Non è che ti serva il biglietto per fare un viaggio nel tempo

Ho posto un quesito a un’amica psicologa. Le ho chiesto come si affrontano gli attacchi di nostalgismo, il vivere con la consapevolezza che un determinato momento con determinate persone non ci si verificherà mai più.

Ha attaccato un pippone sul fatto che la mia è paura di non riuscire più a emozionarmi come un bambino davanti alle cose e alle situazioni, e questo in realtà – ha detto – è molto bello e importante, perché porsi il problema di tenere vivo il fanciullo interiore è un passo per riconoscere come si è e non cercare di sopprimere l’emozione infantile come fanno molti adulti oggigiorno.


Tronco qui perché andava ancora avanti, ho sintetizzato alla bell’e meglio.


Ho pensato fosse molto bello questo momento di poetica Pascoliana, ma non è la questione che avevo posto, legata invece più al fatto concreto che “qui ed ora” non è “lì e allora” perché “qui e allora” ormai è andato -puff- in quanto la nostra vita è una sequenza di attimi ognuno irripetibile ed è guardando indietro e osservando qualcuno di quegli attimi che penso Cazzo è passato.


Ora se ci fosse qui La citazione di Albert Einstein a cazzo*, direbbe che passato, presente e futuro sono solo un’illusione.


*La citazione di Albert Einstein a cazzo è una entità vivente a sé stante che trascende la persona Albert Einstein, anzi, con essa non ha nulla a che fare. È – ad esempio – la frase buttata lì tipo “Dio non gioca a dadi” che ormai gode di vita propria decontestualizzata e il 99% delle persone non sa manco a cosa è riferita.


Esiste poi La citazione di Gandhi a cazzo, La citazione di Jim Morrison a cazzo, La citazione di Pertini a cazzo, ecc.**, vivono tutte insieme su un’isola ben collegata col nostro mondo da un sistema di traghetti e piste ciclabili.


**Come non citare, poi (citazione ricorsiva di citazione), La citazione a cazzo di Pasolini riguardo il suo sostegno ai poliziotti. Vive sull’isola delle teste spaccate e manganelli.


E forse ho sprecato attimi irripetibili ponendo la domanda alla persona sbagliata, magari potevo rivolgermi a qualcuno che si intende di fisica per chiedergli se esisterà mai la macchina del tempo, lui mi avrebbe detto di no e pazienza, mi sarei chetato fino al prossimo attacco di nostalgismo.

Guarda quanti mondi. Guarda, mondi di quanti. E tu cosa cerchi?

Dal punto di vista della meccanica dei quanti potrebbero esistere gli universi paralleli. O forse no. O forse sì. O forse esistono e non esistono contemporaneamente, perché nella mia ignoranza ciò che ho capito di fisica quantistica è che tutto è vero e tutto è falso insieme. Un po’ come la storia di Schrödinger  e dei suoi gatti.

Una volta rimasi colpito da questa frase:

La bugia, finché non la scopri come tale, è verità.

Bella vero? È Coelho.

Falso.
Ergo Proxy (sta cominciando a piacermi questo gioco. Attribuisci anche tu citazioni a caso a personaggi tra i più citati in rete).

La frase poi continuava così
Scoprire la verità che si cela nella bugia forse è giusto ma non è detto che ciò ti dia la felicità

Che un po’ quel che diceva Caterina Caselli, la verità ti fa male lo so. Sembra che molte persone siano spaventate dal venire a contatto con la verità, preferendo rimanere nello stadio precedente di non conoscenza. È anche questo un mondo parallelo, una realtà a parte in cui ci si rinchiude.

D’altro canto, una cosa può quindi essere ritenuta reale fino a quando non si interviene per appurarne la veridicità: ma nel momento in cui lo si fa, potremmo riprendere, si è compiuta una manipolazione del sistema, invalidando la verifica.

Se questo sia sempre vero, non lo so.
So che ad esempio se sono in coda e c’è la fila di fianco che sembra scorrere più veloce (il più delle volte è solo un’impressione), se mi sposto, la fila che ho lasciato sembrerà prendere a scorrere essa stessa più veloce. Lo avrebbe fatto lo stesso se fossi rimasto al mio posto? Magari sono io a rallentare il traffico?

Ecco, sarebbe bello trovare delle risposte sulla piccola realtà quotidiana con degli esperimenti di fisica. In realtà penso che già qualcuno li faccia, basti pensare al fatto che esistono i Premi Ig Nobel per premiare le ricerche scientifiche assurde o improbabili.

Io vorrei ad esempio qualcuno che studiasse il metodo migliore per entrare in auto quando piove, bagnandosi il meno possibile. Io non ho ancora capito se

1) Con l’ombrello aperto, apro la portiera, chiudo l’ombrello, entro in auto
oppure
2) Con l’ombrello aperto, apro la portiera, mi siedo tenendo con la mano sinistra l’ombrello fuori, lo chiudo, chiudo la portiera

cambi qualcosa.

Quindi in virtù di ciò, oltre all’esempio fatto sopra, avrei qui una lista di suggerimenti per ricerche scientifiche che, anche nel caso non portassero vantaggi all’umanità, almeno soddisferebbero la mia curiosità:

  • Il modo migliore per staccare lo scotch trasparente evitando che il pezzo appena tagliato si attacchi o attorcigli su sé stesso o che si pieghi attaccandosi sotto al bordo del tavolo
  • Se esiste un fondamento scientifico al fatto che una persona, di spalle, se osservata, si giri
  • Un modello matematico che spieghi la percentuale di calzini che si perdono durante il lavaggio
  • Il tasso di scomparsa tra le mura domestiche degli oggetti inutili che improvvisamente ti servono e non trovi più
  • La popolazione umana che tra 50 anni avrà la gobba da smartphone e il peso che avrà tale patologia sulla spesa sanitaria
  • Uno studio maxillo-genetico sulla popolazione maschile bianca statunitense che trovi le cause della mascella ipertrofica di cui sembrano affetti molti uomini adulti (e anche qualche donna, direi)
  • Il motivo per cui un gatto se ne sta immobile per ore davanti a una porta chiusa o una ciotola vuota e, poi, una volta aperta la porta o riempita la ciotola di cibo, se ne va voltandoti le spalle

Come sempre, sono ben accetti suggerimenti. C’è qualcosa che vorreste la scienza vi rivelasse?

Gli anziani disertano bar per riempire centri scommesse (e pure Achille è d’accordo)

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Una scorciatoia dietro casa mia, decorata da inserti di rifiuti che sbucano dal terreno. Sullo sfondo, a sinistra, la gigantesca antenna Telecom

Oggi ho fatto una passeggiata quasi senza meta per la mia città, approfittando della mite giornata autunnale. Ho riflettuto che qui non esco mai se non per uno scopo, che sia vedere qualcuno o svolgere qualche commissione.

Il fatto è che questa città da provincia meccanica non ispira molto a camminare per il gusto di farlo.

Siamo immersi in una conca vegliata dal Gigante e non c’è quindi un panorama. Non c’è il mare, quindi niente lungomare. E nemmeno un lungolago o un lungofiume. Forse l’ultima cosa è un bene, considerando l’attitudine all’abusivismo edilizio che tanti addusse lutti agli Achei italici (e altri ancora continua a farne).

Non ci sono percorsi o luoghi di interesse storico-artistico, a parte una chiesa settecentesca spoglia e la tomba di uno scrittore dell”800.

C’è un parco pubblico molto vasto in cui se non ci si reca per correre, di giorno, per farsi una canna in compagnia o fare robe col partner, di sera, è solo uno scenario di desolante mestizia.

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Non sembra, ma questo qui secondo un architetto doveva essere un ingresso di un parco. Foto scattata dall’interno

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La prospettiva inganna: sembra boscoso, ma c’è un albero ogni morte di papa. E questi stuzzicadenti fogliati che si vedono son lì da 16 anni. Mai cresciuti

Non c’è una vera zona commerciale né negozi tipici o caratteristici. Il commercio qui è in lento declino. Questa città è una rappresentazione in scala ridotta dell’Italia: di tradizione agricola, ha conosciuto il boom economico industriale che ha portato a un incremento demografico. Poi il “boom” ha fatto “spif” come una miccetta bagnata e negli ultimi 25 anni circa 10mila abitanti sono stati persi. E il numero dei residenti dichiarati è superiore a quello degli effettivi che realmente ci vivono.

Così, per dare un senso alle mie passeggiate, i piedi mi conducono sempre verso la libreria dove vado a leggiucchiare. È sempre un pericolo per me entrarci, perché corro il rischio di uscire comprando qualcosa anche quando il portafogli piange. Oggi ho resistito, a malincuore. Non percepire da due mesi lo stipendio è una buona leva dissuasiva (e poi mi chiedono come mai ho la gastrite).

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Tormenti amorosi e ortografici

È tutta qui una passeggiata per la solitudine del cittadino. A meno di non essere un pensionato e ritrovarsi la mattina con i propri coetanei fuori al centro scommesse a barattare la pensione con due chiacchiere e qualche azzardo.

Poi ho pensato di sbagliare io, nel cercare qui qualcosa che non c’è.

Ecco, si dice che la creatività è vedere cose dove gli altri non ne vedono. Ma ostinarsi nel cercare di vedere delle cose non è creativo. È cretino.

Una passeggiata è una buona metafora di vita.

E passeggiando impari a schivare e a subire anche schivate, come interazioni che si riducono in paradossi di Zenone: Achille era uscito per una passeggiata, forse come la mia. Trova la tartaruga ma non riuscirà mai a raggiungerla. Invece di interrogarsi sulla fisica e sulla filosofia, qualcuno ha fatto delle domande alla tartaruga? Probabilmente scopriremmo che non vuol essere raggiunta, altrimenti procederebbe in senso contrario. Sta aspettando che Achille si stanchi e capisca da solo di cercarsi un’altra tartaruga. O forse si compiace tutto sommato che il “piè veloce” si affatichi dietro la sua scia.

Non è meglio ricordarsi allora di esser felino e scomparire un bel giorno come fanno tutti i gatti? Magari c’è un Paese dei Gatti nascosto dietro una siepe, una siepe come quella che hanno divelto dal Parco perché devono sistemarci invece un vetro costato 100mila euro.

Allora non restano che i centri scommesse. Anche quelli son metafore di vita. Si vive di attese e azzardi e intanto il meglio che è nel mondo fuori scorre via senza che ci si renda conto.

Materia oscura

Entro il 4 devo consegnare un racconto per la finale di un piccolo concorso. Il racconto c’è, devo rifinirlo, aggiustare delle cose, spostare qualche virgola. Mi sento come se stessi dipingendo un quadro, mi piazzo davanti lo schermo, arretro il busto e poi, col pollice in alto, un occhio chiuso e la lingua tra le labbra, prendo le misure per vedere dove intervenire.

Il problema è che non riesco a rimetterci mano, la materia visibile del racconto è sovrastata da una materia oscura nella mia testa di cui avverto l’esistenza ma che non riesco a vedere e non posso mettere nero su bianco. E così non ho ancora sistemato nulla.

Composizione dell’Universo

Sì, è ricominciato Big Bang Theory. È il secondo post di fila in cui cito la fisica. Dovrei parlare di più invece di quell’altra cosa che inizia per fi- e termina per -a.

La filosofia, stolti!

Progetti. Li getti? A che pro?

Abbracciandomi mi hai detto “Realizza i tuoi progetti”.
Mi sono sentito come nudo e indifeso. Porca miseria, c’è quindi qualcuno che mi prende sul serio. Che ansia.

Progetti. E scorrono delle figure davanti a me.

Ho sempre avuto una mente visiva, con frasi e parole che nella mia testa vanno a ricollegarsi in modo automatico a delle immagini in base ai suoni. Riflessi pavloniani per associazione. Alcune volte tali immagini si rivelano obsolete o fuori contesto: ma ormai sono lì, fissate come scolpite nel marmo.

Per dire, io da piccolo Napoli posso dire di non averla mai vista. Mia madre e mia nonna mi portavano con loro a comprare il pesce dietro Porta Nolana o da un negozio di stoffe in qualche vicolo lì intorno; attività di cui non mi importava molto e che cancellavo dalla mente. Così per me Napoli era rappresentata dalla stazione dei treni. Sentivo “Napoli” e pensavo alla stazione, perché per me Napoli era una stazione. Non avendo visto altro era quella la prima immagine che mi si era fissata.

È così che da bambino la parola “progetto” nella mia mente si è legata a un episodio di Tom & Jerry in cui il gatto si dedicava a progettare una mega trappola per incastrare il topo. C’era questo gigantesco foglio di lavoro dove era disegnato tutto il macchinario, che funzionava con un meccanismo a domino, es. un tergicristalli puliva un vetro e il movimento metteva in moto un altro aggeggio e così via, sino ad arrivare a un orologio a cucù che sarebbe andato a tagliare una corda che reggeva una cassaforte piazzata giusto sopra il roditore.

Ecco, nella mia testa progetto è uguale a “lavagna con disegnato sopra una cosa molto complicata e articolata”.

E io adesso vedo davanti a me un foglio da disegno su cui non c’è tratteggiato molto, soltanto un foro enorme con tutto intorno scritto acqua acqua acqua. No, macché acqua, è un buco nero. E più ci si cade dentro e più non se ne vede il fondo. Le mie nozioni di fisica sono alquanto limitate, ma da quel che ricordo credo che se fosse tecnicamente possibile andare a esplorare un buco nero (restando integri) in realtà non si riuscirebbe mai a raggiungerlo, la caduta verso il suo centro sarebbe infinita.

Sono trent’anni che cado, cado e cado. Un’attività inutile, come per Tom inseguire Jerry. Che poi io quel cartone l’ho sempre odiato. Come si fa a fare di un topo un eroe? Come si può mitizzare un topo? Per lo stesso motivo ho sempre odiato Topolino. Saccente e petulante, si circonda di persone idiote, incapaci o strambe per rafforzare la propria autostima. Non ne parliamo di quando poi ne ho visto i cartoni animati: ma una voce meno stupida non poteva avercela?

Ho sempre preferito i paperi, infatti, e il maestro Carl Barks è un mio mito.

La grande capacità di Paperon de’ Paperoni è quella di riuscire a combinare istinto e progettualità. Anche se in nome del guadagno si getta a capofitto in qualunque impresa, ha sempre un piano, non si dimentica di avere un “paracadute” per assicurarsi contro i rischi. Furbizia. È la prima lezione che ha imparato nella propria vita: il suo primo guadagno in assoluto, ottenuto quando cominciò a fare il lustrascarpe, fu una moneta da 10 cent americana (la famosa Numero Uno). Una moneta alquanto inutile in Scozia. Accortosi dell’imbroglio, esclamò: Che mi serva di lezione! La vita è piena di lavori duri e ci saranno sempre dei furbi pronti a imbrogliarmi! Beh, sarò più duro dei duri e più furbo dei furbi… e farò quadrare i miei conti!

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Questo è avere una progettualità intelligente.

E tu così spontanea mi vieni a dire “realizza i tuoi progetti”.

Ti voglio bene e ti osserverò mentre realizzi i tuoi. Perché ne hai l’intelligenza.

Il mondo di Dalí (2)

(prima parte)
Seconda parte

___Il tempo non è l’unica cosa qui che non segue le regole convenzionali. Lo spazio e la fisica degli oggetti sembrano ordinati in base a parametri puramente casuali, privi di una qualsiasi logica comune. Dopo l’episodio dell’orologio, camminai per quelle che mi sembrarono ore, ma con la sensazione di non essermi mai spostato dallo stesso punto, come avessi percorso un nastro di Möbius. In altri momenti, invece, mi bastarono pochi passi per cambiare completamente scenario, passando anche dal giorno alla notte. Nel luogo in cui mi trovo non esiste un alternarsi degli astri, considerando anche che questi ultimi non sembrano affatto presenti; l’ambiente è illuminato, ma non esiste un Sole, così come l’oscurità notturna, priva di stelle, è rischiarata da un lontano chiarore non prodotto da alcuna Luna. I due momenti del giorno non si susseguono, luce e buio si raggiungono spostandosi a piedi.
___Le ombre rappresentano un altro mistero. Ho notato di avere la mia sempre alle spalle, in qualsiasi posizione io mi trovi; se mi girassi sul posto lei si sposterebbe, risistemandosi a guardia della mia schiena. Ho lasciato perdere questa stranezza dopo poco, attratto da altre curiosità. Una volta diedi con noncuranza un calcio a un ciottolo, che rotolò via per diversi metri. L’ombra, però, non si mosse via dal punto in cui il sasso in precedenza giaceva. Provai a calciare un’altra piccola pietra, ma questa invece non si spostò affatto, né io riuscii ad afferrarla con le mani. In compenso, con un paio di dita potei trascinare via l’ombra che proiettava.
___Il mondo è densamente popolato da strane creature, più bizzarre e inquietanti dei demoni mostruosi che imitavano gli amplessi di N. e del suo ex, ma totalmente indifferenti alla mia presenza. Accertatomi che non rappresentassero una minaccia, tentai più volte di stabilire un contatto, senza mai riuscire ad attirare la loro attenzione, quasi la mia presenza qui fosse insignificante. Tentai di stuzzicare con un ramo un enorme essere equino, dalla cui schiena spuntava un busto maschile – privo di testa – fuso all’altezza del ventre con il suo corpo. Lento, il cavallo si spostava su sei zampe lunghe e sottili, simili a quelle di un fasmide. Appena lo punzecchiai, l’insetto-cavallo si scompose davanti ai miei occhi in tanti piccoli cubi, via via sempre più minuscoli, fino a smaterializzarsi nell’aria.

Alla ricerca della quarta dimensione

___La prima reazione la ottenni quando mi avvicinai a uno specchio davanti al quale si muoveva, rimirandosi, una donna. Esile e alta, aveva il volto coperto da una maschera bianca, incorniciata da boccoli di capelli oro che le scendevano dalla testa. Braccia scheletriche e lunghe terminavano con dita appuntite e colorate, che faceva scorrere in modo alternato sulla maschera, tracciando scie ora cremisi, ora violetto, ora blu. Ricordava una bambina che si trastulla con i trucchi della madre per giocare a fare l’adulta. Insoddisfatta del risultato, scuoteva la testa e i segni delle dita-rossetto  in un attimo sparivano, permettendole di ricominciare il gioco della vanità. Un serpente le cingeva il busto a mo’ di corpetto, lasciando le spalle scoperte e facendosi via via più sottile intorno al collo, a formare una collana. Il fiocco di una fusciacca che le cingeva la vita si estendeva sino ad avvolgerle una coscia, per poi scendere giù a spirale sino al piede, fasciato anch’esso; guardando meglio tra le pieghe, però, non intravidi nessuna gamba al di sotto, era la stoffa stessa a farle da arto. L’altra gamba, nuda, era percorsa in lungo sino alla caviglia da una cicatrice i cui lembi non sembravano uniti.
___Mi avvicinai sino a poter sbirciare nello specchio, notando una giovane donna, di spalle, intenta a vestirsi. Un abito elegante, forse per un’occasione da celebrare. Stavo per sporgermi di più, ma la creatura smise di giocare voltandosi verso di me, mostrando due occhi luminosi tra i fori della maschera. Il serpente si slanciò per mordermi, mentre lo sfregio lungo la gamba si apriva lanciando un sibilo infernale accompagnato da vapori che non mi soffermai a inalare. Fuggii.
___Impiegai tempo – se avesse ancora un senso tale concetto – a riprendermi, scosso e sconfortato vagai tenendomi a distanza dagli specchi, per poi abbandonarmi lungo disteso a riva di un piccolo lago in cui nuotavano degli strani uccelli. Ebbe modo di riflettere. Rammentai: se esisteva un mondo di mostruosi alter ego di noi stessi, da qualche parte avrei dovuto trovare anche il mio. Dare un senso alla mia presenza in questo universo, camminare alla ricerca di me stesso e dei miei lati oscuri, una strada che potevo percorrere.
Due interrogativi spegnevano i miei entusiasmi: come avrei trovato il mio doppio in questo spazio in apparenza senza fine? E come l’avrei riconosciuto?

fine seconda parte

Donna con testa di rose (1935)