Non è che il barbiere mangi in bianco perché evita i pelati

Una delle principali preoccupazioni quando si cambia città, è una delle principali preoccupazioni di alcune persone.

Mi riferisco a trovare un barbiere di fiducia.

Non è facile cambiar barbiere come si cambia banco salumeria. Stiamo parlando del farsi mettere le mani in testa da un estraneo.

Ho usato un metodo scientifico. Ne ho cercato uno su Google Maps nella mia zona. Ne ho trovato uno dal nome internazionale, che mi richiamava alla mente una catena di barberia che avevo trovato a Budapest. Con Budapest non aveva niente a che fare, ma mi dava l’idea di poter essere adatto a uno come me, a qualunque tipologia io appartenga per definirmi uno come me.

Il prezzario di questo saloncino recitava: Taglio 25€, Rasato 15€. E poi via via con le altre opzioni per farsi radere o rifinire barba e baffi.

Ero conscio di trovarmi a Milano e non a casa mia dove il mio barbiere mi fa 8 euro e 50 per doppio shampoo, taglio e rifiniture, ma 25 mi sembrava un po’ troppo. Potevo risparmiare 10 euro rasandomi a zero, ma anche quella cifra per uscire niente più che pelato non mi entusiasmava.

Quindi ne ho cercato un altro. Ho lasciato perdere i nomi internazionali e sono andato da “Mario”. Il salone credo che la cosa più internazionale che avesse visto era la Terza Internazionale.

Mobilia anni ’70, tutta laccata marrone. Poltroncine di pelle. Lo spruzzino con la pompetta, che mi era familiare: era lo stesso spruzzino che aveva il barbiere da cui mi portava mio nonno quando ero piccolo. Nota: aveva 80 anni e il suo salone era rimasto agli anni ’50.

Questa atmosfera familiare mi ha convinto. Anche Mario: è una persona affabile e che ti mette a tuo agio.

La macchinetta che usa ha due sole modalità: non taglia, oppure taglia solo le punte. Lo sfumato rasato non sa cosa sia.

Gli ho chiesto se poteva tagliarmi la riga – visto che di solito porto la riga di lato rasata – e lui mi ha pettinato i capelli da un lato. Non ho insistito perché credo quindi che non sia pratico della cosa e ho pensato fosse meglio non fare esperimenti.

Ho pagato comunque 15€ ma almeno non sono uscito pelato (tranne che nel portafogli, forse)!

Non è che i pesci che si somigliano sono i dentici

Ho dovuto rinnovare la carta d’identità. La vecchia era più che mai deteriorata. Ho l’abitudine di tenerla sempre nel portafogli e questo già non fa bene al documento cartaceo. Ultimamente, poi, ho l’abitudine di fare il bagno col portafogli nel costume e questo è stato il colpo finale. L’ho tirata fuori e si è disintegrata.

Potrebbe essere un qualcosa molto buddhista. La propria identità che si disgrega all’aria e finisce in tutte le cose, per poi riformarsi sotto forma di un nuovo documento.

Questa considerazione non è mia, i crediti vanno a un conoscente che ho incrociato per strada mentre mi recavo al Comune. È un tipo interessante. Gli fanno impressione i centesimi di rame. Il motivo è che secondo lui sono la soluzione più pratica che la gente adotta per pulire la suola delle scarpe – soprattutto quelle con una scolpitura sottile – dopo aver calpestato una deiezione canina. Quindi, sempre secondo lui, in giro capita che ci siano centesimi “smerdati”.

Sulla nuova tessera sono, ovviamente, barbuto come ormai sono da anni. Sto pensando che se di colpo tagliassi la barba completamente non sarei più riconoscibile nella foto sul documento.

È una rasatura il confine tra l’essere riconoscibile o meno?

Io sono la mia peluria facciale?

Ho una chitarra che non so più dove sia. Infatti è scordata.

Sottotitolo: è così stancante dimenticare sempre le cose che alla sera arrivi a casa distratto.

Forse l’avrò già scritto, ma nel frattempo ho dimenticato di averlo fatto e quindi lo riscrivo. Ho la tendenza a distrarmi e dimenticare le cose. L’attimo prima mi sto dicendo “devo ricordarmi di fare questo”, l’attimo dopo il pensiero è stato azzerato.

Mi rincuora il fatto di essere sempre stato così sin da bambino, quindi gli episodi che mi capitano non sono segni di un deterioramento precoce delle facoltà mentali.

Ho l’abilità di andare a fare la spesa e comprare tutto tranne la cosa che mi serviva e che era il motivo per cui ero lì. Eppure ho un’alimentazione molto parca – parca miseria! – fatta di pasta, legumi, pesce, insalata e frutta, quindi non dovrebbe essere difficile tenere a mente la lista della spesa.

Purtroppo a rotazione ogni settimana dimentico invece di comprare uno degli alimenti citati.

L’andirivieni settimanale da Terra Stantìa a “Aaa Capitale” aumenta il rischio di dimenticanze. Mi è capitato di lasciare a casa
– asciugamani
– occhiali (più di una volta)
– lentine
– quaderno appunti
– chiavi (di casa a Terra Stantìa, per fortuna).

Sempre con la stessa modalità: una cosa a settimana.

In compenso non dimentico gli orari né itinerari/distanze/tempi di percorrenza. Appuntamenti, treni, aerei. Se viaggiate con me state certi di arrivare puntuali. Magari senza le valigie, che saranno rimaste indietro, però volete mettere la soddisfazione di arrivare all’aeroporto con la possibilità di sbrigare tutto con calma?

Per non rischiare di dimenticare cellulare, portafogli e fazzoletti (le cose che un maschio in genere porta in tasca), quando esco di casa mi esibisco in un balletto che è un misto tra la macarena e una perquisizione: mi tasto per verificare che il necessario sia al proprio posto.

Questa sera ho purtroppo invece lasciato il giubbetto di jeans in aula. Breve digressione sul giubbetto di jeans: è quel capo che porto in giro appollaiato sulla mia spalla o a peso morto sul mio avambraccio per prendere aria, dato che non lo indosso mai perché, pur col tempo variabile, fa sempre troppo caldo.

È la prova provata da test clinici che il capo da mezza stagione non esiste, perché o fa troppo freddo o fa troppo caldo per poterlo indossare.

Lo scopo di giubbetto di jeans a questo punto diventa quello di: posto in cui riporre le chiavi.

Bingo.

Giunto sotto casa mi sono posto una domanda, gettando un’occhiata al mio corpo: ma io non avevo un giubbetto con me?

Poi mi sono posto una seconda domanda: ma io le chiavi non le metto sempre nella tasca anteriore del suddetto giubbetto?

Fortunatamente Coinquilino era reperibile, mentre il prezioso reperto potrò recuperarlo domattina.

A meno che io non me ne dimentichi.

post scriptum: la cosa buffa è che veramente a casa ho due chitarre, scordate!

Obbligo dopo il semaforo. Doveri? Dov’eri?

In auto fermo al semaforo ieri mi si è avvicinato il lavavetri/vendi fazzoletti-arbre magique. Tra parentesi, perché i fazzoletti che vendono sono sempre della stessa marca? È un brand che ha sviluppato una strategia di marketing face to face, direttamente dal produttore al cliente?

Di lavavetri lungo la strada c’è un’intera squadra, anche se stanno diminuendo di numero perché stanno “rotondizzando” il tutto. Sarò sincero, alcuni hanno un atteggiamento fastidioso: si lanciano sul vetro prima che tu possa dire no. I più furbi, seguendo la tecnica del buscar el levante por el poniente attaccano invece il vetro posteriore cogliendoti di sorpresa prima che tu possa attivare il tergicristallo.

Altri invece sono più discreti e cauti. Ieri uno di questi si è avvicinato al finestrino e si è messo a parlare con me:
– Ciao amico. Vai al lavoro?
– Eh sì.
– Casa come va, figli come stanno?
(rido) Non ho figli e non sono nemmeno sposato.
– No, perché tu non fare matrimonio? Tu sposare, sei grande, hai trent’anni.

Il semaforo intanto si era fatto verde e son dovuto ripartire, ma prima gli ho lasciato qualche spicciolo, che tanto non avrei consumato mai. Avete notato? Le banconote subito spariscono dal portafogli mentre le monete si accumulano lì una dopo l’altra finché non ti viene un ematoma alla chiappa a forza di sedertici sopra.

Proseguendo mi son chiesto che ne sapesse mai lui che io ho trent’anni.  A parte che sono 29, vorrei precisare. Poi, di pomeriggio, davanti lo specchio ho notato una cosa: mi è spuntato un capello bianco. Ecco, ho capito: il lavavetri l’avrà notato.

Ho riflettuto su questa cosa del “doversi sposare”, come fosse una cosa indipendente dalla tua volontà: un obbligo, una tappa da raggiungere.

Certo, potrebbe essere così nelle zone di provenienza del mio simpatico interlocutore, dove ci si sposa molto giovani e, delle volte, proprio per imposizione. Ma anche dalle nostre parti sussiste una sorta di obbligo morale da dover assolvere.

Mi ha fatto tornare in mente un episodio della mia infanzia, legato a un altro sacramento. Un giorno in famiglia mi dissero che dalla settimana successiva avrei iniziato il catechismo. Io chiesi perché mai dovessi andarci per forza se non volevo farlo. La risposta che mi sentii dire fu questa:
“Un bambino alla tua età deve fare la comunione”. Tradotto: non hai capito il perché ma non ci interessa, l’importante è che tu lo faccia. Io non sono molto d’accordo su tale impostazione educativa. Comunque, ovviamente poi andai al catechismo e alla fine mi sono comunionato. E ho dato anche una festa. In realtà anche questa è stata organizzata dalla famiglia, perché anche in questo caso mi sfuggiva il senso di dover dare una festa. Però ero contento perché alla fine ho ricevuto dei regali.

Tornando all’argomento matrimonio, voglio condividere un piccolo aneddoto nuovo nuovo, fragrante come i biscotti di Antonio Banderas fatti con le sue mani (leggere con la voce di Antonio Banderas).

Stamattina Tizio si sposa. L’altra sera è andato a fare la serenata sotto la finestra della sua bella. Sì, perché vige ancora l’usanza che alla vigilia delle nozze lo sposo si improvvisi menestrello sotto la finestra di lei. Non so bene che pensare di questa tradizione, ai poster attaccati al muro l’ardua sentenza.

Se io dovessi fare una serenata canterei questa

Sì, ok, dice You’ll always be my whore, ma è un amore un po’ rock, dai.

Tornando a noi, uno potrebbe pensare che questa tradizione canora che dal milleduecentosettordici produce imbarazzi distillati sia una cosa spontanea e sentita. Se non che:
– Lui non sa cantare. In realtà due tizi che ha ingaggiato hanno cantato per lui, che accompagnava al massimo suonando il campanello di casa.
– Lui non voleva manco farla questa cosa, non era d’accordo. Ma la madre di lei ha insistito tanto, dicendo che doveva farlo .

Com’è come non è, Tizio si è quindi presentato sotto casa, con l’intera famiglia di lei ad assistere alla performance a mo’ di curva da stadio o da pubblico imbalsamato di Sanremo.

Perché è una cosa che si deve fare. Io avrei voluto chiedere a Tizio: scusa, ma alla fine, tu sposi lei o sposi sua madre?

Mi ha fatto tornare in mente una considerazione fatta sui giapponesi durante la visita al Tempio Senso-ji per assistere all’Hatsumode (la prima visita dell’anno al tempio). Si potrebbe pensare che i giapponesi ci tengano tanto a queste cose per motivi religiosi. In realtà gliene frega poco e niente della religione. Semplicemente, riguardo le loro usanze pensano: le facciamo da secoli, quindi sarà giusto continuare a farle. Non fa una piega, come dissero riferendosi al motociclista scarso.

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Lo sport nazionale giapponese è fare la fila. Si allenano tutto l’anno per il 31 dicembre. E per i saldi nei negozi di elettronica

Non so, ma io invece ho sempre un problema con gli obblighi. Sarà per questo motivo che in fondo sono un disastro nelle gestione delle incombenze sociali: il lobo del cervello che trasmette il senso del dovere deve aver interrotto le comunicazioni con il resto del corpo. Non che io non soffra di un accentuato doverismo, anzi, al contrario ho proprio una sindrome: ma si tratta di doveri interni, nel senso che sono io stesso giudice e imputato di me stesso. È per questo che poi non accetto doveri esterni, se arriva un altro giudice mi si solleva un conflitto di competenze nel lobo frontale e poi devo farmi una legge ad personam: il Lobo Alfano.

Tutto questo post era per concludere con questa battuta, quindi tu che hai letto hai sprecato minuti preziosi della tua vita per questo, sappilo. Gh gh gh (sghignazzo malefico).