Non è che serva un osteopata per curare l’indice di ascolto

Ci sono momenti in cui la testa mi va in black out, come se andasse via la corrente e gli omini che lavorano nel cervello – dalle sembianze degli esserini di Esplorando il corpo umano – non possono far altro che fermarsi e incrociare le braccia.

Ad esempio sabato mattina ho avuto due interruzioni di corrente, ravvicinate.

Vado in posta a ritirare un pacco in giacenza. C’è un sacco di gente in fila per bollette e operazioni finanziarie. Il direttore mi vede con lo scontrino e visto che sono il solo a dover ritirare mi fa Dammi qua. Controlla lo scontrino, va da una collega allo sportello di fianco e poi se ne va facendo Vieni vieni. Io lo seguo, nello smarrimento della collega allo sportello e di un paio di persone che assistono alla scena: il “Vieni vieni” era da intendersi “Vieni allo sportello” non “Vieni dietro di me”.

Scena successiva, in piscina. Leggo un avviso che avvisa (che avviso sarebbe altrimenti se non avvisasse?) che da luglio cambiano i turni e si accede solo lun-mer-giov.

Mi rivolgo al tizio della reception:

– Scusi, oggi non si entra quindi? Ho visto l’avviso…
– I turni cambiano da luglio
– Eh, oggi è 1° luglio
– Oggi è 30 giugno
– Ah

Va tutto bene, mi dico. Una volta entrato in acqua posso non pensare a niente per 45 minuti e uscirne rigenerato.

Pronti-via e do un violento calcione al cordolo di plastica della corsia. Col mignolo. Ho passato il resto del sabato a zoppicare. Decisamente non era giornata.

Approfittando del forzato riposo pomeridiano ho però fatto una riflessione, ispirata da un tormentone dei mesi scorsi che ho sentito ritrasmettere in radio. La canzone, di Francesca Michielin (o Michela Franceschin), nel ritornello recita:

Queste cose vorrei dirtele all’orecchio
Mentre urlano e mi spingono a un concerto
Gridarle dentro a un bosco nel vento
Per vedere se mi stai ascoltando
Queste cose vorrei dirtele sopra la tecno
[…] Voglio vedere se mi stai ascoltando

Io mi sono chiesto: che sfizio del piffero è parlare quando non ti posso sentire perché “Voglio vedere se mi stai ascoltando”? È come se io spegnessi la luce e comunicassi a gesti perché “Voglio vedere se mi stai guardando”. È come se ti scrivessi un biglietto e poi gli dessi fuoco perché “Voglio vedere se mi stai leggendo”.

Eppure, c’è tanta gente che a volte si esprime in modo poco comprensibile e si offende anche se non viene capita. Questa cosa mi è capitata con le donne. Si offendono quando pensano che tu non le stia ascoltando, come dice Micesca Franchielin nella canzone. Magari non ho sentito semplicemente perché c’è troppo rumore o perché parli a voce bassa, non perché non voglio prestarti attenzione, cara Micesca!

A volte ho avuto il dubbio di star perdendo l’udito, peccato che l’otorino abbia detto il contrario.

Ma forse non ho capito bene cosa mi abbia detto perché non stavo ascoltando.

Non è che il cinefilo ami la Domopak perché produce buone pellicole

Non vado molto al cinema, inteso come multisala. Soprattutto da quando ho maturato la convinzione che molte cose in circolazione non valgano il denaro speso.


Fatta eccezione per i nuovi film di Star Wars.


Che, detto per inciso, sono una mossa per cavar denaro.


Preferisco le piccole sale e le proiezioni riservate a pochi appassionati.

Ho così dimenticato, fino a ieri, come sia trovarsi al cinema in una grande sala piena di ragazzini. Che siano tanti o pochi inoltre fa poca differenza: 3 ragazzini o 50 producono la medesima quantità di rumore e lo stesso livello di fastidio negli altri spettatori.

Mi sono reso conto che l’irritazione in questi frangenti è una cosa abbastanza comune e che quella dei ragazzini al cinema sia una vera e propria piaga sociale sottovalutata dai media e dalla politica. Anzi, i poteri forti ci raccontano una realtà distorta: parlano da anni di bassa natalità nel nostro Paese, allora com’è che dovunque mi giri io trovi ragazzini?

Ho pensato quindi a una lista di soluzioni per ovviare al problema del fastidio prodotti dai ragazzini al cinema.

1) Dedicarsi a generi alternativi che – inspiegabilmente – non incontrano il favore del pubblico dei giovanissimi e quindi azzerano il rischio di aver a che fare con loro. Ad esempio, andare a vedere solo produzioni di nicchia di registi uzbeki che con un piano sequenza di 3 ore raccontano la malinconia delle notti nel deserto del Kyzyl Kum mentre un passero giace stecchito sotto l’ombra che una roccia proietta alla luce lunare e il protagonista un umile coltivatore di capre e allevatore di cavoli si suicida per non assistere più al dolore della figlia con le adenoidi.

2) Creare nei cinema sale apposite per under 18 dove poterli confinare coi loro simili.

3) Istituire la “Tessera dello spettatore”: chi viene sorpreso a dar fastidio verrà squalificato e gli verrà proibito di andare al cinema per un determinato periodo di tempo.

4) Aggiungere sedativi alla bibite servite ai ragazzini al bar del cinema. Potenti sedativi.

5) Distribuire occhialini 3D che oscurano la visuale quando chi li indossa disturba.

6) Installare poltrone intelligenti che al primo segnale di intemperanza infilino un calzino sudato – di quelli di spugna che si impregnano bene e fanno da terreno di coltura di batteri – nella bocca del disturbatore.

Nella prossima occasione parlerò dei rimedi contro quelli che, siano giovani o adulti, tirano fuori il cellulare durante la proiezione. +++SPOILER: un cecchino appostato in sala che fredda il telefono appena si illumina! Quello che succede è incredibile!+++

Non è che il sarto parli con un filo di voce

Oggi sono stato a casa dal lavoro.

Una frase che non mi suona corretta. “dal lavoro”, come se il mio posto solito di appartenenza debba essere il lavoro e tutto il resto delle mie attività siano un’alternativa al lavoro e qualunque altra cosa io faccia sia lontana “dal lavoro”. È questo che il capitalismo e i Carlo Conti della società vogliono farci credere, insieme al fatto che la cellulite sia una malattia e che il foglio di alluminio si debba usare col lato opaco all’interno o forse era il contrario.

Oggi quindi ero a casa.

Dieci minuti dopo aver avvertito BB (non Brigitte Bardot), il Tacchino mi ha scritto un messaggio. Ciao, puoi lavorare da casa?.

Gli ho telefonato con la mia voce del moribondo. La voce del moribondo è una cosa che nasce nel petto e matura nella laringe prima di esprimersi all’esterno. È importante la fase di maturazione laringea, la voce deve invecchiarsi il giusto per dar la sensazione desiderata.

Esistono vari livelli di moribondo, a seconda del tipo di malanno che ci si vuol attribuire.

– Livello discorso di compunto cordoglio generalista politico: una lieve indisposizione;
– Livello cantante improvvisato che al karaoke si cimenta con Rino Gaetano e si risveglia il giorno dopo con la raucedine: febbre/mal di gola;
– Livello Barbara d’Urso che commenta la tragedia di una famiglia sterminata da un editoriale di Selvaggia Lucarelli: malaria/tubercolosi;
– Livello calciatore rantolante sul manto erboso che si tiene una mano sul volto e una sul ginocchio sbagliato perché quello colpito è l’altro: prossimità alla morte.

Dicevo, gli ho telefonato dicendo che ero malato avendo un gomito che mi faceva contatto col piede e un attacco di congiuntivo da cui cercavo di guarire assumendo compresse di Cremonini e che, no, non potevo lavorare da casa non avendo accesso al server, perché non server a nienter.

Essendo lui un individuo che ha l’ansia come uno che per l’ansia che si rompano i preservativi durante l’atto li rompe lui stesso prima per tranquillizzarsi, mi ha detto Bene allora manda una mail a tutti in cui spieghi i progetti in corso le cose da fare e bla bla bla.

Io ho scritto alla Castora su Skype due righe velocemente e poi ho spento tutto e mi sono rimesso sotto le coperte a giocare con lo smartphone e ad autodiagnosticarmi dell’olio di palma su Google.

Oggi, comunque, ho fatto una scoperta: la casa durante la mattinata fa dei rumori diversi.

Sono abituato ai rumori di casa mia – scricchiolii, mobili che “tlaccano” (cioè che fanno tlac) – ma sono i rumori della sera o i rumori del weekend. I rumori della mattinata non li avevo mai ascoltati o non ci avevo fatto caso mai per bene.

All’inizio al primo rumore improvviso mi ero preoccupato e stavo quasi per sparare, ma non conosco le leggi ungheresi in materia e, oltretutto, anche se fuori era nuvolo c’era comunque luce.

Anche voi avete scoperto le vostre case fare rumori diversi quando le avete sorprese in orari non abituali?

Non c’è bisogno di essere una gran-de-mente per essere Miss Italia

La vicenda di Mi-si-taglia mi fa tornare alla mente un episodio accaduto durante un colloquio di lavoro di gruppo. Eravamo chiamati a presentare un tema (a scelta tra una rosa di 6) ed esporlo in 2 minuti.

Si alza una tizia. Tema: Il personaggio storico che avrei voluto incontrare.

– Io avrei voluto conoscere Hitler. (Pausa)
Attimi di smarrimento nell’aula. Bussano alla porta: Salve, sono Mr Gelo, calo su di voi.
La tizia, freddata dalla reazione, cerca di riprendersi.
– Sì…Per fargli capire tutto il male che stava facendo, per dirgli guarda, fargli vedere i bambini…


(Giustamente il buon Adolfo non aveva ben chiaro cosa stesse accadendo. Lui voleva solo fare il pittore)


Seconda candidata. Tema: L’invenzione che avrei voluto inventare.

– Io avrei voluto essere quello che ha inventato il trolley. (Pausa)


Secondo me è la pausa in cui si aspetta l’effetto che hanno le nostre parole sugli altri a fregare. Bisogna andar dritti come uno che vede il giallo al semaforo e cerca di farcela prima che la scure del rosso si abbatta su di lui.

Io non lo faccio mai, io rispetto i semafori, non ho nulla contro di loro anzi ho molti amici che fanno i semafori.


Occhiatine  divertite tra il pubblico.
– Sì…perché comunque cioè mettere le ruote a una valigia è una bella idea…

Questo per dare l’idea che a volte le cose sono molto sopravvalutate. E poi in fondo è Miss Italia, mica la selezione del MENSA.

Tutto ciò mi ha dato degli spuntini di riflessione (sono quei pensieri che ti vengono a metà mattinata o a metà pomeriggio): quando avrei voluto vivere?

Ieri pomeriggio avrei voluto vivere nell’epoca in cui veniva inventato il tempismo.

Da qualche parte a Roma – ore 14:55
Arrivo dove dovevo arrivare (cosa molto difficile perché spesso mi trovo dove non vorrei arrivare) e mi siedo. Mi leggo il mio Rumore Bianco – che non è una metafora criptica come a dire “Ascolto i colori della terra” o altre fabiovolate simili ma sto leggendo Rumore Bianco di DeLillo -, attendo l’arrivo di Tutor.

Nell’ultima settimana la stavo osservando con attenzione. Mi è sempre parsa una persona interessante, saranno quei ricci un po’ ribelli o il fatto che è una nanerottola e, quindi, un po’ svampita.


Da qualche parte nel blog avevo esposto la mia teoria secondo la quale le nanerottole sono tutte un po’ svampite. Pensiero corroborato da esperienze reali.


È comunque una persona con la quale è piacevole parlare e, soprattutto, con cui non devi limitarti a commentare il tempo.

Così, baldanzoso e anche un po’ Baldan Bembo (cantando Tu cosa fai stasera?), mi prefiggo lo scopo di invitarla a prendere una birra qualche volta. Non è impegnativo e non è fuori luogo.

Da qualche parte a Roma – ore 15:05
Lei arriva. Chiudo Rumore Bianco.
– Ciao!
– Ciao!
– Eh, non ci siamo però. È la seconda volta di fila che arrivo prima di te.
– Eeeh (sposta gli occhi di lato, sorride con la bocca semiaperta, gli zigomi si gonfiano e si irrorano leggermente di sangue)…


È sorprendente la mimica facciale. In una frazione di secondo accadano un sacco di cose che sfuggono al nostro controllo. Prima di pensare di sorridere lo stai già facendo.


– …Diciamo che prendo il caffè con qualcuno (ora sorride mostrando i denti, bianchissimi).
– Aaaaah (belando)…


Il belato è il tipico suono dell’imbarazzo. Un po’ come quando vi trovate in un luogo e incontrate una persona che non vorreste incontrare e non potete fare finta di evitarla. Allora vi esce fuori un “Ciaaaooo” stiracchiato e belato.


– …Allora sei giustificata, dai.

Sono passato poi a guardare nel mio rumore bianco.