Non è che se chiedi un parere al campanaro lui ti fa sentire pure l’altra campana

Montespertoli, Zappolino, Perito, Ponte in Valtellina, Casalguidi, Castelnuovo Berardenga, Castel Lagopesole. Non è Nomi, Cose, Città.

Ricordo quando ci giocavo alle medie mi toglievano sempre punti perché inserivo città che nessuno conosceva per far punteggio pieno e pensavano le avessi inventate.

Una volta mi misi a piangere per frustrazione.

In questo breve elenco ci sono alcune delle località in cui mi è capitato di soggiornare, in questi anni. In genere per diletto, piacere. Posti che mi hanno sempre fatto porre una domanda: chissà come sarebbe vivere in un paesino di qualche centinaio di anime.

Una noia mortale. Sicuro.

Eppure, delle volte, subisco la fascinazione del ritiro, dell’isolamento, della dimensione monocellulare del piccolo centro.

Sono velleità da cittadino, me ne rendo conto. Ma io sono un cittadino atipico, come tante altre cose cui mi sento di appartenere metà e metà.

Appartenenza.

Chissà cosa vuol dire. T’appartengo e io ci tengo, era un tormentone di Ambra. Mi sovviene perché una mia amica, in anni recenti, ebbe un periodo di fissa in cui doveva cantarla – ovviamente con l’intento di diffondere un po’ di trash.

Io appartengo a molte cose, mio malgrado. Ma forse non ci tengo. Ci tengo a targhe alterne. Ci tengo quando non c’è altro e non hai fame di qualcosa in particolare. Ci tengo perché alla fine dai sennò poi qualcuno se la prende a male.

E allora potrei anche tenerci a un posto piccolo. Non vi apparterrei mai. Per quelle che sono le dinamiche di paesino si resta sempre un estraneo.

Ma, in fondo, si è sempre estranei di qualcun altro.

Un Paese di torri, campanili, campane

Non è che ti serva l’inchiostro per impostare il timbro della voce

Un paio di anni fa non riuscivo più a trovare la mia tessera elettorale. Alla fine rinunciai alla ricerca e decisi di fare richiesta per una nuova.

Andai a fare la denuncia di smarrimento alla Municipale, che è proprio di fronte il Municipio.

Trovai un agente smarrito che, alla mia richiesta di fare denuncia di smarrimento, si smarrì ancor di più:

«Eh ma io qua mi hanno lasciato solo non saprei non c’è neanche il Comandante…no no vada dai Carabinieri».

Andai dai Carabinieri:

«Eh, deve andare dalla Municipale» Mi risposero.
«Sto venendo da lì e mi hanno mandato qua».

Alla fine comunque riuscii ad avere la tessera nuova.

Qualche giorno fa ho ritrovato la vecchia. Incredibile il fastidio che mi ha dato lo scoprire che mancavano 4 timbri per completarla. Adesso avrò con me una cosa incompleta che non potrà mai più finire.


La cosa divertente è che non sono un seguace affatto invece delle tessere punti. Ho decine e decine di pezzi di carta di posti in cui sono andato una sola volta e non ho alcun interesse a ritornarci solo per accumulare timbri perché poi “Ogni 10 kebab dei falafel omaggio”.


Ci sono altre cose che mi generano un senso di “cose fuori posto/fuori contesto”.

Ad esempio quelli che lavorano al pc senza la luce accesa. Che per me quando fuori non c’è sole perché è nuvoloso o piovoso stanno in pratica al buio. Li vedo e provo un senso di disagio.

Un tempo quando passavo davanti una stanza con la luce spenta chiedevo:

«Vi accendo la luce? Vi vedo al buio»

Poi ho smesso. Insomma, non avrei voluto passare per il Tizio della luce. Anzi, il Cagacazzi della luce*.


Dato che poi mi dicevano sempre di accenderla mi chiedevo: allora ne avevano bisogno della luce e non si alzavano per pigrizia?


* E poi comunque non sono mica Grace Kelly


Tra le altre cose che trovo fuori posto c’è poi il tenere il condizionatore acceso e la finestra aperta.

Praticamente l’effetto è quello di avere un cono di aria fredda a 18° che si scontra con un muro di aria calda a 35°. Una volta in una stanza ho visto crearsi un uragano così.

Un’altra cosa che fanno le persone che mi fa pensare No, perché proprio ora? è quando iniziano a parlarti nel momento in cui hai messo su le cuffie per ascoltare musica. Magari siete lì uno di fronte all’altro, in viaggio su un mezzo o alla scrivania al lavoro o in qualsivoglia contesto e non vi state dando alcuna attenzione.

Ma quando decidi di mettere le cuffie nelle orecchie la persona di fronte a te deciderà che dovrà rivolgerti la parola.

Al che ho preso delle volte a mettere le cuffie quando voglio fare due chiacchiere ma non so con che discorso iniziare, per stimolare la parlantina nell’altro.

Chissà quali cose faccio io che danno fastidio agli altri.

Quando me ne renderò conto mi sentirò fuori posto.

Non è che fai una rivoluzione contro il regime alimentare

Ci sono cose di cui non hai mai sentito parlare e poi, d’improvviso, vengono nominate intorno a te più volte in poco tempo.


Magari si tratta di cose in giro da tempo ma che, nel mio caso, non mi arrivano perché ho un firewall che tenta di respingere il più possibile ciò che so non mi interesserà mai.


Questa settimana questo fenomeno si è verificato riguardo a quel che sembra l’ultimo ritrovato nel campo delle diete fai-da-te. La dieta chetogenica.

Nel giro di due giorni tre persone diverse me ne hanno parlato. Senza che io avessi chiesto di parlarmene, o entrassi in argomento del tipo “Ehi, per caso attualmente stai mangiando in base a quel che hai letto su Novella2000?”.

Però il nome mi incuriosiva. Tentavo di ricavarne un’etimologia: chetogenico. Generatrice di cheti? Rende chete le persone? Sarebbe fantastico!


No, purtroppo a quanto ho capito non serve a chetare. Un altro nome ingannevole per ingannare i gonzi come me! 


E non fatemi parlare di quando imboccai speranzoso Via Santa Passera a Roma. Una delusione.


A pensarci però potrebbe anche avere un che di inquietante: Chetogenico. Potrebbe essere un esemplare di una razza aliena malvagia.

Sono abbastanza integralista e intollerante verso chi sperimenta regimi alimentari senza supervisione di un esperto e, talvolta, senza effettiva necessità.

Per carità, ognuno col proprio corpo ci fa quel che vuole, ma a volte penso alle persone che si trovano realmente costrette per ragioni di salute o intolleranze a dover seguire un determinato regime e poi penso a quelli che, per sfizio, provano la dieta del fico secco o la dieta del salto della quaglia perché così gli gira.

O, ancora, penso a quelli che hanno deciso che bisogna mangiare senza glutine senza avere alcun problema. E la mia mente invece va a una mia amica che è celiaca sul serio e che le basta che una briciola di pane le cada sulla mano per avere una reazione allergica e vorrei prendere costoro a calci nel didietro per giorni fino a costringerli a una dieta senza glutei.

Il lato positivo di quest’ultima moda è che ora i supermercati sono più forniti di prodotti senza glutine e la mia amica ha meno difficoltà a trovare cibi adatti a lei.

Chissà, magari ci saranno risvolti positivi anche dall’invasione dei chetogenici. Magari stramazzano al suolo provati dall’alimentazione sbilanciata e non me ne parlano più.

Non è che se vuoi far il botto devi procurarti un petardo

Stavo pedalando placido e tranquillo e svoltavo a una rotonda in città quando all’improvviso ho sentito un BANG fortissimo che mi ha stordito uno orecchio.

Ho pensato a qualcuno che aveva fatto esplodere un petardo. Mi guardavo intorno cercando il/i colpevole/e, mentre già nella mia testa partivano invettive contro una gioventù bruciata e depravata che andrebbe rieducata con del sano lavoro operaio in Siberia.

Poi ho notato che i passanti a tutti gli angoli dell’incrocio guardavano verso di me.
Mi era esplosa la camera d’aria posteriore. Non mi ero accorto di niente né avevo realizzato.

L’episodio mi ha fatto riflettere sulla figura dell’ignaro felice.

Conosco e penso tutti conoscano persone o abbiano amici che hanno vissuto un momento in cui erano ignari felici. Quando tutti sanno o si sono accorti di qualcosa che riguarda il soggetto, tranne proprio il diretto interessato.

E se non conosci nessuno così, allora sei stato tu un ignaro felice!

Mi ricordo un episodio che mi diede tanto da pensare e che riguarda i miei trascorsi a Budapest.

Una sera in cui avevamo bevuto, il fidanzato della mia amica nonché collega di lavoro mi confessò che la sera in cui scoppiò l’amore tra loro due lui in realtà era uscito con la speranza di trombarsi la sorella di lei. C’era una scommessa nel loro gruppo di amici su chi ci sarebbe riuscito prima.


Quanta poesia in tutto ciò.


Se non che la sorella in questione aveva preparato un appuntamento-trappola a entrambi per farli uscire insieme. Quando lui si trovò all’appuntamento e comprese che la scommessa quella sera non sarebbe stata vinta, era rimasto contrariato.


La mia amica ha sempre creduto che lui fosse irritato perché gli era appena esploso in testa un palloncino con del colore all’interno (era durante lo Sziget Festival dove accade di questo e altro), ma, sempre quella sera, lui mi confessò che il motivo era la trombata saltata.


Com’è come non è, poi si misero insieme e dopo un anno e mezzo stavano progettando il matrimonio.

A me l’essere venuto a conoscenza di questa cosa mise un’ansia tremenda. Mi son sempre fatto i casi miei, giacché – come si dice – l’amore vince sempre e poi erano tutti felici e contenti e ignari.


Poi c’è qualcuno che è più ignaro degli altri, la domanda è quale sia il confine tra giusto e sbagliato nel non mettere al corrente l’interessato della verità; fai bene a farti i fatti tuoi? Fai male?


Poi il matrimonio alla fine però è saltato – non per la questione sorella – e secondo me è stato molto meglio così.

Ma da allora quando qualcuno sta per partire con una confessione scomoda – soprattutto dopo aver bevuto – io preciso che preferisco restare ignaro.

Non è che il can che abbaia non rompa le scatole

Considerazioni sparse in un mondo venusiano.

Sembra che oggi non sia più possibile avere una bici nuova senza che ti domandino “Ma è elettrica?”. No, porcoddue, è una cavolo di bici a energia umana, pedalo perché mi piace pedalare, non perché debbo spostarmi.

In città abbiamo quasi 600 candidati consigliere alle elezioni Comunali. Su 33mila aventi diritto al voto è circa l’1,7%, ma, se consideriamo il numero delle famiglie, c’è almeno un candidato per famiglia. Non mancano i casi in cui ce ne è più di uno. Magari di schieramenti avversi. A me nessuno cerca il voto, sostanzialmente perché per lo stile di vita che ho adottato – la desistenza – appartengo alla gente che non esiste. E frequento solo persone che, come me, desistono. Ogni giorno, con devozione e discernimento. Quindi nessuno ci cerca né ci cercherà mai.

Per il post dell’altro giorno ho fatto una ricerca Google per ritrovare questa immagine che avevo intravisto da qualche parte su fb e di cui ricordavo vagamente la didascalia. Fare ricerche legate a cani, leccate e buchi mi ha aperto pagine che non avrei voluto vedere, soprattutto un blog – tra l’altro ospitato su WP – dove molte donne fieramente rivendicavano l’utilità del cane per sopperire attivamente in campo sessuale – in maniera descritta come molto soddisfacente – al maschio umano. Nonostante io mi stia ripetendo che sicuramente saranno dei commenti finti, ora non riesco più a vedere un cane che annusa tra le gambe qualcuno senza provare un misto di orrore, paura e Andrea Scanzi.


La sensazione Andrea Scanzi è tipo quella che si prova, mentre si rivolta un frutto, nel sentire uno splof perché da un lato è marcio e il tuo pollice è affondato nella parte andata a male.


Ho deciso di iscrivermi di nuovo all’università.
In verità mi sono già iscritto, la settimana scorsa.
Voglio conseguire una seconda laurea, questa volta in storia. Ovviamente non intendo fare lo studente a tempo pieno, non ne ho il tempo né la voglia. Mi limiterò a sostenere gli esami, se riesco a capire come funzionano oggi gli adempimenti burocratici (in 10 anni sono cambiate un po’ di cose).

Al lavoro sembra si prospettino situazioni interessanti per me.
Almeno a parole.
Sulla carta ancora non ho nulla. È sempre curioso infatti che le parole sono sempre elargite spesso e volentieri, ma quando bisogna mettere nero su bianco non si trova mai qualcuno disponibile.

Non è che serva un solvente per staccarti dal mondo

Oggi ho portato un po’ di spesa a una coppia di amici che sono in isolamento da fine agosto. Lui è risultato positivo, ha avuto giusto qualche linea di febbre, lei invece era negativa ma si è isolata con lui. Dovevano andare a vivere insieme non prima di ottobre – la casa non era del tutto arredata ancora – ma gli eventi hanno anticipato.

Ora dirò una cosa che va presa con pinze, guanti e mascherina e virgolette (anch’esse in maschera): un po’ li invidio.

Non ovviamente per il vivere l’ansia della malattia. Neanche per il fatto di vivere insieme. Ma per l’isolamento in sé.

Non dubito che si saranno rotti i coglioni e le ovaie in questi giorni. Se non altro a giudicare dalla quantità di bottiglie di vino e birra che hanno messo nella lista della spesa. O ci prendono per il naso e stanno organizzando mega-feste di nascosto o son diventati più bevitori di quanto ricordassi. Sono certo poi che, dopo un po’, se non cominci a fare pizze e torte inizi a sperimentare passatempi alternativi, tipo ascoltare una compilation di suoni di cani che si leccano.

Però lo staccarsi da tutto penso non sia così malvagio.

Sono sicuro che un no mask-negazionista direbbe che sono un altro schiavo che si farebbe iniettare i chip del 5G nella scia chimica e che vorrebbe venir rinchiuso dal complotto di Bill Gates.

Io invece chiedo: perché, il correre di qua e di là, le scadenze, le pressioni, il lavoro, il non lavoro, il traffico, il tempo, la mancanza di tempo, sarebbero invece la libertà?


Oh, beninteso, nessuno vorrebbe trovarsi costretto a stare chiuso in casa, questo l’abbiamo sperimentato tutti e speriamo di non ripeterlo. Né è bello essere costretti a non poter vedere nessuno*. Io mi riferisco soltanto – prendendo spunto dall’episodio – al godersi un diritto al distacco, al potersi prendere una pausa dal mondo.


* Che poi, anche su questo: in certi casi non vedere nessuno manco male fa.


 

Non è che ti serva il biglietto per fare un viaggio nel tempo

Ho posto un quesito a un’amica psicologa. Le ho chiesto come si affrontano gli attacchi di nostalgismo, il vivere con la consapevolezza che un determinato momento con determinate persone non ci si verificherà mai più.

Ha attaccato un pippone sul fatto che la mia è paura di non riuscire più a emozionarmi come un bambino davanti alle cose e alle situazioni, e questo in realtà – ha detto – è molto bello e importante, perché porsi il problema di tenere vivo il fanciullo interiore è un passo per riconoscere come si è e non cercare di sopprimere l’emozione infantile come fanno molti adulti oggigiorno.


Tronco qui perché andava ancora avanti, ho sintetizzato alla bell’e meglio.


Ho pensato fosse molto bello questo momento di poetica Pascoliana, ma non è la questione che avevo posto, legata invece più al fatto concreto che “qui ed ora” non è “lì e allora” perché “qui e allora” ormai è andato -puff- in quanto la nostra vita è una sequenza di attimi ognuno irripetibile ed è guardando indietro e osservando qualcuno di quegli attimi che penso Cazzo è passato.


Ora se ci fosse qui La citazione di Albert Einstein a cazzo*, direbbe che passato, presente e futuro sono solo un’illusione.


*La citazione di Albert Einstein a cazzo è una entità vivente a sé stante che trascende la persona Albert Einstein, anzi, con essa non ha nulla a che fare. È – ad esempio – la frase buttata lì tipo “Dio non gioca a dadi” che ormai gode di vita propria decontestualizzata e il 99% delle persone non sa manco a cosa è riferita.


Esiste poi La citazione di Gandhi a cazzo, La citazione di Jim Morrison a cazzo, La citazione di Pertini a cazzo, ecc.**, vivono tutte insieme su un’isola ben collegata col nostro mondo da un sistema di traghetti e piste ciclabili.


**Come non citare, poi (citazione ricorsiva di citazione), La citazione a cazzo di Pasolini riguardo il suo sostegno ai poliziotti. Vive sull’isola delle teste spaccate e manganelli.


E forse ho sprecato attimi irripetibili ponendo la domanda alla persona sbagliata, magari potevo rivolgermi a qualcuno che si intende di fisica per chiedergli se esisterà mai la macchina del tempo, lui mi avrebbe detto di no e pazienza, mi sarei chetato fino al prossimo attacco di nostalgismo.

Non è che invidi un succo per la sua concentrazione

Ho un collega che sembra sempre molto concentrato e impegnato al lavoro. Sembra.

In realtà lui è un abile fuffologo. Il fuffologo del suo tempo ne fa fuffa, che all’occhio esterno può sembrare iperproduttività.

La fuffa, infatti, è come quei cibi ricchi di calorie vuote: dà un’apparente senso di sazietà, ma è povera di nutrimento intrinseco.

Chi produce fuffa sembra sempre molto preso e, in effetti, dilatare il proprio tempo per riempire le ore lavorative è comunque impegnativo.

Ho sempre invidiato le persone che sembrano molto prese.

A passeggio per la mia città a volte capto le conversazioni della gente. Amo non farmi i fatti miei.

C’è in giro un sacco di gente che mentre parla con gli altri dice cose del tipo Devo andare lì devo vedere devo fare parlare ma nel concreto non arriva mai al punto e non spiegano perché sono così occupati.

Io sono sempre stato poco credibile quando millantavo impegni. “Ho da fare” è la mia obiezione, a cui segue la replica “Macché, che hai da fare?”.

Il vero fuffologo invece non è lapidario e conciso, ma condisce il suo “impegno” con circonvoluzioni retoriche ripiene di nulla. La fuffa va impacchettata bene.

Spero un giorno di diventare più abile ed essere impegnato da impegni vuoti!

Non è che il programmatore a Capodanno spari i Bot

Il concetto di distanza non è una novità del 2020. L’introduzione di forme di distacco tra individui è iniziata un po’ prima.

Il distacco del contatto tra esseri umani nei servizi di assistenza clienti ne è un chiaro esempio. Oggi è molto più difficile chiamare un numero e riuscire a parlare subito con un operatore. Il passare attraverso una sequenza di scelte tramite tastiera ricorda una storia a bivi, dove il finale può essere quello errato.

L’economista Michael Porter nell’85 (o giù di lì) descrisse il servizio clienti come uno dei processi fondamentali del modello della catena del valore. Da allora il caring del cliente si è sempre più strutturato e specializzato.

E spersonalizzato, allontanato dalla persona.

Sempre più siti sui loro portali implementano delle chat con quelli che sono bot automatizzati.

Una mail inviata dall’assistenza proviene nella maggior parte dei casi da un indirizzo non atto a ricevere posta in entrata.

È ovvio che la razionalizzazione del servizio clienti risponde a logiche di ottimizzazione e smistamento delle richieste, oltre che a dover fare da filtro per non finire subissati da lamentele da parte di gente che ha dimenticato come ci si siede o quale mano debba tenere fermo il nodo per fare i lacci.


Per esempio a me hanno fatto notare che nell’allacciarmi le scarpe uso le mani in modo invertito: quello che fa la destra lo fa la sinistra e viceversa. Sinceramente ignoravo che esistesse una simile distinzione.


Anche gli esseri umani di assistenza riflettono lo stesso schematismo automatizzato dei bot: quasi sicuramente chi vi risponde ha delle risposte preimpostate e se per caso non fosse in grado di trovare soluzione al vostro caso reindirizzerà la richiesta a un altro step.

Ho dovuto scrivere 3 volte all’assistenza di un sito perché per 2 volte non hanno centrato il punto. Presumo mi abbiano risposto 3 persone diverse.

Il primo mi ha detto che dovevo capire se il mio caso rientrasse nella casistica 1 o nella casistica 2 e poi seguire la procedura 1 o 2. I casi 1 e 2 non c’entravano niente.

Il secondo si è fermato alla prima riga del quesito e mi ha detto una cosa che non c’entrava.

Il terzo ha risolto il problema.


Dopo 10 giorni da quando avevo chiesto aiuto la prima volta.


E sono certo che nei primi due casi io abbia ricevuto delle risposte preimpostate frutto di un copione e solo al terzo tentativo qualcuno ha realmente letto cosa ho scritto.

Quale è allora la differenza tra un essere umano e un computer in questi casi? Ha un senso creare sempre più distacco?

Non è che lo starnuto è la goccia che fa traboccare il naso


ATTENZIONE Il seguente post non ha alcuna scopo di istigare ad atteggiamenti contrari alla sanità, all’istruzione, al buon senso, a qualsivoglia cosa.


Quando andavo al liceo, da metà Novembre in poi sino alle vacanze di Natale era un periodo turbolento.

C’erano le manifestazioni. E se non c’erano le manifestazioni si occupava. E se non si poteva occupare si passava agli atti terroristici nottetempo:

– svuotamento degli estintori nelle aule;
– spargimento di sterco di gallina;
– spargimento di letame di maiale;
– spargimento di larve di mosca.

Le seguenti opzioni non sono alternative: venivano tutte compiute in sequenza. Possibilmente a ridosso dei weekend.

Barbarie pura. Nient’altro che criminalità. E la cosa più grave dell’ultimo atto vandalico è che non erano le larve a contaminare l’ambiente, ma l’ambiente di noi studenti a contaminare le larve.


L’igiene durante l’età dell’adolescenza corrispondeva più o meno all’attenzione alle pratiche igieniche nel ‘600 parigino: al massimo una lavata al viso, bagno annuale e per sentirsi puliti bastava cambiare abito. O al limite spruzzarlo di deodorante.


Oggigiorno lo studente moderno ha un’opzione molto più elegante per il boicottaggio scolastico.

IL COMPAGNO POSITIVO

Il compagno positivo è una risorsa ecologica, economica e più pulita (se non si va troppo per il sottile e non si dispone di microscopio).

Per saltare un po’ di scuola che c’è di meglio dello spargere un po’ di compagno positivo nelle aule?

Il compagno positivo può toccare muri, porte, banchi, sedie, magari dopo aver cercato nelle proprie narici testimonianza delle sue radici.

Il compagno positivo può lasciare dei droplets (parola straniera che vuol dire goccioline respiratorie, ma siccome goccioline respiratorie è difficile da pronunciare  ci hanno fornito un termine in sostituzione) in giro a caso, starnutendo, scaracchiando, giocando a sputo del nocciolo.

Il compagno positivo lanciato lungo un corridoio su un nuovissimo banco a rotelle ha una scorrevolezza 5 volte maggiore di un normale shampoo Pantene e può raggiungere coi propri microbi anche gli angoli che le normali scope non raggiungono.

Il compagno positivo abbinato agli upgrade (venduti separatamente) a) genitore/i negazionista/i b) docente negazionista c) dirigente scolastico negazionista, ha il bonus reductio ad absurdum firmato Gorgia di Lentini:

  • Il virus non c’è (così può continuare a spargerlo)
  • Se anche qualcosa ci fosse non è contagioso per l’uomo (così può continuare a spargerlo)
  • Se anche fosse contagioso, è colpa degli immigrati (a meno che non sia un immigrato, può continuare a spargerlo)

Il compagno positivo: e sei subito virale.