Non è che devi studiar musica per scrivere note

C’è quella canzone di Samuele Bersani, Lo scrutatore non votante, che in una strofa recita Intervistate quel cantante/ Che non ascolta mai la musica/ Oltre alla sua in ogni istante.

Frequento spesso la libreria del mio amico. Ne avevo parlato qui. Ormai è diventato un luogo di ritrovo per tutte le persone stravaganti della città.

Due-tre volte la settimana si tengono presentazioni di libri. Di alcune delle quale il mio amico ne farebbe a meno. Esigenze promozionali gli impongono di ospitare anche autori non così apprezzabili.

Sabato c’era un tale a presentare il suo primo libro. La caratteristica di questo autore è che non legge. Gli è stato chiesto quali fossero i suoi riferimenti letterari. Ha risposto “il thriller”. Al che, alla richiesta di indicare qualche autore di questo genere che lui seguiva, ha detto che non ne ha, non li legge. Guarda film.

Autori contemporanei che legge?
Nessuno.

Gli è stato chiesto se, in generale, avesse autori che apprezzava. Ha risposto “Verga, Pirandello e Ungaretti”. In pratica il suo bagaglio letterario è la tesina del liceo.

Io non so come sia essere scrittore, dato che non lo sono. È vero che dicono che tutti abbiano un libro nel cassetto. Io nel cassetto c’ho al massimo delle note spese che ho scritto.
Nonostante ciò fatico a immaginare come si possa scindere la passione per la scrittura da quella della lettura. Sarò io ancorato a un’idea antica. Oggi ci sono tanti strumenti per formarsi e godere di letture elevate senza aprire un libro. Internet non è solo fuffa. Apro una pagina facebook classificata sotto Cultura e società e mi aggiorno sulle teorie della disuguaglianza sociale e la caduta del saggio di profitto, per dire, senza necessità di consultare Il capitale di Piketty. Si legge poco perché per apprendere trovi già tutto reperibile in maniera fluida e accessibile. No?

Non sono convinto che sia questa la motivazione. E che letture fast food – per quanto molte di qualità, ma gli autori che le producono scrivono comunque dei libri per esporre in maniera più chiara e dettagliata le loro idee – bastino.

E davvero vorrei essere certo che quelli che non leggono libri ma scrivono lo stesso si siano formati almeno tramite qualche rivista online o pagina social di divulgazione artistica/culturale. Dubito purtroppo che sia così. Se anche lo fosse comunque non basterebbe solo questo.

Non si tratta di elitarismo. Sono conscio che la pedanteria nei confronti della sacralità e dell’importanza della lettura abbia generato un senso di sottesa riprovazione verso chi non legge, non si accultura, non si informa, tal da creare una contrapposizione sociale, i cui negativi effetti oggi si avvertono ovunque, tra chi è considerato un borioso professore e chi dell’ignoranza ne fa bandiera della libertà di essere come gli pare.

A me che una persona, in generale, non legga non me ne può proprio fregare. Avremo un argomento in meno di conversazione.

Diverso è il caso di chi vuole esordire, presentarsi, irrompere – perché alcuni sono anche rumorosi e irruenti nel proprio introdursi – in un’arte in cui una base di strumenti che si forma solo con la gobba dello studioso è necessaria. Purtroppo accade sempre più (e l’autopubblicazione ha incentivato ciò*) che la pulsione di qualcuno verso la scrittura venga solo dal desiderio di mettere il proprio nome su uno scaffale. Cosa che, a giudizio di quelli che leggono davvero, non basta certo per definirsi scrittori.


* Ci sarebbe un’altra considerazione da fare e cioè che l’autopubblicazione non ha come prodotto finale il libro, come nell’editoria classica, ma l’idea di essere scrittore. Chi paga per crearsi il libro non sta producendo un’opera, sta acquistando un servizio. Come se io comprassi – ed è possibile farlo – la possibilità di farmi qualche giro su un circuito automobilistico su un’auto sportiva per sentirmi un pilota. 


Quello del tale di sabato non è il primo caso: il mio amico, che gestisce con dei soci la casa editrice indipendente di cui la libreria è propaggine, mi racconta che gli arrivano diverse proposte da parte di chi al massimo avrà letto il bugiardino dei farmaci che assume.


Non per intero, ovviamente, perché il mondo si divide in due categorie: quelli che vanno a leggere solo tempi e modalità di somministrazione e quelli che vanno a leggere gli effetti collaterali.

Io appartengo alla prima categoria, perché non mi piace spoilerarmi il finale.

 


Non è che il sarto parli con un filo di voce

Oggi sono stato a casa dal lavoro.

Una frase che non mi suona corretta. “dal lavoro”, come se il mio posto solito di appartenenza debba essere il lavoro e tutto il resto delle mie attività siano un’alternativa al lavoro e qualunque altra cosa io faccia sia lontana “dal lavoro”. È questo che il capitalismo e i Carlo Conti della società vogliono farci credere, insieme al fatto che la cellulite sia una malattia e che il foglio di alluminio si debba usare col lato opaco all’interno o forse era il contrario.

Oggi quindi ero a casa.

Dieci minuti dopo aver avvertito BB (non Brigitte Bardot), il Tacchino mi ha scritto un messaggio. Ciao, puoi lavorare da casa?.

Gli ho telefonato con la mia voce del moribondo. La voce del moribondo è una cosa che nasce nel petto e matura nella laringe prima di esprimersi all’esterno. È importante la fase di maturazione laringea, la voce deve invecchiarsi il giusto per dar la sensazione desiderata.

Esistono vari livelli di moribondo, a seconda del tipo di malanno che ci si vuol attribuire.

– Livello discorso di compunto cordoglio generalista politico: una lieve indisposizione;
– Livello cantante improvvisato che al karaoke si cimenta con Rino Gaetano e si risveglia il giorno dopo con la raucedine: febbre/mal di gola;
– Livello Barbara d’Urso che commenta la tragedia di una famiglia sterminata da un editoriale di Selvaggia Lucarelli: malaria/tubercolosi;
– Livello calciatore rantolante sul manto erboso che si tiene una mano sul volto e una sul ginocchio sbagliato perché quello colpito è l’altro: prossimità alla morte.

Dicevo, gli ho telefonato dicendo che ero malato avendo un gomito che mi faceva contatto col piede e un attacco di congiuntivo da cui cercavo di guarire assumendo compresse di Cremonini e che, no, non potevo lavorare da casa non avendo accesso al server, perché non server a nienter.

Essendo lui un individuo che ha l’ansia come uno che per l’ansia che si rompano i preservativi durante l’atto li rompe lui stesso prima per tranquillizzarsi, mi ha detto Bene allora manda una mail a tutti in cui spieghi i progetti in corso le cose da fare e bla bla bla.

Io ho scritto alla Castora su Skype due righe velocemente e poi ho spento tutto e mi sono rimesso sotto le coperte a giocare con lo smartphone e ad autodiagnosticarmi dell’olio di palma su Google.

Oggi, comunque, ho fatto una scoperta: la casa durante la mattinata fa dei rumori diversi.

Sono abituato ai rumori di casa mia – scricchiolii, mobili che “tlaccano” (cioè che fanno tlac) – ma sono i rumori della sera o i rumori del weekend. I rumori della mattinata non li avevo mai ascoltati o non ci avevo fatto caso mai per bene.

All’inizio al primo rumore improvviso mi ero preoccupato e stavo quasi per sparare, ma non conosco le leggi ungheresi in materia e, oltretutto, anche se fuori era nuvolo c’era comunque luce.

Anche voi avete scoperto le vostre case fare rumori diversi quando le avete sorprese in orari non abituali?

Non è che il giudizio su un muro spetti ai poster

Durante il confronto televisivo, i tre candidati alla segreteria di un partito hanno parlato di quali poster durante l’adolescenza avevano nella propria cameretta e quali metterebbero oggi (fonte Sky):

“In Camera da ragazzino avevo il poster di Gigi Riva. Oggi metterei Yuri Chechi che si è rotto il tendine come me, mentre ballavo”

“Io avevo il poster di Berlinguer e Allende. Oggi aggiungerei Mandela”

“A 15 o 16 anni? Prima avevo Baggio, poi l’hanno venduto. Inoltre Duran Duran e Bob Kennedy. Oggi metterei Obama, ha cambiato la storia”

Tralasciando dibattito, opinioni politiche e giudizi, queste risposte mi hanno dato parecchio da riflettere.

Sono giunto alla conclusione che io non potrei mai essere un candidato alla Presidenza del Consiglio, né alla segreteria di un partito, né all’amministrazione di un condominio e forse neanche alla guida di un circolo di bocciofila non agonistica.

Se ripenso ai miei poster non so che immagine io possa mai trasmettere.

Ad esempio c’è una Suicide Girl. Mi scuso con Un Artista Minimalista (non uno a caso, ma L‘Artista Minimalista, anche se in realtà è Un Artista Minimalista ma non uno a caso) perché ho dimenticato di nuovo di recuperarne il nome. Prometto di farlo.

Poi c’è Brody Dalle, una spacciatrice punk. Spaccia sé stessa per cantante, infatti. In questa diapositiva è ritratta 15 anni fa prima di andare a un pranzo di gala dove conoscerà il futuro marito Josh Homme dei Queens Of The Stone Age:

E poi ci sono Darth Vader e Spiderman.

Quale ispirazione potrei mai trarre e che esempio fornire?

Immagino una mia intervista durante la campagna elettorale:

– Dottor Gintoki, cosa risponde all’appello del Presidente della Repubblica all’unità nazionale durante il periodo elettorale?
– “I tuoi poteri sono deboli, vecchio!”
– Parole forti. Alcuni punti del suo progetto politico sono poco chiari e oscuri e lei sembra reticente a spiegarli. Ritiene forse che l’elettorato debba creder ciecamente ai suoi intenti?
– Trovo insopportabile la sua mancanza di fede (prova a strangolarlo con il pensiero)!
– Mi scusi, cosa fa?
– Io sono tuo padre!

oppure

– Dottor Gintoki, come immagina essere Presidente del Consiglio?
– Da un grande potere derivano grandi responsabilità.
– Ah.

Al di là del discorso politico, i miei poster non avrebbero avuto alcun appeal neanche da un punto di vista puramente socio-antropologico. Chi mai li avrebbe voluti ammirare?

Vuoi mettere, invece, dire a una donna “Vuoi salire su da me a vedere i miei poster della Prima Repubblica?”?


La Seconda Repubblica è mainstream. La Prima Repubblica, un tempo disprezzata, oggi è vintage d’autore. È come quei jeans anni Ottanta che sembrava uno/a avesse il pannolone. Guardati con sospetto sino a qualche anno fa, ora tornano di moda.


Insomma, chi sa se mai sarà vera gloria. Ai poster l’ardua sentenza.

Non è che il film sulle difficoltà di una ragazza che ripara auto si chiami “Arranca Meccanica”

La settimana scorsa, quando l’ho messa in moto, l’auto ha iniziato a fare titic titic titic.

Ho pensato ci fosse un pezzo di plastica incastrato sotto.
Quando ho controllato, ho visto che lì c’era un cavetto che pendeva col morsetto che toccava l’asfalto.

Tutti i meccanici di fiducia (mia e di conoscenti) sono in ferie e di andare dal primo che capita non è che abbia tutta questa propensione. È possibile che vada lì per sistemare il cavo estinto e mi senta dire di dover sostituire il motore. So di poveri tapini entrati in officina per un cambio d’olio e usciti con un preventivo per un’auto di Formula 1.

Constatato che freni, acceleratore e volante funzionassero, ho girato un po’ – per esigenze – con l’auto tichititteggiante.
È un rumore molto irritante e l’impotenza di non potervi porre rimedio lo è ancor di più.
Dopo un po’ viene voglia di forarsi i timpani come un Cavaliere dello Zodiaco.


Il Cavaliere d’Oro Aldebaran del Toro, nel combattimento contro Syria che usava melodie ipnotiche, decide di rompersi i timpani. Comprensibile, anche a me la cantante Syria mi è sempre stata sulle balle.


So che molti lo conoscono come “Toro” e basta, ma, così come tutti gli altri Cavalieri, nella versione originale hanno dei nomi e non ci si rivolge a loro soltanto col nome delle sacre vesti. Qual sgomento, ad esempio, quando all’epoca scoprii che Pegasus non si chiamasse affatto Pegasus: e io che avevo sempre pensato che fosse una fortunata combinazione che uno che si chiamava Pegasus ottenesse l’armatura di Pegasus.


Inoltre ho il timore che la gente in strada oda tale rumore e mi osservi.
Questa sensazione mi incute disagio e soggezione.

È come andare in giro con le scarpe nuove che scricchiolano e cigolano.

wikiHow fa presente che nascondere la cocaina nelle scarpe che cigolano è rischioso, in quanto il rumore attira l’attenzione

Mi è successo una sola volta, per fortuna. In prima media.

È una di quelle cose per le quali da bambino potresti rischiare di essere pestato.
E io ero ancor più preoccupato in quanto piccolo.
Da piccolo ero piccolo. Sembra tautologico, ma il fatto è che mi trovavo un anno avanti gli altri. O un anno indietro, non l’ho mai capito. Insomma, per la mia età ero avanti nel sistema scolastico avendo fatto la primina, ma ero indietro come età rispetto ai miei compagni.

Una volta, con quelle scarpe indosso, stavo attraversando il lunghissimo e vuoto corridoio tra i bagni e l’aula.
L’eco delle mie scarpe sul pavimento cigolava tra le pareti scrostate che custodivano il prezioso amianto di cui sono farcite le nostre strutture.
Sgnek sgnek sgnek sgnek.
Sgnesgnesgnesgnesgnek.
SgneeeekSgneeekSgneeek.
Che accelerassi il passo o rallentassi non cambiava molto: se andavo più veloce per arrivare il prima possibile in classe facevo tanto rumore, se andavo piano per esser leggero prolungavo lo stillicidio.

All’improvviso, da un’altro corridoio, dalla direzione opposta svolta l’angolo uno studente di terza. Alto il doppio di me.
Vado avanti facendo finta di niente.
Quando ci incrociamo, lui passa oltre. Poi si ferma e si volta fissandomi le scarpe. Mi volto anche io. Per un attimo lo guardo sperando che passi questo messaggio telepatico: “Rumore? Io non sento niente. Il rumore è nella tua mente”.

Purtroppo non gli arriva la comunicazione o non si convince.

Si avvicina.
Adesso mi mena.
Mi scaraventa giù dal finestrone del primo piano verso il canestro da basket in cortile.
Mi leva le scarpe e le usa per malmenarmi per vedere se cigolano anche contro la mia faccia.
Mi costringe ad ascoltare canzoni di Ivana Spagna.

Invece lui si presenta porgendomi la mano. Era anche pulita, cosa rara per un ragazzino delle medie.
Per un attimo esito, temendo che fosse un trucco per una mossa di aikido. Ma decido di fidarmi. Facciamo conoscenza e chiacchieriamo.

Da quella volta è divenuto il mio amico del corridoio.

Non l’ho mai visto fuori la scuola né in altri luoghi. Lo incrociavo soltanto di passaggio tra i bagni e l’aula e ci salutavamo o facevamo due chiacchiere.

Ero anche convinto che se mi avessero aggredito mentre mi trovavo lì lui sarebbe intervenuto. Difatti non sono mai stato aggredito e non si può escludere che siano stati i benefici della sua amicizia.

A stento ricordo che faccia avesse.

Poi le scuole quell’anno finirono e non lo rividi più.
Forse non è mai esistito.
Forse era lo spettro di uno studente morto tragicamente in quell’istituto.
Forse era un’allucinazione prodotta dal suono ipnotico delle scarpe.

Ho pensato che tutti hanno avuto o hanno una conoscenza “da corridoio”. Un contatto estemporaneo e casuale ma ripetuto che entra a far parte della familiarità pur rimanendo confinato a spazi e tempi limitati.

Sono uscito di nuovo con l’auto tichititteggiante.

Però non si è fermato nessuno a parlare con me, attirato dal rumore.

The Gintoki Show: intervista coll’ysingrino

gintoki show


Sottotitolo: non è che il Faraone fedele abbia una dieta poco varia perché vuol solo la Faraona.


Ho deciso di inaugurare un talk show virtuale a periodicità casuale e che forse avrà solo questa puntata, dedicato alle interviste.

Il primo ospite è un personaggio che non saprei come introdurre: artista? Creativo? Faraone? Me lo son fatto dire direttamente da lui:

G: Chi è ysingrinus?
Y: «Ysingrinus è un semplice Faraone di periferia come chiunque altro, se solo esistessero altri Faraoni. Un genio misconosciuto che sostiene di essere un genio misconosciuto».

G: Non trovi che nella società odierna ci sia un abuso nell’utilizzo dell’etichetta di genio? Non temi il rischio di venir sottostimato a causa dell’aggettivo ormai così inflazionato?
Y: «C’è ovviamente un’insopportabile inflazione. Il desiderio di ridurre ed etichettare è una piaga della cultura di massa. Credo anche ci sia un desiderio di riconoscimento: ci vuole un genio per riconoscerne un altro. Per questo non accetto tale etichetta, se mi fai un complimento lo fai a me, non lo fai anche a te, un po’ di rispetto ed ordine!
Specifico, anche se non ce ne sarebbe bisogno, che definirsi in qualche modo genio non equivale ad etichettarsi, ovviamente»

G: La critica ragionata alla cultura di massa è un tema che ricorre nei tuoi post, non ultimo ad esempio quello su un noto cantante che si fa chiamare Fedez. Credi che l’esser Faraone di periferia abbia influito sullo sviluppo del tuo spirito osservatore e critico?
Y: «Credo di sí, perché vivendo in periferia ho avuto modo di frequentare ed osservare molte situazioni particolari, da un punto di vista privilegiato, essendo io Faraone. Ho avuto modo di mescolarmi tra la folla e di essere stato punto di riferimento per determinati contesti riconoscibili dalla massa.
Non apprezzo questi fenomeni commerciali perché ingannano e impediscono lo sviluppo della massa, per questo ne parlo molto».

G: Quindi non sei contro la massa a prescindere, ma contro un suo sviluppo amorfo e distorto.
Y: «Nella maniera piú assoluta. Io vivo nella massa, faccio parte della massa. Odio lo sviluppo amorfo e distorto, come lo chiami tu. La massa supporta gli artisti e le menti brillanti, ma se viene educata male, i brillanti e gli artisti faranno piú fatica ad essere riconosciuti e supportati e conseguentemente sarà per loro piú difficile migliorare il mondo»

G: La tua arte veicola quindi messaggi educativi per il pubblico?
Y: «È una domanda semplice che richiede una risposta complessa. Per ora posso dirti che non mi arrogo la volontà di educare, penso però di poter dare un’idea alternativa, sicuramente non visibile ai piú, ma solo a chi può essere interessato a vedere. C’è altro, questo è quello che dico. Non è necessariamente bello o piacevole, ma esiste».

G: Ed Euro Top come la vede, invece?…Qualcuno dice che siate la stessa persona, un alter ego per rappresentare istinti più primordiali!
Y: «Euro Top chiaramente non sono io, non è un mio alter ego. È però il desiderio di rappresentare gli istinti piú bassi, o migliori della vita, quello che spinge Euro Top a fare quello che fa».

G: Quale è il tuo rapporto invece con gli istinti più bassi o migliori della vita?
Y: «Molto sano. Vivo bene con me stesso»

G: Rimanendo in tema: la tua notorietà come artista e blogger credi abbia accresciuto, se mai fosse stato necessario, il tuo sex appeal?
Y: «Questo, mio malgrado, è stato inevitabile»

G: Se serve un aiuto per gestire la situazione….non conosco nessuno. I tuoi fan ti pressano di richieste (non sessuali, intendo. O forse sì)?
Y: «Questo mio corpaccione da Faraone ancora riesce a reggere i ritmi del successo. Vengo subissato sí, ma che vuoi farci? Questa è la fama!»

G: Come una popstar…a tal proposito: come accennavo, hai avuto di recente un dissidio – direi una querelle se io sapessi lo svedese – con Fedez. Ma quale è la musica che ascolta ysingrinus?
Y: «Con Fedez e con gli altri scrausi affabulatori, uso questo termine, anche impropriamente, perché Fedez non possa capire.
Ascolto una vasta gamma musicale che spazia piú o meno ovunque evitando fenomeni hip-hop e la cosiddetta musica “commerciale”. Ma è un argomento molto vasto che andrebbe approfondito in un altro momento»

G: Avremo altri momenti e anche qualche attimo e un secondo. Ultime due domande, le solite che, purtroppo, ti toccano (avverti se toccano troppo perché hanno già un’ordinanza restrittiva): hai progetti per il passato? C’è qualcosa che non vorresti dire al tuo pubblico?
Y: «Solo altre due domande?
Ho ovviamente dei progetti per il passato ed ovviamente, ancor di piú, ho diverse cose che non vorrei dire al mio pubblico!»

G: Fai il misterioso. Comunque ho mentito, c’è un’altra richiesta. Scegli un’immagine che ritieni rappresenti al meglio l’ysingrinus. E argomenta la scelta inserendo queste tre parole – non necessariamente in quest’ordine – nella risposta: carambola, simposio, tetraggine.
Y: «Una bella richiesta. Non esistono immagini fisse, posso dire quelle che mi piacciono di piú e conseguentemente quelle che ritengo a me piú affini. La tetraggine dei paesaggi notturni, come la “richiesta di notturno” che ho pubblicato qualche settimana fa, o il boschetto in bianco e nero piú recente. Mi farebbe piacere poter tenere un simposio sul mondo marino, alieno e no, cui sono strettamente legato, tanto che numerosi miei quadri e foto lo hanno come soggetto. Piú in generale direi che la mia persona si potrebbe descrivere in una carambola di paesaggi notturni o desolatamente diurni, marini e no»

Spettacolare.

Signori, l’unico, vero, originale ysingrinus!