Non è che stai facendo allusioni se parli di buchi neri

Sono tornato in telelavoro – volontario in quanto non siamo obbligati ma tanto se in sede non ci va nessuno non sarò certo io a presentarmici – e, devo confessare, oggi non ho concluso nulla. Non che ci fosse tanto da fare, ma comunque mi sento come se mi fossi fatto i casi miei per 8 ore col pc acceso.


Che è in effetti ciò che è avvenuto.


In questa modalità non riesco a darmi una routine, un’abitudine, come è con l’andare in ufficio, attaccare e staccare per poi tornare a casa. Sono diventato un umano da cartellino.

Chiariamo, lavorare da casa ha tanti vantaggi, come lo svegliarsi 5 mn prima dell’orario in cui accendere il pc e rispondere alle mail mentre ancora ci si sta amichevolmente grattando i gioielli post risveglio.

Ma, sarò sincero, su altri aspetti preferisco andare in ufficio.

Non mi lamento per carità, avendo ancora un posto di lavoro cui far riferimento e dove andare.

Intorno a me vedo gente che chiude, abbassa serrande, dice basta.

Non mi lamento.

Perché poi vedi o senti delle cose e a te viene un buco nero in petto in cui vorresti farti collassare come una stella morente per pura vergogna perché magari prima di uscire di casa stavi bestemmiando per il rubinetto che gocciolava e pensavi che la vita ti volesse punire per solo sadico diletto.

È una roba strana, da una parte ho le ansie di cui non riesco a parlare a nessuno che mi sembrano come quelle fastidiose alghe che quando esci dal mare te le ritrovi tra le dita dei piedi, tu ci provi a evitarle ma poi ce le hai addosso e ti viene lo schifo e scuoti il piede ma quella resta attaccata.

E quelle alghe sono lì anche nella tua testa e nel petto e nel cuore e nello stomaco e l’unico momento in cui riesco a scrollarmele è quando si apre il buco nero che mi risucchia, quindi devo scegliere tra sentirmi avviluppato tra tutte le mie paure e le mie paranoie e farmi invece ingoiare dal buco nero per aver solo pensato di avere dei problemi.


Che poi non è che uno scelga realmente, accade e basta.  Oh comunque non è sempre così, ci stanno pure momenti di sana serenità in cui frega un cazzo di niente perché uno si sente bene e basta.


 

Non è che serva un osteopata per curare l’indice di ascolto

Ci sono momenti in cui la testa mi va in black out, come se andasse via la corrente e gli omini che lavorano nel cervello – dalle sembianze degli esserini di Esplorando il corpo umano – non possono far altro che fermarsi e incrociare le braccia.

Ad esempio sabato mattina ho avuto due interruzioni di corrente, ravvicinate.

Vado in posta a ritirare un pacco in giacenza. C’è un sacco di gente in fila per bollette e operazioni finanziarie. Il direttore mi vede con lo scontrino e visto che sono il solo a dover ritirare mi fa Dammi qua. Controlla lo scontrino, va da una collega allo sportello di fianco e poi se ne va facendo Vieni vieni. Io lo seguo, nello smarrimento della collega allo sportello e di un paio di persone che assistono alla scena: il “Vieni vieni” era da intendersi “Vieni allo sportello” non “Vieni dietro di me”.

Scena successiva, in piscina. Leggo un avviso che avvisa (che avviso sarebbe altrimenti se non avvisasse?) che da luglio cambiano i turni e si accede solo lun-mer-giov.

Mi rivolgo al tizio della reception:

– Scusi, oggi non si entra quindi? Ho visto l’avviso…
– I turni cambiano da luglio
– Eh, oggi è 1° luglio
– Oggi è 30 giugno
– Ah

Va tutto bene, mi dico. Una volta entrato in acqua posso non pensare a niente per 45 minuti e uscirne rigenerato.

Pronti-via e do un violento calcione al cordolo di plastica della corsia. Col mignolo. Ho passato il resto del sabato a zoppicare. Decisamente non era giornata.

Approfittando del forzato riposo pomeridiano ho però fatto una riflessione, ispirata da un tormentone dei mesi scorsi che ho sentito ritrasmettere in radio. La canzone, di Francesca Michielin (o Michela Franceschin), nel ritornello recita:

Queste cose vorrei dirtele all’orecchio
Mentre urlano e mi spingono a un concerto
Gridarle dentro a un bosco nel vento
Per vedere se mi stai ascoltando
Queste cose vorrei dirtele sopra la tecno
[…] Voglio vedere se mi stai ascoltando

Io mi sono chiesto: che sfizio del piffero è parlare quando non ti posso sentire perché “Voglio vedere se mi stai ascoltando”? È come se io spegnessi la luce e comunicassi a gesti perché “Voglio vedere se mi stai guardando”. È come se ti scrivessi un biglietto e poi gli dessi fuoco perché “Voglio vedere se mi stai leggendo”.

Eppure, c’è tanta gente che a volte si esprime in modo poco comprensibile e si offende anche se non viene capita. Questa cosa mi è capitata con le donne. Si offendono quando pensano che tu non le stia ascoltando, come dice Micesca Franchielin nella canzone. Magari non ho sentito semplicemente perché c’è troppo rumore o perché parli a voce bassa, non perché non voglio prestarti attenzione, cara Micesca!

A volte ho avuto il dubbio di star perdendo l’udito, peccato che l’otorino abbia detto il contrario.

Ma forse non ho capito bene cosa mi abbia detto perché non stavo ascoltando.

Non è che il blocco note sia il divieto di diffondere musica

Ho acquistato un piccolo taccuino con penna incorporata, investendo ben 1 € da Tiger. Carta riciclata perché ho una coscienza. Carta riciclata probabilmente impastata da un bambino bengalese.

Ho deciso di portarlo sempre con me e provare a prendere nota di tutto ciò di cui prenderò nota.

Ho deciso di portarlo con me ed evitare di tenere a mente quel che devo ricordare.


In genere prendo appunti solo mentali. La memoria mi ha sempre funzionato bene. Soltanto che, per evitare di dimenticare ciò che ho mentalmente appuntato, le cose continuano a girarmi in testa e rimescolarsi e venire su come dopo aver mangiato la peperonata. Voglio quindi verificare se, scrivendole, io riesca a scaricarle dalla testa e ad avere la mente più libera.


Ho deciso di portarlo con me e fingere che mi interessi ciò che mi stanno dicendo tanto da prenderne nota.

È vero che potrei segnar le cose con il cellulare. Purtroppo su alcuni aspetti sono conservatore. Antico. Vecchio dentro.


Seppur una cassiera di Mercato Trionfale due giorni fa porgendo una bottiglietta si è riferita a me esclamando Questa è der ragazzetto. Non so se una persona debba offendersi o inorgoglirsi, in questi casi. Ma per quel poco che ho imparato da Roma ho capito che in realtà, così come qui a Napoli, ci sono cose che non bisogna chiedersi. È così e basta, non c’è giusto, sbagliato, brutto, bello, nero, bianco: Napoli e Roma sono fenomeni quantistici, dove tutto è niente e niente è tutto.


Le cose scritte a mano sono le migliori – Dinosauri conservatori contro la modernità

Ad esempio non mi trovo bene con gli ebook e credo che continuerò ad avere libri cartacei.

Ho deciso inoltre che la prossima casa in cui traslocherò dovrà avere un giradischi perché Spotify mi ha stancato.

Le persone hanno bisogno di un’àncora di sicurezza. Io ho bisogno di un ancòra. Che qualcosa ancora ci sia. Che qualcosa ancora prosegua.

Ho ancora dei posti miei.

Ho ancora delle persone vicino.

Ho ancora degli insegnamenti da ricevere.

I Melvins ancora fanno uscire dischi.

Tutto ciò è rassicurante. E degno di nota.

Non è che il parroco non percepisca i contributi perché lavora in nero

– Posso chiamarti su Skype?

È un messaggio da parte di CR. Io dico di sì e 5 minuti dopo chiama, con la videocamera accesa.

– Come mai non ti vedo?
– Ehm…non sono presentabile.

Ero in mutande, l’occhio vitreo e i capelli incollati sulla fronte. E il cuscino attaccato ai capelli.


A volte mi sento in colpa per utilizzare il telefono in condizioni troppo casalinghe, come quando rispondo mentre son nudo, appena uscito dalla doccia. E penso che non vorrei lo facessero quando telefono io, a meno che non siano donne. Ma una volta a una ragazza che mi aveva detto di esser in bagno chiesi, con voce bassa e profonda “Sei appena uscita dalla doccia?” – inarcando anche le sopracciglia che chi è al telefono ovviamente non vede ma che intuisce lo stesso – e mi sentii rispondere “No, sto sulla tazza da un’ora”.


“Ben mi sta”, pensai.


Mi aggiorna su un po’ di situazioni interne lì nella società, dice che le manco e che avrebbe tanto voluto assaggiare il mio cannellone. Ebbasta!, penso nella mia testa.


Per chi si fosse perso il precedente cui fa riferimento il doppio senso (mio, non suo): clic


Io so già che il motivo per cui mi ha chiamato non è per fare due chiacchiere o per fare riferimenti ambigui senza volerlo.

Sin da quando me ne sono andato ha sempre detto che avrebbe voluto ci fosse un modo per farmi ritornare. E così stava spingendo all’interno della compagnia affinché si facesse uno sforzo economico in tal senso.

Come si vedrà in seguito, “sforzo economico” è stato inteso non come intervento finanziario ma come “azione con il minor dispendio di risorse”.

Questo era stato già ben chiaro nei giorni antecedenti la telefonata di CR.

Una prima ipotesi che mi era stata illustrata in modo molto vago, al suon di “Ma che ne penseresti di…?” è stata quella di tornare lì, ma senza contratto. In pratica, io avrei lavorato per loro, poi una società terza – che fa questo di professione, evidentemente – avrebbe preparato una fattura di consulenza per la mia società, la quale avrebbe versato il dovuto a tale società terza, che poi mi avrebbe pagato in contanti, trattenendo un 6% perché nessuno lavora gratis.


A parte gli stagisti, ma lo stagista nasce per essere angariato. Altrimenti che gusto c’è ad averne uno? Stavo pensando quest’estate di prenderne un paio per farci giocare i gatti.


Ricapitolando: A (mia società) tramite bonifico paga B (società terza) che pagherà G (io) sottobanco trattenendo un 6% di una cifra non certo da favola.


Quale sarebbe la convenienza per A nel fare ciò è molto semplice da spiegare: in primo luogo, pagando la società B non evaderebbe le tasse e in secondo luogo c’è il vantaggio fiscale rispetto al dover pagare invece direttamente un dipendente contrattualizzato.


Dopo averci pensato a lungo, durante tutto l’arco di tempo in cui pulivo la lettiera del gatto e mi interrogavo sulle proporzioni della “produzione” rispetto alle dimensioni del felino – sarebbe come se un umano producesse quanto un rinoceronte –  sono giunto un parere unanime tra me, me stesso ed io sulla proposta:

Dopo aver detto a CR di provare a tradurre in ungherese la mia risposta a chi di dovere, sono rimasto in attesa di qualche nuova ipotesi sul mio futuro.

Ed è così che arriviamo alla telefonata dell’altro giorno.
CR mi informa che ha messo alle strette la Triade che attualmente guida la società, che sarebbe composta dal Capo, che a luglio andrà via, dalla Capa dell’ufficio finanziario e da quello che da luglio diventerà il nuovo Capo. Un bel gruppo di teste, insomma.

Dopo che CR aveva perorato la mia causa e aveva chiesto uno sforzo economico per assicurarmi un ritorno alle loro dipendenze, la risposta è stata che, sì, loro hanno proprio intenzione di esser economici e che quindi preferirebbero avere come risorsa aggiunta un ungherese. Possibilmente neolaureato, ancor meglio se studente in corso.

Ho ringraziato CR per averci provato e le ho rinnovato i miei attestati di stima nei suoi confronti, come collega e come amica. E le ho dato un ultimo compito, cioè di tradurre in ungherese questo:

Brutte Strisce #5

Al nostro amico azzurro conico non gliene va bene una!

striscia05

NOTA: La ragazza credo sia venuta carina. Penso che le chiederò di uscire, però le offrirò soltanto una Coca Cola.

NOTA 2: I cocci del bicchiere di birra non sono disegnati, sono veri cocci trasformati in disegno col fotoritocco. Tutto il resto è totally handmade, compresi gli occhi della fanciulla di cui vado fiero. C’è un retroscena per questo. 15 anni o poco meno fa, mi misi in testa di imparare a disegnare manga. Impresa tutt’altro che semplice, non avendo io alcuna inclinazione per il disegno.

Comprai il primo volume di un libro-guida sull’argomento. Dopo aver imparato a creare gli occhi, di qualsiasi tipo e misura, con ore e ore di esercizi, lasciai poi perdere il resto per dignità. Non so disegnare manga ma per i disegni del menga, come direbbero a Milano, ho…occhio!


A tutto il resto ci pensa Photoshop.


Anche il bicchiere pieno di birra non è venuto tanto male: che sia frutto di tutto l’esercizio fatto nel berle?


 Per chi volesse vedere le prove tecniche:
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Non è che per uno schiaffo il maiale porga l’altro guanciale

Come accennavo nel precedente post, CR è tornata ad avere paturnie sentimentali. Questa è la conversazione che abbiamo avuto venerdì.

G: Ciao!
CR: Ciao Gintoki!
G: Allora, l’Ingrugnito ha trovato finalmente casa, eh?
CR: Lasciamo stare, sono due giorni che non ci parliamo.


(nel frattempo, all’interno della mia testa)
COMANDO 1 A SQUADRA ALPHA: RITIRARSI, È UNA TRAPPOLA! RIPETO, RITIRARSI!


G: Congratulazioni! Avete trovato il segreto per una coppia felice. Ora non vi resta che non parlarvi per i prossimi 30 anni almeno e starete benissimo insieme come tante coppie sposate.


COMANDO 1 A SQUADRA ALPHA: OTTIMA MANOVRA DIVERSIVA


G: Comunque, come mai? Cosa è successo?


SQUADRA ALPHA! NON IN QUELLA DIREZIONE! RISPONDETE!


CR: Lui mi fa innervorsire. Va bene io sono fatta in un certo modo e sono pure cagacazzo, ma non è possibile che…


COMANDANTE, LA SQUADRA ALPHA È CADUTA NELL’IMBOSCATA


CR: …ogni volta debba sempre dirgli cosa fare o cosa non fare. Non capisco perché gli uomini debbano essere così immaturi.
G: Beh, ma non siamo tutti così, dai. Ti invito a correggere quest’affermazione o ti terrò il muso tutto il giorno.
CR: Per esempio, è mai possibile che finalmente trova una casa che gli va a genio e la prima cosa che fa è chiamare gli amici per farli venire a vedere? Stavamo ancora parlando con la proprietaria, manco aveva messo piede che deve chiamare i compagni suoi? Ti pare?
G: Molto scortese. Poteva almeno organizzarsi prima per accoglierli con bibite e qualche salatino invece che a mani vuote.
CR: E poi uno dei due amici viene col cane. E lui senza problemi fa: Sì sì entra, entra.
G: Mah, a casa mia se mi garantisce che è pulito e non sporca, il cane può anche lasciar entrar dentro l’amico per non lasciarlo fuori.
CR: E poi quando finalmente gli amici hanno detto che la casa è un buon affare, lui si è convinto. Quando lo dicevo io sembrava che non mi ascoltasse nemmeno. Ti pare giusto che uno non ti dia retta quando parli?
G: Scusa ero distratto a togliermi del cerume dall’orecchio e non ti stavo seguendo.
CR: Ma poi non è solo questo, io mi sono scocciata di dover stare sempre a riprenderlo, come con un bambino. Non voglio trovarmi, se avremo un figlio, a doverne poi gestire due.
G: Vedila così, se avrete un figlio avrai già un buon allenamento alle spalle. Sai quanta ansia da madre e quanto Xanax potresti risparmiarti?
CR: E poi un’altra cosa che mi irrita è che si giri sempre a guardare le altre. Sai che dice lui? Eh ma noi maschi siamo bestie, che ci vuoi fare. Non so più come farglielo capire che mi dà fastidio. Ho provato a fare finta di niente, a prenderla sul ridere, ad arrabbiarmi.
L’ho preso pure a schiaffi!
G: No, questo non va bene. Potrebbe crearti problemi con la Protezione Animali.
CR: Pure domenica scorsa, stavamo a pranzo dai miei parenti e lui che commentava mia nipote di 19 anni.
G: Ha un futuro da Presidente del Consiglio.
CR: Sai cosa mi preoccupa? In lui vedo gli stessi atteggiamenti di mio padre.
G: C’era uno psicanalista austriaco che ti avrebbe trovata interessante.
CR: E comunque io sono stanca.
G: Sapessi io.
CR: Come dici?
G: Che comprendo la tua frustrazione e il tuo scoramento.
CR: Comunque, tu come stai?
G: Ho la colite. Mi piglia sempre quando sto nervoso.
CR: Eh sta girando questa influenza.
G: Già, è veramente brutto quando parli e non ti ascoltano.

Non è che se ti perdi in un romanzo russo sei in un vicolo Čechov

Delle volte mi ritrovo, cogitabondo, allegro come un dipinto nero di Goya.


Las pinturas negras (le pitture nere), sono una serie di dipinti che Francisco Goya realizzò, tra il 1819 e il 1823, nella sua abitazione, da lui denominata Quinta del sordo. I dipinti, realizzati direttamente sull’intonaco delle mura della casa, sono caratterizzati da temi macabri e angoscianti, oltre che dalla predominanza di colori quali il marrone e il nero.


Rivango il passato. Sono un mezzadro di pensieri.

Rivedo cose che ho perso. Cose che non ho fatto. Cose che ho fatto e potevo non fare. E il tempo non si può riavvolgere: ci vorrebbe una penna BIC enorme.


Una cosa che i nativi dei ’90 non hanno conosciuto:


Va da sé che era una gran rottura. Il romanticismo nostalgico per alcune cose del passato è delle volte ingiustificato. Per non parlare della improvvida smagnetizzazione della musicassetta o del walkman che, quando le pile stavano per esaurirsi, cominciava a girare a velocità ridotta trasformando Jon Bon Jovi in un canto gregoriano.


A volte mi sento perso come un personaggio di un romanzo russo.


Sì, L’Idiota.


Irrequieto, turbato, incline a un esaurimento per una forte emozione. E con la voglia di scaldare acqua in un samovar.


Che fine ha fatto la letteratura russa, oggi? Credo dopo Arcipelago gulag di Solženicyn non sia salito più nulla alla ribalta letteraria. Che non ci siano più autori di qualità (considerando ciò che si vede pubblicato, mi sembra difficile pensare che in un Paese esista un livello così scadente da non varcare i confini nazionali)? Che non vengano tradotti?


Tanto per cambiare, il giorno seguente questi rivolgimenti cerebrali – che già andavano avanti da qualche giorno – mi sono poi svegliato con la colite. Testa e corpo sono collegati e il malessere dell’una si riflette sull’altro. Dicono che abbiamo un secondo cervello nell’intestino.


Anche se credo alcune persone abbiano un secondo intestino nel cervello.


Quando ero bambino il dolore era tale che mi costringeva a stare piegato in due tutto il giorno. A volte mi piegavo anche in quattro. Ero un bimbo cubista.

Ora da adulto provo sollievo se tengo le mani premute sull’addome. Solo che se mi affaccio al balcone pensano che voglia spezzare le reni alla Grecia.

Non sono andato al lavoro. Tanto siamo inattivi, in questi giorni, mancando richieste.


E poi avrò tutto il tempo di questo mondo per andarci ancora. Almeno sino a 75 anni, dicono, ma io ambisco ad arrivare oltre. Non mi avranno mai come pensionato: a costo di vivere 90 anni, lavorerò sino all’ultimo respiro. Devo solo trovare il modo di farmi fare Papa.


Al mio ritorno quest’oggi in ufficio, ho trovato CR preda anch’essa di turbe mentali. Ha litigato con l’Ingrugnito e quindi ho ascoltato per un’ora le sue paturnie sentimentali.

Sono sempre disponibile per fornire un supporto. Soprattutto quando non ho vie di fuga.

Ho deciso che nel prossimo post condividerò quelli che sono stati i pareri che le ho fornito: chissà che non possano venir utili anche a chi dovesse trovarsi a vivere la stessa situazione. La situazione di chi ascolta, intendo.

Non è che la mafia dei fiori sia Rosa Nostra

Le andai incontro con una rosa dietro la schiena, celandola come le migliori intenzioni che spesso non vengono mostrate.
In realtà la rosa non era nascosta molto bene. Credo il gambo fosse troppo lungo e lei facesse capolino impertinente dalla mia testa, come le idee malsane nella mente che spesso sono identificabili dall’esterno.

Era un omaggio per il suo onomastico.
La rosa, intendo, non la mia testa. Anche se qualcuna oggi forse preferirebbe quest’ultima, servita con una mela nella bocca.

Non regalo rose, di solito.
Credo però nel fatto che ogni tanto una rosa andrebbe regalata.
Tutti pensano a chi riceve le rose, come se l’azione risiedesse sono nell’atto di ricevere. Dovremmo soffermarci di più invece anche sull’atto di chi la regala la rosa invece che sulla sensazione del destinatario.
Forse il mondo sarebbe migliore se pensassimo di più all’energia potenziale del donare un qualcosa di simbolico.

Mentre mi avvicinavo a lei, un giovane passante che mi vide porgere questa rosa a una ragazza disse qualcosa di canzonatorio.

Da quand’è che le rose non fan più parte delle canzoni ma sono canzonabili? Avrei voluto fermarlo e chiedergli: “Scusa, che problema c’è? Ho le mie rose, oggi, ti disturba?”.

Mi è tornato in mente quest’episodio l’altro giorno, quando le ho inviato un sms di auguri per l’onomastico. Ho questi flashback di tanto in tanto, come se fossero onde di ritorno di un brutto trip causato da una torta all’hashish. Non ho idea di come sia una simile torta, me lo ha raccontato mio cugino che prova cose e non più rose.

Mio cugino si pungeva da piccolo con le rose, quando doveva recuperare il pallone finito nei cespugli. Mio cugino si ciucciava il sangue dalla ferita e aspettava che il taglio si cicatrizzasse all’aria.

Mio cugino poi forse è cresciuto, io invece mi ciuccio ancora le dita quando mi ferisco e a volte non so se ciucciare il dito sia più un atto infantile per provare conforto o semplicemente mi piaccia il mio sangue, nel qual caso spero di non diventare un vampiro perché mi cannibalizzerei.

Non regalo più rose, oggi.
Eppur mi punge vaghezza di esse e me ne sento ferito.

Non è che lo squalo fedifrago si trovi la manta

Si dice che la mela non cada lontano dall’albero.


A meno che il terreno non abbia un declivio e la mela non rotoli via, ovviamente. 


Non ho mai conosciuto mio nonno paterno. Anche se era ancora vivo quando io venni alla luce.

Di lui so poco e niente. Ciò che conosco l’ho messo insieme negli anni attraverso i resoconti spontanei resi da mio padre. Siamo molto simili io Padre: tendiamo a fornire tutt’al più dichiarazioni spontanee, mentre più sovente non parliamo affatto.

Io sono andato anche oltre e, dato che tutti vogliono il figlio dottore, per far contento il babbo mi iscrissi sin dalla giovane età alla facoltà di non rispondere.

Vorrei saperne di più sulla storia familiare.
Mi sembra di non avere una risposta personale a un interrogativo esistenziale dell’essere umano: da dove vengo?

Eppure non ho mai chiesto a mio padre da dove io provenissi, a parte l’ovvia storia delle cicogne che si accoppiano sotto i cavoli.

Ho il timore di invadere una sfera delicata: quella del rispetto del dolore.

Un dolore del quale ho messo insieme qualche frammento attraverso i già citati resoconti spontanei. Un dolore fatto di stenti, di soprusi, di abbandono subìti da mio padre e i suoi fratelli da parte di mio nonno.

Il nonno, dopo aver sperperato il denaro in una vita godereccia, se ne andò con un’altra, dalla quale ebbe due figli, un maschio e una femmina.

Seppi di avere uno zio in più soltanto 17 anni fa. Quando ne persi un altro per un infarto. E me lo presentarono in modo conciso e secco: Questo è un altro zio della famiglia Gintoki. Nessuna altra spiegazione.


L’altra zia acquisita invece l’ho incontrata soltanto l’anno scorso.


Con gli anni, lui si è molto avvicinato alla nostra famiglia. Siamo diventati suoi confidenti, ci ha presentato ogni volta le ragazze cui si accompagnava, rischiando sempre di farci fare brutte figure perché se ogni volta ne arriva una nuova tu rischi di sbagliare nome perché eri rimasto a quella precedente.

Fortunatamente – e furbescamente, direi – se le è sempre scelte con nomi molto diversi. Non come mio cugino, un Gintoki anche lui, che è passato da Michela a Marilena a Milena. Fortuna che ha sposato quest’ultima e la sequenza è finita.


O ha sposato Marilena? Non mi ricordo più.


È sempre stato un po’ sventato. Lo zio acquisito, intendo. Spendeva e spandeva il denaro guadagnato con le missioni all’estero con l’esercito. Cambiava un’automobile all’anno. Fatti suoi, come è ovvio.

Poi anni fa ha conosciuto una ragazza e, come si suol dire da queste parti, ha messo la testa a posto.


E io mi chiedo sempre perché tenere la testa a posto sia uguale all’incontrare una ragazza e sposarsi. Forse per caso io vado in giro come il cavaliere de La leggenda della valle addormentata (Sleepy Hollow), senza portare nulla sul collo, perché a trent’anni non sono, come sempre si suole dire, accasato? Misteri (e non di Sleepy Hollow).


Gli anni son passati nella normalità.

Almeno così sembrava.

Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, veniamo a sapere dalla moglie che lui, dopo un furioso litigio in cui le ha mollato un paio di schiaffi, se ne è andato di casa.

Non le ha lasciato soldi, ma solo dei saldi da fare: conti, conti e ancora conti.

A detta della madre di lui, lei lo teneva a stecchetto, impedendogli di godersi la vita. Non lo faceva più respirare.

Qualche settimana dopo l’hanno visto a braccetto con una molto più giovane. Lui respirava ancora a fatica, infatti lei gli praticava la respirazione bocca a bocca.

Adesso sarà questione di avvocati.


Di questa storia conosciamo soltanto la versione di lei, che qualcuno potrebbe considerare suscettibile di tutti i dubbi o le esagerazioni del caso: io invece pongo l’accento sul fatto che lui, anche quando ha compiuto altre cazzate, è sempre venuto a confidarsi dal nostro lato della famiglia mentre questa volta è completamente sparito dalla circolazione: questo la dice lunga su quanto sia stato breve il moto di caduta dall’albero di una tale mela.


E qui ho pensato che per il momento potrei trattenere la mia curiosità e non chiedere ancora nulla a mio padre. Perché credo che questa storia, seppur più soft, ricordi una già accaduta.

Riportando tutto a casa.

Sono le ore 00:15. Domattina lascio Roma definitivamente.

Questo è lo stato della mia preparazione.

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Per tacere (o non mostrare) di ciò che è ancora rimasto negli armadi.

Il disordine è nato in maniera assolutamente casuale. Tentavo di operare una selezione tra i capi: già, ma con che criterio?

Capi da valigia grande vs capi da valigia piccola?
Capi da lavare vs capi che alla prova odorifera possono andare bene per stare con quelli puliti?
Capi che non si stropicciano vs capi che si stropicciano?

Da lì è nato il tutto e allora ho deciso di farmi un tè nella mia tazza coi gatti (la prima cosa che ho acquistato mettendo piede qui) e brindare.

Al disordine, parola chiave di questo giorno.

In un altro post racconterò perché questa parola oggi mi risuona in testa.

Intanto vi prego di ammirare i miei splendidi boxer a righe.

Non è che il cuore batta…chiunque

Sono a corto di eventi curiosi da narrare, la cosa più interessante che ho fatto in questi due giorni è la visita di idoneità agonistica.

Non sono in genere ansioso durante le visite mediche ma ero preoccupato che uscisse fuori qualcosa che non andava. Può capitare quando l’ultimo ECG l’hai fatto 15 anni fa.


E dire che sono un sostenitore della medicina preventiva. Dal mio punto di vista il medico non è uno specialista da cui farsi visitare solo quando si sta male: beninteso, fare esami inutili non serve a niente ed è controproducente, ma ci sono alcune cose – come cuore, colesterolo, organi riproduttivi – che a mio avviso ogni tanto andrebbero controllate in via preventiva.


Da bambino, situazione abbastanza comune, avevo un soffio al cuore, sparito con la crescita.
Non avevo idea di cosa fosse: il cuore soffiava? Tipo i gatti? O c’era qualcuno che soffiava sul cuore (sembra il titolo di un romanzetto: Qualcuno soffiava sul suo cuore, il nuovo libro di Favio Bolo)?

Finché un giorno una dottoressa gentile non mi ha spiegato che cosa fosse.


Anche se quella del medico è una figura ‘neutra’, non collegata quindi a un sesso, nella mia vita ho riscontrato che i medici donna sono in genere più gentili e simpatici dei colleghi uomini.


L’altra caratteristica è che il mio muscolo cardiaco è un po’ più spostato a sinistra del normale. E non è una metafora politica per darmi del comunista.

Lo studio dove ho svolto la visita era alquanto lontano da dove abito, praticamente la parte opposta di Roma (non conoscendo nessuno avevo chiesto in Federazione di indicarmene uno. Ho chiesto alla persona sbagliata perché il coach invece ha poi indicato altri studi più vicini, con delle dottoresse, tra l’altro!). Ho trovato buffo attraversare la città con un vasetto della mia urina – mi era stato chiesto il campione – nella borsa. Ho temuto per tutto il tempo che si aprisse e si spargesse o che oppure a me venisse un colpo all’improvviso e le ultime cose che avrei avuto con me sarebbero state un libro di Michael Chabon (bellissimo) e un campione di urina.

Ho smesso di pensare al mio campione – campionissimo! – quando due signore hanno iniziato a battibeccare sull’autobus.

All’improvviso, infatti, si era diffuso sul mezzo un odore simile a quello dello spray insetticida per mosche, abbastanza fastidioso. Una delle due signore ha accusato un gruppo di turisti – tedeschi, credo – saliti in quel momento di aver sparso tale puzzo. Forse era una specie di amuchina o forse loro non c’entravano nulla.

Signora 1: Guarda questi, vengono in Italia e pensano che c’abbiamo le malattie, je facciamo schifo, si dovrebbero vergognare, che schifo


A essere sincero pure io ho paura di prendere malattie sui mezzi pubblici: credo vengano lavati all’interno solo quando piove approfittando del fatto che le guarnizioni dei finestrini perdono acqua.


Signora 2: eh ma Roma fa schifo, guardi, io me ne sono andata…
Signora 1: ma che cazzo c’azzecca Roma, c’avete sempre in bocca Roma Roma Roma, se non je piace se ne vada e non rompa i cojoni
Signora 2: ma non ce l’ho con Roma o i romani, ma lei è una stronza, dico è colpa di chi l’ha ridotta così, è colpa loro
Signora 1: macché loro, questi non so del Terzo Mondo, sono bianchi, parlano inglese, ma che cazzo dice


Veramente anche nel “Terzo Mondo” si parla inglese, Signora 1 forse lo ignora.


Signora 2: ma che cazzo ha capito, io parlo dei politici
Signora 1: eh e chi li ha votati, io no di certo, forse lei
Signora 2: e manco io, ma guarda questa

Insomma sono andate avanti così e io pensato che le città fanno schifo perché la gente è sempre rissosa e irascibile come delle bertucce.


Chiedo scusa alle bertucce per la battuta poco felice su di loro.


Allo studio sono arrivato in largo anticipo e ho potuto dare un’occhiata all’arredamento. In un post di qualche tempo fa mi sono soffermato a analizzare la bruttezza dei quadri delle sale d’aspetto degli studi dei medici generici.

Una categoria a parte è invece rappresentata dagli studi di dottori specializzati in chirurgia estetica: rimango sempre colpito dalla loro pacchianeria.


Non frequento studi di chirurgia estetica; capita, come in questo caso, che lo specialista che debbo vedere sia ospitato in tali ambienti.


Questa qui è la reception, molto sobria:
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Ma nulla in confronto alla beltà e alla leggiadria di questa imitazione in plastica di una scultura di un torso di donna dalla tonalità rosso cremisi variegato, posta accanto al divanetto della sala d’attesa:

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La visita è stata breve ma intensa. Il mio cuore è a posto. Almeno fisicamente. Quasi speravo vi trovasse qualche stranezza e la spiegasse. Ad esempio il perché diventi così rumoroso quando si tratta di donne.

Ricordo un episodio, quando feci preoccupare una ragazza. La stavo abbracciando da dietro – niente scene erotiche, era un abbraccio puro e Castro (essendo come detto il cuore spostato a sinistra); ci piacevamo ma era ancora quella fase di attesa della prima mossa. All’improvviso il mio cuore iniziò a martellare come un muratore bergamasco. Lei si staccò e si girò dicendo: Ma hai il batterista dei Nile nella giacca o sei solo contento di abbracciarmi?


Dato che forse li abbiamo presente solo io e Zeus, allego un file esemplificativo delle virtù musicali dei suddetti Nile:


Io credo di aver balbettato qualcosa e poi aver indicato un piccione morto per distrarla. Quando la riabbracciai lei poi mi disse: Ma mi fai preoccupare, non è che ti faccio venire un infarto?

Il cuore è strano. E poi ha questo vizio di fare scherzetti al cervello: sempre quando si tratta di ragazze, si diverte a premere sull’arteria che va verso il cranio cosicché la testa comincia a comportarsi in modo poco lucido per la mancanza di ossigeno.

Come si suol dire sempre: il cuore ha le sue minchiate che la ragione poi se ne sbatte.

Chiusa la parentesi cardiovascolare, sull’autobus del ritorno mi è capitato di cedere il posto a una signora e lei, facendo l’espressione che di solito si fa quando si guarda un neonato o un gattino in una cesta, ha esclamato: Ma che carino!

E allora ho pensato che le città non facciano proprio tanto schifo.

Non è che se il cuoco non è pratico di salsa allora possa darsi al tango

Dizionario di cineserie e cinismo spicciolo

Chef
Ogni volta che vado in un ristorante un pelo più sofisticato del livello “trattoria di Giggino l’untuoso” rimango perplesso da un’abitudine che hanno gli chef: quella di fare ghirigori o cumshot di salsine intorno alla pietanza. La quantità è così esigua che è inutile per condire e io mi chiedo sempre: posso farci la scarpetta o meno? È solo decorativa? E perché mai avrei bisogno di cibo decorato? Se l’occhio vuole la sua parte, perché non mettere nel piatto un calendario di Playboy, allora?

Gatti
Il suono più rilassante dell’universo: >>>click<<< (si consiglia di alzare il volume).


Si ringrazia l’adolescente Camilla (anni 16 e mezzo) per essersi prestata alla registrazione.


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Camilla a 15 anni e mezzo. Come tutti gli adolescenti, non vuol fare niente e poltrisce

Intelligenza
Nelle principali stazioni italiane da qualche tempo Trenitalia ha iniziato a subordinare l’accesso ai binari al controllo del biglietto per i passeggeri. A Roma alla Stazione Termini sono state costruite delle barriere tipo curva da stadio. Tutto giusto, peccato che entrando in uno qualsiasi dei negozi lungo il lato ovest della stazione sia possibile accedere ai binari senza passare per i varchi.

Jeans
Quelli a vita alta sono uno dei capi che trovo più sensuali in una donna.
La donna coi jeans a vita alta, il cappello da Tom Waits e gli occhiali che negli anni ’80 sarebbero valsi l’esclusione coatta da ogni forma di vita sociale mi creano dei problemi. Ma non per gli occhiali in sé o per Tom Waits o per i cappelli, ma per l’insieme modaiuolo. Questo conflitto di gusti mi manda in crisi e non so come uscirne.

Keywords
Un po’ di parole chiave che conducono a questo blog:


Per chi ancora non lo sapesse, dalla bacheca del vostro blog se andate su Statistiche -> Mostra tutti -> Riassunti, scoprirete come i viandanti del cyberspazio hanno raggiunto il vostro spazio virtuale di scrittura altresì noto come blog.


non porto i vestiti in lavanderia per paura che non li lavino: Pensa che io non porto vestiti addosso per paura che si sporchino!
hipsteria nell’uomo: È una sindrome grave che colpisce molti maschi tra i 25 e i 35 anni. I sintomi più evidenti sono comparsa di camicie a quadri, crescita pilifera sul viso incontrollata, comparsa di Dr Martens ai piedi.
donna esaurita: Cambiare le batterie.
quando buttare i bollettini finanziari: Quando cominciano a puzzare.
che rischi si corrono senza mutande: Tanti. Innanzitutto c’è il raffreddore, cui sono più esposte le donne perché lì è tutto all’aperto quindi sai gli spifferi; ai maschi rischia invece di cascar giù tutto (il famoso modo di dire “far cadere le p+++e” nasce da un fatto vero).
capacità recitative asia argento: Il CERN di Ginevra dopo aver trovato il bosone di Higgs si sta concentrando nel rintracciarle.
e il tempo si ambigua: E lì son volatili amari.
una fica: A pois, l’ha portata un maharaja.
perche quando guardo il signore degli anelli mi viene da piangere: Perché stanno portando gli hobbit a Isengard.

ma quante cazzate dicono su wikihow: Non ne ho idea: hai provato a leggere la guida “Quante cazzate dicono su wikihow, wikihow”?
percoca rossa con lentiggini: La famosa pesca calzelunghe.
figa e lasagna: E il gusto ci guadagna.

L’autunno
In questo periodo di transizione dalla stagione calda a quella fredda in cui ancora si può uscire di casa senza giacconi e cappotti, appaiono ragazze particolari: quelle con la felpa tirata fino all’altezza del palmo della mano.

È risaputo che in molte donne la circolazione sanguigna sia limitata al tronco e alla testa, mentre gli arti superiori e inferiori sono appendici clinicamente morte caratterizzate da una temperatura da cella frigorifera. Alcune ragazze tentano allora di ovviare alla dispersione di calore corporeo stirando le maniche fin giù alle mani. La cosa curiosa è trovare in uno stesso ambiente una ragazza dalle maniche stirate e una ragazza dalle maniche tirate (fin su all’omero) o assenti del tutto; il dubbio è
1) una sente freddo e l’altra no;
2) sentono ambedue freddo ma la seconda preferisce congelare piuttosto che apparire sciatta o poco figa.


Per la cronaca non trovo affatto sciatta o poco figa una ragazza con la felpa stirata fin giù alle mani – anzi mi ispira tenerezza – ma ora che ci penso non ho sentito nessuno accusare di sciatteria una ragazza con la felpa stirata fin giù alle mani quindi a questo punto dichiaro chiusa la polemica tra me e me stesso.


Paure
Sono terrorizzato dalle apparizioni di bambini dai 0 ai 24 mesi in luoghi chiusi: prima o poi quelle creature piangeranno. E quando un bambino inizia a piangere, non smette più.

Non c’è alcuna via di scampo: la fortuna è soltanto quella che l’esplosione di lacrime e urla avvenga il più tardi possibile. A nulla valgono i tentativi dei genitori di ammansire il pargolo con coccole e giochi: i bambini sono più intelligenti degli adulti e non si lasciano fuorviare da distrazioni e blandizie varie; il risultato di tali azioni sarà quello di irritarli ancor di più e farli piangere più forte.


Mi chiedo perché qualcuno non abbia pensato di sfruttare l’energia potenziale insita nel pianto dei bambini. Basterebbe porre sulla bocca dell’infante un imbuto, all’interno del quale sarà presente una sottile membrana di materiale estremamente elastico e resistente. Il pianto farà vibrare la membrana, la cui oscillazione si trasmetterà a un coso (non ho ancora deciso come sarà composto il coso) che poi per un procedimento fisico causerà uno spostamento di elettroni che caricheranno una batteria, immagazzinando energia da sfruttare come più aggrada.


Subito
Sto cercando di disfarmi di un manga su Subito.it ma l’impresa non è facile. Prima mi ha contattato un tizio, prendiamo accordi, tutto a posto, convintissimo. Poi la sera prima della vendita mi contatta – dopo che un paio d’ore prima mi aveva confermato l’appuntamento – per dirmi che non se ne faceva nulla. Passano una decina di giorni, mi contatta un altro tizio, mi dice di venire da Grande Inverno (per tutelare l’anonimato userò nomi di località di Game of Thrones), io dico perfetto, possiamo vederci all’uscita della strada che viene da Grande Inverno.
Lui: non la conosco.
Io: non è possibile, ci sono solo due strade da Grande Inverno.
Lui: conosco la Strada del Re.
Io: ma quella è la strada che viene da Approdo del Re, come è possibile.

Poi dal suo modo di scrivere mi rendo conto che era lo stesso tizio che mi aveva dato buca in precedenza e che mi aveva detto di essere di Roccia del Drago. A quel punto smetto di rispondergli.

Passa una settimana, mi scrive un altro tizio. Gli dico possiamo vederci di sabato perché in settimana sto a Roma. Lui convintissimo, tutto a posto. Gli scrivo venerdì sera per chiedere conferma, non mi risponde. Gli scrivo sabato, lui mi chiede dove possiamo vederci. Gli chiedo informazioni logistiche, sparisce. Gli riscrivo, mi risponde oggi per dirmi che dopo avermi scritto è crollato sul letto in preda alla febbre. E poi mi fa: dove ci vediamo?

Non ho più risposto. E sospetto sia sempre lo stesso tizio.

Telefoni
I cellulari hanno introdotto un pericoloso concetto nella mente delle persone: quello di telefonia mobile. In virtù del fatto di essere mobile si è diffusa l’idea che il telefono sia ormai parte integrante del corpo di una persona che, quindi, non se ne separerà mai. Se il telefono è spento o se la persona non risponde, è colpevole di non voler essere reperibile.

Ho provato a spiegare a Madre, ad esempio, che se non rispondo al telefono o se non sono raggiungibile non è perché sono morto o perché mi ha rapito l’ISIS. Anzi, le ho fatto presente che nel caso morissi, dato che sarebbe quasi certamente di morte violenta (sono in buona salute), qualcuno darebbe notizie.


A meno che l’evento tragico non avvenga in presenza della mia coinquilina cinese: in quel caso penso che il mio corpo sparirebbe incastrato a forza nella pattumiera, occultato da un pacco di tortellini.


Madre ha replicato: potremmo essere noi morti e volerti allora avvertire.
Avrei voluto replicare chiedendo “Come?” ma ho ritenuto opportuno non farlo.

Però mi chiedo: quando non c’erano i cellulari, come si faceva? Sì, certo, si può dire anche quando non c’erano gli antibiotici che si faceva? Si moriva. Ma non credo che la gente morisse per non aver risposto al telefono!

Vocalizzi
Ciò che con la porta chiusa riesco a udire dalla mia stanza quando Astro Nascente si esercita: >>>click<<<.