Non è che serva un solvente per staccarti dal mondo

Oggi ho portato un po’ di spesa a una coppia di amici che sono in isolamento da fine agosto. Lui è risultato positivo, ha avuto giusto qualche linea di febbre, lei invece era negativa ma si è isolata con lui. Dovevano andare a vivere insieme non prima di ottobre – la casa non era del tutto arredata ancora – ma gli eventi hanno anticipato.

Ora dirò una cosa che va presa con pinze, guanti e mascherina e virgolette (anch’esse in maschera): un po’ li invidio.

Non ovviamente per il vivere l’ansia della malattia. Neanche per il fatto di vivere insieme. Ma per l’isolamento in sé.

Non dubito che si saranno rotti i coglioni e le ovaie in questi giorni. Se non altro a giudicare dalla quantità di bottiglie di vino e birra che hanno messo nella lista della spesa. O ci prendono per il naso e stanno organizzando mega-feste di nascosto o son diventati più bevitori di quanto ricordassi. Sono certo poi che, dopo un po’, se non cominci a fare pizze e torte inizi a sperimentare passatempi alternativi, tipo ascoltare una compilation di suoni di cani che si leccano.

Però lo staccarsi da tutto penso non sia così malvagio.

Sono sicuro che un no mask-negazionista direbbe che sono un altro schiavo che si farebbe iniettare i chip del 5G nella scia chimica e che vorrebbe venir rinchiuso dal complotto di Bill Gates.

Io invece chiedo: perché, il correre di qua e di là, le scadenze, le pressioni, il lavoro, il non lavoro, il traffico, il tempo, la mancanza di tempo, sarebbero invece la libertà?


Oh, beninteso, nessuno vorrebbe trovarsi costretto a stare chiuso in casa, questo l’abbiamo sperimentato tutti e speriamo di non ripeterlo. Né è bello essere costretti a non poter vedere nessuno*. Io mi riferisco soltanto – prendendo spunto dall’episodio – al godersi un diritto al distacco, al potersi prendere una pausa dal mondo.


* Che poi, anche su questo: in certi casi non vedere nessuno manco male fa.


 

Non è che per un ballo in maschera devi prendere quella chirurgica

La proprietaria dell’enoteca ha voglia di chiacchierare. Io avevo solo chiesto un’informazione. «È ora di riaprire» dice, «Voglio tenerci chiusi solo per vendere il vaccino». Capisco, le dico. Lei sembra non badare a me e prosegue argomentando che regole e restrizioni sono solo finalizzate a venderci cose. «I disinfettanti. Questi dispenser di igienizzante».

Ché, giustamente, tra tutte le cose che potrebbero venderci, perché non organizzare una bella quarantena per dei dispenser?

Ha ragione, vorrei dirle. Il culo l’hanno infatti inventato per venderci la carta igienica, vorrei proseguire.

Tutto quel che mi vien fuori invece è un accenno di sbadiglio, che lascio sfuggire ben protetto dalla mascherina, stando attento a non tradirmi con la parte superiore del viso. Io non so se gli occhi siano lo specchio dell’anima, di sicuro sono lo specchio di quanto te ne freghi. Un osservatore ben attento potrebbe anche scoprire che espressione stai facendo sotto quel pezzo di garza e tela che porti appeso alle orecchie.

E lì ho provato un brivido. Il piacere di fare qualcosa un po’ sconveniente, ben nascosto in mezzo alla gente. La mascherina è un’allegoria dell’oscenità. C’è chi, per sfida e sfregio, si mostra a bocca e naso scoperti, dando sfogo a tendenze esibizionistiche. Chi invece è molto ligio e pudico e ti fa segno di coprirti, perché nel girare il capo ti è uscito il naso fuori. L’ultima volta che mi ero vergognato per qualcosa che era uscito fuori ero al mare e indossavo dei bermuda.

Bocca e naso come le pudènda.

La mascherina oggetto feticistico. Già immagino modelli più elaborati, fatte di sole striscioline di tessuto che occultano giusto gli orifizi, lasciando quel gioco di contagio/non contagio che lascia poco all’immaginazione.

Abbassati la maschera suonerà osceno e intimo.

Ma soprattutto noi annoiati cronici sbadiglieremo sommessamente senza che gli altri se ne accorgano. Mi sento già tutto preso dall’eccitazione.

Non è che per spostarti devi avere una buona Regione

Lo sapevate? Siamo in piena Fase 2, il che vuol dire che riguardo le cose che si possono fare, ci sono 3 opzioni:

  1. È possibile
  2. Non è possibile
  3. È impossibile.

Questa è una citazione, bravo chi indovina.


Già, ma in concreto cos’è che si può fare?

Ci penso io a fare chiarezza.

D: Posso riprendere la mia attività di escort d’appartamento?
R: Sì ma si può consumare solo da asporto.

D: Posso andare a prendere il mio cambio di vestiti estivi che ho lasciato in un’altra Regione? Siamo a maggio e ho solo maglioni di lana di alpaca.
R: Puoi mandare un tuo maglione che immagino dopo tutto questo tempo ormai cammini da solo.

D: Posso aprire un negozio?
R: Credo che saresti incriminato per effrazione.

D: Si può praticare del sesso orale?
R: Solo con la mascherina.

D: Sono un prete. Posso andare a sposare una mia amica in un’altra Regione?
R: Credo che il celibato ecclesiastico non sia ancora stato abolito.

D: Devo consegnare un anello, posso spostarmi?
R: Solo se sei Frodo.

D: Posso portarmi a casa una persona che ho appena conosciuto?
R: Sì però il giorno dopo va regolarizzata con almeno una proposta di fidanzamento.

D: Come si fa a capire quando c’è un assembramento?
R: Se alzi un braccio e la gente si sposta vuol dire che eravate troppo vicini, tal da sentire la tua ascella.

D: Potrà riaprire il circo? Ero un lanciatore di coltelli e ora sono fermo.
R: Non possono riaprire al momento. Tu però potresti specializzarti in taglio di capelli a distanza.

D: Posso portare mia suocera fuori?
R: Sì ma mettile guinzaglio e museruola.