnico è dovuto salir sul tetto a cambiare un pezzo di ferro al termine del cavo.
Qui internet viaggia attraverso il cavo dell’antenna.
E ora di nuovo la guarnizione della lavatrice.
Il padrone di casa è desolato, non era mai successo niente in precedenza.
Io gli credo. Io alla casa secondo me non piaccio. Infatti ha anche preso a picchiarmi.
Ho tre bernoccoli sparsi per la testa, dovuti a incontri ravvicinati col mobiletto della cucina. Senza contare poi una zuccata al soffitto, perché la zona notte, trovandosi su soppalco, non consente di stare in piedi.
E poi c’è stata l’anta della scarpiera che mi si è aperta su un piede.
Quello delle case che picchiano chi le abita è un problema molto diffuso, ma non se ne sente mai parlare. C’è una cappa di oblìo su questo argomento: i poteri forti del nuovo ordine mondiale dei salvalavita Beghelli e del Lasonil stanno sostituendo ovunque le case normali con case che picchiano le persone.
Condividi se hai un bernoccolo, prima che lo sgonfino.
Questo titolo di sicuro da CC non verrebbe compreso, viste le sue lacune in materia di Seconda Guerra Mondiale
Speravo, dopo i primi resoconti, di poter mettere su una sit-com sotto forma di blog sulla mia esperienza Budappestata con la CC, ma questa sera mi ha detto che a gennaio se ne andrà.
Sono giorni che si lamenta che è insoddisfatta del proprio stage e oggi mi ha detto che l’hanno selezionata per un altro internship in Polonia.
Confesso che mi sono sentito un po’ dispiaciuto, per tre ordini di motivi.
Il primo è che mi ci stavo affezionando, come persona. Sarà perché sembra un po’ stramba pure lei.
Non ho ancora raccontato, infatti, che dopo aver cenato lei si alza e passeggia e poi saltella e poi marcia come un soldato nel corridoio (giuro non invento: alza la gamba come uno dell’Armata Rossa), per digerire.
Poi quando ascolta musica con le cuffie, tiene il tempo dandosi pugni sulle ginocchia. Capisco seguire la melodia dandosi pacche sulle gambe, ma prendersi a pugni mi sembra un po’ eccessivo.
Riesce a lavarsi i denti andando in giro per casa senza far cadere neanche una goccia di dentifricio, che non fuoriesce nemmeno un po’ fuori dalla bocca.
Questa in realtà non è una stramberia ma un’abilità che hanno alcune persone, di cui sono invidioso. Quando io mi lavo i denti sembra un film porno gay, invece.
Lo so è una o-scena (scena oscena) ma non riuscivo a pensare ad altro paragone.
Ieri sera invece l’ho trovata che si faceva un pediluvio in cucina.
E intanto ruttava.
Forse è un bene che se ne vada.
Al confronto sembro io la coinquilinA.
Il secondo motivo per cui mi sento contrariato, è che ho sempre difficoltà con i cambiamenti. Cambiamenti in me o nell’ambiente che mi circonda.
Come i gatti: provate a spostare la ciotola dell’acqua al micio di casa. Si metterà a fissare il posto in cui era prima e, se potesse parlare, secondo me farebbe come Dustin Hoffman in Rain Man: voglio la mia ciotola voglio la mia ciotola voglio la mia ciotola.
Il terzo motivo, è che ora mi chiedo chi prenderà il posto di CC. E se arrivasse una tedesca che non si lava e nasconde bottiglie di vodka nel ripostiglio?
Come quella che abitava in un appartamento che sono andato a vedere prima di prendere questo.
Non è per la vodka, ma sul fatto che non ci si lavi. Almeno a casa deve esserci un buon odore. A quel punto la butterei fuori e mi terrei gli alcolici.
Sono molto preoccupato riguardo quest’ultimo punto.
Questa sera, forse per addolcirmi la notizia, ha insistito perché provassi una zuppabrodagliatisana non so bene cosa fosse preparata da lei.
È una zuppa con un fungo dalla consistenza gelatinosa e trasparente come una medusa, delle giuggiole cinesi e delle bacche di goji. E una pastiglia al miele sciolta poi insieme.
Confesso di averla trovata stucchevole, infatti la mia faccia mentre la mangiavo-bevevo credo tradisse la sensazione. Però lei, sadica, insisteva dicendo “Ne vuoi ancora? Prendine ancora! Aiutami a finirla, ne ho fatta troppa!”.
Quest’oggi non ho avuto proprio fortuna con le donne, comunque.
Al lavoro sono andati tutti via per le 16:30 e siamo rimasti soli io e Aranka Mekkanica. A quel punto lei mi fa: “Ehi drugo, non ti fa male il Gulliver a lavorare? Quando stacchi e vai a casa a fare spatchka?”.
Io in realtà già mi crogiolavo nella nullafacenza facendo trascorrere il tempo in attesa delle 17:30. Avevo inviato mail tutto il giorno dopo aver cercato dei maledetti consulenti con le specifiche richieste e non avevo voglia di mandarne altre, quindi, a meno che non fosse arrivata qualche risposta urgente, non avrei più fatto nulla.
Non potendo dirlo apertamente, rispondo che forse debbo controllare qualche altra mail, ma, volendo, possiamo andarcene via anche subito. Speravo che raccogliesse il mio invito.
Lei, capito il mio gioco, mi incastra.
“Ok fratellino, facciamo che leviamo le tende alle 5”.
Dannazione. A quel punto ho dovuto fingere di lavorare sul serio per mezz’ora.
Ma non è finita lì.
Aranka Mekkanica mi ha chiesto dove abitassi e, constatato che praticamente facciamo la stessa strada, mi ha chiesto di aiutarla a portare i pacchi che ieri ha incartato.
Mi prende in giro, mi impedisce di oziare e poi mi fa fare anche il facchino: ditemi voi se vi sembra buona e tranquilla. E poi su Instagram fa invece le foto ai fiorellini di campo!
Parentesi seria: i pacchi li abbiamo portati a un centro di raccolta che si occupa poi di spedirli ai bambini orfani (o almeno dicono: io spero sia così). È usanza della compagnia ogni anno partecipare a tale raccolta.
A questo fine di giornata difetta quindi solo un tocco del gran Ludovico Van.
Le vacanze son finite ed è tempo di resoconti. In particolare, avendo trascorso il soggiorno per la terza volta di fila con Airbnb, credo sia tempo di fare un piccolo bilancio della mia esperienza con questo sito.
COS’È AIRBNB?
È un sito tramite il quale potete trovare un alloggio per le vacanze, dalla singola stanza a un intero appartamento, il tutto messo a disposizione dagli iscritti. Per non incappare in fregature è bene controllare foto e recensioni, poi dal momento in cui prenotate vi viene bloccato dal sito l’importo del soggiorno sulla carta di credito, ma verrà effettivamente versato a chi vi ospita solo 24h dopo il check-in.
Non so che tipologia di persona possa essere uno che affitta la casa in cui vive a un estraneo lasciandogli le chiavi. Per quelle che sono le mie esperienze – tre, come dicevo – bisogna essere secondo me persone un po’ stravaganti.
La mia prima esperienza fu nel 2013, a Berlino, a casa del buon Sebastian, che affittava la propria stanza mentre lui dormiva invece sotto un ponte nel camper di famiglia.
Non sto scherzando: abitava sotto un ponte della S-Bahn. Una volta gli chiesi il perché, lui disse che era andato a Bonn a vivere con la ragazza e a lavorare e nel frattempo la casa – che appartiene alla famiglia – la affittava, poi la love story finì e quindi è tornato a Berlino ma ha continuato ad affittare la casa (“sossoldi“). Aveva una bandiera gigante del Partito Pirata tedesco all’ingresso e durante il giorno capitava di trovarlo in cucina perché utilizzava il wifi di casa che gli serviva per lavorare (all’estero pare vada alla grande il telelavoro).
Il secondo fu Ivan di Bruxelles l’anno dopo: un tipo abbastanza anonimo e con l’aria afflitta come uno che ha ricevuto una inopportuna cartella di Equitalia. Sicuramente divorziato – c’era una stanza per bambini tenuta in ordine e completa di tutto, tranne che di bambini, presenti solo nel week end -, aveva una bella casa, con tanti libri sull’arte e un pianoforte d’epoca. Ma la cosa più interessante è che aveva piazzato nel proprio studio un’amaca giusto in mezzo la stanza. Non ho capito di cosa si occupasse, una volta scambiando due parole gli chiesi cosa stesse facendo, lui disse sto scrivendo la tesi per il mio master. Gli chiesi di cosa si occupasse come lavoro e lui fece vari versi che potremmo traslitterare in buuh beeeh pffff prima di dire no è troppo avvilente per parlarne. E non ho più affrontato l’argomento.
All’epoca poi sul mio profilo Airbnb avevo questa foto di Kurt Cobain:
Lui pensò fossi io, perché quando prenotai per me e un amico mi chiese: il tuo amico è il gatto? e io pensavo fosse una battuta. Se non che, quando ci incontrammo disse: Ah, non ti riconoscevo, hai tagliato i capelli.
Non sono stupito del fatto che fosse divorziato, ma che avesse trovato una moglie.
Per la cronaca: non c’è alcuna somiglianza tra me e KC e penso sarebbe più facile scambiarmi per uno dell’ISIS.
Infine quest’anno è stato il turno di Elizabeth la viennese, 32 anni, che affitta casa mentre lei va a farsi ospitare dal ragazzo. Aveva il frigo pieno di cose bio-vegan e l’appartamento era caratterizzato dal fatto di non avere mobilia. Nel salotto c’erano un divano e un tavolo e nient’altro: incassata sotto le finestre c’era un minilibreria contenente di tutto, dalle spezie ai soprammobili alle piante. Tutto tranne i libri, che occupavano invece la parete opposta, impilati da terra l’uno sull’altro contro il muro. Si alternavano volumi sulla storia della musica, libri di economia, guide (tipo “impara lo yoga in 10 minuti” o qualcosa di simile) e biografie come quella di Kurt Cobain.
La camera da letto era in linea con il non-arredamento del salotto: al posto di armadio o cassettiere, aveva una libreria Ikea fatta a scomparti quadrati in cui riponeva alla rinfusa tutti i propri abiti. Sulla parete opposta, appesi a dei ganci appendiabiti non c’erano ovviamente dei soprabiti – che senso avrebbe, in una casa dove era tutto al contrario! – ma c’era invece in bella vista tutta la sua collezione di reggiseni: ai quali confesso di aver gettato un’occhiata di sfuggita, constatando che la ragazza avesse buon gusto ma che fosse anche un’ingannatrice perché alcuni sembravano palesemente imbottiti.
Non vedo l’ora di partire per una nuova vacanza e scoprire chi mi ospiterà! Sarà un allevatore di cicale che per hobby suona il fagotto? Una stilista per giganti che in soggiorno ha un baobab? Lo scopriremo solo viaggiando.
In settimana ho saputo che è venuta a mancare una prozia. Senza essere irrispettoso, confesso che non avevo idea di chi fosse. La conoscevo da bambino, ma non riesco più ad averne memoria.
Abitava insieme ad altre prozie in una zona della città chiamata in modo colloquiale “giù al ponte”, perché per arrivarci si supera un rialzo stradale. La fantasia popolare rispecchia la gente di un tempo: è pragmatica ed essenziale.
Da piccolo quella zona era per me un luogo comune. Sia perché ero spesso costretto a seguire Madre e Nonna nelle visite familiari, sia perché una volta lì era tutta campagna. Poi è arrivata l’urbanizzazione, che ha inglobato le terre coltivate.
La casa era un classico agglomerato di edifici a corte, con l’ingresso ad arco. Il cortile interno era pavimentato a chiazze: qui una pezza di asfalto nero, là del brecciolino.
Tra le prozie qualcuna ancora si dedicava ai campi. Ne ricordo una che mi regalava a volte un sacchetto di mais per farci i pop corn. Io di lei avevo un po’ paura perché aveva un dente ogni morte di papa e i baffi. Anche le altre prozie avevano i baffi, ma i suoi erano più evidenti.
Avevano tutte l’abitudine di salutarmi sbaciucchiandomi sulla guancia, lasciandomi la pelle sbavata. Odiavo i baci sulla guancia e tentavo di tirarmi indietro, guadagnandomi la fama di bimbo timiduccio. I baci sulla guancia andrebbero considerati molesti se non sono tra adulti consenzienti.
Un’altra prozia era la mia preferita. Sembrava un po’ svampita e io con le svampite sono sempre andato d’accordo. Ogni volta che andavamo a farle visita mi offriva sempre i biscotti, li teneva in un vaso di vetro in un mobiletto in basso e questo mi ha sempre incuriosito, perché i biscotti sono sempre stato abituato a vederli posizionati in alto. Ma chi ha deciso dove vadano collocati i biscotti?
C’era poi un appartamento vuoto, che apparteneva a una prozia che era emigrata in america anta anni or sono, ma non aveva mai voluto liberarsi di quella casa preferendo tenerla vuota, perché non si sa mai. Ogni volta che ritornava dagli States mi regalava sempre qualche dollaro, che a me sembravano un capitale e in effetti all’epoca valevano un bel po’ per un bambino, credo un dollaro per 1700 lire anche se le banche ti trattenevano sempre qualcosa.
Anche lei è venuta a mancare, qualche mese fa, negli Stati Uniti. Ha voluto che le esequie si svolgessero qui e che fosse seppellita nel cimitero comunale.
Cercare casa vuol dire badare a tante cose, posizione, prezzo, comodità, spazi e quant’altro. Le ricerche diventano più difficoltose quando si cerca una soluzione indipendente senza spendere un capitale e senza troppo allontanarsi dal centro città.
Oggi ho visionato un monolocale che sembrava la celletta di un monaco. Considerando che la via in cui era situato si chiamava via San Francesco ho trovato abbastanza ironica la cosa.
In un altro appartamento, invece, per ovviare alla scarsità di spazio hanno optato per eliminare il bidet e mettere un doccino con tubo flessibile sopra il water. Pratico. Ho pensato come sarebbe divertente sfruttarlo pure per farsi la doccia sul water, quando si ha fretta: tù is megl che uan.
Durante la visita l’agente immobiliare si prodigava per segnalarmi tutte le cose positive, come per esempio la genialità delle tendine a copertura della finestra. Le ha anche toccate tra le dita come a farmi notare la loro consistenza. Sono pentito di non essermi prodigato in una manifestazione di entusiasmo. O forse ho fatto bene perché magari era un test di virilità come nel film In & Out.
La stessa agente, entrando nel condominio, mi ha voluto sottolineare come il cortile in primavera fosse sarebbe stato tutto verde e in fiore, perché i rampicanti e il glicine sarebbero stati al loro splendore. Il mio interesse bucolico non è andato oltre un “Ah”.
Gli agenti immobiliari donna sono quelli più propensi a magnificare ciò che stanno proponendo. In un altro monolocale, la ragazza dell’agenzia ci teneva a sottolineare l’utilità del doppio ingresso, su strada e su cortile interno. Peccato che quest’ultimo ingresso desse sul bagno. Chi mai entrerebbe o uscirebbe da casa dal cesso, scusate? Certo, anche questa è una soluzione pratica: in caso di urgenze, apri la porta e ti fiondi subito sul Re Bianco.
Tale appartamento era soppalcato, e fin qui tutto normale. Ciò che non si evinceva bene dalle fotografie era che la scala per accedere alla zona notte aveva una pendenza penso sui 70 gradi. Ho provato a immaginare quanti giorni mi ci sarebbero voluti prima di rotolare giù al risveglio e rompermi l’osso del collo, nel caso mi fossi trasferito lì.
Altro appartamento, altro agente: un uomo, stavolta, che aveva la stessa voce dell’attore Maurizio Mattioli e la simpatia di un motocarro ingolfato su una strada dove non si può sorpassare. Sembrava alquanto infastidito dai miei esami (controllo luci, acqua, eccetera), ogni volta diceva “Qui funziona tutto, funziona tutto”. Devo dire che invogliava molto col procedere all’affitto.
Ho cercato anche soluzioni in condivisione, cercando di evitare matricole universitarie: ho visto la casa di un 50enne regista appassionato d’Asia tanto da curare una rassegna a tema. Bella casa, con una stanza luminosa (avevo smarrito il significato di tale aggettivo, dopo aver visto definire “luminoso” uno scantinato) e con annesso bagno privato. Mi è parsa una persona distinta e a modo, tant’è che starei anche pensando di optare per questa soluzione, almeno per i primi tempi, per poi cercare meglio sul posto. Eviterò però accuratamente di dirgli che ho visto film di Tsai Ming-liang, Kim-ki Duk o Wong Kar-wai, onde mantenere delle sane distanze tra coinquilini e proseguire la coltivazione della mia asocialità.
Infine una nota di colore: attraverso Ponte Sisto e c’era un tizio che suonava la chitarra, strimpellando un giro di Sultans of swing. Ritorno venti minuti dopo, stava ancora suonando lo stesso identico giro. Complimenti per la costanza.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.